Intervista a Dechen Dolkar, Rappresentante delle Donne Tibetane Esuli in Italia, un racconto di repressione, discriminazione, carcerazioni e asfissiante controllo sociale e politico.
Il processo di spoliazione culturale e sociale in Tibet per mano cinese è in atto da lungo tempo, il tutto si è esacerbato dopo la mano dura applicata dalla Cina tra il 1956 e ’59, epoca in cui il Dalai Lama ha trovato rifugio in Cina, in realtà più di 80.000 tibetani fuggirono all’estero in quel tempo. In special modo dopo la insurrezione tibetana del 2008 la Cina ha avviato una politica su due piani, quello repressivo tout court che ha determinato l’esilio forzato di autorità religiose, intellettuali e civili di varia estrazione, ogni tentativo di opposizione anti-cinese è stato bollato come ‘separatista‘ o ‘estremista‘ e numerose sono state le carcerazioni per spegnere ogni voce tibetana dissidente.
Le organizzazioni sovranazionali quali ONU e Unione Europea hanno spesso balbettato nei confronti del colosso cinese che rivendica antiche origini ed appartenenza del Tibet nei confronti dell’Impero di Mezzo.
Il Tibet s’è spesso rivolto alle Autorità internazionali spiegando al Mondo quali violenze fossero in atto nel proprio territorio ma la risposta è stata lacunosa, incerta, afasica. Probabilmente per non inimicarsi un partner commerciale di vaste proporzioni. L’altro pedale sul quale preme il pedale cinese oppressivo è più mellifluo, più oscuro e profondo: la variazione culturale apportata nella genìa locale importando sempre più cinesi di etnia Han in territorio tibetano e contestualmente una variazione di tipo culturale indotta da entità terza -cinese- il che significa anche revisione di testi di studio e ‘cinesizzazione’ di qualsiasi aspetto della vita collettiva.
Oggi raccogliamo il racconto di tutto questo dalla viva voce di Dechen Dolkar, Rappresentante delle Donne Tibetane, oggi è in Italia, parte del Direttivo di sette donne con base a Dharamsala, India. Ci racconta cosa sta accadendo nella sua Nazione, dal punto di vista delle donne.
Che cosa accade alle donne in Tibet durante il periodo della così preponderante presenza cinese?
Le donne tibetane sono fortemente discriminate. Nella ricerca di un lavoro, ad esempio, ma la volontà cinese di porre in vantaggio la componente etnica cinese si svolge fino a imporre la politica demografica, atto per il quale le donne tibetane non possono avere più di due figli. Nel caso in cui una donna tibetana abbia un terzo figlio, perde il lavoro. Come è facile immaginare quel lavoro molto facilmente sarà occupato da altra persona, probabilmente di etnia cinese. In ogni caso, si tratta di una misura coercitiva molto forte e discriminante oltre che un potente deterrente la cui alternativa è restare senza lavoro in una economia fortemente in crisi, povera e controllata capillarmente da Autorità cinesi. In giro nel mondo abbiamo attuato diversi sit in proprio per “raccontare la nostra discriminazione in Tibet perché troviamo parecchia difficoltà nello spiegare al Mondo cosa stia accadendo al Tibet in generale ed alle donne tibetane nello specifico, probabilmente per timore reverenziale nei confronti del potere cinese.
Le organizzazioni internazionali, ONU in primis, hanno mai svolto delle verifiche in territorio tibetano?
Le Autorità cinesi concordano con gli osservatori ONU la tempistica ed i luoghi da visitare, controllano gli incontri con le rappresentanze locali che vengono attentamente censurate. In pratica, si svolgono delle vere e proprie rappresentazioni irrealistiche poco credibili e che agli stessi osservatori ONU sono sembrate -appunto- rappresentazioni parziali della realtà tibetana, la cui vera entità -oggetto di repressione- viene occultata. E’ un po’ quello che accade anche ai turisti stranieri, ai quali viene mostrato un Tibet concordato con le agenzie viaggi, in modo tale che i turisti possano seguire solo percorsi territoriali e culturali, controllati a monte dai cinesi. Qualsiasi evento culturale, oggetto, edificio possa ricondurre ad un Tibet che prescinde dalla natura cinese -culturalmente estranea a quella tibetana- viene rimosso, nascosto, messo da parte, stralciato dai percorsi culturali. Si mostra, invece, un Tibet come se facesse parte della Cina fin dalle antiche origini. Una Provincia cinese, appunto, il che è un dato antropologico e culturale falsato e assolutamente parziale della realtà storica.
Le donne hanno subito anch’esse la mano dura militare cinese durante le fasi più dure della repressione?
Il 12 maggio 1959, ad esempio, quando ci fu una insurrezione, da Lhasa propagatasi ad altre regioni tibetane, molte donne furono uccise. Ecco perché quella data oggi è un triste Anniversario che ricordiamo in ogni zona del Mondo dove ci sono tibetani, soprattutto donne. Si è trattato di uno dei momenti storici che più ricordiamo nella nostra comunità esule all’estero. Poi c’è stato l’esilio forzato del Dalai Lama in India, dove ancor oggi è ospitato. I cinesi hanno posto sotto controllo pure la successione e migrazione della natura del Dalai Lama, scegliendo ed imponendo una Autorità religiosa buddhista massima nell’importanza con una figura più gradita ai cinesi ma che stravolge la parte più intima della mistica e della cultura tibetana. Oggi le Donne Tibetane hanno 56 sedi nel Mondo, una di queste è in Italia. Per i buddhisti, tutti i buddhisti, le donne ed i giovani sono elementi essenziali. Le donne danno la vita ed i giovani rappresentano il futuro, per questo si tratta di due colonne fondamentali nella visione del Buddhismo. Il nostro operato all’estero è di sensibilizzare l’opinione mondiale e cercare -per quanto possibile- di fare informazione più veritiera, basata sulla nostra testimonianza diretta e non filtrato dai media internazionali sotto effetto di timore reverenziale rispetto al potere cinese. Per avere informazioni più dettagliate si possono consultare i nostri siti www.tibet.net sito del governo tibetano in esilio oppure www.italiatibet.org , Associazione Italia-Tibet oppure ancora www.tibetanwomen.org Il 25 Aprile di ogni anno, facciamo partire una campagna di raccolta firme per attirare quanto più possibile l’attenzione dell’opinione pubblica e la sensibilità dei popoli liberi, al di fuori del mainstrem mediatico imperante dove il Tibet è relegato in un ruolo di oscuro e piccolo comprimario. Il 25 aprile, infatti si ricorda il rapimento da mano cinese del Panchen Lama, trattenuto da Pechino e da allora tenuto in isolamento da 23 anni. Gedhun Choekyi Nyima fu catturato con la sua famiglia dalle autorità cinesi il 17 maggio 1995, tre giorni dopo essere stato riconosciuto come Panchen Lama dall’attuale Dalai Lama, Tenzin Gyatso. Per il buddismo tibetano, il Panchen Lama è importante perché ha il compito di riconoscere la nuova rinascita del Dalai Lama, dopo la sua morte. Rapito a soli sei anni, Nyimia venne definito il “più giovane prigioniero di coscienza della storia”. Cerchiamo di fare informazione direttamente, in proprio, attraverso siti quali www.italiatibet.org e www.tibetanwomen.org ed il sito del governo del Tibet in esilio tibet.net dove ognuno può leggere, approfondire in prima persona e farsi un’idea più precisa di quello che oggi è il Tibet e su quale tipo di repressione sia in atto nel nostro Paese.
http://www.lindro.it/tibet-la-dura-mano-cinese-discrimina-le-donne/