Silvia Bianchi: La meditazione sulla morte nel buddismo tibetano
Ogni giorno passato senza la consapevolezza della morte è un giorno sprecato” dicono i maestri nel buddismo tibetano.
La morte è una realtà ed è utile rimanere a contatto con la realtà anche quando questa è dolorosa.
Se però sei depresso non è utile meditare sulla morte! E’ invece più utile meditare sulla “ preziosa rinascita umana” gli stessi Lama (maestri) tibetani sono i primi a sottolineare.
La meditazione sulla morte nel buddismo tibetano, come tutte le altre meditazioni, è utilizzata allo scopo di crescere, evolvere verso l’illuminazione. Che cosa significhi “illuminazione” è un argomento complesso ed articolato. In estrema sintesi l’illuminazione è uno stato nel quale non si soffre più e si è in grado di aiutare tutti gli altri ad uscire dalla sofferenza (nel testo Abbhisamayalankara è possibile scoprire nei dettagli quali sono i 173 aspetti della mente illuminata e qual è il sentiero da percorrere per arrivare all’illuminazione1).
Perché meditare sulla morte ci dovrebbe aiutare ad uscire dalla sofferenza?
Tutto il percorso verso l’illuminazione, secondo la strada indicata da Buddha Sakiamuni, è basato (semplificando fino all’eccesso) sull’aumento di consapevolezza rispetto a ciò che c’è. Una metafora infatti è quella del risveglio (risvegliarsi alla realtà) o illuminazione appunto (vedere chiaro dove prima c’era il buio) o con una metafora meno usuale: “Non facciamo più gli struzzi e, tolta la testa da sotto la sabbia, abbiamo il coraggio di diventare consapevoli di cosa c’è” dentro e fuori di noi.
Le prime parole che il Buddha utilizzò per descrivere ciò che aveva sperimentato come “illuminazione” furono le “Quattro Nobili Verità” (vedi anche Assaggioli “lo sviluppo traspersonale” pag.139). Quando gli fu chiesto di insegnare, dopo una prima reticenza a raccontare (sospettava che nessuno avrebbe capito) ciò che aveva compreso, decise di parlare della sofferenza, dell’origine della sofferenza, del sentiero per uscire dalla sofferenza e della cessazione definitiva della sofferenza.
Questi sono 4 aspetti della realtà di cui dobbiamo diventare consapevoli se vogliamo uscire dalla sofferenza.
1 – Prima nobile verità: la realtà della sofferenza.
Se vogliamo potere uscire dalla sofferenza dobbiamo essere onesti con noi stessi rispetto al punto di partenza. Il nostro modo ora di percepire il mondo (interno ed esterno) ci porta a vivere spesso nel disagio o dolore. Poiché tutto cambia (impermanenza) e noi non lo riusciamo davvero ad accettare, soffriamo ogni volta che c’è un cambiamento, una separazione, un lutto o semplicemente una perdita della situazione precedente. La morte è l’aspetto più visibile dell’impermanenza e, per questo, meditare sulla morte ci può aiutare a diventare consapevoli del flusso di trasformazione continua di ogni cosa e quindi a soffrire meno. La morte, assieme alla separazione da di chi amiamo, la malattia, la vecchiaia, l’insoddisfazione rispetto a ciò che vorremmo, sono solo alcuni dei tanti aspetti della Verità della Sofferenza.
2 – Seconda Nobile Verità: l’origine della sofferenza.
C’è una causa alla sofferenza? Si chiede il Buddha. La risposta è: si, c’è. Scopre che le origini della sofferenza sono in primo luogo i tre difetti mentali: ignoranza, odio, attaccamento. L’ignoranza è la radice degli altri due: noi percepiamo la realtà in modo distorto e questo errore ci porta a reagire con attaccamento ed odio in un crescere di sofferenza che solo la visione diretta della realtà (di come stanno le cose davvero) può dissolvere.
3 – Terza Nobile Verità: il sentiero.
Compreso che esiste la sofferenza e c’è una causa di questa (origine) ci si adopera per superare la causa. Poiché la causa è l’ignoranza, il sentiero è la saggezza (allo stesso modo nel quale per dissolvere il buio si accende la luce). Che cosa si intenda per saggezza è un altro argomento complesso da spiegare in poche righe (nei monasteri tibetani studiano per 5 anni solo questo soggetto: il testo Madhiamikavatara). Continuando a semplificare si può dire che “quando si comprende che tutto è interdipendente e non esiste in modo indipendente si è sulla buona strada…”
4 – La Quarta Nobile Verità: la cessazione.
Infine, se riusciamo a percorrere tutto il sentiero, arriviamo ad un punto nel quale la sofferenza cessa in modo definitivo, non torna più.
Da tutto questo se ne deduce che la morte oltre ad essere un’esperienza estremamente dolorosa, che tutti sperimentiamo, è anche un tassello del mosaico della nostra vita, senza il quale non saremo in grado di comprendere molte cose. Senza il coraggio di confrontarci con questa realtà, non riusciremo a crescere, ma nemmeno riusciremo a smettere di soffrire.
Negare la realtà della morte è un po’ come volere fare un maglione con una manica sola o una macchina senza ruote, se togli un pezzo fondamentale l’insieme non funziona: la macchina senza ruote non funziona, la vita senza la consapevolezza della morte non funziona.
Così nel buddismo esistono diverse tecniche di meditazione sulla morte.
Alcune sono più orientate su ciò che accade al corpo al momento della morte, altre su ciò che accade alla mente (psiche, esperienza interna) al momento della morte. Altre invece analizzano razionalmente la realtà della morte. Altre ancora, come nel Tantra, utilizzano il processo del momento della morte come meditazione per la trasformazione dell’identità e dell’immagine di Sè in vita ora (vedi “il bardo thodol” Thurman). Infine, tutte le versioni del libro tibetano dei morti, descrivono il momento della morte, il suo processo, ma anche quello che avviene nei 49 giorni successivi.
Quando guido una di queste meditazioni nei seminari esperienziali su questi temi sembra che l’esperienza diretta in meditazione delle fasi del morire porti le persone a confrontarsi ora con la finitudine (anche di sé), con l’esperienza del limite, e da qui ad un risistemarsi delle priorità nella vita e dei valori. Questo è ciò che accade a livello psicologico (non mi inoltro qui nell’interpretazione di ciò che avviene a livello transpersonale o spirituale).
Un esempio di meditazione del primo tipo è:
Ci si visualizza stesi sul letto di morte, mentre i nostri parenti e amici ci circondano, lamentandosi.
Lo splendore della nostra figura è scomparso e le nostre narici colano, le labbra si seccano e sui denti si forma una schiuma; ogni grazia è svanita dalla vostra forma e il corpo sembra molto brutto; il corpo suda a gocce e il nostro respiro diviene pesante e cominciamo a espirare più a lungo di quanto inspiriamo. Tutto le azioni, parole, pensieri, fatte, dette, pensate nella nostra vita, si manifestano nella mente e il rimorso ci riempie. Gettiamo sguardi da tutte le parti per cercare aiuto; ma nessun aiuto può più giungere.”
Un’esempio invece di meditazione analitica sulla morte (vedi “Lam-rim”: sentiero graduale verso l’illuminazione, “L’illuminazione sul palmo di una mano”, Paponka Rimpoce, pag. 317-344) è la meditazione in nove stadi che qui riporto in modo molto sintetico:
1- la morte è certa (nessuno di noi è mai sopravvissuto a questa);
2- il momento della morte è incerto (noi non ne conosciamo il momento);
3 – niente al momento della morte potrà aiutare, a parte il Dharma (nel buddismo il Dharma sono sia gli insegnanti orali e scritti sia la comprensione degli insegnamenti e la loro realizzazione nel continum di un praticante, le qualità spirituali).
1 – Contemplare la certezza della morte.
1a – Nulla potrà impedire l’arrivo della morte: anche il Buddha e gli esseri realizzati sono morti, perché noi non dovremmo morire?
1b – Ci avviciniamo ogni istante che passa alla morte (poiché la durata della vita ha un tempo finito, lo scorrere del tempo ci avvicina sempre più al momento della morte).
1c – Si potrebbe morire prima di iniziare a praticare il dharma (prima di iniziare ad evolvere e crescere spiritualmente “Vent’anni passano senza pensare alla pratica; vent’anni passano dicendo: “Devo praticare, devo praticare”; i successivi dieci passano nel rimpianto di non avere mai praticato. Ecco la storia di una vita umana sprecata” Gungtang Rimpoce).
2 – Contemplare l’incertezza del momento della morte.
2a – La durata della vita è incerta. Noi pensiamo: “morirò certamente ma probabilmente non accadrà quest’anno. Alcuni pensano: “non morirò perché sono giovane” ma il momento della morte non dipende dall’età, ci sono genitori che devono seppellire i loro bambini. Altri dicono: “non morirò perché non sono ammalato” A volte i medici muoiono prima dei loro pazienti e persone perfettamente sane muoiono mentre mangiano o in incidenti di varia natura.
2b – Il momento della morte è incerto, perché i fattori che la provocano sono numerosi ed anche gli elementi che sostengono la vita possono diventare causa di morte ( come il cibo ad es.).
2c – Il momento della morte è incerto perché il corpo fisico è estremamente fragile: se fosse forte non avrebbe importanza se i fattori possono provocare la morte sono molti (“questa vita fortemente tormentata da molte avversità è più fragile delle bolle trasportate dal vento sull’acqua. È davvero una gran fortuna potere respirare mentre si dorme e poi svegliarsi!” “Lettere ad un amico” Nagarjuna.)
3 – Meditare che al momento della morte nulla potrà aiutare eccetto il Dharma.
3a – La ricchezza non potrà aiutare: dal momento che non potrete portare con voi il che benché minimo bene o ricchezza, non vi saranno per niente utili.
3b – Amici e parenti non potranno aiutarvi: di fatto nessuna persona (amici, parenti) potrà venire con voi al momento della morte, dovrete percorrere da soli l’insidioso e stretto sentiero dello stato intermedio.
3c – Neppure il vostro corpo potrà esservi d’aiuto. “Ciò che voi chiamate “il mio corpo” che avete protetto dalla fame, dal freddo, dalle punture degli insetti e spine, che avete salvaguardato e amato come un gioiello …vi tradirà quando avrete bisogno di lui…”( Pancen Lama Chokyi Ghyaltsen)
Un esempio invece di meditazione che descrive il processo della morte sia attraverso i segni esterni (i cambiamenti del corpo) che quelli interni (le immagine interne, psichiche che ha il morente nel processo) è quello che segue : In corrispondenza di ogni assorbimento si manifestano segni esterni interni e segreti.
– Il primo assorbimento è quello dell’elemento terra nell’elemento acqua: che corrisponde all’aggregato psicofisico della forma, alla saggezza imperfetta simile a uno specchio e all’elemento sensoriale vista.
Come risultato della disintegrazione di questi 5 attributi si manifestano questi segni esteriori:
Il corpo diviene molto sottile e perde di vitalità
le membra si intorpidiscono, la vista si oscura
non si può aprire e chiudere gli occhi
la radiosità del corpo svanisce
Il morente sperimenta poi questi segni interiori:
una visione, simile a un miraggio, che riempie tutto lo spazio.
– il secondo assorbimento è quello dell’elemento acqua nell’elemento fuoco:
Si dissolve anche il costituente psicofisico della sensazione, dell’imperfetta saggezza dell’uguaglianza, del potere sensoriale dell’udito e dei suoi oggetti.
I segni esteriori sono :
le labbra si seccano,
sangue e sperma si coagulano,
la traspirazione cessa,
non si odono più i suoni esterni,
cessa il sottile ronzio all’orecchio
Il segno ulteriore sperimentato è la visione di fumo che riempie tutto lo spazio.
– Il terzo assorbimento è l’elemento fuoco che si dissolve nell’elemento aria:
è la disintegrazione del costituente psicofisico della discriminazione , dell’imperfetta saggezza discriminante, del potere sensoriale dell’odorato e dei suoi oggetti;
i segni esteriori sono:
il calore del corpo diminuisce e cessa la digestione di solidi e liquidi
non si capisce ciò che dicono le persone vicine
non si riescono più a ricordare le persone, nemmeno i loro nomi
l’inspirazione è debole l’espirazione è forte e lunga
non si riescono a percepire gli odori
segno interiore:
una visione simile a scintille che pervade lo spazio
L’elemento aria si dissolve nell’elemento spazio:
è la disintegrazione del costituente psicofisico dei fattori composti , dell’imperfetta saggezza che tutto adempie del potere sensoriale del gusto e dei suoi oggetti;
i 5 segni esteriori sono:
non c’è possibilità di compiere azioni fisiche,
non si è più consapevoli delle attività e degli scopi
i venti principali e secondari si dissolvono nel cuore
la radice della lingua diventa blu
non si riescono a sentire i sapori
non si riesce a percepire la morbidezza e ruvidezza.
Il segno interiore :
una visione di luce come quella proiettata da una lampada ad olio.
A questo punto il dottore dice che siete morti; in realtà non è così perché la coscienza dimora ancora nel vostro corpo. Ora con la perdita delle arie che la sostengono, una cellula dello sperma originario, ereditata dal padre al tempo del concepimento, chiamata goccia bianca, che da allora è rimasta nel ciakra del capo, scorre giù per il canale centrale e arriva al cuore. Quando attraversa i ciakra si sperimenta una visione bianca come il candore della neve.
A causa della perdita delle arie che la sostengono, anche una cellula dell’ovulo originario, proveniente dalla madre al momento del concepimento, chiamata goccia rossa, che da allora è rimasta nel ciakra dell’ombelico, sale per il canale centrale e arriva anch’essa al cuore. Quando attraversa i ciakra si sperimenta una visione rossa come il sole al tramonto.
Quindi le due gocce si uniscono ed abbiamo una visione scura come quando il cielo è coperto da spesse nuvole.
Se siamo una persona ordinaria, a questo punto perdiamo conoscenza e cadiamo in uno stato di coma.
Per un meditatore esperto, invece, questa è una un’eccezionale condizione per una speciale meditazione: è l’esperienza della luce chiara, paragonabile all’alba in un mattino di autunno; è la luce chiara della morte.
Per la maggior parte degli esseri queste esperienze sono completamente incontrollate e terrificanti mentre il praticante tantrico, che vi si è preparato, le usa a proprio vantaggio. Molti lama hanno raggiunto la buddità proprio al momento della morte.
Il buddismo suggerisce, anche se non siamo Lama, di usare la paura che in vita abbiamo della morte per sviluppare la saggezza che sta al di là della morte stessa. Così come, se ci sta per mordere un cane, dovremmo utilizzare quella paura per riuscire ad evitare di essere morsi.
Le cinque saggezze che vengono menzionate sopra corrispondono alla trasformazione allo stato di Buddha dei cinque difetti mentali principali e corrispondono ai 5 Dhiani Buddha (base di tutte le iniziazioni tantriche. Vedi testi sul Tantra nel buddismo tibetano. Sul collegamento dei 5 dhiani Buddha e il mandala vedi tesi del quarto anno Silvia Bianchi Sui cinque Buddha e la tipologia in psicosintesi è possibile confronta Vedi tesi di Patrizia Lacerna.) Ciò che si intende invece nel buddismo tibetano per aria, terra, acqua e fuoco:
le nostre parti fisiche, ossa e carne corrispondono all’elemento terra, sangue e bile e altri liquidi corrispondono all’elemento acqua, le parti cave all’interno del nostro corpo corrispondono all’elemento spazio, il respiro corrisponde all’elemento aria, il calore del nostro corpo corrisponde all’elemento fuoco. Essi però sono anche tratti psichici e sono in qualche modo i mattoni sia del mondo fisico che di quello mentale. Vediamo cosa dice Sogyal Rinpoche (Rinpoche1994) a proposito di questi: “ La capacità della mente di fare da base per tutte le esperienze è la qualità della terra; la sua continuità ed adattabilità è l’acqua; la chiarezza e la capacità di percepire è il fuoco; il suo movimento continuo è l’aria; la sua vacuità illimitata è lo spazio”.
La dissoluzione dei 5 elementi che avviene al momento della morte (e nei suoi segni interni anche quando ci addormentiamo) è utilizzata nelle pratiche di meditazione del Tantra come dissoluzione delle nostre “apparenze ordinarie”(ci disidentifichiamo dal modo nel quale di solito ci percepiamo) e la identificazione invece con la divinità nel suo mandala. Questo ultimo passaggio (L’identificazione con la divinità, o qualità della mente illuminata, come la pazienza, la generosità, la saggezza e così via che vengono rappresentate e ricordate attraverso il simbolismo della rappresentazione visiva nelle figure delle divinità) viene fatta attraverso attraverso la dissoluzione degli elementi (gli otto stadi sopra descritti e i loro segni interiori) ed ha lo scopo di fare evolvere l’essere più rapidamente grazie alla tecnica dell’identificazione con il risultato (o come viene detto nei testi: si utilizza la meta come sentiero).
La morte delle persone care, la nostra, sono tutti momenti essenziali per meditare su aspetti della nostra realtà che di solito rimuoviamo. Come quando, dicono i maestri, apri la porta di casa e scopri che sono entrati i ladri e tutto quello che prima c’era in casa tua ora non c’è più, o quando apri il portafoglio per pagare e ti accorgi che è vuoto. Quell’istante nel quale tutte le concezioni di ciò che eri sicuro di trovare ma non trovi si sono dissolte e altre nuove concezioni si devono ancora formare è un istante prezioso che mette a nudo un’aspetto molto intimo e vero della mente (o psiche) quell’istante prima di ogni concezione, emozione, percezione,e così via. Uno “ spazio vuoto” . La morte del maestro è poi un momento eccezionale di meditazione sulla morte:
Dal libro “una antica saggezza” di Ghyatrul Rimpoce, della Ubaldini.
“Riguardo alla trasformazione delle avversità nel sentiero, una grande fonte di sofferenza per voi praticanti è la morte del vostro mentore spirituale. Infatti non c’è nulla di più prezioso di una guida spirituale. Quando la sua presenza fisica lascia questo mondo, soffrite tremendamente, eppure il momento in cui il maestro si separa dalla sua forma corporea è anche il momento in cui la Sua mente si fonde con la natura ultima della verità. Non può esservi beneficio maggiore del saper entrare in contatto con questa natura per mezzo delle preghiere. Nel momento in cui un essere altamente realizzato entra nel nirvana, e nei giorni che seguono, la sofferenza può convertirsi in uno sviluppo molto rapido della comprensione, grazie, anche in questo caso, alla gentilezza del Maestro.”
L’esperienza della morte del maestro (che è appena stata vissuta da coloro che frequentano l’istituto Lama Tzong Kapa, uno dei più grandi centri buddisti in Italia) è di sicuro un evento eccezionale che meriterebbe di essere descritto nei dettagli ma aprirebbe un altro capitolo altrettanto vasto e profondo.
BIBLIOGRAFIA
Per il parallelismi, anche scientifici, fra morte, sonno e stati di coscienza, nel buddismo tibetano e nella scienza e psicologia occidentale è possibile leggere i libri di mind and life (“sogni morte e bardo”, “Ponti sottili”: riportano le conferenze del Dalai Lama con scienziati e psicologi occidentali)
Bibliografia:
–Libro tibetano del vivere e del morire, Sogyal Rimpoce, Adelphy
Bardo Thodol, il libro tibetano di morti, a cura di Robert Thurman, Neri Pozza, i Colibrì.
Tesi: Il potere della compassione, il contributo buddista all’esperienza del malato terminale, Bianchi Silvia.
La Liberazione sul Palmo della tua mano, Pabonka Rimpoce, Chiara Luce Edizioni.