PENNABILLI – L’ impresa più difficile è stata fare il calco in Tibet della campana di Lhasa, portarlo in Italia, e realizzare la copia in bronzo che sarà installata sabato sulla rocca di Pennabilli. Quella campana che aveva scandito i tempi di preghiera della piccola missione dei frati cappuccini in Oriente, rappresenta il legame ideale fra il Tibet e il Montefeltro. Fra il Dalai Lama e Pennabilli. Non si capirebbero le ragione della visita del Dalai Lama in Valmarecchia – insieme ad una serie di importanti iniziative sul Tibet – se non si ricostruisce quel lontano rapporto datato tre secoli fa fra due mondi e due culture così distanti. Tutto ruota attorno a padre Francesco Orazio Olivieri, conosciuto da tutti come fra’ Orazio, un frate cappuccino di Pennabilli, che parte a piedi dal Montefeltro con l’intenzione di arrivare a Kathmandu. Dopo tre anni di viaggio, nel 1716 approda in Tibet dove crea una missione cristiana, ma soprattutto entra in contatto con la cultura tibetana, compilando il primo vocabolario tibetano in lingua italiana, dal quale poi hanno mutuato altre edizioni in lingua occidentale, compreso l’ inglese. Un’ impresa storica che ha lasciato un segno profondo sia in Tibet che in Italia. Ma la straordinaria storia di fra’ Orazio viene dimenticata o sepolta fra le carte degli archivi, finchè sulle tracce del cappuccino pennese si incammina un gruppo di studiosi e appassionati del Tibet. Quell’esploratore delle parole sante, definito dai tibetani «Lama testa bianca», doveva essere recuperato, nella storia e nella memoria. L’estro, la volontà, la passione di Elio «Lilli» Marini e Claudio Cardelli, due riminesi attratti dal fascino del Tibet, fanno il resto. A Lhasa vengono trovati sia i segni della missione cristiana sia la campana trasportata dai frati cappuccini, e conservata per quasi due secoli dai fedeli di un’ altra religione. In India vengono recuperati i manoscritti del dizionario compilato da fra’ Orazio. Dopo una lunga ricerca emerge anche la lettera del Dalai Lama dell’ epoca a padre Orazio ritornato in patria: «Sebbene tu vada molto lontano nella tua terra – si legge – non dimenticarti mai di noi: stanno impressi nel nostro cuore tutti i discorsi che ci hai fatto con grande amore della tua religione e la lettura del tuo libro ci ha dato grande soddisfazione». Una dimostrazione di un legame e di un affetto profondo fra rappresentanti di religioni differenti. Quasi come una scommessa, gli artefici della riscoperta di fra’ Orazio decidono di far conoscere la storia del cappuccino pennese al Dalai Lama ora presente in Tibet. «Forse abbiamo azzardato – spiegano in coro Lilli Marini e Claudio Cardelli – , ma una storia così straordinaria non poteva che rapire: e infatti il Dalai Lama è rimasto colpito dal coraggio e dalla figura di padre Orazio». L’ interesse si trasforma in contatti sempre più stretti, fino alla prima visita del Dalai Lama a Pennabilli nel ’94 con cerimonie solenni, posa di un gelso nell’orto dei frutti dimenticati e consegna delle chiavi della città. Ora l’ evento, così carico di magia e di suggestione, si ripete. Il Dalai Lama, ovvero Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama del Tibet e premio Nobel per la pace, sarà di nuovo a Pennabilli sabato (il giorno prima a Rimini), per presenziare all’ inaugurazione della campana di Lhasa. «Un rintocco con la nota sol», precisa Cardelli. Per accoglierlo, sulla parte della roccia di Pennabilli, sono stati sospesi due grandi «tangka» raffiguranti fra’ Orazio e il Dalai Lama. Ma la sua visita è solo l’ apice di una serie di eventi culturali, artistici, spirituali che fino all’ 8 agosto si svolgeranno in Valmarecchia, sotto il titolo di «Tibet in Montefeltro. Missionari e viaggiatori sul tetto del mondo». Mostre, spettacoli, presentazione di libri e filmati (stasera, a partire dalle 21, all’ anfiteatro del Comune vecchio di Pennabilli, si parlerà del volume di Marini «Relazione sullo stato della missione di fra’ Orazio» e si vedrà in anteprima il filmato di Cardelli e Marini realizzato per Raitre («Il Lama Testa bianca»), danze rituali (mercoledì, presso il convento di S. Igne, con i monaci tibetani del monastero di Garden Jangtse), concerti (venerdì, al parco Mareccchia di Rimini, con i Tamburi del Bronx, i Dervisci roteanti Mevlevi, i Rangzen). Una vetrina seria e documentata che non asseconda la moda superficiale di un buddismo o di un orientalismo di maniera, ma che si inserisce in un contesto dove parlare di Tibet è una cosa seria. Non a caso è stato scelto come slogan delle giornate pennesi-tibetane «La scoperta e il rispetto dell’ altro». Come fece fra’ Orazio in Tibet tre secoli fa. – Repubblica — 26 luglio 2005 pagina 9 sezione: BOLOGNA – ANNA TONELLI
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/07/26/dal-tibet-al-montefeltro-in-viaggio-col.html