Un poliziotto cinese esegue l’abbattimento delle bandiere di preghiera.
18 giugno 2020. Le autorità cinesi hanno ordinato la rimozione e la distruzione delle bandiere di preghiera, uno dei simboli della cultura tibetana.
La campagna, inserita nel programma di “riforma comportamentale”, è iniziata nel mese di giugno nella Prefettura Autonoma Tibetana di Golog (regione del Qinghai) e nella Contea di Tengchen (municipalità di Chamdo, nella cosiddetta Regione Autonoma Tibetana). Radio Free Asia riferisce di aver appreso da una fonte locale che le autorità governative e la polizia hanno indetto una riunione e invitato i residenti a organizzare una “pulizia del territorio”. “Capeggiata dalle forze di polizia la popolazione locale sta ora rimuovendo le bandiere di preghiera dai villaggi e dalle alture sulle quali tradizionalmente sventolano in segno di buon auspicio contro le forze del male e di buona fortuna”. Non solo sono state rimosse e distrutte le bandiere tibetane, vecchie o nuove, ma sono stati divelti anche i pali che le sostenevano. “E’ un segno di disprezzo e di totale indifferenza nei confronti delle tradizioni e del credo dei tibetani” – ha aggiunto la fonte locale dicendo inoltre di temere che questa nuova campagna comporti ulteriori restrizioni delle pratiche religiose e delle usanze culturali tibetane.
Il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia ha denunciato i continui, sistematici tentativi posti in atto dal governo cinese per distruggere l’identità nazionale e culturale del paese incrementando la sorveglianza sulle comunicazioni on line, punendo il dissenso politico e impedendo agli studenti l’uso della lingua tibetana all’interno delle classi.
Fonte: Radio Free Asia http://www.italiatibet.org/2020/06/18/tibet-la-cina-ordina-la-rimozione-delle-bandiere-di-preghiera/
Tibet: la campagna del PCC contro le bandiere di preghiera
Nulla è più rappresentativo della cultura e della religione tibetane che gli stendardi religiosi. Ora, mentre la persecuzione della fede aumenta d’intensità, vengono rimossi da villaggio dopo villaggio. È difficile immaginare il Tibet, il Bhutan, il Nepal, la Mongolia o il Ladakh senza le bandiere di preghiera. Le strisce dei piccoli stendardi di stoffa recanti simboli e testi religiosi sono appese ovunque. Sono parte integrante del paesaggio, ma per i buddhisti significano molto di più. Sono manufatti sacri, che si crede rechino pace e armonia. I loro cinque colori (blu, bianco, rosso, verde e giallo) rappresentano i cinque elementi e i cinque saperi del buddhismo.
I fedeli credono che il vento, muovendo le bandiere di preghiera, sparga attorno compassione e benevolenza, a beneficio sia dei buddhisti sia dei non buddhisti. Per questa ragione ai buddhisti non dispiace se gli occidentali che praticano altre religioni acquistano bandiere di preghiera e le usano nelle proprie case. Chiedono solamente che siano trattate con rispetto in quanto oggetti sacri. Non sono dunque puramente ornamentali. Infatti, quando sono irrimediabilmente sciupate non debbono essere gettate nella spazzatura, ma bruciate, prestando attenzione al fatto che non tocchino mai il suolo. In tal modo i buddhisti credono che le loro benedizioni saranno portate dal fumo sino al mondo dello spirito.
Ebbene, il PCC sta tentando di distruggere la religione e la cultura tibetane, lasciandone soltanto una versione “disneyficata” a beneficio di turisti naif. Questo tentativo data ormai da dieci anni, ma si è rafforzato con Xi Jinping. Il 16 giugno il Centro tibetano per i diritti umani e la democrazia ha pubblicato il Rapporto sugli avvenimenti accaduti in Tibet nel 2019, che documenta come la situazione sia andata di male in peggio. Particolarmente allarmante è la denuncia dell’aumento dell’uso della tortura ai danni di monaci, monache e buddhisti laici, “migliaia” dei quali sono stati arrestati e incarcerati nel corso dell’anno. Una nuova legge in vigore dall’agosto dell’anno scorso ha sospeso le pensioni per gli ex impiegati del governo colti a partecipare a qualsiasi attività religiosa, inclusa la preghiera con i familiari e gli amici. Alla fine, ha annunciato il Partito, solo un «sistema moderno e socialista di Buddhismo» potrà (precariamente) sopravvivere. Purtroppo l’attacco agli aspetti esteriori della religione tibetana era prevedibile. Non coglie di sorpresa il fatto che il PCC abbia ora iniziato a togliere le bandiere di preghiera dalle cime delle colline e dai villaggi, ovviamente senza trattare gli stendardi con il rispetto prescritto dalla tradizione buddhista. Villaggio dopo villaggio, il Partito costringe gli abitanti a rimuovere le bandiere e a consegnarle alla polizia, presumibilmente per essere distrutte senza tante cerimonie. La campagna è partita nella Prefettura autonoma tibetana di Golog (o Guoluo) del Qinghai e nella contea di Tengchen (o Dingqing) del Comune di Chamdo, nella Regione autonoma del Tibet, e si sta ora estendendo altrove, come riferito da Radio Free Asia. Il regime conduce tale campagna con il pretesto della «pulizia dell’ambiente», benché il PCC menzioni anche la «riforma del comportamento» del Buddhismo non sinizzato e non socialista.
Dal punto di vista dei credenti, si tratta sia di un’offesa sia di un sacrilegio, ma chi ha protestato contro tali azioni del Partito, come ha affermato nel rapporto il Centro tibetano per i diritti umani e la democrazia, è stato immediatamente arrestato e spesso torturato. Le bandiere di preghiera sono l’anima stessa del Tibet. Anche chi non è buddhista deve protestare contro tale nuova manifestazione di genocidio culturale.
https://it.bitterwinter.org/tibet-la-campagna-del-pcc-contro-le-bandiere-di-preghiera/