Repubblica — 23 marzo 2008 pagina 12 sezione: POLITICA ESTERA
DHARAMSALA – Pechino insiste: sono solo 19 e tutte cinesi le vittime delle rivolte tibetane. Neanche i quattro manifestanti che la polizia ha ammesso di aver ucciso «per legittima difesa» nel Sichuan occidentale figurano nella lista, nonostante le foto e le testimonianze di almeno cento morti denunciati dalle fonti tibetane in esilio a Dharamsala. Il tentativo di demonizzare le proteste e di attribuirle unicamente alla «cricca del Dalai lama» è adesso affidato alla stampa governativa, che ha sollevato anche lo spauracchio dell’ estensione delle proteste a ridosso delle regioni dove già si battono da anni per l’ indipendenza i musulmani uiguri dello Xinjiang. Il commento più significativo è stato pubblicato dal Quotidiano del Popolo, l’ organo di stampa ufficiale del regime: «La Cina deve risolutamente stritolare la cospirazione del sabotaggio e schiacciare le forze d’ indipendenza tibetane», ha scritto. Il sito Xinjiang news ha a sua volta accomunato il separatismo uiguro, taiwanese e tibetano allo stesso disegno: «Dividere la madrepatria». Tutti «ritengono le Olimpiadi un’ occasione d’ oro», continua l’ editoriale, e «se non rompono qualcosa non si sentono soddisfatti, perché comunque non otterranno il loro scopo di danneggiare l’ immagine della Cina». Il nervosismo di Pechino è palpabile. Ed è all’ origine della decisione – comunicata nei giorni scorsi ai network televisivi stranieri – di impedire qualsiasi trasmissione dal vivo da Piazza Tienanmen durante i Giochi Olimpici. Il divieto non è stato motivato, ma sembra dovuto al timore che la presenza delle telecamere possa incoraggiare manifestazioni politicamente sgradite nel luogo-simbolo della capitale, già teatro della sanguinosa repressione del 1989. Mentre l’ esercito continua ad affluire nelle regioni tibetane dove si segnalano nuove proteste, come in Amdo, Gansu e Sichuan, l’ utilizzo dei media è diventata anche una delle armi per convincere i cittadini a denunciare i sospettati di attività indipendentiste riconosciuti nelle foto segnaletiche fatte circolare su giornali, tv e siti web. Contemporaneamente, sul piano internazionale non c’ è alcun segno di cedimento alle richieste di contenere le repressioni e aprire il paese a ispezioni indipendenti, come ha chiesto la presidente della Camera Usa Nancy Pelosi nella sua visita a Dharamsala. Senza citarla per nome, il portavoce del governo Qin Gang ha polemizzato apertamente con la sua visita, respingendo «ogni incoraggiamento e supporto agli schemi secessionisti della cricca del Dalai lama», perché «violano tutti i principi delle relazioni internazionali»; e in ogni caso «i progetti di coloro che vogliono usare il Dalai Lama per altri scopi sono destinati a fallire». In aggiunta, Gang ha elencato la lista dei «numerosi paesi che sono al fianco della Cina», almeno cento secondo i calcoli dell’ agenzia ufficiale Xinhua. Ieri però anche la Casa Bianca ha chiesto un’ indagine per stabilire il trattamento dei prigionieri dopo le rivolte, e il candidato repubblicano alla presidenza, John McCain, ha detto che la repressione anti-tibetana è «inaccettabile». Duro anche il giudizio del presidente del Parlamento europeo Hans-Gert Poettering: «Pechino dovrebbe immediatamente trattare con il Dalai lama – ha detto -. Se continueranno a non esserci segnali di compromesso, il boicottaggio (delle Olimpiadi) sarebbe una misura giustificata». Analogo il giudizio del ministro degli Esteri tedesco Walter Steinmeier, mentre la presidenza dell’ Unione europea considera il boicottaggio dei Giochi «controproducente». Per saperne di più www.xinhuanet.com/english/ www.chinapost.com.tw www.freetibet.org La Cina e il tibet – RAIMONDO BULTRINI
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/03/23/la-cina-schiacceremo-ribelli-del-tibet.html