Repubblica — 07 settembre 2008 pagina 14 sezione: POLITICA ESTERA
E’ morto ieri negli Stati Uniti a 86 anni Taktser Rinpoche, il fratello più radicale del Dalai Lama, quello che non aveva mai rinunciato al sogno dell’ indipendenza tibetana. Con lui scompare il testimone storico di un’ epoca: negli anni Cinquanta lavorò per la Cia, quando gli americani sostenevano il movimento secessionista e in Tibet vi era una guerriglia organizzata contro l’ occupazione cinese. La morte del familiare giunge in un momento molto delicato per il Dalai Lama, convalescente dopo un ricovero in ospedale, profondamente turbato per le notizie della continua repressione militare in Tibet, e contestato dall’ ala più intransigente degli esuli. Nell’ annunciare la sua scomparsa, l’associazione International Campaign for Tibet ha ricordato che «Taktser Rinpoche fu sempre profondamente diffidente riguardo alle intenzioni del partito comunista cinese in Tibet». <!– @page { margin: 2cm } P { margin-bottom: 0.21cm } –>
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Dalla sede del governo tibetano in esilio, a Dharamshala in India, un comunicato ha espresso «la tristezza di tutti» per la morte di Rinpoche. Il segretario del Dalai Lama, Chhoekyapa, non ha voluto nascondere le profonde divergenze di vedute tra i due fratelli. «Rinpoche – ha detto – non ammetteva altra soluzione al di fuori della completa indipendenza per il Tibet. In questo era diverso dal Dalai Lama. Tuttavia la differenza di opinioni non ha mai intaccato i buoni rapporti tra i due fratelli. Il più anziano era affezionato e devoto nel confronto del Dalai Lama». Rinpoche, che alla nascita si chiamava Thupten Jigme Norbu, all’ età di tre anni fu riconosciuto dalle autorità religiose come l’ abate “reincarnato” del monastero di Kumbum, nella provincia del Qinghai, uno dei più importanti per il buddismo tibetano. Quindi era già una figura di rilevo nella gerarchia monacale ancora prima che nascesse il Dalai Lama, di 13 anni più giovane. Nel 1950, mentre il Dalai Lama adolescente rimase a Lhasa durante l’ invasione dell’ Esercito Popolare di Liberazione, Rinpoche fuggì in esilio. Negli anni successivi venne contattato dagli americani, che combattevano contro i cinesi nella guerra di Corea e avevano interesse ad appoggiare all’ estremità opposta della Repubblica Popolare un movimento di insurrezione armata contro le truppe di Mao Zedong. Quel sostegno americano – che fu peraltro modesto e di durata limitata – da allora è sempre stato rivangato dalla propaganda di Pechino, per descrivere ogni solidarietà occidentale col Dalai Lama come una forma di “imperialismo” e di attentato all’ integrità territoriale della Cina. Si sa per certo che nel 1957 Rinpoche lavorava a tempo pieno per la Cia, come traduttore a Saipan. Tra i suoi compiti c’ era l’ addestramento dei primi connazionali che vennero paracadutati in Tibet per combattere nella guerra di resistenza contro l’ armata cinese. In una fase in cui ancora cercava di conquistare il consenso della classe dirigente locale, Mao invitò Rinpoche a Lhasa perché convincesse il fratello ad appoggiare la “liberazione pacifica” del Tibet. Ma Rinpoche trasmise al fratello il messaggio opposto, invitandolo a fuggire in esilio in India per sottrarsi a ogni influenza del regime cinese. Il Dalai Lama abbandonò Lhasa nel 1959 dopo l’ esplosione di una rivolta di massa tra i tibetani, repressa nel sangue dall’ Esercito Popolare di Liberazione. Da allora Rinpoche continuò ad essere una voce autorevole della linea più intransigente, favorevole alla secessione, oggi popolare soprattutto fra i giovani. Anche se ricoprì alcuni ruoli ufficiali per il governo in esilio – comprese delle missioni diplomatiche negli Stati Uniti e in Giappone – il fratello anziano non approvò mai la “via di mezzo” propugnata dal Dalai Lama negli ultimi vent’ anni, cioè la rivendicazione di un’ autonomia all’ interno della Repubblica Popolare. Dedicò gli ultimi trent’ anni della sua vita soprattutto all’ insegnamento presso la University of Indiana, dove aveva fondato un centro studi sulla cultura tibetana. Il Dalai Lama ha appreso la morte del fratello poco dopo essere stato dimesso da un ospedale di Mumbai, in India, dov’ era stato ricoverato giorni fa per alcune coliche addominali. I medici gli hanno diagnosticato un pesante affaticamento e il capo spirituale buddista ha dovuto cancellare ogni impegno internazionale per alcuni mesi. è un periodo molto difficile in cui la sua leadership è messa a dura prova. La rivolta scoppiata in Tibet a metà marzo contro i cinesi è stata seguita da una durissima repressione. Il bilancio è probabilmente di alcune centinaia di vittime, anche se le notizie non sono verificabili perché il Tibet è sotto occupazione militare e quasi inaccessibile per la stampa estera e gli osservatori indipendenti. Prima delle Olimpiadi il governo di Pechino ha organizzato un nuovo “ciclo di colloqui” con i rappresentanti del Dalai Lama, che si sono rivelati inconcludenti come in tante occasioni passate. Il regime cinese punta su una tattica dilatoria, convinto che il tempo giochi in suo favore: alla morte del Dalai Lama l’ autorità comunista è pronta a prendere in mano la nomina del suo successore. – FEDERICO RAMPINI
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/09/07/il-fratello-ribelle-del-dalai-lama-la.html