Obama sfida la Cina. «Incontrerò il Dalai Lama»
La Casa Bianca ha detto oggi che l’incontro tra Barack Obama ed il Dalai Lama avrà luogo. È quanto riporta la Cnn, ricordando che l’incontro era stata già rimandato una volta prima della visita del presidente in Cina.
Le dichiarazioni del portavoce del presidente statunitense arrivano dopo che la Cina ha minacciato un ulteriore tensione nei rapporti con gli Stati Uniti di fronte ad un incontro tra Obama ed il leader spirituale tibetano. Un incontro che «minerebbe seriamente le fondamente delle relazioni politiche sinoamericane» ha dichiarato Zhu Weiqun, funzionario del partito comunista cinese che gestisce i rapporti con i rappresentanti del Dalai Lama. L’opposizione di Pechino ad un incontro fra il Dalai lama e il presidente americano Barack Obama si inserisce in un clima già teso fra Stati Uniti e Cina, le cui economie sono strettamente legate con il rischio di ripercussioni sulle scelte di politica estera. …E arriva a poche ore dalla presentazione della manovra americana: alla sostenibilità dei conti pubblici statunitensi, la Cina è particolarmente interessata essendo il maggiore creditore estero di Washington, con 789,6 miliardi di dollari (novembre 2009) di titoli del Tesoro, ovvero il 22% del debito a stelle e strisce detenuto da stranieri. La Cina è il motore della crescita mondiale e, secondo le stime dell’Ocse, nel giro di 5-7 anni potrebbe sorpassare gli Stati Uniti e divenire leader della produzione di beni manifatturieri. Il Fmi stima che il pil cinese crescerà quest’anno del 10% e nel 2011 del 9,7% e non ritiene che ci sia il rischio di una nuova bolla speculativa in Cina, anche se secondo alcuni osservatori esiste la possibilità che la Cina sia una nuova Enron. Gli Usa sono il maggior partner commerciale della Cina, mentre Pechino è il secondo degli Stati Uniti dopo il Canada. L’escalation delle tensioni fra i due paesi ha raggiunto un picco massimo nelle ultime settimane, con il caso Google e la decisa vendita di armi a Taiwan da parte di Washington. Quest’ultimo dossier si tradurrà per le aziende americane coinvolte in sanzioni. Gli attriti fra i due paesi riguardano anche l’andamento del tasso di cambio, con gli Usa e molti altri paesi che, pur apprezzando i progressi effettuati, invitano a un maggiore apprezzamento dello yuan così da favorire il rientro degli squilibri globali. Il braccio di ferro fra Washington e Pechino si gioca anche a suon di dazi: di recente l’International Trade Commission (Itc), l’agenzia americana che vigila e regolamenta la concorrenza, ha dato il via libera a dazi fra il 10% e il 16% sulle importazioni di tubature cinesi, spianando di fatto la strada all’imposizione di nuovi dazi sulle importazioni di tubi d’acciaio dalla Cina, aumentando la tensione nelle relazioni commerciali fra i due paesi. http://www.unita.it/news/mondo/94517/obama_sfida_la_cina_incontrer_il_dalai_lama
02 febbraio 2010
Barack Obama incontrerà il Dalai Lama. Pechino minaccia la crisi diplomatica
Il presidente Usa riceverà il leader spirituale tibetano a metà mese, durante il suo viaggio negli Stati Uniti. Il governo cinese avverte che la decisione potrebbe “minare ancora di più” le relazioni sino-americane. A rischio le sanzioni Onu sul nucleare iraniano e nord-coreano e gli accordi su clima e commercio.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Il presidente Usa Barack Obama incontrerà il Dalai Lama, durante la visita del leader spirituale dei tibetani negli Stati Uniti a metà febbraio. La notizia è stata confermata ieri dalla Casa Bianca e ha scatenato la dura reazione di Pechino, secondo cui la decisione del governo americano potrebbe “minare ancora di più” le relazioni diplomatiche e commerciali fra le due super-potenze.
I rapporti fra Cina e Stati Uniti attraversano un momento critico, in seguito alla diatriba su Google e gli attacchi informatici di hacker cinesi, uniti alla vendita di armi di società Usa a Taiwan. Le tensioni diplomatiche tra la prima e la terza economia al mondo potrebbero minare eventuali accordi in sede Onu – dove Pechino gode del diritto di veto – sulle sanzioni a Iran e Corea del Nord per i loro programmi nucleari, sui cambiamenti climatici e sugli squilibri della bilancia commerciale.
Ieri la Casa Bianca ha confermato l’incontro fra Barack Obama e il Dalai Lama – bollato come leader “separatista” da Pechino – nonostante le minacce della Cina. Bill Burton, portavoce dell’ufficio presidenziale, ricorda che è stato lo stesso Obama ad avvertire l’omologo cinese Hu Jintao, durante la visita ufficiale dello scorso anno, che “avrebbe incontrato il Dalai Lama ed è ciò che intende fare”. Egli aggiunge che le relazioni fra i due Paesi sono “mature abbastanza da lavorare nelle aree in cui vi sono preoccupazioni comuni” come il nucleare, il clima e l’economia mondiale e “discutere con franchezza e chiarezza nelle aree in cui vi è disaccordo”.
Pronta la replica di Pechino, per bocca del portavoce del Ministero degli esteri, secondo cui già a novembre il presidente Hu avrebbe chiesto a Obama di non incontrare il leader spirituale tibetano, gesto che offenderebbe i sentimenti del popolo cinese. Ma Zhaoxu ribadisce che il governo è “fermamente contrario ad un qualunque contatto tra il leader degli Stati Uniti e il Dalai Lama, sotto qualsiasi pretesto o forma”. Il portavoce del Ministero degli esteri invita Washington ad “evitare di causare ulteriori danni alle relazioni sino-americane”.
Gli strali lanciati da Pechino non rappresentano una novità. Il governo cinese ha sempre usato l’arma della “questione interna” e il “ricatto economico” per impedire al leader spirituale dei tibetani – che considera la regione parte della Cina, ma chiede “autonomia” per il suo popolo – di avere contatti con i leader politici del mondo.
Tuttavia, negli ultimi 20 anni tutti i presidenti americani – fra i quali il predecessore di Obama, George W. Bush – hanno ricevuto Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama, scatenando parole di fuoco del governo cinese, ma nessuna sostanziale rappresaglia. Diverso il caso del presidente francese Nicolas Sarkozy, che alla fine del 2008 ha incontrato il leader tibetano durante la presidenza francese della Unione europea. In risposta, la Cina ha cancellato un summit in programma con la Ue.
Oggi la reazione cinese all’annunciato faccia a faccia fra i due Nobel per la pace potrebbe avere ripercussioni sul nucleare, con un veto a possibili sanzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a Iran e Corea del Nord. Dal Ministero degli esteri cinese, intanto, viene confermata la minaccia di “sanzioni corrispondenti” contro le compagnie americane che vendono armi a Taiwan, perché esse “hanno ignorato l’opposizione della Cina”.
OBAMA: “VEDRÒ IL DALAI LAMA”. CINA: “CONTRARI”
di Redazione
Il presidente degli Usa ignora il monito di Pechino: “Un incontro potrebbe danneggiare seriamente le relazioni tra i due Paesi”. E conferma l’incontro con il leader spirituale tibetano. Il ministro degli Esteri cinese: “Fermamente contrario”
Washington – Continua la guerra fredda tra Washington e Pechino. Barack Obama, incurante degli avvertimenti cinesi, ha confermato che riceverà il Dalai Lama quando il leader spirituale tibetano sarà negli Stati Uniti. Lo ha riferito la Casa Bianca rivelando che il presidente americano aveva informato già lo scorso novembre delle sue intenzioni l’omologo Hu Jintao durante la visita a Pechino. In precedenza Pechino aveva minacciato Washington che un incontro tra Obama e il Dalai Lama “potrebbe danneggiare seriamente le relazioni sino-americane”. Ma il ministro degli Esteri della Cina ha dichiarato di essere “fermamente contrario” a qualsiasi incontro, aggiungendo che la questione è altamente sensibile.
Tensione fra Usa e Cina “Il presidente Obama ha detto in novembre ai leader cinesi, durante il suo viaggio in Cina, che aveva intenzione di incontrare il Dalai Lama in futuro” ha detto il portavoce della Casa Bianca Bill Burton. Obama non aveva incontrato il Dalai Lama durante una visita negli Usa del leader religioso avvenuta poco prima del viaggio in Cina dell’inquilino della Casa Bianca per non creare incidenti con i leader di Pechino. La Casa Bianca aveva detto comunque all’epoca che Obama intendeva incontrare il Dalai Lama in altra occasione. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Ma Zhaoxu ha detto in una dichiarazione che la Cina “si oppone fermamente a che il leader degli Stati Uniti abbia contatti con il Dalai Lama con qualsiasi pretesto e in qualsiasi forma”.
Il monito di Pechino Durante una conferenza stampa oggi a Pechino, il responsabile per il Tibet del partito comunista cinese, Zhu Weiqun, ha detto che un inconto tra i due leader “minerebbe seriamente le fondamenta politiche delle relazioni sino-americane e minaccerebbe la fiducia e la collaborazione” tra i due Paesi. È la terza volta, dall’inizio dell’anno, che i vertici del cosidetto G2 arrivano ai ferri corti: il 21 gennaio il Segretario di Stato, Hillary Clinton, aveva duramente attaccato la Cina per la sua decisione di oscurare il motore di ricerca Google e aveva apertamente accusato il paese di aver organizzato una serie di cyberattacchi. E ieri Pechino ha espresso “indignazione” nei confronti di Washington per la decisione degli Stati Uniti di vendere a Taiwan armamenti per 6,4 miliardi di dollari. Come prima ritorsione la Cina aveva annunciato la sospensione degli incontri militari di alto livello tra i due paesi.
http://www.ilgiornale.it/esteri/obama_vedro_dalai_lama_cina_contrari/politica-obama-rischio-relazioni-dalai_lama-incontro-cina-usa/03-02-2010/articolo-id=418713-page=0-comments=1
OBAMA INCONTRERÀ IL DALAI LAMA
Pechino: «Relazioni a rischio»
Barack Obama non indietreggia davanti alla Cina e attraverso un suo portavoce fa sapere che a fine mese incontrerà a Washington il Dalai Lama, guida spirituale tibetana in esilio, anche se sa benissimo che ciò farà infuriare Pechino. Il vice addetto stampa della Casa Bianca, Bill Burton, ha detto che la data dell’incontro non è ancora stata fissata. Gli Stati Uniti, ha precisato il portavoce, considerano il Tibet parte della Cina, ma sono preoccupati per il mancato rispetto dei diritti umani nella regione autonoma himalayana. Inevitabile, fulminea e scontata la presa di posizione da Pechino. Durante una conferenza stampa a Pechino, il responsabile per il Tibet del Partito Comunista cinese, Zhu Weiqun, ha detto che un inconto tra i due leader «minerebbe seriamente le fondamenta politiche delle relazioni sino-americane» e «minaccerebbe la fiducia e la collaborazione» tra i due paesi. Il ministro degli Esteri cinese ha invece dichiarato di essere «fermamente contrario» a qualsiasi incontro fra il presidente Usa Barack Obama e il leader spirituale tibetano. È la terza volta, dall’inizio dell’anno, che i vertici del cosidetto G2 arrivano ai ferri corti: il 21 gennaio il segretario di Stato, Hillary Clinton, aveva duramente attaccato la Cina per la sua decisione di oscurare il motore di ricerca Google e aveva apertamente accusato il governo del Dragone di aver organizzato una serie di cyberattacchi; e proprio ieri Pechino ha espresso “indignazione” nei confronti di Washington per la decisione degli Stati Uniti di vendere a Taiwan armamenti per 6,4 miliardi di dollari. Come prima ritorsione la Cina aveva annunciato la sospensione degli incontri militari di alto livello tra le due potenze.
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2010/02/obama-cina-dalai-lama.shtml?uuid=701ec2be-102c-11df-9e9b-b68b65d39cca&DocRulesView=Libero&fromSearch
LA CINA RESTA UN PAESE AD ALTO RISCHIO POLITICO
di Luca Vinciguerra
La rivolta di Google contro la censura. La vendita di armi americane a Taiwan. Il viaggio del Dalai Lama negli Stati Uniti. La proposta di Nobel per la Pace al dissidente Liu Xiaobo. Le numerose diatribe scoppiate all’improvviso negli ultimi giorni tra Washington e Pechino hanno precipitato le relazioni sino-americane a uno dei livelli più bassi dell’ultimo decennio. La reazione cinese è stata a dir poco scomposta. Dopo essere riuscita a tenere il confronto sul caso Google entro i recinti della diplomazia e del buon senso, nelle ultime ore la nomenklatura ha perso letteralmente le staffe investendo gli Stati Uniti con una raffica di invettive e di minacce di ritorsioni senza precedenti. Una in particolare, le sanzioni contro le aziende americane che venderanno armi a Taiwan, rappresenta una novità assoluta e, al tempo stesso, un salto di qualità importante negli strumenti di engagement cinesi in politica internazionale. La replica rabbiosa di Pechino e la rappresaglia contro le società Usa ricorda al mondo intero una cosa molto importante, di cui ci si era ormai quasi dimenticati: nonostante la formidabile crescita economica dell’ultimo ventennio, la Cina continua a essere un paese ad elevato rischio politico. Gli strali e le intimidazioni lanciati dal Dragone nelle ultime ore dimostrano l’esistenza di due Cine. C’è la Cina buona, quella che si percepisce quando si sbarca nelle grandi città del paese restando a bocca aperta di fronte alle mirabilie dello sviluppo e della modernizzazione cinese. E c’è la Cina cattiva, quella retriva, liberticida, paranoica, nazionalista, che viene a galla puntualmente in tutte le crisi politiche che colpiscono la superpotenza asiatica dall’interno o dall’esterno.
Indipendentemente da quale sarà l’epilogo delle numerose querelle che avvelenano i rapporti tra la nomenklatura e l’Amministrazione Obama, un fatto è certo: la comunità internazionale dovrà fare sempre di più i conti anche con la Cina cattiva. E questo è un fattore di cui anche gli investitori internazionali, ingolositi dal mercato da 1,3 miliardi di consumatori e frastornati dalle lusinghe di consulenti, finanzieri e faccendieri vari, in futuro dovranno tenere in debito conto prima di portare i loro quattrini oltre la Grande Muraglia.
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Mondo/2010/02/cina-obama-rischio-politico.shtml?uuid=3c4a0b32-109b-11df-a809-c23ba46922d2&DocRulesView=Libero&correlato
LA DECISIONE DI OBAMA / Il Dalai Lama val bene un incontro
Barack Obama incontrerà il Dalai Lama, il leader spirituale dei tibetani. Gli avvertimenti cinesi non hanno spaventato il presidente degli Stati Uniti, né potevano farlo. Una grande potenza non può farsi dettare l’agenda da un altro paese, anche se – guardando alle cose con la freddezza dell’analista – gli Usa mettono di fatto il dito in una delle ferite più dolorose del gigante Cina, che deve combattere con mille spinte centrifughe delle quali quella tibetana è solo la più evidente. Chi ha simpatia per le lotte di liberazione del Tibet non può che apprezzare il sostegno di una potenza democratica e che riconosce i diritti umani al simbolo di un popolo che chiede indipendenza. Anche chi preferisce uno sguardo più realistico non può però non riconoscere un fatto. La Cina sembra nutrire il desiderio di esercitare una forma di leadership verso i paesi poveri e quelli in via di sviluppo: moltiplica accordi commerciali e concede aiuti anche a governi impresentabili sul piano democratico, senza troppo preoccuparsi delle conseguenze sull’opinione pubblica. Non può sorprendersi quando gli Stati Uniti, che associano alla loro leadership l’appeal della libertà e della democrazia, si muovono con la stessa logica e con un successo decisamente superiore.
03 febbraio 2010 http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/commenti-sole-24-ore/03-febbraio-2010/dalai-lama-val-bene-incontro.shtml?uuid=43dcef3e-1093-11df-a809-c23ba46922d2&DocRulesView=Libero&correlato
GLI SCREZI E GLI IRRIGIDIMENTI DI QUEL DIRETTORIO MONDIALE CHIAMATO IL “G-2”La partita che giocano Usa e Cina è il primo tempo d’una lunga storia Mosse tattiche e lotta per l’egemonia mondiale Avrete letto sui giornali (se ancora li frequentate, e lo spero), e visto nei tg, le notizie sul raffreddamento dei rapporti tra Usa e Cina, il comando planetario chiamato “G-2″.
Il problema è rilevante, perchè è soltanto l”inizio di un gioco politico-diplomatico che ci accompagnerà per il prossimo decennio. Un gioco che ha per posta l”egemonia mondiale. Oggi, questa egemoinia è ancora americana, e la Cina si presenta sul campo con il ruolo del competitor. Ma è un competitor che vuole fare la propria partita avendo come punti di forza una economia tuttora in drammatica espansione, una moneta sottovalutata che le consente di accelerare sulle esportazioni, e un credito di quasi 3 mila miliardi di dollari con fondi pubblici americani.
Poichè ghli Usa conoscono bene il ritmo di crescita cinese e le possibilità di “ricatto” che Pechino coltiva nel proprio bagaglio strategico, hanno iniziato la partita scegliendo tempi e modi d”intervento. E alla intrusione che Pechino ha compiuto negli archivi (americani) di Google hanno risposto con la vendita di un arsenale militare a Taiwan (la Cina “nazionalista”, che la Cina popolare c onsidera invece parte integrante del proprio territorio).
Ma tutti sanno bene che la partita dei diritti umani è giocata da Washington con molte riserve tattiche; se questa volta la Signora Clinton ha agito con tanta asprezza, se è stata accentuata la scelta dei tempi per vendere le armi a Taiwan, se alla Casa Bianca si sta valutando l”ipotesi di accogliere in visita ufficiale il Dalai Lama (rompendo il veto che Pechino ha sempre posto a tutti i paesi, minacciando ritorsioni), allora dobbiamo accettare l”idea che davvero la partita “finale” ora si è aperta ufficialmente. Ci saranno ancora fasi tattiche lunghe e contraddittorie, e va tenuto sempre presente che la cultura (e la politica e le strategie) della Cina sono proiettate in una dimensione temporale che ha come orizzonte di riferimento i secoli e non gli anni o i decenni; tuttavia, quello che si può ricavare da questa pirma fase della partita è che gli Usa stanno saggiando la tenuta della propria egemonia, scegliendo loro il tempo delle azioni d’attacco.
Vedremo come continuerà il confronto, ma stiamo attenti: vi si gioca il futuro del mondo. http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=126&ID_articolo=231&ID_sezione=277&sezione=#
La decisione di Washington ha scatenato la reazione del Paese asiatico: protesta formale e rapporti interrotti
Sanzioni anche per le aziende statunitensi che decideranno di commerciare con l’isola
Armi americane in vendita a Taiwan
Cina sospende relazioni militari con gli Usa
PECHINO – La Cina sospenderà gli scambi e le relazioni sul piano militare con gli Stati Uniti, in risposta alla decisione di Washington annunciata ieri di vendere armamenti a Taiwan. I cinesi imporranno anche sanzioni alle aziende americane che riforniranno di armi l’isola. Lo riferisce l’agenzia di stampa Nuova Cina. “Considerato il grave danno e il disgustoso effetto della vendita di armamenti da parte degli Stati Uniti a Taiwan, la parte cinese ha deciso di sospendere le previste visite militari reciproche”, afferma il ministero della Difesa cinese.
Secondo il portavoce del ministero della Difesa di Pechino, Huang Xueping, la decisione di Washington, oltre a violare “i tre comunicati congiunti tra Cina e Stati Uniti, in particolare quello del 17 agosto del 1982” con cui Washington si impegnava “a ridurre gradualmente la sua vendita di armi a Taiwan”, è in contrasto anche con “i principi della dichiarazione congiunta” emessa durante la visita del presidente americano Barack Obama durante la sua visita in Cina nel novembre scorso.
“La decisione degli Stati Uniti – attacca ancora il portavoce – mette seriamente a rischio la sicurezza nazionale cinese e danneggia gli interessi vitali della Cina. Il piano americano creerà seri problemi alle relazioni tra i due Paesi e tra le loro Forze armate e danneggerà la situazione generale della cooperazione tra Stati Uniti e Cina e la pace e la stabilità negli Stretti di Taiwan”. Ancora, per rimarcare l’indignazione, già espressa ieri dal vice ministro degli Esteri He Yafei, nei confronti di Washington, Huang ha tenuto a sottolineare che “su tale questioni non cederemo mai a comporomessi” e che “ulteriori azioni saranno prese” sulla base degli sviluppi della situazione.
Duro monito di Pechino contro l’annunciato incontro fra il presidente Usa e il leader spirituale
E il China Daily, voce ufficiale del regime, parla di Guerra Fredda e di “audacia della vergogna”
Obama-Dalai Lama, la Cina non cede
“Fermamente contrari a qualsiasi incontro”
Washington: “Gli Stati Uniti agiranno con maggiore severità sulle regole commerciali verso la Cina”
PECHINO – La libertà di informazione sul web, dopo gli attacchi informatici partiti dal territorio cinese verso Google; le polemiche che hanno accompagnato la nuova fornitura di armi statunitensi all’isola di Taiwan; la quotazione dello yuan, la valuta di Pechino che americani ed europei ritengono sottostimata e per finire l’incontro tra Barack Obama e il Dalai Lama: le relazioni fra Washington e Pechino sono a rischio. E all’orizzonte non si vedono schiarite. Parlando a un incontro con i senatori democratici a Washington, Obama ha annunciato che gli Usa agiranno “con maggiore severità” sulle regole commerciali verso la Cina, anche se verranno comunque mantenuti gli accordi esistenti con Pechino. “Dobbiamo continuare – ha detto il capo della Casa Bianca – il pressing costante su Pechino e altri Paesi in modo ma aprire i mercati in maniera reciproca”. La Cina deve quindi risolvere gli squilibri valutari che, ha detto il presidente, “gonfiano in modo artificiale il prezzo dei nostri prodotti e abbassano il valore dei loro. Tutto questo crea un enorme svantaggio competitivo”. Ma non finisce qui.
Sulla visita del Dalai Lama a Washington, prevista per il 17 e 18 febbraio hanno detto al Washington Post fonti vicine al leader tibetano in esilio, il commento di Pechino è fermo e chiaro: la Cina è “fermamente contraria” a qualsiasi incontro fra Obama e il leader spirituale tibetano, in esilio in India dal 1959 e che la propaganda cinese dipinge come un pericoloso separatista. A pochi giorni dalla decisione dell’amministrazione Usa di vendere una consistente partita di materiale bellico a Taiwan, l’annunciato colloquio, che la Casa Bianca ha confermato anche ieri, mette a dura prova i rapporti con la Cina. E Pechino fa sapere attraverso il portavoce del ministero degli Esteri, Ma Zhaoxu, che “si oppone fermamente, con qualsiasi pretesto e in qualsiasi forma”. Obama aveva rinviato un incontro con il Dalai Lama in ottobre alla vigilia della sua visita a Pechino, e il fatto aveva provocato indignazione nei gruppi per i diritti umani.
“Un incontro di questo genere danneggerebbe seriamente la base politica delle relazioni tra Cina e Stati Uniti” ha dichiarato Zhu Weiqun, viceministro dell’organo del Partito Comunista Cinese preposto alle relazioni con le minoranze etniche. “Se il leader statunitense sceglie di incontrare il Dalai Lama, questo gesto comprometterebbe la fiducia e la cooperazione tra i nostri due Paesi – ha proseguito Zhu- e come potrà tutto questo essere di aiuto all’America nel superare la crisi economica in corso?”.
Il web cinese si è infiammato di commenti di giovani nazionalisti, spesso inquadrati nella Lega Giovanile Comunista: “Boicottiamo le imprese americane? – si legge su Sina.com – niente più McDonald’s, niente più Nike o Kentucky Fried Chicken!”. Ma sull’incontro con il Dalai Lama incalza anche il China Daily, voce ufficiale del regime di Pechino, parla di Guerra Fredda e di audacia della vergogna. “E’ patetico vedere come il presidente americano Barack Obama sia pronto a cedere a questioni di politica interna e incontrare il Dalai Lama” scrive Huang Xiangyang, columnist del quotidiano. “Questa politica americana di sostenere pubblicamente il Dalai Lama arriva direttamente dalla mentalità della Guerra Fredda, che per Washington coincide con l’utilizzo di ogni mezzo per contenere quelle che ritiene minacce in arrivo dalla Cina comunista. Ma i tempi sono cambiati (…). Obama è libero di incontrare chi vuole nel suo paese; ma non ammanti questa farsa di alti propositi morali: noi la chiamiamo, semplicemente, l’audacia della vergogna”.
Quello che sta accadendo tra Washington e Pechino va inquadrato in una prospettiva più ampia: da settimane i due contendenti si fronteggiano su questioni come l’antidumping praticato dagli USA su numerose merci cinesi e la quotazione dello yuan che secondo americani ed europei concede alle aziende del Dragone un vantaggio sleale nelle esportazioni.
A una domanda sui rapporti commerciali con la Cina, Obama ha risposto con toni decisi: “L’atteggiamento che dobbiamo adottare è cercare di essere più decisi sul rispetto delle regole già esistenti, cercando di mantenere la pressione sulla Cina e sugli altri paesi perché aprano i loro mercati nello stesso modo in cui facciamo noi”. Il presidente americano ha detto che i prodotti Usa, a parità di condizioni, non temono la concorrenza internazionale e ha sottolineato che i mercati asiatici sono importanti per gli Usa perché anche un aumento delle esportazioni in percentuale minima può portare alla “creazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro negli Stati Uniti”.
Prima della questione della fornitura di armi a Taiwan, percepita dal Dragone alla stregua di una ‘provincia ribelle’ che è parte integrante del territorio cinese, da riconquistare anche con la forza, se necessario, ma è anche legata agli Usa dal “Taiwan Relations Act”, che obbliga Washington a intervenire in caso di un eventuale attacco militare, l’ultimo fronte aperto in ordine di tempo, prima anche dell’incontro col Dalai Lama, è stato quello della libertà di informazione sul web, in seguito agli attacchi informatici partiti dal territorio cinese verso il colosso americano Google, che aveva minacciato di ritirarsi dalla Cina e rifiutarsi di sottostare allo stretto controllo praticato da Pechino su internet.
Il segretario di Stato Hillary Clinton, in un discorso al Museo della Libertà di Stampa di Washington, aveva dichiarato che “una nuova cortina dell’informazione sta calando su larga parte del mondo”, invitando la Cina a un’indagine seria sugli atti di pirateria informatica. La scelta del Newsmuseum era apparsa tutt’altro che casuale, così come la scelta delle parole, che ricordano da vicino lo storico di Winston Churchill sulla “cortina di ferro”. Il discorso della Clinton ha chiarito che l’informazione su Internet è una nuova voce dell’agenda della politica estera americana; quello di Churchill, all’epoca, passò alla storia come il vero inizio della Guerra Fredda tra USA e URSS. Ma Pechino insiste e avverte: “Esortiamo gli Stati Uniti a comprendere in pieno l’alta sensibilità della questione tibetana e ad affrontare in modo prudente e appropriato ciò che ne consegue”.
http://www.repubblica.it/esteri/2010/02/03/news/cina_protesta_dalai_lama-2171088/
Washington annuncia che Obama incontrerà il Dalai Lama
La Cina minaccia la rottura. Ma l’economia tiene legati i due rivali
Nel duello di parola tra i Grandi
l’America gioca la carta tibetana
di VITTORIO ZUCCONI
IL “tango senza amore” fra Cina e Stati Uniti risveglia l’equivoco permanente fra libertà e prosperità, fra economia e democrazia e torna a scuotere, per la terza volta in due settimane, il rapporto di interdipendenza fra di loro. Dopo il caso Google – la libertà di comunicazione – e il caso Taiwan – l’indipendenza della piccola isola – affiora il caso Dalai Lama. Affiora il caso del diritto di autodeterminazione del Tibet, che Pechino non riesce a reprimere e cancellare. La decisione di Obama, annunciata e ripetuta, di ricevere il leader spirituale e non violento del buddismo tibetano dopo avere detto, nell’autunno scorso, di non volerlo incontrare, ha sollevato la prevedibilissima, e forse voluta dalla Casa Bianca, escalation verbale fra Washington e Pechino perché “minaccia le fondamenta della relazioni fra i due Paesi” e “mette a rischio la fiducia e la cooperazione reciproche”. L’asprezza della reazione cinese a un incontro fra Obama e un personaggio che, come il Papa di Roma notoriamente deriso da Stalin, non possiede divisioni armate, si spiega non tanto con la eventuale visita, che già altri presidenti, compreso George Bush, avevano concesso senza terremoti. Pechino deve avere tratto l’impressione, in queste ultime settimane, che l’Amministrazione americana, in difficoltà, abbia deciso di “giocare la carta cinese” e di fare il viso duro a quella nuova potenza asiatica che resta il “lender of last resort”, la banca di ultima istanza per finanziare il mostruoso deficit americano lasciato da Bush e portato da Obama a 12mila miliardi di dollari. La Cina, con la sua prodigiosa ricchezza finanziaria creata accumulando tonnellate di cambiali americane e europee per sostenere le proprie esportazioni, comincia a sospettare – a giudicare dalle risposte sempre più minacciose dei suoi alti funzionari, ma non ancora dei massimi governanti – che Washington voglia esibire nei suoi confronti quella determinazione, quel polso che Obama non saputo mostrare in politica interna e nella estenuante battaglia quasi persa per la riforma sanitaria. Ricevere il Dalai Lama, che da tempo è una sorta di pungolo che i governi occidentali usano per irritare, o per schivare, la collera dei cinesi e per agitare la loro lunga coda di paglia nei confronti del Tibet, non avrebbe provocato questo nuovo scossone nel cosiddetto “G2”, il condominio mondiale sino-americano, se non fosse venuto dopo la difesa di Google e la decisione di vendere armi difensive a Taiwan. Giocare la “carta cinese” per distogliere l’attenzione interna dalla crisi dei democratici, per ricompattare un partito sull’orlo del collasso nervoso dopo la perdita di elezioni locali e parlamentari e per dare alla propria base elettorale di “colletti blu” senza lavoro l’impressione che finalmente la Casa Bianca si muova, è un bluff nel quale gli Stati Uniti rischiano molto, ma che potrebbe, come tutti i bluff, anche rendere molto. Irritare la Cina, e pungerla dove i suoi nervi sono più scoperti, può essere il classico caso del debitore che fa la voce grossa perché ha troppi debiti e sa che, se non dovesse pagare, sarebbe la banca, e non lui, a essere nei guai e rischiare il crack. I colossi del G2 sono meno forti e invulnerabili di quanto la ritrovata verve di Obama e le bordate dei cinesi potrebbero far pensare. Nessuno dei due ha davvero interesse a scuotere quelle “fondamenta”, come le ha chiamate ieri Pechino, sulle quali si basa il boom cinese la speranza di ripresa americana, segnalata dall’aumento sensazionale del 5,7 per cento del Pil nel’ultimo trimestre e dalla previsione di una ottima crescita del 2,7 nel 2010. La chiusura del rubinetto del credito agli americani avrebbe un effetto devastante sulle esportazioni verso gli Stati Uniti, che sono indispensabili a una Cina che ha, nella relativa modestia del proprio mercato interno rispetto all’immensa capacità industriale, il proprio tallone d’Achille. Il mercato interno della Repubblica popolare non può sostituirsi, per ora, ai consumatori americani. Viceversa il Tesoro americano e la Fed sanno bene che nessun’altra nazione, neppure l’India, può digerire la quantità di “american paper”, di cambiali che oggi la Banca centrale cinese divora. Mentre sullo sfondo, Washington fa capire che potrebbe ricorrere a una stretta protezionistica, se lo scandalo della valuta cinese manovrata al ribasso non dovesse mitigarsi. Il G2, il tango fra Cina e Usa, non è una danza d’amore, è un ballo d’interessi nei quali entrambi giocano a staccarsi e a riavvicinarsi, a volte soltanto per prendere fiato. La Cina deve protestare in maniera veemente, per il nazional-comunismo che anima i suoi dirigenti e dà a loro, nell’epoca del post-comunismo globale, l’unica vera legittimazione politica popolare. L’America di Obama deve usare la “carta cinese” per dimostrare che il Presidente non ha perduto quello slancio ideologico e quella promessa di cambiare tono internazionale che fecero tanta parte del suo appeal. Google, Taiwan, il protezionismo, lo yuan e Sua Santità senza cannoni, il quattordicesimo Dalai Lama in esilio, sono le mosse che i due giocatori compiono, consapevoli che nessuno dei due può davvero staccarsi dall’altro senza cadere.
http://www.repubblica.it/esteri/2010/02/03/news/zucconi_dalai_lama-2171215/