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Per il Tibet sostegno dai popoli ma dai governi io vedo pochi aiuti
Novembre 26th, 2003 by admin

Repubblica — 26 novembre 2003   pagina 15   sezione: POLITICA ESTERA – ROMA – Nella vita, un bravo monaco buddista deve essere capace anche di regolare a dovere l’ aria condizionata. Perché se ti chiami Tenzin Gyatso, e sei l’ incarnazione del XIV Dalai Lama, può capitarti spesso di girare per gli alberghi del mondo e di diventare bravo con i condizionatori. Così ieri, a Roma, quando è entrato nella stanza del grande albergo che lo ospiterà fino a venerdì, Tenzin Gyatso non si è fermato a salutare quelli che lo guardavano con deferenza, ma ha fatto vedere al giovane assistente come si regola l’ aria condizionata. Poi ha sorriso con aria divertita ai monaci, si è tolto le pantofole di plastica e si è seduto a piedi nudi su una poltrona. Due giorni fa era Calcutta, ieri a Roma, prima ancora in Giappone, dove era arrivato dopo un tour in Francia e Spagna. Un programma fitto per un signore di 68 anni, tanto che viene spontaneo farglielo notare. Ma il Dalai Lama non si stanca mai? Alla domanda, l’ Oceano di saggezza, come lo chiamano i tibetani, scoppia a ridere e assume un’ aria confidenziale. «Le rivelo il mio segreto. Tutto sta nel sonno, basta dormire otto ore ogni notte: io vado a letto alle otto ogni sera, e poi mi sveglio alle 3 e mezza per pregare. E non sento la stanchezza». Poi però si fa serio, e risponde…. «Come monaco buddista, la mia vita è dedicata agli altri: sono felice e onorato di poter servire gli altri. Una delle mie preghiere preferite dice: “Finchè ci sarà spazio, finchè ci saranno esseri umani da servire, ci sarò anch’ io per servirli”». Ultimamente, ogni suo viaggio è un bagno di folla: a Parigi c’ erano più di trentamila persone ad ascoltarla, a New York 65mila. Un grande sostegno: però la situazione del Tibet non cambia. «Certo, il problema del Tibet è ancora aperto, e questo mi preoccupa e mi rende triste. In tutto il mondo c’ è un forte supporto e una grande simpatia per la nostra causa: il punto è che è difficile trasformare questa simpatia in azioni concrete». Questo dovrebbe essere compito dei governi: ma il mese scorso a Madrid, nessun rappresentante del governo l’ ha ricevuta per le pressioni di Pechino. E non sa ancora se Silvio Berlusconi la vedrà qui a Roma… «I governi di tutto il mondo ci stanno aiutando, primo fra tutti quello americano, ma anche quello italiano. I parlamentari italiani stanno facendo molto per noi, e anche il governo ci appoggia, chiaramente con alcune limitazioni, che derivano dal fatto che la Cina è una grande nazione, molto importante dal punto di vista economico e politico. Ma i rappresentanti del governo ogni volta che incontrano le controparti cinesi ricordano loro la questione del Tibet. Questa per noi è una cosa molto positiva». Wen Jiabao, primo ministro cinese, dice che la porta del dialogo è sempre aperta se lei rinuncerà davvero all’ idea di indipendenza del Tibet e riconoscerà che la sua regione e Taiwan sono parte integrante della Cina. «è assolutamente sbagliato dire che il Dalai Lama vuole l’ indipendenza. Io ho rinunciato a questa idea da anni, e molti, fra i tibetani, ma anche fra quelli che appoggiano la causa del Tibet nel mondo, mi criticano per questo. Prima o tardi dobbiamo risolvere i nostri problemi, e dovremmo farlo dialogando con i cinesi: io ho scelto la middle way, la via di mezzo, piena autonomia all’ interno dello schema costituzionale cinese». Come pensate di raggiungere l’ autonomia? «Mettendo da parte il passato: quello che hanno fatto i cinesi è fa parte del passato, anche la loro controrivoluzione che ha portato tanta distruzione. Il passato è materia degli storici e né io né il primo ministro cinese siamo storici. L’ unico presente possibile è il dialogo». Lei forse non vedrà il capo del governo italiano, ma incontrerà il Papa. Cosa vi direte? «Voglio ringraziarlo per il suo impegno per la pace, poi voglio chiedergli della sua salute. Io ammiro molto questo Papa, per le sue molte battaglie e per il suo impegno nel dialogo fra le religioni». Un dialogo che sembra più difficile dopo l’ 11 settembre. Si parla sempre più di guerra fra le religioni: una cosa triste, per chi, come lei, si batte in modo pacifico nel nome di una religione e di una cultura, e per questo ha vinto anche un premio Nobel… «Io non credo che sia una lotta fra religioni, è solo una semplificazione. Ci sono persone cattive fra i buddisti, fra i musulmani, fra i cattolici. Ma sono esseri umani cattivi, non dipende dalla religione. Una mia amica ha passato molto tempo in Iraq e mi ha detto che la gente lì è simile ai buddisti: sono gentili e pieni di fede. E a Lhasa c’ è una piccola comunità musulmana, che vive in pace con la gente di là. Quindi vede, il problema non è la religione, ma le persone che la praticano». Ha parlato di Lhasa, la capitale del Tibet. Lei manca da 45 anni: che farebbe come prima cosa se potesse tornare? «Mi farei dare una maschera di ossigeno!», risponde il Dalai Lama con una grossa risata. «Lhasa è molto alta: io sono nato in Tibet, ci sono cresciuto, quindi dovrei essere abituato, ma da troppo tempo vivo in collina, in India. Quindi credo che dovrei prendere l’ ossigeno per respirare bene». Dopo un’ altra risata, “Kundun”, riprende il discorso «Le cose importanti che farò, quando verrà il momento del mio ritorno, sono tre: preoccuparmi delle persone, dell’ armonia religiosa e soprattutto, cederò tutti i miei poteri temporali a un governo locale eletto democraticamente». Qual è la cosa che le manca di più del Tibet? «A volte, quando a Dharamsala piove tanto, durante la stagione dei monsoni, mi manca l’ aria secca di Lhasa. Ma poi in inverno a Dharamsala c’ è sempre qualche albero verde e a Lhasa invece è tutto secco….Non molto, come vede». L’ ultima domanda è sul futuro. Quando lei morirà, la principale autorità chiamata a identificare la sua reincarnazione sarà il Panchen lama, la seconda autorità spirituale del Tibet. Ma su questa figura c’ è una dura lotta, fra il bambino che ha riconosciuto lei e e quello riconosciuto da Pechino: che accadrà allora? Il Dalai Lama si aggiusta sulla spalla la tonaca amaranto. Fissa le infradito abbandonate vicino alla poltrona e poi dice: «Vuole sapere la verità? Non è affare mio: dopo la mia morte mi preoccuperò solo della mia prossima vita!!». Poi nuovo si fa serio, e dice: «Sta ai tibetani decidere se vogliono che l’ istituzione del Dalai Lama continui. Ad ora, io so che direbbero che deve esserci un altro Dalai Lama, e visto che il suo compito sarebbe completare ciò che io non ho finito, se morissi presto la mia reincarnazione continuerebbe a battersi per il Tibet. Dunque non potrebbe che nascere in un paese libero, quindi fuori dal Tibet. Se i cinesi scegliessero un altro Dalai Lama i tibetani lo adorerebbero in pubblico ma avrebbero nel cuore il vero Dalai Lama. Ma non credo che questo porterebbe loro molti benefici». – FRANCESCA CAFERRI http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2003/11/26/per-il-tibet-sostegno-dai-popoli-ma.html


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