Il leader è in esilio dal ’59: «La mia reincarnazione? In un Paese libero»
Il Dalai Lama sogna di tornare. «Ma la Cina non ponga condizioni» DHARAMSALA (India) – Il Dalai Lama vorrebbe tornare in Tibet e porre fine a quasi mezzo secolo di esilio in India se la Cina gli permetterà di tornare in patria «senza precondizioni». La guida spirituale in esilio del Tibet afferma di essere pronto a ritornare nella capitale Lhasa, da dove fuggì nel 1959, non appena otterrà il via libera da Pechino. «Spero tanto di visitare il Tibet, di vedere il mio vecchio Paese con i miei occhi, e cercare di raffreddare la situazione», aggiunge. Ma la «Cina deve darmi il semaforo verde, senza precondizioni». L’offerta del Dalai Lama segue un disgelo tra la Cina e la dirigenza tibetana in esilio, ed è giunta alla vigilia del suo viaggio di tre settimane negli Stati Uniti, iniziato giovedì. E’ probabile che egli discuta del possibile ritorno in Tibet con il presidente George Bush, che incontrerà la prossima settimana.
Le congetture che il Dalai Lama stia preparando una trattativa segreta con la Cina sono andate crescendo da quando due suoi inviati sono stati in viaggio a Pechino lo scorso settembre.
Il Dalai Lama sostiene che i negoziati con la Cina sono stati «positivi», ma «non abbiamo ancora cominciato a discutere seriamente. Per il momento, credo che sia davvero fondamentale sviluppare la fiducia». Nel frattempo la situazione in Tibet non è migliorata, spiega. E ripete la propria richiesta che venga dato al Tibet un certo grado di autogoverno, il cosiddetto «approccio a metà strada» che ha perseguito dagli anni ’70, dopo la rinuncia all’indipendenza. «La nostra posizione non è cercare l’indipendenza per il Tibet, ma un’autonomia genuina, che la Costituzione cinese prevede», afferma.
Il Dalai Lama è fuggito dal Tibet nel 1959, dopo una insurrezione fallita contro l’occupazione cinese. Da allora ha vissuto a Dharamsala, località collinare nel nord dell’India.
Dalle sue parole emerge una Cina «confusa», che persegue aggressivamente il modello capitalista occidentale. «Penso che la maggior parte dei membri del Partito Comunista non abbiano alcun credo genuino nell’ideologia comunista – dice -. La Cina sta cambiando. Gli intellettuali cinesi adesso cominciano a rendersi conto che la loro politica riguardo alle cosiddette minoranze non funziona. E’ nello stesso interesse della Cina essere critici riguardo alla politica attuale. Sono molto ottimista».
Il Dalai Lama è convinto che i tibetani scopriranno un altro Dalai Lama dopo la sua morte. «La mia reincarnazione – dice – sarà logicamente all’estero in un Paese libero perché lo scopo principale della reincarnazione è portare a termine il compito iniziato nella vita precedente». Secondo il Dalai Lama i cinesi potrebbero cercare di designare un suo successore, un «bambino fortunato», ma i tibetani non lo riconoscerebbero mai. Ammette che la sua morte sarà un «serio contrattempo» per i tibetani e che le cose saranno «un po’ caotiche per qualche mese». Sottolinea che, dalla prima volta che è stato eletto un primo ministro in esilio, due anni fa, si trova in stato si «semi-pensionamento». «Quando morirò, sarà il pensionamento completo», scherza.
Il Dalai Lama smentisce di aver avuto un cancro allo stomaco ma ammette di essere stato gravemente malato. Adesso dice di essere in buona salute.
Al principio dell’estate aveva ammesso che essere il Dalai Lama significava «essersi perso» il sesso. A noi dice che il sesso è indubbiamente piacevole ma porterebbe complicazioni sul lungo termine. «Naturalmente per un breve attimo le persone… sono felicissime. Ma in senso generale credo che il sesso comporti troppi alti e bassi».
Il Dalai Lama spiega di aver evitato il desiderio sessuale applicandosi allo studio dei testi buddhisti fin dall’età di 15 o 16 anni ed evitando di assumere cibi solidi dopo pranzo. Indicandosi l’inguine, dice: «Così il mio strumento è inutile. Non ha scopo, non ha significato».
Traduzione di Laura Toschi (Guardian Newspapers Limited 2003)
06/09/2003 Corriere della Sera