Repubblica — 13 settembre 1997 pagina 9
GORIZIA – Il Dalai lama Tenzin Gyatso, ospite per quattro giorni delle amministrazioni pubbliche di Bolzano, Gorizia e Trieste, sembra trovarsi particolarmente a suo agio tra montagne e terre di confine che, come quelle della sua infanzia, hanno conosciuto guerre, devastazioni, ristabilendo però ben presto le basi della propria esistenza quotidiana. Lo ripete più volte, nelle diverse cerimonie sempre affollatissime e supersorvegliate (si teme per la sua vita dopo le minacce di una setta integralista) e in questa intervista apre una nuova finestra al dialogo con la Cina: “Sapere se il Tibet ha mai fatto parte della Cina è un quesito che lascio agli storici.
Il nostro sguardo è al futuro, e a ciò che facciamo ora perché gli errori non si ripetano”. Lei lancia spesso segnali di pace a Pechino.
Ma per i cinesi le sue belle parole nasconderebbero solo mire indipendentiste. “Da molti anni ripeto che la mia richiesta di autonomia non ha niente a che fare con l’ indipendenza del Tibet, un’ utopia per un popolo di 6 milioni contro un miliardo di cinesi. Già nel 1992 ho dichiarato che, se in futuro potrò tornare in Tibet, passerò all’ istante il mio potere in mano a un’ amministrazione laica”. I cinesi non le hanno mai creduto. “E’ vero, c’ è un atteggiamento di estrema durezza che, paradossalmente, sembra accentuarsi. Eppure io avverto da molti anni un grande processo di cambiamento, un processo inarrestabile, che la tragedia di Tienanmen ha solo rallentato”. Spera in questo congresso del Pcc? “La situazione cambierà presto in modo positivo. Sono ottimista”. Al punto da immaginare una prossima visita a Pechino? “Non subito, ma è possibile”. Però lei parla spesso di genocidio culturale in atto per i tibetani. Questo non allontana le ipotesi di dialogo? “Quando vengo in Occidente, mi vengono sempre chieste notizie sulla condizione della mia gente. E io devo rispondere senza poter negare certe circostanze, che chiunque può constatare. C’ è un genocidio culturale creato intenzionalmente, e uno indiretto. Intenzionalmente vengono tenuti nei monasteri dei corsi di rieducazione politica per monaci e monache, mentre nelle scuole, di recente, sono stati adottati nuovi programmi dove il buddhismo è descritto come un ‘veleno ideologico’ .
Gli stessi quadri del partito comunista sostengono che la nostra religione è solo causa di problemi, e che i seguaci devono essere controllati”. E indirettamente? “La lingua sta imponendo il dominio degli uni sugli altri. Non è solo obbligatoria negli uffici: il venditore di frutta, il sarto, il fornaio, tutto il commercio è tenuto da cinesi. Un esule rientrato recentemente da Lhasa mi ha raccontato di aver visto vicino al tempio Jokhang un gruppo di giovani dall’ aspetto di tibetani parlare tra loro in cinese. Lui gli ha parlato in tibetano, e quelli gli hanno risposto nella nostra lingua. Perché, gli ha chiesto allora l’ esule, tra voi parlavate cinese? Se non prendiamo dimestichezza con il cinese – è stata la loro risposta – non ci metteremo mai al loro stesso livello. Ecco, così cambia la storia di un popolo… Ma per favore, non sono venuto qui a fare propaganda anticinese, dobbiamo essere realisti, concreti: il nostro non è un paese sviluppato, non abbiamo sbocchi al mare, ci sono grandi aree spopolate e risorse che non potremmo sfruttare senza la tecnologia cinese”. Realisticamente però è difficile anche l’ autonomia amministrativa. “Teoricamente nella costituzione cinese la possibilità esiste. Ci sono regioni autonome, province, distretti, prefetture. Ma la loro autonomia è solo sulla carta. Da parte mia, l’ unica cosa che ho sempre fatto e continuerò a fare è puntare al dialogo. E’ l’ uomo che determina le circostanze: con un attitudine negativa, distruttiva, creerà solo sofferenza. Al contrario, con la gentilezza, la mente può creare le condizioni per il progresso e lo sviluppo armonioso”. Un dirigente del Pds e l’ europarlamentare dello stesso partito, Luigi Colajanni, hanno appoggiato la sua richiesta di dialogo con la Cina, proponendo un coordinatore europeo su questo tema. Curioso che al suo fianco contro l’ ultimo grande governo comunista si trovino ex marxisti. “Colajanni è uno dei miei vecchi e buoni amici, e in ogni caso quello tibetano non è un problema di ideologie, ma di questioni molto pratiche. Del resto nel marxismo esistono molte affinità con i principi del buddhismo, e io stesso potrei tranquillamente definirmi un buddhista-marxista”. Oltre alle difficoltà con i cinesi, lei deve affrontare anche quelle con i tibetani della setta seguace dello spirito Shugden che la minaccia di morte. “Il buddhismo non è un culto di spiriti, e chi non ha rispettato la purezza della trasmissione originaria di Atisha ha sempre creato solo negatività e divisioni. Io non impedisco a nessuno di praticare singolarmente ciò che vuole, ma la nostra piccola comunità è unita dall’insegnamento, non dagli spiriti. Per questo ho imposto delle restrizioni”. Lady Diana e madre Teresa sono state accomunate in Occidente da un grande culto collettivo. “La morte di madre Teresa è una grande perdita per il mondo. E una via spirituale come quella cattolica, che ha ispirato una donna del genere, capace di amare e aiutare i più deboli, dimostra tutto il suo valore.
Rispetto all’ emozione popolare, anche per la tragica fine della principessa, posso solo dire che la gente in Occidente, se succede qualcosa di buono è sempre molto eccitata, se è cattiva, cade però in grande depressione. Noi tibetani siamo un po’ più rilassati”. – Raimondo Bultrini
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