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Sua Santità il Dalai Lama Riprende gli insegnamenti a Dharamsala
Ottobre 4th, 2018 by admin

Sua Santità il Dalai Lama durante il primo dei quattro giorni di insegnamenti al Tempio Tibetano Principale a Dharamsala, India, il 3 ottobre 2018. Foto di Tenzin Phende/DIIR

3 ottobre 2018, Thekchen Chöling, Dharamsala, India – Quando Sua Santità il Dalai Lama ha raggiunto stamane il Tempio Tibetano Principale, il cortile era già affollato da persone desiderose di vederlo e dargli il benvenuto. All’interno del tempio, Sua Santità ha salutato la folla, i lama seduti ai lati del trono e ha preso posto. Tra le seimila e cinquecento persone presenti, un migliaio sono taiwanesi, la maggior parte dei quali appartenenti alle diverse organizzazioni culturali che fanno capo all’Associazione Internazionale del Dharma Buddhista Tibetano, di Taiwan. Erano presenti inoltre cinquecento indiani e quasi duemila persone provenienti da 66 paesi diversi e oltre tremila tibetani.

I monaci dalla Thailandia hanno aperto la sessione di insegnamenti con la recitazione del Mangala Sutta in lingua Pali. I praticanti di Taiwan hanno poi cantato il Sutra del Cuore in cinese. Sua Santità ha completato le preghiere preliminari recitando i versi di saluto al Buddha tratti dall’ “Ornamento per la chiara realizzazione” e dalla “Saggezza fondamentale della via di mezzo” di Nagarjuna. Poi ha dato il benvenuto a tutti:

“Quelli di voi arrivati da Taiwan vengono a Dharamsala ormai da molti anni e oggi ci sono anche persone provenienti da molti altri paesi: vi saluto tutti. Inizierò con un’introduzione generale agli insegnamenti del Buddha. Molti di voi possono avere già una certa familiarità con essi, ma ci possono anche essere alcuni che non li hanno mai sentiti prima.
“Questa strofa riassume gli insegnamenti del Buddha:

Non commettete azione inique,
praticate solo la perfetta virtù,
domate completamente la vostra mente.
Questo è l’insegnamento del Buddha
.

“Tutte le religioni ci insegnano a non fare del male e ad avere un cuore gentile. Ci sono tradizioni teistiche, che credono in un dio creatore, e tradizioni non teistiche che insegnano il karma. Tutte però ci incoraggiano ad aiutare gli altri e a non far loro del male”.

“Come si doma la mente? I Buddha non lavano via con l’acqua le azioni negative, non rimuovono con le loro mani le sofferenze degli esseri senzienti e non trasferiscono la propria realizzazione e saggezza negli altri. È insegnando la verità che liberano gli esseri”.

“Già ai tempi del Buddha, in India, esisteva una fiorente e ricca tradizione di filosofica e psicologica. In generale, tutti credevano nelle vite passate e future anche sulla base dei racconti di persone che avevano ricordi vividi delle loro esistenze precedenti. Dal momento che il corpo non viaggia da una vita all’altra, la domanda che allora si posero era: che cosa passa da una vita all’altra? Molte scuole di pensiero postularono l’esistenza di un sé separato dalla combinazione mente/corpo, chiamato atman. Domare la mente si fondava sulla formazione nell’etica e nella concentrazione, sulla base delle quali la saggezza poteva essere coltivata”.

“Molti praticanti spirituali indiani aspiravano a trascendere il regno del desiderio e l’attaccamento che comporta, considerandolo pieno di problemi. Attraverso l’assorbimento meditativo cercarono di raggiungere la forma più sottile e più pacifica dell’essere e i regni senza forma”.

“Nato in una famiglia reale, il Buddha rinunciò ai privilegi del suo appannaggio quando si rese conto delle sofferenze legate alla nascita, alla malattia, all’invecchiamento e alla morte. Scelse la vita ascetica e come risultato della sua perfetta moralità e della sua concentrazione scoprì che, lungi dall’esistere in modo unico, autonomo e permanente, il sè è una mera designazione e che la sua errata concezione dipende e si rafforza con l’attaccamento; una nozione di sé che governa gli altri aspetti della combinazione mente/corpo e che per questo che viene considerato separato dalla combinazione mente/corpo”.

“Raggiungendo l’illuminazione, il Buddha ha realizzato un’assenza del sé che diametralmente opposta all’idea di un sé unico, autonomo, permanente. Poi, si dice che egli abbia riflettuto così: “Profondo e pacifico, libero da complessità, luminosità non composta: ho trovato un Dharma simile a un nettare. Eppure, se lo insegnassi, nessuno lo capirebbe, così rimarrò in silenzio qui nella foresta”.

Sua Santità ha spiegato che quando, successivamente, il Buddha incontrò i suoi cinque vecchi compagni di ascesi nel Parco delle Gazzelle, poco distante da Varanasi, essi riconobbero in lui un grande cambiamento e gli chiesero di insegnare ciò che aveva realizzato. Così il Buddha insegnò loro le Quattro Nobili Verità: la verità della sofferenza, la verità della sua origine, la verità della sua cessazione e la verità del sentiero. Riguardo a ciò che deve essere fatto, spiegò che la sofferenza deve essere riconosciuta; la sua origine deve essere superata; la sua cessazione deve essere raggiunta e il sentiero per la cessazione deve essere coltivato”.

Tuttavia, dal punto di vista del risultato, il Buddha chiarì che, sebbene la sofferenza debba essere conosciuta, non c’è nulla da conoscere; che anche se la sua origine deve essere superata, non c’è nulla da superare; che anche se la cessazione deve essere raggiunta, non c’è nulla da raggiungere e che nonostante la necessità di coltivare il sentiero non c’è nulla da coltivare”.

Sua Santità ha spiegato poi che il Buddha illustrò i sedici attributi delle Quattro Nobili Verità, quattro relativi a ciascuna verità. Le quattro caratteristiche della verità della sofferenza sono che essa è impermanente, della natura della sofferenza, vuota e priva di un sé. Sua Santità ha aggiunto che, a un livello grossolano, possiamo comprendere l’impermanenza come la vita che finisce nella morte, ma che a un livello più sottile impermanenza significa che le cose sorgono, permangono, decadono e finiscono nella distruzione. Ancora più sottile è poi la comprensione che la disintegrazione di un fenomeno è causata dalla sua stessa causa. Di conseguenza, il cambiamento dei nostri aggregati psicofisici, la nostra combinazione mente/corpo, deriva dalla propria causa che è costituita dal karma e dalle afflizioni mentali.

“Ciò che è importante riconoscere – ha continuato Sua Santità – è che la sofferenza è radicata nell’ignoranza e non potremo superarla finché non avremo eliminato l’ignoranza prodotta dalla visione distorta della realtà. Rimaniamo soggetti a questa ignoranza finché pensiamo all’io come a un sé indipendente. Eppure, quando cerchiamo un sé come entità indipendente dalla combinazione mente/corpo, non troviamo nulla. Non possiamo trovare un tale sé tra i cinque aggregati psicofisici che compongono la combinazione mente/corpo, né possiamo identificarlo con la coscienza”.

“Proprio come il carrello è designato sulla base delle sue parti, così una persona è designata sulla base degli aggregati psicofisici. Nagarjuna spiega che la cessazione della sofferenza avviene attraverso l’eliminazione del karma e delle afflizioni mentali. Il karma e le afflizioni nascono dai pensieri concettuali, che derivano dalle esagerazioni mentali o dalla fabbricazione”.

“La fabbricazione cessa attraverso la comprensione della vacuità. Anche noi possiamo fare esperienza della vacuità se facciamo uno sforzo costante e se studiamo le opere di Nagarjuna e dei suoi seguaci;  possiamo arrivare a comprendere ciò che essi spiegano accuratamente riguardo alla non esistenza di un sé indipendente”.

“I difetti della mente, associati a una visione distorta della realtà, non sono intrinsecamente parte della natura della mente, perché la natura della mente è chiarezza e consapevolezza. La cessazione è dunque quello stato mentale in cui difetti e le oscurazioni mentali sono stati rimossi. Pertanto, la liberazione si ottiene purificando completamente la mente”.

Nel rispondere alle domande del pubblico, Sua Santità ha spiegato che cosa va realizzato prima, tra l’assenza del sé delle persone e l’assenza del sé dei fenomeni. Ha citato la “Preziosa Ghirlanda”‘ di Nagarjuna dove si legge che finché c’è attaccamento per gli aggregati psicofisici, c’è attaccamento a un sé individuale. Tuttavia, Je Tsongkhapa, nell’esposizione intermedia ed estesa degli “Stadi del Sentiero” illustra prima l’assenza del sé dell’individuo e poi l’assenza del sé dei fenomeni. Sua Santità ha aggiunto che, poiché il Buddha è stato molto accurato nei suoi insegnamenti, noi dobbiamo esserlo altrettanto nei nostri studi.

“Ho sentito parlare per la prima volta della vacuità settant’anni anni fa e ci ho riflettuto per oltre sessanta”, ha detto Sua Santità. “È bello essere curiosi: da bambino, quando vedevo degli insetti volevo sapere da dove venivano e volevo anche sapere perché ci sono così tante varietà di fiori. Negli ultimi 50 anni, ho anche meditato a fondo sulla mente del risveglio di bodhicitta. Ho sentito dire che oggi gli anziani soffrono sempre più spesso di solitudine, ma se coltivate la compassione e la bodhicitta non vi sentirete mai soli”.

Sua Santità, per concludere la sessione, ha detto che oltre alla necessità di domare completamente la propria mente è necessario anche sostenere il proprio corpo… e che era giunta l’ora di pranzo. Domani mattina continuerà i suoi insegnamenti.

http://it.dalailama.com/news/2018/ripresa-degli-insegnamenti-sull-ingresso-nella-via-di-mezzo-di-chandrakirti


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