COMUNICATO STAMPA ITALIA: PORTE CHIUSE PER I TIBETANI
L’Italia da moltissimi anni tiene un rapporto privilegiato con il mondo della diaspora Tibetana in India. Qui, oltre 150mila rifugiati vivono in insediamenti donati dal Governo Indiano dopo l’occupazione del Tibet da parte della Repubblica Popolare Cinese nel 1950 e l’esilio dello stesso Dalai Lama nel 1959.
Innumerevoli e costanti sono le visite del Dalai Lama, Nobel per la Pace nel 1989, nel nostro paese, dove ha ricevuto la cittadinanza onoraria da parte di città importanti (Roma, Milano, Palermo, Padova, Torino, Firenze, Rimini, Venezia etc. in totale sono oltre 20) lauree ad honorem da prestigiose università e riconoscimenti vari per la sua instancabile opera di diffusione della cultura della nonviolenza e del metodo del dialogo per la risoluzione dei conflitti.
Tra i paesi occidentali l’Italia si distingue anche per un costante supporto umanitario alla comunità tibetana in esilio in India e ogni anno, da decenni, arrivano nel nostro paese monaci e monache dei monasteri tibetani, ricostruiti negli insediamenti dell’India, per svolgere attività di divulgazione della loro cultura e della loro spiritualità.
Inoltre vengono occasionalmente in Italia tibetani laici a trovare i loro parenti che lavorano qui o con soggiorni di lavoro temporaneo. Il numero di questi ospiti, che nella maggioranza dei casi rientra in India, è veramente esiguo. Si parla di una o due centinaia di persone all’anno.
I tibetani viaggiano con un documento rilasciato dal Governo Indiano (Identity Certificate) che è riconosciuto come valido dalla maggioranza dei paesi dell’area Schengen, Canada, USA, Australia e molti altri paesi dell’ASIA, e che fino a poche settimane fa veniva accettato senza problemi dal nostro paese per il rilascio dei visti temporanei ai rifugiati tibetani con una prassi che col tempo diviene anche legalmente un diritto in qualche modo acquisito.
Ora, improvvisamente e senza motivazioni contingenti, l’Italia decide di non riconoscere più questo “travel document” (lo stesso Dalai Lama viaggia in tutto il mondo con questo documento) per ragioni tecnologiche, il documento non è “biometrico”, e si riserva di valutare la concessione del visto di volta in volta e “in casi eccezionali” come da lettera ufficiale ricevuta dal ministero:
” ….Le confermo che il documento in oggetto non è riconosciuto dall’Italia.
L’unico modo per concedere l’ingresso nel nostro Paese a chi non sia titolare di un documento valido e in corso di validità è il rilascio di un visto a validità territoriale limitata (che consente l’ingresso solo in Italia) apposto su un apposito lasciapassare.
Si tratta però di una misura eccezionale, che l’Ambasciata valuterà caso per caso a seguito di una verifica sulla sussistenza di motivi umanitari o di interesse nazionale, ovvero in presenza di obblighi internazionali (art. 25.1 del Regolamento 810/2009 – Codice europeo dei visti)”
L’ambasciata di Delhi e il consolato di Mumbai confermano per iscritto che non rilasceranno più visti a tibetani residenti in India e possessori del suddetto certificato.
Contraddittorio il fatto che il Governo Italiano riconosce il Buddhismo come religione e allo stesso tempo impedisce ai suoi maestri di venire ad insegnarlo. Questa decisione del Governo Italiano, ripetiamo non in linea con l’atteggiamento dei più importanti paesi dell’area Schengen (Germania Francia, Spagna, Austria, Olanda etc). che continuano a riconoscere l’Identity Certificate e ad accogliere i tibetani provenienti dall’India, appare ingiusta, inopportuna e solleva molte perplessità anche sulle ragioni che si possono trovare dietro di essa.
La Comunità Tibetana in Italia, l’Associazione Donne Tibetane in Italia, l’Associazione Italia-Tibet, assieme a tutti i firmatari di questo documento , denunciano con forza questo sopruso ingiustificato ai danni di poche persone che si sono sempre distinte per un comportamento irreprensibile e per una adesione totale alle nostre regole. Persone che nel nostro paese e negli anni si sono guadagnati la simpatia e il sostegno di tutta la società civile anche per i valori etici e spirituali che portano.
In virtù di quanto sopra esposto i firmatari, anche in riferimento alla interrogazione parlamentare Atto n. 4-07840 Pubblicato il 18 luglio 2017, nella seduta n. 861, chiedono al nostro Governo di ripristinare la prassi di accettazione dell’Identity Certificate dei tibetani in India, magari in attesa di un adeguamento tecnologico concertato con il Governo Indiano, così come avviene negli altri paesi dell’Unione Europea, America e Asia, e di chiudere quello che a tutti gli effetti appare come un imbarazzante e ingiustificato incidente, riservandosi di intraprendere tutte le iniziative legali, mediatiche, politiche per garantire ai tibetani il loro diritto umano a muoversi nel mondo.
Comunità Tibetana in Italia
Associazione Donne Tibetane
Associazione Italia-Tibet
Unione Buddhista Italiana
Senato della Repubblica
Legislatura 17
Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-07840
Atto n. 4-07840
Pubblicato il 18 luglio 2017, nella seduta n. 861
PALERMO , LANIECE , PUPPATO , ORELLANA , SUSTA , FRAVEZZI , ZELLER , LO GIUDICE , DALLA ZUANNA , ANGIONI , PAGLIARI , MALAN , PETRAGLIA , MORRA , BENCINI , MANCONI , FERRARA Elena – Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. –
Premesso che a quanto risulta agli interroganti:
sinora i tibetani residenti in India, privi di cittadinanza per impossibilità di acquisire la cittadinanza indiana, sono stati dotati dall’Unione indiana di un documento speciale, l’identity certificate, che permette loro di ricevere un visto di ingresso in gran parte dei Paesi europei, americani e asiatici;
finora la Repubblica italiana è sempre stata tra i Paesi, che hanno coraggiosamente rifiutato ogni imposizione, e, nonostante le numerose minacce di rottura dei rapporti diplomatici da parte della Repubblica Popolare Cinese, ha concesso ingressi e visite al Dalai Lama e alla comunità di esuli dal Tibet che vive in India;
considerato che:
da qualche tempo l’Ambasciata e i Consolati italiani in India, non possono più rilasciare visti d’ingresso in Italia ai tibetani residenti in India che non abbiano un regolare passaporto indiano, ma solo un identity certificate per tibetani;
la notizia che non verranno più accettate richieste di visti per richiedenti tibetani in possesso dell’identity certificate, pubblicata sul sito web del Consolato generale d’Italia a Mumbai è recente e datata 18 maggio 2017;
secondo le informazioni del Centro visti della Direzione generale per gli Italiani all’estero e le politiche migratorie del Ministero in indirizzo, l’unico modo per concedere l’ingresso in Italia a chi non sia titolare di un documento valido è il rilascio di un visto a validità territoriale limitata che consente l’ingresso solo in Italia e che viene apposto su un apposito lasciapassare;
si tratta di una misura eccezionale che l’Ambasciata italiana in India deve valutare caso per caso a seguito di una verifica sulla sussistenza di motivi umanitari o di interesse nazionale, ovvero in presenza di obblighi internazionali (art. 25.1 del Regolamento (CE) n. 810/2009, Codice europeo dei visti);
considerato altresì che con questa decisione in termini pratici l’Italia sbarra le porte a un piccolo e pacifico gruppo di persone dall’importante ruolo simbolico, che da decenni viene in Italia su invito di università, istituti di ricerca, centri culturali, religiosi e fondazioni,
si chiede di sapere:
quali siano le ragioni che hanno indotto il cambiamento di atteggiamento da parte dell’Ambasciata e dei Consolati italiani in India nei confronti dei tibetani rifugiati in India e in particolare del rifiuto di concedere il visto di ingresso in Italia ai tibetani rifugiati in India e muniti di un identity certificate;
se vi siano stati recenti sviluppi relativi ai rapporti diplomatici che abbiano indotto alla cessazione del riconoscimento dell’identity certificate per tibetani rifugiati in India e quali essi siano;
se le restrizioni siano irrevocabili o se la cessazione del riconoscimento dell’identity certificate per tibetani sia temporanea e in tal caso quale ne sia la durata e a quali condizioni sia subordinata;
se e quali passi il Governo italiano e in particolare il Ministero in indirizzo intenda compiere per risolvere il problema illustrato.