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L’Italia nega il visto d’ingresso ai profughi tibetani
Luglio 16th, 2017 by admin

L’Italia nega il visto d’ingresso ai profughi tibetani

Stupore e sconcerto ha destato la notizia che il governo italiano nega il visto d’ingresso in Italia ai profughi tibetani in possesso del documento d’identità loro rilasciato dal governo indiano.

Il documento (Identity Certificate), riconosciuto come valido da tutti i paesi dell’area Schengen ad eccezione della Svezia e del Portogallo, fino a poche settimane fa veniva accettato senza problemi dal nostro paese per il rilascio dei visti ai rifugiati tibetani.
La Farnesina ha confermato che il documento non è riconosciuto dall’Italia.
Con la Comunità Tibetana in Italia, le associazioni a sostegno del popolo tibetano e della sua cultura, i Centri di Buddhismo e i gruppi a difesa dei diritti umani, l’Associazione Italia-Tibet intende attivarsi per conoscere le ragioni di tale decisione e chiedere la revoca del provvedimento.

Di seguito l’articolo di Raimondo Bultrini pubblicato su Repubblica.it in data 12 luglio:

BANGKOK – Ci sono molti modi attraverso i quali la Cina fa pressione su governi o istituzioni straniere per ottenere cio’ che vuole. Man mano che è cresciuto il suo potere contrattuale nello scacchiere mondiale, vuoi per l’influenza sugli imprevedibili leader nordcoreani, vuoi per le allettanti prospettive della sua economia in tempi di crisi, Pechino pretende da partner, alleati o potenziali tali il rispetto di alcune regole sempre più precise. E non soltanto in termini di contratti e trattati internazionali. Concedere ingressi e visite al Dalai Lama e alla sua comunità di esuli dal Tibet che vive dal ’59 in India, lontano dalla propria terra occupata dalle truppe di Pechino, è stato spesso nel passato motivo di minacce di rottura dei rapporti diplomatici. Lo stesso attuale Pontefice, a differenza dei suoi predecessori, preferì evitare un incontro con il leader tibetano nella speranza di un migliore trattamento per vescovi e fedeli di fede cattolica romana sotto il regime comunista a conduzione neoliberista.

Un cambio di atteggiamento. La Repubblica italiana è sempre stata finora tra le più coraggiose a rifiutare ogni imposizione o diktak e il Dalai Lama è venuto spesso nel nostro Paese a parlare di spiritualità, pace, tolleranza, o a concedere insegnamenti a gruppi sempre più numerosi di persone interessate alla filosofia tibetana, senza contare i premi e riconoscimenti ricevuti da università e amministrazioni pubbliche, come le chiavi di Milano concesse dal Consiglio comunale nonostante l’opposizione della giunta, o le 20 cittadinanze onorarie di Comuni piccoli e grandi da nord a sud. Poiché la nostra Costituzione repubblicana “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” come “definiti dalla dichiarazione universale dei diritti umani”, non possiamo che definire contraria a ogni principio del nostro supremo ordinamento la notizia riferita dall’Associazione Italia Tibet su cio’ che sta avvenendo per ordine della nostra burocrazia governativa, in particolare del ministero degli Esteri. In sostanza, da qualche giorno a questa parte ambasciata e consolati italiani in India non possono più rilasciare visti d’ingresso nel nostro Paese a monaci e laici tibetani che non abbiano un regolare passaporto indiano.

Si sbarrano le porte ad un numero minuscolo di persone. Poiché gli esuli dal Paese delle nevi sono stati generosamente dotati dal governo di Delhi di un documento speciale chiamato Libro giallo accettato da gran parte dei Paesi europei, in America e Asia, la decisione della Farnesina rompe una tradizione di apertura e tolleranza esattamente in senso inverso a quella che l’Italia vorrebbe vedersi riconosciuta a Bruxelles per il suo ruolo in prima linea a favore dei migranti africani e mediorientali. Significa in termini pratici sbarrare le porte a un gruppo minuscolo di persone che va e viene da decenni su invito di centri culturali e fondazioni senza mai aver creato problemi, nonostante i tentativi di gruppi pseudo religiosi filo cinesi di mettere in cattiva luce il Dalai lama in un paio di occasioni pubbliche. Gruppi di monaci come quelli esperti nella costruzione di mandala o rappresentazioni sacre con le sabbie colorate non potranno più venire nel nostro Paese e collezionare oboli per i loro monasteri dove sfamano centinaia di religiosi e rifugiati.

Una svolta diplomatica di avvicinamento alla Cina. Difficili se non impossibili saranno le possibilità di invitare anche gli insegnanti spirituali (compresi gli assistenti del Dalai Lama e di altre figure importanti delle varie scuole buddhiste) da parte di organizzazioni come l’Unione buddhista – riconosciuta formalmente ma trattata come religione di secondo piano – o dalla stessa associazione Italia Tibet che ha scambiato una corrispondenza con le autorità consolari di Mumbai e con la Farnesina per capire se davvero le restrizioni erano ufficiali (lo sono) e irrevocabili (lo sembrano). Che la svolta diplomatica sia stata determinata da una politica di “avvicinamento” italiano alla Cina non sorprende, ma non per questo è meno indignante per chi crede che i valori umani siano importanti almeno quanto gli affari. Per fortuna nel resto della vecchia Europa non la pensano tutti come Roma, a meno che la decisione italiana non sia il segnale di una tendenza a catena. Nel suo piccolo, il caso tibetano segnerebbe un’altra tappa verso la fine dell’evoluzione di una civiltà come la nostra che ha sofferto molto per creare un mondo di uomini liberi.

http://www.italiatibet.org/2017/07/14/litalia-nega-il-visto-dingresso-ai-profughi-tibetani/


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