Sua Santità il Dalai Lama durante l’intervista con Rina Yamasawa di NHK a Yokohama, Giappone, il 13 novembre 2018. Foto di Tenzin Choejor
13 novembre 2018, Yokohama, Giappone – Sua Santità il Dalai Lama è arrivato ieri a Yokohama dall’India per la sua venticinquesima visita in Giappone. Anche se la veduta sulla baia, dalla finestra del suo hotel, era grigia, Sua Santità era luminoso e riposato, dopo una notte di sonno ristoratore. Il Dalai Lama ha iniziato la sua conversazione con Rina Yamasawa della NHK con un ricordo della sua prima visita, nel 1967: suo fratello maggiore, Taktser Rinpoche, che era con lui, durante il pranzo lo aveva preso in giro perché la sua ciotola vegetariana di udon noodles era più gustosa della sua. Sua Santità ha risposto a una prima domanda sulla situazione odierna in Tibet, ricordando quelli che sono i suoi tre impegni.
“Per prima cosa, mi considero solo uno di sette miliardi di esseri umani. Anche se preghiamo per il benessere di tutti gli esseri senzienti, non possiamo fare altro che pregare per quelli delle altre galassie. Su questo pianeta ci sono innumerevoli animali, uccelli, pesci e insetti, ma non hanno un linguaggio e quindi non possiamo realmente comunicare con loro. A livello pratico, quindi, sono solo i nostri simili quelli per cui possiamo fare qualcosa. In un mondo materialista, dove molti non conoscono il valore della pace della mente, cerco di aiutarli a diventare più felici, mostrando loro come trovare la pace interiore”.
“Poi, sono buddhista e mi rattrista molto vedere conflitti che scoppiano in nome della fede. L’India, dove religioni diverse convivono fianco a fianco, è la dimostrazione che l’armonia religiosa è possibile.
“In terzo luogo, sono tibetano e pur essendomi ritirato dalle responsabilità politiche nel 2001, rimango preoccupato per l’ambiente naturale del Tibet. Ciò che è importante è anche la conservazione della nostra cultura e della conoscenza che abbiamo ereditato dall’India”.
“Dal 1974 non abbiamo più cercato l’indipendenza per il Tibet, preparandoci invece a rimanere nella Repubblica Popolare Cinese. Molto è cambiato in Cina negli ultimi quarant’anni. Il numero dei buddhisti è cresciuto, fino a superare i 300 milioni, molti dei quali sono interessati al Buddhismo tibetano. Nel frattempo, anche i più intransigenti tra i funzionari del partito si trovano in un dilemma su come trattare con il Tibet: settant’anni di oppressione e di tentativi di lavaggio del cervello non hanno scalfito lo spirito tibetano.
“Invece dell’indipendenza, cerchiamo un beneficio reciproco. I cinesi possono aiutarci con lo sviluppo infrastrutturale e noi possiamo aiutare loro grazie alla psicologia buddhista. Quindi, il nostro approccio della Via di Mezzo è un tentativo di raggiungere un accordo condiviso per il bene di tutti. Alcuni tibetani esercitano la propria libertà di rimanere inamovibili sull’indipendenza, come è accaduto nel VII, VIII e IX secolo. Personalmente, sono un grande ammiratore dello spirito dell’Unione Europea che pone l’interesse collettivo di tutti i suoi membri al di sopra delle preoccupazioni delle singole nazioni. Anche l’India è una federazione di stati con lingue, culture e tradizioni religiose diverse che fanno parte di un’unione. Mi arrischio addirittura a immaginare, in futuro, una sorta di unione tra India, Cina e Giappone”.
Sua Santità ha poi chiarito che i tibetani di quelle che storicamente erano le tre province del Tibet hanno diritto, in base alla costituzione cinese, a un alto grado di autonomia che consentirebbe loro di preservare la propria lingua e la propria cultura. Ha sottolineato che il suo luogo di nascita e quello di Je Tsongkhapa fanno ora parte del Qinghai. Auspica la concessione di un’autentica autonomia nelle regioni uigura, mongola e tibetana.
La signora Yamasawa ha chiesto a Sua Santità come sarà scelto il suo successore. Il Dalai Lama ha spiegato che, già nel 1969, aveva chiarito che la scelta di riconoscere o meno un altro Dalai Lama spettava al popolo tibetano. Tale decisione precede qualsiasi discussione sulle modalità di scelta del successore. Forse si seguirà il metodo tradizionale di identificare una reincarnazione, ma ci sono stati anche casi di lama che hanno nominato una persona vivente come successore.
Alla fine di novembre, ha aggiunto, si terrà una riunione dei leader spirituali del Tibet, dedicata principalmente a come migliorare la qualità della conoscenza e della pratica buddhista. In quell’occasione, la questione di un futuro Dalai Lama potrebbe essere messa all’ordine del giorno.
Sua Santità ha poi detto che recentemente in Europa un gruppo di donne lo ha incontrato per lamentarsi della cattiva condotta sessuale di alcuni insegnanti spirituali tibetani. Ha detto loro che quando tali lamentele sono state portate alla sua attenzione per la prima volta, aveva risposto che se le persone in questione avevano ignorato le regole stabilite dal Buddha, perché mai avrebbero dovuto dargli ascolto? Rendere la cosa di dominio pubblico, e la vergogna che ne sarebbe derivata, sarebbero state probabilmente più efficaci. Il Dalai Lama ha comunque invitato le donne a inviare in forma scritta alla riunione dei leader spirituali una lettera.
Quando Yamasawa ha riportato la conversazione sul tema della successione, Sua Santità le ha risposto che alcuni anni fa, di fronte a domande simili poste da un giornalista di New York, si era tolto gli occhiali, cosa che ha fatto anche oggi, e gli ha chiesto scherzosamente: “Guardami in faccia, è urgente affrontare la questione della mia reincarnazione?” Ciò che accadrà dopo la mia morte – ha aggiunto – mi interessa poco rispetto all’essere un buon praticante buddhista qui ed ora e ha citato la strofa di Shantideva, che considera la sua preghiera di motivazione: “Finché esiste lo spazio e fintanto esistono che gli esseri viventi, fino ad allora possa anch’io rimanere per eliminare la sofferenza del mondo”.
Proseguendo nell’intervista, Sua Santità ha consigliato a coloro che si affidano al Buddha di essere buddhisti del XXI secolo, persone guidate dalla conoscenza e dalla comprensione di ciò che il Buddha ha insegnato piuttosto che dalla fede cieca; ha anche parlato della sua ammirazione per la democrazia, dei suoi tentativi di introdurre delle riforme in Tibet e della sua determinazione a farlo da quando lui e ottantamila tibetani sono entrati in esilio.
Una seconda intervista con Yoshiko Sakurai, presidente del think tank Japan Institute of National Fundamentals, ha toccato temi simili. Per quanto riguarda il modo in cui sono state preservate le tradizioni tibetane, Sua Santità ha sottolineato la generosità del governo indiano e del primo ministro Nehru. Fu proprio quest’ultimo che incoraggiò personalmente gli sforzi per educare i bambini tibetani in scuole tibetane separate e per ristabilire le sedi monastiche destinate allo studio e che oggi contano più di diecimila monaci e mille monache molto preparati nella tradizione del Nalanda.
Riferendosi all’educazione nel resto del mondo, Sua Santità ha ribadito che essa tende ad avere obiettivi materialistici, mentre sarebbe meglio se si rivolgesse alle esigenze del cuore e del cervello. In particolare, ha raccomandato di insegnare alle persone come affrontare le proprie emozioni distruttive.
Quando la signora Sakurai ha lamentato che le autorità cinesi sembrano fare poco per i tibetani e gli uiguri, Sua Santità ha detto di considerare gli ultimi settant’anni divisi in quattro epoche distinte, quella di Mao Zedong, di Deng Xiaoping, di Jiang Zemin e di Xi Jinping. Anche se è sempre lo stesso partito ad essere rimasto al potere, con la stessa costituzione, ci sono stati comunque grandi cambiamenti e c’è ancora spazio per ulteriori evoluzioni. Ci sono un miliardo e duecento milioni di cinesi, ha aggiunto, che hanno il diritto di sapere cosa sta realmente accadendo e quando lo sapranno confido nella loro capacità di giudicare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Sua Santità ha detto che in Tibet, anche se la repressione è aumentata, i tibetani hanno continuato a perseguire la non violenza. Sono oltre 150 le persone che hanno deciso di auto-immolarsi come esempio. E’ qualcosa di molto triste e al tempo stesso degno di ammirazione.
Alla domanda su come giapponesi e tibetani possano contribuire al benessere dell’umanità, Sua Santità ha risposto esprimendo la sua ammirazione per la Tradizione Scintoista soprattutto per la grande considerazione in cui tiene l’ambiente naturale. Ha elogiato la possibilità di combinare lo sviluppo tecnologico con una profonda comprensione del funzionamento della mente per consentire a più persone possibile di trovare la pace interiore. Ha anche auspicato che il Giappone, un paese che è stato oggetto di un attacco nucleare, continuerà a mantenere la sua leadership riguardo alla necessità del disarmo e dello smatellamento di questo tipo di arsenale.
Il Dalai Lama ha concluso la conversazione ribadendo quali sono gli obiettivi che ha più a cuore: un mondo non solo libero dalle armi nucleari, ma anche smilitarizzato in senso più generale. Un mondo che sarà possibile solo quando la maggior parte delle persone proverà un profondo senso di disarmo interiore, nel proprio cuore e nella propria mente. Questo, ha suggerito, è qualcosa a cui i fratelli e le sorelle giapponesi possono contribuire. Un particolare ringraziamento per la traduzione e per la sua amorevole gentilezza alla Dr.ssa Carolina Lami. http://it.dalailama.com/news/2018/sua-santit%C3%A0-il-dalai-lama-intervistato-a-yokohama