11/09/2017 INTERVISTA A TENZIN GYATSO, IL XIV DALAI LAMA DEL TIBET
di Fausto Pirito
Santità, che cos’è il Buddismo?
«Quattro sono i principi fondamentali: tutti gli aggregati sono impermanenti; tutti i fenomeni naturali portano sofferenza; tutti i fenomeni sono vuoti; il Nirvana è Pace. Esistono diverse scuole di Buddismo. Da un punto di vista etico, il tema centrale di Mahayana (il Grande Veicolo della tradizione tibetana; n.d.a.) è quello di fare del bene a tutti gli esseri viventi, mentre il precetto base dell’Hinayana (o Piccolo Veicolo; n.d.a.) è di non fare del male agli altri. Quest’ultimo insegnamento è comune a tutte le religioni. Ma se religione significa, come in Occidente, affermare l’esistenza di un Dio trascendente e creatore e se in un tale Dio si ha fede cieca, allora il Buddismo non è religione. In Tibet, per esempio, con questa parola si indica il “cambiamento interiore” e in sanscrito ci si riferisce alla azione del “trattenere”. Nel Buddismo tutto dipende dalla mente di ciascuno di noi. Se la mente viene controllata, allora si raggiunge la felicità».
Quali sono le differenze e i punti di contatto tra Buddismo e dottrine occidentali o islamiche?
«La differenza principale sembra appunto essere che il Cristianesimo, come l’Islamismo o il Giudaismo, accetta l’idea di un Dio creatore, mentre noi la rifiutiamo. I punti di contatto sono precetti fondamentali come non fare del male agli altri, essere sempre gentili, fare il possibile per andare d’accordo con tutti. Nel Buddismo e nel Cristianesimo, poi, anche le discipline monastiche sono molto simili».
Secondo la vostra tradizione, chi era il Cristo?
«Cristo è stato senz’altro un uomo che ha attualizzato compiutamente l’ideale della Compassione verso tutti gli esseri viventi».
È vero che qualche studioso lo considera addirittura un asiatico inviato dall’Oriente all’Occidente per risvegliarne la coscienza?
«Anche io ho sentito dire che per alcuni anni della sua vita non si sa che cosa Gesù abbia fatto. In quel periodo potrebbe essere stato in Oriente, entrando in contatto con il Buddismo. Ma sono supposizioni. In India, poi, ci sono molte religioni che ammettono l’esistenza di Dio. Dunque, è anche possibile che Cristo abbia attinto a queste fonti piuttosto che alla nostra. Comunque, io penso che le religioni più recenti, come il Cristianesimo, siano state necessariamente influenzate da quelle più antiche. In ogni caso dobbiamo rispettare tutti i Credo perché sono tutti di aiuto agli esseri umani. Le differenze tra religioni sono di secondaria importanza, superficiali. In profondità, le aspirazioni ultime di tutti gli uomini e di tutte le donne sono identiche».
Qual è oggi la funzione del monachesimo e della meditazione?
«Nell’ambito della propria tradizione culturale, il monaco è l’esperto e il custode di quella stessa tradizione. Ma il monaco, a parte i ritiri spirituali, deve lavorare nella società e servirla. Io ammiro i monaci cristiani, perché attualizzano gli ideali della vostra religione dando l’esempio ai propri simili. Parlando della meditazione, c’è da dire che nel Buddismo ne esistono due tipi: una analitica, l’altra rivolta soprattutto alla concentrazione. Lo scopo di quella analitica è quello di far sorgere certezza. Noi buddisti riteniamo che la fede cieca non sia molto potente, perché può trasformarsi in dubbio. Perciò, analizziamo gli insegnamenti per capire le ragioni che li rendono validi, anche in relazione alle esperienze personali. Lo scopo della concentrazione, invece, è di indirizzare la mente, distratta da mille pensieri, verso un unico intento».
Il progresso tecnologico in che rapporto sta con la ricerca spirituale?
«Oggi, nei Paesi a grande sviluppo industriale, molte persone sono tornate a chiedersi qual è il significato della vita. Se non c’è felicità nella mente, a nulla servono i confort esteriori. Comunque, progresso materiale e progresso spirituale devono andare di pari passo. Il computer può anche essere utile per capire certi meccanismi psichici, ma la felicità spirituale può essere raggiunta solo con la propria mente».
Perché il pensiero orientale è tornato ad affascinare l’Occidente?
«Non saprei. Posso soltanto dire che gli occidentali sono sempre stati desiderosi di conoscere cose nuove. Siete molto indagatori voi occidentali!».
Qual è il suo giudizio sull’Induismo e, in particolare, su sette come gli Hare Krjsna e gli Arancioni di Rajneesh?
«Ognuno è libero di praticare il culto che preferisce, è una questione di gusto. Ma credo, ad esempio, che un cristiano deve cercare di capire qual è l’originale pensiero del Cristianesimo. Se abbraccia il Buddismo deve fare altrettanto e praticarlo nella sua purezza».
E il suo giudizio sulla Chiesa cattolica?
«La Chiesa cattolica è certo di grande aiuto agli uomini. Forse alcune sue istituzioni sono obsolete e sarebbero necessarie delle riforme. D’altronde, anche nel Buddismo ci sono istituzioni fuori moda. Io lo riconosco e cerco di apportare innovazioni al passo con i tempi».
E quello sulle Nazioni Unite?
«Il fine per cui sono nate è perfetto: preservare la pace nel mondo è un grande disegno. Tuttavia, spesso succede che l’ONU diventi strumento di qualche Paese o gruppo di Paesi che se ne servono per i propri interessi e questo non è bene».
Perché la guerra e la violenza continuano a martoriare gli uomini?
«Perché nel mondo manca il senso di fratellanza e responsabilità universale, quel sentimento di preoccupazione per la felicità di tutti gli esseri viventi, non solo di questa Terra ma di tutto l’Universo e di tutte le galassie».
La libertà è solo un mito?
«Non direi, ma io penso che non sia possibile conquistarla di colpo, ci vogliono coraggio e pazienza».
Quali sono state le prove del suo riconoscimento quale reincarnazione del XIII Dalai Lama?
«Da bambino ricordavo persone conosciute nella vita precedente e certi oggetti che erano appartenuti al mio predecessore. Ricordo poi che ai miei genitori continuavo a dire: “Voglio andare a Lhasa, voglio andare a Lhasa…”. Il Buddismo si basa sul principio di “continuità della mente”, il “continuo mentale” che non ha inizio né fine. Reincarnazione significa che dopo la morte c’è un’altra vita, ma prima ce ne deve essere stata necessariamente un’altra ancora. Per la maggior parte delle persone questo passaggio avviene senza coscienza. Certe persone invece (i Buddha; n.d.a.) con la pratica spirituale controllano la rinascita e al momento della morte decidono di reincarnarsi per il bene di tutti gli esseri senzienti».
Quanto è lontano il momento della riconciliazione con la Cina?
«Purtroppo, ci vorrà ancora molto tempo prima che io e gli oltre 100mila esuli si torni in patria. Comunque, il mio rientro a Lhasa non è così importante come il benessere e la felicità dei milioni di tibetani che vivono là. Noi torneremo solo quando la libertà sarà ripristinata definitivamente nel nostro Paese».
Qual è, infine, la forza del Buddismo Mahayana?
«Quello che più mi colpisce è il grande coraggio interiore di chi ne percorre il Sentiero. In vari testi della nostra tradizione si trovano parole di questo tipo: le sofferenze più atroci sono niente al confronto del benessere altrui. Il coraggio del Mahayana, comunque, è sempre confortato da grande saggezza».
La sofferenza, dunque, come strumento di conoscenza?
«Certo! Si può usare la sofferenza per generare saggezza. Ma la sofferenza, di per se stessa, va eliminata e la sopportazione del dolore serve solo a evitare un dolore più grande».
Qui si conclude la nostra intervista con il XIV Dalai Lama del Tibet. Con un ultimo pensiero dedicato da Sua Santità ai nostri lettori…
«Io spero e prego che queste mie poche parole possano contribuire alla vostra pace interiore».
Buona Musica (e non solo) a tutti!
Fausto Pirìto
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