Repubblica — 22 marzo 2008 pagina 14 sezione: POLITICA ESTERA
DHARAMSALA – Bambini delle scuole, monaci e laici, vecchi tibetani in abiti tradizionali con le bandierine del Tibet e degli Stati Uniti infilate nei cappelli, i tradizionali cilindri per le preghiere in mano. Il tempio delle cerimonie religiose a Dharamsala era gremito fino all’inverosimile per accogliere la speaker della Camera Usa Nancy Pelosi e la sua delegazione in visita alla città d’ esilio del Dalai lama. Una sfida aperta alla Cina, direttamente accusata dall’inviata americana di nascondere ciò che succede in Tibet. L’ incontro era in programma da tempo, ma «non sapevo che ci saremmo incontrati in circostanze così tristi e drammatiche», ha detto alla folla raccolta per ascoltarla. L’ esponente democratica non ha deluso le aspettative dei profughi: «Riconosciamo la sofferenza del popolo tibetano dentro e fuori dal Tibet», ha detto. «Siamo qui ad unirci a voi per accendere la luce della verità su ciò che succede nella vostra madrepatria». Pelosi l’ ha definita «una sfida alla coscienza del mondo»: «Se gli amanti della libertà di tutto il mondo non parlano dell’ oppressione cinese in Cina e Tibet – ha detto – avremmo perso tutta l’ autorità morale di parlare di diritti umani in ogni parte del globo». Nell’incontro con i giornalisti, l’inviata americana ha annunciato la richiesta di una «indagine esterna indipendente» per scoprire le vere cause delle violenze sul Tetto del mondo. «La nostra delegazione – ha spiegato – proporrà una risoluzione per un’ inchiesta che assicuri l’ assoluta mancanza di ogni legame tra il Dalai lama e le violenze in Tibet». Per questo la Cina – ha precisato – dovrebbe autorizzare «l’ ingresso di ispettori e giornalisti per vedere di prima mano che cosa sta accadendo». Nancy Pelosi ha ripetuto che gli Stati Uniti non sono favorevoli al boicottaggio dei Giochi Olimpici, «ma non mi sorprende l’ uso della violenza da parte dei cinesi». E «quel che è peggio – ha aggiunto – è che i cinesi chiamino il Dalai Lama un bugiardo, un’ accusa che non ha senso». A confermare che la sua non è solo la posizione dei democratici è intervenuto un altro membro della delegazione, il repubblicano James Sensenbrenner: «Nel Congresso americano – ha detto ai cronisti – non c’ è divisione tra democratici e repubblicani sulla protezione della cultura tibetana e l’eliminazione delle repressioni contro i tibetani». L’ eco delle dure dichiarazioni degli esponenti statunitensi a Dharamsala non ha avuto reazioni ufficiali a Pechino, ma ieri è circolata la notizia del divieto di tutte le dirette televisive da piazza Tien An Mien, comprese quelle dei grandi network Usa come Nbc che hanno pagato centinaia di milioni di dollari. Le autorità hanno reso pubblica su siti internet e media nazionali una lista di 21 «super-ricercati» tibetani accusati delle violenze che sono costate la vita a 13 cinesi nella capitale del Tibet. La popolazione è invitata a identificare e denunciare i colpevoli in cambio di premi, e secondo fonti ufficiali due di loro sarebbero già stati arrestati e un terzo si sarebbe autoconsegnato. Ma dopo l’ ultimatum di lunedì scorso, c’ è adesso un’ altra data, il 25 marzo, per quanti vorranno ammettere di aver partecipato a manifestazioni a Lhasa e altrove. Anche sul numero degli arresti, come su quello delle vittime, c’ è un’ enorme differenza tra le fonti cinesi (che parlano d 19 vittime cinesi, 24 arresti e 170 «autoconsegnati») e dei tibetani in esilio, secondo i quali almeno 99 persone sono state uccise e oltre mille recluse. – RAIMONDO BULTRINI
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