Raimondo Bultrini. Narra la leggenda che quando tra il 563 e il 620 avanti Cristo la regina Maya Devi diede alla luce il bimbo divenuto celebre come Buddha, ella stava recandosi nella casa dei genitori a Devadaha, attuale municipalità nell’omonimo distretto del regno del Nepal. Le doglie erano pero’ troppo forti per completare i 7 km del tragitto dalle foreste di Lumbini e la partoriente afferrò i rami di un albero sotto al quale venne alla luce un pargolo che invece di emettere un vagito le annuncio’: “Questa è la mia rinascita finale”, e fece subito sette passi “sotto ognuno dei quali – dice la tradizione – sbocciò un fiore di loto”.
Centinaia di studiosi hanno cercato di trovare le prove storiche, affidate soprattutto a un pilastro eretto a Lumbini due o tre secoli dopo dal re buddhista indiano Ashok, del vero luogo di nascita, e la polemica scolastica si è trasferita più volte sul piano politico. L’ultimo confronto a livello diplomatico è di pochi giorni fa, quando il ministro degli Affari esteri dell’India, S. Jaishankar, ha detto che Gautama Buddha e Mahatma Gandhi sono ricordati come “i due più grandi indiani di sempre”. Memore dell’”offesa” contenuta in una mappa storica dei cartografi di Delhi, dove Lumbini veniva fatta ricadere dentro i vecchi confini indiani nell’area di Sarayupar, il corrispettivo ministro del Nepal ha fatto dire al suo portavoce che “è un fatto consolidato e innegabile” che Buddha fosse nato in terra nepalese.
Lumbini “è la sorgente del buddhismo e uno dei siti del patrimonio mondiale dell’UNESCO”, ha spiegato indignato, ricordando che lo stesso premier indiano Narendra Modi nel 2014 disse testualmente: “il Nepal è il paese in cui è nato l’apostolo della pace nel mondo, Buddha”. Ne è seguita una veloce retromarcia del governo di Delhi: “Le osservazioni (del ministro) – dice una nota – si riferivano alla nostra eredità buddhista condivisa. Non c’è dubbio che Gautama Buddha sia nato a Lumbini, che è in Nepal”.
La discussione poteva essere chiusa qui se tra netizen indiani e nepalesi non fosse continuata la estenuante discussione sul Dna dell’Illuminato, che cade in un periodo particolamente delicato nei rapporti tra i due paesi. A maggio il governo comunista di Kathmandu pubblico’ una nuova mappa politica che mostrava le regioni contese di Kalapani, Limpiyadhura e Lipulekh come parte del proprio territorio scatenando le furie di Delhi. Poi il mese scorso il primo ministro nepalese K.P.S. Oli giunse a dire che perfino “la vera Ayodhya” – presunto luogo di nascita del dio Ram e origine di sanguinosi conflitti con la minoranza musulmana dell’India – non si trova nell’Uttar Pradesh indiano ma a Thori in Nepal, vicino Birgunj. Apriti cielo.
La battuta del ministro indiano, pure stemperata dalle precisazioni successive, è infatti parte di un conflitto diplomatico che ha delicati risvolti geopolitici, considerando non solo le contese sulle frontiere ma anche la collocazione strategica del governo di Kathmandu, sempre più spostato verso l’area di influenza della Cina e in aperto conflitto con l’India sulle vette dell’Himalaya. Per questo la polemica sul luogo di nascita del Buddha “è un falso problema”, secondo il prof. Claudio Cicuzza, ex direttore dell’Istituto internazionale di ricerca di Lumbini (Liri).
I confini antichi – spiega – erano spostati continuamente, perfino di giorno in giorno, e nessuno può dire veramente se Lumbini fosse un villaggio nepalese o indiano. Personalmente tendo a considerare Lumbini una località del Nepal, ma nessuno per molti secoli si era mai posto problemi del genere, considerando che il principe Gautama della dinastia Sakya divenne tale in India, “illuminandosi” sotto il celebre albero di Bodhgaya. Con la fine del regno buddhista di Ashoka e il ritorno al potere del brahmanesimo induista, il grande continente non fece molto per reclamare l’indianità del Buddha, anche se certe scritture lo consideravano una delle tante incarnazioni del dio Visnu”.
Secondo Cicuzza e altri studiosi i problemi sono sorti quando Lumbini è stata scoperta non solo come mèta di pellegrinaggio e turismo, ma anche come fonte di introiti con cospicui finanziamenti delle Nazioni Unite o di altri paesi come il Giappone e la stessa Cina. A un certo punto l’India ha iniziato a pensare che sarebbe stato bello avere un suo cittadino come fondatore dell'”Umanesimo Indiano” secondo la definizione del celebre orientalista italiano Giuseppe Tucci.
Tra le contraddizioni storiche di questo ennesimo dibattito – come nota ancora il professor Cicuzza – “troviamo nei secoli una forte opposizione da parte dell’India agli insegnamenti del Buddha in quanto mettevano chiaramente in discussione il sistema di caste sul quale si basa ancora oggi una grande parte della società del continente. Ma il paradosso è che lo stesso Nepal, sotto la dinastia dei Rana all’inizio del secolo scorso, esilio’ i monaci buddisti come parte di una campagna per sopprimere la rinascita della tradizione Theravada”.
Per i devoti buddhisti questo ritorno di fiamma è comunque valutato come un fatto positivo e “la contesa sulle origini del grande saggio – ci dice un dirigente dell’Unione buddhista italiana – rendono onore a una delle figure storiche e spirituali più importanti dell’umanità”.https://www.facebook.com/raimondobultrini/photos/a.1041512632579808/3380266155371099/