Sua Santità il Dalai Lama commenta le relazioni presentate durante il secondo giorno della conferenza su “Mind in Indian Philosophical Schools of Thought and Modern Science” presso il Central Institute of Higher Tibetan Studies di Sarnath, Varanasi, 31 dicembre 2017. Foto di Lobsang Tsering
31 dicembre 2017, Sarnath, Varanasi – All’inizio della seconda giornata della conferenza “La mente nelle scuole filosofiche indiane e nella scienza moderna”, Sua Santità il Dalai Lama, prima di prendere posto, ha salutato i relatori, i moderatori, gli ospiti sul palco e il pubblico.
Moderatore della prima sessione è stato il professor Jay Garfield, un vecchio amico del Central Institute of Higher Tibetan Studies, docente di filosofia, logica e studi buddhisti allo Smith College, che ha colto l’occasione per ricordare che, oltre ai risultati già citati, l’Istituto ha aperto la strada agli scambi internazionali di studenti e docenti. Un programma che, in 26 anni, è diventato un modello seguito da istituzioni come la Biblioteca di opere e archivi tibetani e l’Istituto per la dialettica buddhista. Jay Garfield ha anche fatto notare che le chiavi del successo sono la leadership e la cooperazione.
Garfield ha introdotto poi il professor Asanga Tilakratne, docente di Pali e studi buddhisti presso l’Università di Colombo, Sri Lanka, che ha parlato dell’analisi Theravada della mente, una delle analisi più sofisticate della mente in qualsiasi sistema filosofico indiano. Rifiutando l’esistenza di un “atman”, il Buddhismo analizza la mente in termini di chitta, manu e vinnana.
Chitta è qualcosa che è contaminato o purificato, sviluppato o non sviluppato, disciplinato o indisciplinato e sostanzialmente liberato. Vinnana di solito indica la coscienza ed è uno dei cinque aggregati psicofisici e uno dei dodici anelli dell’origine dipendente; ha anche un ruolo nella rinascita, come fattore che collega un essere da un’esistenza a quella successiva. Manu è definito principalmente come la facoltà sensoriale che assume i fenomeni come oggetto. Questi tre elementi evidenziano aspetti diversi dello stesso fenomeno.
Invitato a commentare, Sua Santità ha osservato che “Theravada” è termine che si trova nel Vinaya, ma che preferisce parlare di tradizione Pali, quando ci si riferisce alle tradizioni buddiste della Birmania, dello Sri Lanka e così via, e di tradizione Sanscrita, quando si fa riferimento alla tradizione indiana. Il Dalai Lama ha anche aggiunto che non ama usare i termini Hinayana e Mahayana perché da parte di coloro che seguono il Mahayana c’è la tendenza a guardare dall’alto in basso i praticanti Hinayana e questi ultimi, a loro volta, dubitano che il Mahayana sia effettivamente l’insegnamento del Buddha.
Nella tradizione sanscrita si trova il discorso dei tre giri della ruota del dharma, il primo dei quali rappresenta la tradizione dei Pali – che comprende il Vinaya, shamatha, vipassana e i 37 fattori dell’Illuminazione – mentre gli altri due si riferiscono alla tradizione sanscrita. Il Dalai Lama ha ricordato che, in passato, alcuni scrittori facevano riferimento al buddhismo tibetano come al “lamaismo”, come se non si trattasse di un’autentica tradizione buddhista, mentre oggi il buddhismo tibetano è universalmente riconosciuto come l’erede della Tradizione del Nalanda.
Poi ha preso la parola Michel Bitbol, direttore della ricerca del CNRS di Parigi e attualmente impegnato presso gli Archives Husserl, un centro di ricerca in fenomenologia. Bitbol ha richiamato l’attenzione sul lavoro del fisico austriaco Erwin Schrödinger, determinante per lo sviluppo della fisica quantistica e ispirato all’Advaita Vedanta e al buddhismo Madhyamaka.
Ha aggiunto che per Schrödinger credere nella dualità di mente e materia, e che esistano oggetti intrinsecamente esistenti con caratteristiche intrinseche, è un’ingenuità. Questa dualità è il risultato della nostra errata attribuzione di esistenza intrinseca a quegli aspetti dei fenomeni che siamo in grado di isolare all’interno della nostra esperienza cosciente. Schrödinger suggerisce inoltre che ciò accade perché vogliamo dotare i fenomeni di una falsa autonomia rispetto a noi, ma che nella realtà non c’è una vera distinzione tra noi e gli oggetti, al di là di questa concettualizzazione. Ha anche affermato che l’unità di mente e coscienza non ha bisogno di essere discussa perché è un oggetto di esperienza diretta.
Bitbol ha concluso dicendo che la profonda comprensione del pensiero indiano da parte di Schrödinger gli ha permesso di affrontare il problema mente-corpo senza alcuna concessione al dualismo o al materialismo monistico.
Sua Santità ha commentato dicendo che questo intervento gli aveva fatto pensare alla necessità di una più profonda comprensione del significato della realtà, in contrapposizione con la nostra visione ingenua del mondo. Ha fatto riferimento a un’osservazione di Nagarjuna: “Attraverso l’eliminazione del karma e delle afflizioni mentali c’è la liberazione; il karma e le afflizioni mentali provengono dai pensieri concettuali e da esagerazioni mentali. L’esagerazione cessa attraverso la vacuità. Karma e afflizioni mentali sono radicate nell’ignoranza e l’ignoranza è il primo dei dodici anelli dell’origine dipendente”.
Sua Santità ha riproposto un interrogativo: se la comprensione della realtà da parte dei fisici quantistici avesse o meno un’influenza sulle loro emozioni distruttive. Bitbol ha risposto che il buddhismo lo aiuta a capire meglio il mondo e a superare il suo senso di disagio.
Thupten Jinpa, terzo relatore del mattino, si è formato come monaco presso il Shartse College dell’Università Monastica di Ganden, dove ha conseguito il titolo di Geshe Lharampa. Ha poi conseguito un dottorato di ricerca presso l’Università di Cambridge ed è ora professore aggiunto alla Scuola di Studi Religiosi della McGill University. Il tema del suo intervento sono state le tre caratteristiche fondamentali della coscienza nella filosofia buddhista della mente: l’intenzionalità, ovvero l’aspetto della coscienza diretto a un oggetto; riflessività, ossia la natura autorivelante della coscienza e la soggettività, cioé la dimensione esperienziale degli eventi mentali o il loro carattere prima persona.
Jinpa ha spiegato che la dimensione soggettiva della coscienza è un importante punto chiave nel dibattito filosofico e scientifico occidentale contemporaneo sulla coscienza. Una caratteristica fondamentale degli eventi mentali è il modo in cui vengono vissuti dal soggetto, che si tratti di una semplice sensazione di dolore o di vedere il colore blu. Le altre due caratteristiche – l’intenzionalità, l’idea che la coscienza sia qualcosa, che abbia un contenuto e la riflessività, il livello base della consapevolezza autoriflessiva – hanno ricevuto maggiore attenzione nell’indagine fenomenologica contemporanea.
Jinpa ha citato Shantarakshita su questo punto: “La natura della coscienza è la consapevolezza riflessiva, e ciò che non è consapevole in modo riflessivo è insenziente”. Dignaga, Dharmakirti e Shantarakshita erano fautori della ‘forte riflessività’, e affermavano che la riflessività è il carattere fondamentale della coscienza, non dell’intenzionalità. Tuttavia, il filosofo di Madhyamaka Chandrakirti rifiutò esplicitamente tale tesi.
Jinpa ha concluso dicendo che considerare queste tre caratteristiche come quelle che definiscono la coscienza lancerebbe una sfida formidabile alla scienza. Sua Santità si è messo a ridere e ha detto che dal punto di vista Madhyamaka le affermazioni di Jinpa sembravano sia nichiliste sia assolutiste. Tuttavia, ha anche osservato che l’esposizione ad altre idee amplia la nostra intelligenza e che la loro analisi è comunque una fonte di arricchimento.
Dopo una breve pausa per il tè, il secondo moderatore del mattino, Renuka Singh, sociologa della Jawarhalal Nehru University, ha invitato il pubblico a riunirsi. Ha presentato il relatore finale, Ceon Ramon, ora in pensione, ma la cui ricerca ha coinvolto neuroscienze, neurodinamica corticale e le interazioni cervello/mente. Il professor Ramon ha esaminato la natura della mente dal punto di vista delle neuroscienze e fisica.
Anche se le neuroscienze possono mappare e misurare gli stati emotivi del cervello come amore, rabbia, tristezza, compassione e così via attraverso l’EEG e fMRI, esistono ancora delle difficoltà a definire la natura della mente, cioè la coscienza umana, e non c’è ancora una teoria completa che sappia spiegarla. I fisici hanno proposto teorie della coscienza basate sulla teoria quantistica, che possono aiutare a capire come l’interazione con il mondo esterno cambi i nostri processi di pensiero. Allo stesso modo, i cambiamenti nei nostri stati mentali potrebbero anche influenzare la nostra visione del mondo esterno.
La visione prevalente tra i neuroscienziati è che la mente nasce dal cervello e quando il cervello muore, lo stesso vale per la mente. Tuttavia, alcuni neuroscienziati cominciano ora a mettere in discussione questa idea. Alcuni dicono che la mente o la coscienza può essere separata dal cervello e che una parte della mente può essere correlata al cervello, ma che c’è anche un’entità separata. Ramon si è detto impaziente di creare un approccio interdisciplinare con strumenti migliori per sondare la natura della mente.
Invitato a rispondere, Sua Santità ha ricordato di aver visitato l’ URSS nel 1979. In una conversazione con gli scienziati ha menzionato il sesto senso, la coscienza mentale come distinta dalla coscienza sensoriale. Questa spiegazione però è stata respinta per motivi religiosi. Da allora, la coscienza sensoriale è stata mappata in un modo che per la coscienza mentale non è stato ancora possibile. Sua Santità ha riportato l’osservazione del suo amico Wolf Singer: non c’ è alcuna autorità centrale nel cervello.
Sua Santità ha aggiunto alcune considerazioni, già accennate il giorno precedente, riguardo ai meditatori più esperti, i cui corpi rimangono integri per qualche tempo anche dopo la morte clinica. Un Lama morto in Nuova Zelanda rimase a lungo in questo stato e il quarto giorno dopo il decesso le sue mani ancora si muovevano: la sua sinistra stringeva l’anulare della sua mano destra. Né gli scienziati né i buddisti sono riusciti a dare una spiegazione per questo fenomeno.
Sua Santità ha anche menzionato il caso di un meditatore esperto in Tibet che è stato arrestato durante la rivoluzione culturale ed è stato portato ad una “sessione di lotta”. A un certo punto chiese di potersi sedere e risposare per un po’ e a quel punto mise in atto la pratica del trasferimento della coscienza e se ne andò. Ramon riguardo alla questione del monitoraggio di coloro che rimangono in assorbimento meditativo dopo la morte clinica, a suggerito che ci sono tecniche per misurare a distanza i cambiamenti nel calore corporeo che renderebbero inutile il posizionamento di elettrodi sul corpo.
Nelle sue osservazioni conclusive, Sua Santità ha ribadito la sua convinzione che ci sia molto da imparare dal pensiero indiano antico che possa essere rilevante anche oggi, soprattutto per imparare ad affrontare le emozioni distruttive. Ha aggiunto che l’India è l’unico paese che potrebbe combinare i benefici dell’istruzione moderna con le antiche conoscenze indiane, permettendo a sempre più persone di raggiungere la pace della mente. Ha poi fatto notare che nei monasteri tibetani dell’India del Sud ci sono centinaia di monaci, che dopo 20 anni di studio rigoroso, sono ben qualificati per insegnare questo tema.
Il vice rettore del CIHTS Geshe Ngawang Samten ha ringraziato Sua Santità per aver partecipato alla conferenza e ha reso omaggio al contributo che ha dato nel portare cambiamenti nell’educazione e nel modo in cui le persone affrontano le nozioni di pace e felicità attraverso l’addestramento della mente. Inoltre, ha menzionato gli sforzi di Sua Santità per promuovere l’armonia religiosa e la valorizzazione dei valori umani che hanno avuto effetti di vasta portata. A nome di tutti i presenti ha espresso la sua più sentita gratitudine.
Prima di lasciare il palco, Sua Santità ha espresso il suo apprezzamento ai moderatori, ai relatori e a tutti coloro che hanno partecipato al dialogo. Sua Santità ha poi incontrato un gruppo di donne e ragazze cieche e ipovedenti della vicina scuola Jeevan Jyoti, le ha salutate calorosamente come si fa con amici di vecchia data, dicendo loro che le ricorda e pensa spesso a loro. Prima di fare ritorno alla sua residenza, il Dalai Lama ha raggiunto i partecipanti alla conferenza per pranzare insieme e continuare la conversazione. http://it.dalailama.com/news/2017/la-mente-nelle-scuole-filosofiche-indiane-e-nella-scienza-moderna-seconda-giornata