Il 3 gennaio 2010, il console generale cinese in India Wang Donghua ha definito il Dalai Lama “un monaco politico, che presto mostrerà anche a Delhi la sua vera faccia. Per questo, deve essere cacciato dal Paese”.
Una manifestazione a Delhi chiede il rilascio di Tenzin Delek, del Panchen Lama e di tutti i leader religiosi e politici del Tibet. Pechino, in risposta, manda i soldati nella contea di Nyagchuka e condanna un abate buddista a otto anni di galera. Il Dalai Lama, per la Cina, è un “monaco politico”. Un folto contingente dell’Esercito di liberazione popolare cinese sta piantonando in questi giorni Thang Karma, nella contea tibetana di Nyagchuka, per intimidire la popolazione locale che chiede a gran voce il rilascio del lama Tenzin Delek (condannato senza prove a 20 anni di carcere per la sua fedeltà al Dalai Lama), del Panchen Lama e di tutti i dissidenti politici arrestati. Nell’ultimo anno, Pechino ha messo in galera circa 60 leader (politici e religiosi) tibetani. Il governo centrale cinese ha pure condannato l’abate tibetano Phurbu Tsering Rinpoche a 8 anni e sei mesi di reclusione per “appropriazione indebita di suolo pubblico e detenzione illegale di munizioni”. In realtà, la condanna (emessa il 23 dicembre) è collegata ai moti anti-cinesi scoppiati in Tibet nell’estate del 2008. Il leader buddista, molto rispettato dalla popolazione, è stato arrestato il 18 maggio 2008: alcuni giorni prima, circa 80 monache avevano protestato contro la “ri-educazione patriottica” (una pratica di lavaggio del cervello) imposta dalla Cina nei luoghi di culto tibetani. Rinpoche, 53 anni, avrebbe confessato: i suoi avvocati dicono però che la confessione gli è stata estorta con la tortura. Il lama ha già passato circa 15 anni in galera. …
Per protestare contro tutti questi arresti, il Congresso dei giovani tibetani (Organizzazione non governativa che rappresenta i tibetani in esilio) ha organizzato il 31 dicembre una marcia di protesta contro la repressione cinese della contea di Nyagchuka. Sventolando bandiere tibetane, i manifestanti si sono riuniti davanti agli uffici delle Nazioni Unite; qui hanno consegnato un memorandum sulla situazione della regione da girare al primo ministro indiano, Manmohan Singh, e al presidente cinese Hu Jintao.
Nel corso della protesta, i partecipanti hanno condannato la repressione violenta di un raduno pacifico che si è svolto il 5 dicembre nella contea tibetana: qui, centinaia di persone si erano riunite per chiedere la liberazione dei monaci. In risposta, l’esercito ha arrestato 60 manifestanti.
Tsultrim Dorjee, Segretario esecutivo del Congresso, spiega: “La Cina deve immediatamente interrompere l’uso della forza contro i dimostranti pacifici, e deve rilasciare tutti coloro che sono stati arrestati. Pechino deve liberare immediatamente Tulku Tenzin Delek, senza condizioni, e permettere al nostro popolo l’esercizio della libertà di espressione, movimento e assemblea. Infine, ai tibetani feriti deve essere assicurato l’accesso all’assistenza medica e umanitaria”.
In ogni caso, la posizione cinese non sembra voler cambiare. Il 3 gennaio, il console generale cinese in India Wang Donghua ha definito il Dalai Lama “un monaco politico, che presto mostrerà anche a Delhi la sua vera faccia. Per questo, deve essere cacciato dal Paese”. Samdhong Rinpoche, primo ministro tibetano in esilio, dice ad AsiaNews: “Questi commenti non meritano neanche una risposta”. (di Nirmala Carvalho, AsiaNews)