2 – I principali aspetti della meditazione
Alexander Berzin, Kiev, Ucraina, settembre 2011. Traduzione italiana a cura di Francesca Paoletti
Seconda sessione: preliminari per la meditazione
Un ambiente favorevole alla meditazione
Per poter effettivamente praticare la meditazione, abbiamo bisogno di circostanze favorevoli. Ci sono molte liste di fattori che sono favorevoli alla meditazione, ma questi vengono generalmente presentati o discussi nel contesto di un ritiro di meditazione, mentre invece la maggior parte di noi medita a casa.
Anche a casa, ciò che sarà di maggiore utilità è il non avere distrazioni. L’ambiente deve essere il più silenzioso possibile. Molti di noi vivono in strade trafficate e quindi rumorose; pertanto è meglio meditare la mattina presto o la sera tardi, quando il traffico è meno pesante. Inoltre, l’ambiente non dovrebbe avere musica o televisione proveniente dalle stanze accanto. Questi tipi di cose sono davvero importanti. Se non è possibile avere un ambiente tranquillo, potete provare con i tappi per le orecchie. Non isolano necessariamente tutto il rumore, ma certamente lo rendono meno intenso.
Molti di noi non hanno il privilegio di avere una stanza di meditazione separata. Potete usare qualsiasi spazio abbiate a disposizione. Meditate sul vostro letto, se necessario: questo non è un problema. La maggior parte dei tibetani che vivono in India medita sul proprio letto.
Un altro fattore davvero importante è avere una stanza che sia pulita e in ordine. Se l’ambiente è pulito e in ordine, questo avrà un’influenza sulla mente affinché sia pulita ed in ordine. Se la stanza è trasandata, disordinata o sporca, la mente tenderà ad essere nello stesso modo. Per questo motivo, uno dei preliminari che viene sempre elencato come un prerequisito prima di meditare è la pulizia della stanza di meditazione e fare qualche tipo di offerta, anche se solamente un unico bicchiere d’acqua. Vogliamo mostrare rispetto per ciò che facciamo e se pensiamo d’invitare i Buddha e i bodhisattva ad essere presenti, allora vorremmo invitarli in una stanza pulita, non in una stanza disordinata e sporca. Anche ad un livello di normale psicologia, è importante avere rispetto per ciò che stiamo facendo, e trattarlo come qualcosa di speciale. “Speciale” non significa creare un’atmosfera elaborata, come il set di un film di Hollywood, con incenso e candele, ma una che sia semplice, sobria, pulita e rispettosa.
Postura
Nelle varie culture asiatiche, la postura usata per la meditazione può variare. Le posture di meditazione in India/Tibet, Cina/Giappone e Tailandia sono tutte diverse. In tutti questi paesi ci si siede per meditare con posture differenti, dunque non si può affermare che una specifica postura sia l’unica corretta. Gli indiani e i tibetani siedono a gambe incrociate. Spesso, i giapponesi e anche alcuni cinesi, sono seduti sulle loro gambe piegate. I tailandesi siedono con le gambe da un lato. Per la pratica del tantra, in cui stiamo lavorando con l’energia del corpo, è necessaria la posizione del loto completa (rdo-rje skyil-krung), ma la maggior parte di noi non è a quel livello di pratica. Se aspirate ad essere in grado di fare quel tipo di pratica, è fortemente raccomandato che iniziate sin da molto giovani a sedervi nella posizione del loto completa, perché è molto difficile iniziare ad usare la posizione del loto completa più tardi nella vita. Per gli occidentali, se potete stare seduti in una qualsiasi di queste posture tradizionali asiatiche, va bene; altrimenti, potete anche stare seduti su una sedia. Il punto più importante è che la schiena sia dritta.
Orientare lo sguardo
Per quanto riguarda gli occhi, alcune meditazioni vengono fatte con gli occhi chiusi, altre con gli occhi aperti; alcune con gli occhi rivolti verso il basso, altre con gli occhi rivolti verso l’alto; dipende dalla meditazione. In generale, i tibetani scoraggiano la meditazione ad occhi chiusi. Al di là del fatto che è molto più facile addormentarsi quando gli occhi sono chiusi, inoltre si tende a creare un ostacolo mentale per cui ci sembra che per meditare, bisogna tenere gli occhi chiusi. Se vi sembra di dover tenere gli occhi chiusi per poter meditare, allora integrare nella vita reale ciò che stiamo sviluppando nella meditazione diventa più difficile. Per esempio, se sto parlando con qualcuno e per poter generare un sentimento d’amore ho bisogno di chiudere gli occhi, questo sarebbe strano. Quindi, nella tradizione tibetana, per la maggior parte delle meditazioni teniamo gli occhi socchiusi, senza un punto focale specifico, con lo sguardo verso il basso, rivolto verso il pavimento.
Il cuscino
Se state seduti a gambe incrociate è importante scegliere un cuscino adatto per sedervi. Ci sono persone che possono stare comodamente sedute direttamente sul pavimento, senza che le loro gambe si addormentino. Sua Santità il Dalai Lama, per esempio, sta seduto in questo modo quando insegna. Ma per la maggior parte di noi, se stiamo seduti senza un cuscino, le nostre gambe si addormentano molto più rapidamente. Quindi potete provare a stare seduti con un cuscino sotto il didietro, in modo tale che i fianchi siano più alti delle ginocchia. Dovete scegliere quale sia il cuscino più adatto: sottile o spesso, duro o morbido e così via. Ogni persona è diversa. Il punto più importante è che stiate comodi e che il vostro cuscino impedisca che le vostre gambe si addormentino, perché questo può essere molto sgradevole.
Molti centri buddhisti hanno degli zafu alti, rotondi o quadrati, ma questi zafu per lo zen sono pensati per stare seduti nella postura giapponese, seduti sulle proprie gambe. Gli zafu spessi non sono il tipo di cuscino adatto per stare seduti a gambe incrociate – sono troppo alti. Forse alcune persone possono stare comodamente sedute a gambe incrociate su questi cuscini. Ma per la maggior parte delle persone sono troppo alti e troppo duri. Se il vostro centro mette a disposizione soltanto degli zafu spessi e voi state seduti a gambe incrociate, potrebbe essere meglio portare il vostro cuscino personale.
Scegliere un orario per meditare
Per la maggior parte delle persone l’orario migliore per meditare è la mattina appena svegli oppure la sera prima di addormentarsi, in modo che ci siano meno distrazioni in termini di attività quotidiane. Alcune persone sono più sveglie di mattina e altre sono più sveglie di notte – i cosiddetti “mattinieri” e i “nottambuli.” Nessuno conosce meglio di voi stessi come siete fatti e qual è il vostro stile di vita, quindi potete decidere da soli quale momento della giornata è il migliore. Quello che viene sempre sconsigliato è meditare quando si è assonnati. Se siete assonnati la sera, ma cercate di meditare prima di andare a letto, potreste iniziare ad addormentarvi a metà della vostra meditazione, cosa che non è affatto utile. E la stessa cosa vale per la mattina presto: se siete ancora mezzi addormentati, la vostra meditazione non sarà molto efficace. Quindi giudicate voi stessi qual è la cosa migliore. Non c’è problema nel prendersi un caffè o un tè la mattina presto prima di meditare, anche se i tibetani non hanno questa abitudine.
Il mio maestro, Serkong Rinpoche, era uno dei maestri di Sua Santità il Dalai Lama. Descriveva il modo in cui si meditava nei collegi monastici tantrici in Tibet, dove era stato educato: tutti i monaci erano seduti nella sala di meditazione e dormivano lì, seduti ai loro posti, quasi appoggiando la testa nel grembo del vicino (i tibetani non hanno problemi con il contatto fisico). La campana suonava per la sveglia molto, molto presto la mattina e ci si aspettava che essi semplicemente si tirassero su seduti e iniziassero la loro meditazione, le loro recitazioni e così via. Ma a meno che non siate un medico abituato ad essere svegliato nel pieno della notte e ad alzarsi immediatamente per fare un intervento chirurgico o qualcosa del genere, sarebbe piuttosto difficile iniziare a meditare immediatamente appena svegli.
Per quanto tempo meditare
Quando avete appena iniziato una pratica di meditazione, è importante anche che le vostre sessioni di meditazione siano brevi, ma frequenti. Come principianti, cercare di restare seduti a meditare per ore diventa un’esperienza traumatica. In alcuni posti lo fanno, ma in generale i tibetani lo scoraggiano, perché se la meditazione diventa una prova difficile, non vorrete farla! Non vedrete l’ora che la sessione finisca. Quindi, all’inizio, meditate solamente per cinque minuti o giù di lì – è sufficiente. Nei monasteri Theravada, le meditazioni sedute si alternano alle meditazioni camminate, in modo da non fare la stessa attività per molto tempo.
L’analogia che viene usata dai tibetani è quella di un amico in visita: se l’amico si trattiene troppo a lungo, sarete impazienti che se ne vada. E dopo che se ne è andato, non sarete molto ansiosi di vederlo di nuovo. Ma se il vostro amico se ne va quando ancora vorreste continuare a passare più tempo insieme, allora sarete molto contenti di rivedere presto questo amico. Allo stesso modo, la nostra postura di meditazione, il sedile di meditazione e la durata della sessione di meditazione dovrebbero essere piacevoli, in modo che saremo entusiasti della nostra pratica.
Stabilire l’intenzione
Prima di meditare è importante stabilire l’intenzione. In effetti, stabilire la vostra intenzione viene raccomandato dal primo momento in cui aprite gli occhi la mattina. Appena vi svegliate, mentre siete ancora a letto, potete stabilire l’intenzione per la vostra giornata. Potete pensare: “Oggi cercherò di non arrabbiarmi. Cercherò di essere più tollerante. Cercherò di sviluppare maggiori sentimenti positivi nei confronti degli altri. Cercherò di rendere questa giornata significativa e di non sprecarla.”
C’è un meraviglioso koan Zen, il mio preferito: “La morte può arrivare in qualsiasi istante, rilassati.” Se ci pensate, è un pensiero molto profondo. Se siete molto tesi, se siete molto nervosi e molto agitati per il fatto che la morte può arrivare in qualsiasi istante, non riuscirete ad ottenere nulla. Potreste avere pensieri del tipo: “Non sto facendo abbastanza. Non sono abbastanza bravo.” Ma se sapete che la morte potrebbe arrivare in qualsiasi istante e siete rilassati riguardo a ciò, allora farete tutto il possibile, in maniera significativa e realistica, senza essere ansiosi, nervosi o tesi. Quindi cercate di ricordarvi che la morte può arrivare in qualsiasi istante, e rilassatevi!
Prima di meditare, stabiliamo l’intenzione “Cercherò di meditare per un numero ‘x’ di minuti. Cercherò di concentrarmi. Se mi accorgerò di stare per addormentarmi, mi risveglierò. Se la mia attenzione divagherà, cercherò di riportarla indietro.” Prendete queste cose sul serio, non pronunciate solamente le parole – cercate davvero di tenere a mente la vostra intenzione, e poi seguitela fino in fondo. Mantenere sinceramente la vostra intenzione può essere molto difficile. Se prendete la cattiva abitudine di usare le vostre sessioni di meditazione per pensare ad altre cose, anche se sono altri concetti di Dharma, questa è un’abitudine molto difficile da rompere. Parlo per esperienza diretta: è un’abitudine difficile da rompere, quindi cercate di stabilire e poi seguire una corretta intenzione prima della vostra sessione di meditazione.
Motivazione
Il prossimo aspetto è la motivazione. In un contesto buddhista tibetano, la motivazione è composta di due parti. La prima parte è l’obiettivo. Cosa stiamo cercando di ottenere? Gli obiettivi classici sono descritti negli “stadi graduali del sentiero” (lam-rim). Come descritto nel lam-rim, gli obiettivi sono: (a) migliorare le nostre vite future, (b) ottenere la completa liberazione dalla rinascita e (c) raggiungere l’illuminazione in modo da aiutare chiunque altro ad ottenere la liberazione dalla rinascita.
Quando pensiamo alla nostra motivazione, è importante essere onesti con noi stessi. Credete veramente alla rinascita? La maggior parte di noi non ci crede, quindi dire: “Sto facendo questo per assicurarmi di ottenere un’altra preziosa rinascita umana nella mia vita successiva,” oppure “ Sto facendo questo per ottenere la completa liberazione dalla rinascita,” oppure “Sto facendo questo per raggiungere l’illuminazione in modo da poter aiutare tutti gli altri ad ottenere la liberazione dalla rinascita” – queste sono soltanto semplici parole se non crediamo alla rinascita. Se pratichiamo la meditazione come parte integrante di ciò che io chiamo il “Dharma light,” questo va del tutto bene, ma siate onesti con voi stessi. Non avete bisogno di dirlo a nessun altro, ma siate onesti con voi stessi riguardo alla vostra motivazione: “Sto facendo questo per migliorare la situazione in questa vita.” Va bene, è una motivazione legittima, fintanto che siete onesti riguardo a questa cosa. D’altra parte, è importante avere rispetto per quelli che sono gli autentici obiettivi di lungo termine del Buddhismo e di non pensare che la pratica del Buddhismo consista soltanto nel migliorare le cose in questa vita.
La prima parte della motivazione è: a cosa stiamo mirando? La seconda parte è l’emozione che c’è dietro e che ci guida in quella direzione. Per esempio: “Miro ad ottenere una preziosa rinascita umana nelle mie vite future (l’obiettivo), perché ho paura di quanto sia orribile rinascere come una mosca, oppure come uno scarafaggio, o qualsiasi altra rinascita inferiore (l’emozione). Voglio davvero evitare rinascite inferiori ed ho fiducia che ci sia un modo per evitare le rinascite inferiori.” Questo non è un tipo di paura paralizzante, del tipo: “La situazione è disperata. Non ho speranza,” ma piuttosto è un sano senso di “davvero non voglio questa cosa e vedo che c’è un modo per evitarla.” Esattamente come la mia paura di avere un incidente mentre sto guidando: farò attenzione, ma non sono talmente paralizzato dalla paura da non guidare mai più.
Un altro esempio di motivazione è: “Sono totalmente disgustato, annoiato e stufo di tutta questa sofferenza che è connessa con la rinascita (l’emozione) e voglio venirne fuori (l’obiettivo).” L’essenza dell’emozione dietro alla rinuncia è: “è incredibilmente noioso rinascere come un bambino, dover imparare tutto quanto di nuovo, ricevere un’educazione e poi trovare un modo per guadagnarsi da vivere. È noioso affrontare la malattia e l’invecchiamento molte volte di nuovo. È come vedere un pessimo film di nuovo e di nuovo, poi di nuovo e ancora di nuovo. Cioè: che noia. Ne ho abbastanza!” La motivazione per la bodhicitta, per raggiungere l’illuminazione, è che siamo mossi dalla compassione: “Non posso proprio accettare che tutti soffrano così tanto. Devo riuscire a raggiungere uno stato in cui posso aiutare chiunque a superare la sofferenza.”
Dunque la motivazione include un obiettivo ed una ragione emotiva per cui vogliamo raggiungere quell’obiettivo. La motivazione inoltre include anche ciò che faremo una volta raggiunto quell’obiettivo: “Con la mia preziosa rinascita umana, lavorerò per ottenere l’illuminazione.” Quando stiamo praticando in una tradizione Mahayana, ognuno dei tre livelli di motivazione è nel contesto di lavorare fondamentalmente verso l’illuminazione. Il primo livello di motivazione è: “Voglio ottenere un’altra preziosa rinascita umana in modo da poter continuare lungo il sentiero verso l’illuminazione, poiché ci vorranno molte vite per ottenere il mio obiettivo.” Il secondo livello di motivazione è “Voglio ottenere la liberazione dal karma e dalle emozioni disturbanti perché non sono d’aiuto agli altri se mi arrabbio con loro, se sviluppo attaccamento nei loro confronti, oppure se ho un comportamento impulsivo. Non posso davvero aiutare gli altri se mi sento orgoglioso e arrogante a tal proposito. Quindi devo ottenere la liberazione individuale.” E alla fine, la motivazione più elevata è “Voglio ottenere l’illuminazione in modo da avere completa conoscenza del modo migliore per aiutare qualsiasi persona individualmente.”
La motivazione è molto importante. Tsongkhapa enfatizza che la motivazione è qualcosa che dobbiamo mantenere durante tutto il giorno, non soltanto all’inizio della sessione di meditazione. E la motivazione non dovrebbe essere fatta di belle parole; dobbiamo veramente fare sul serio. E fare sul serio cosa significa? Significa aver interiorizzato, attraverso la pratica della meditazione, la motivazione in maniera così completa che la meditazione sia un’autentica emozione naturale, e diventi parte integrante del modo in cui viviamo la nostra vita di tutti i giorni.
Calmarsi prima della meditazione
Una vota che abbiamo creato un ambiente fisico adeguato e stabilito la nostra motivazione, dobbiamo calmarci. Spesso questo viene fatto con qualche meditazione sul respiro, per esempio contare il respiro. Oltre al contare il respiro, ci sono vari esercizi più complicati che possiamo fare con il respiro.
La pratica in sette rami
Spesso viene raccomandato di generare qualche energia positiva all’inizio della sessione e per fare questo utilizziamo quella che è nota come la “preghiera in sette rami” o “pratica in sette rami.” In questo contesto, “ramo” significa “passo.”
(1) Prostrazione, con rifugio e bodhicitta
Il primo ramo è la prostrazione, che significa portare rispetto a coloro che hanno raggiunto l’illuminazione; portare rispetto alla nostra futura illuminazione, che miriamo a raggiungere con bodhicitta; e portare rispetto alla nostra natura di Buddha, che ci consentirà di raggiungere questo obiettivo.
(2) Offerte
Il secondo passo è fare offerte, il quale è anch’esso un modo per mostrare rispetto.
(3) Ammettere i propri difetti
Come prossima cosa ammettiamo apertamente i nostri sbagli e i nostri difetti. Questo non significa sentirsi in colpa per i nostri errori; il senso di colpa non è appropriato. Il senso di colpa è restare aggrappati a qualcosa che abbiamo fatto ed etichettare le nostre azioni come cattive; restare aggrappati a noi stessi ed etichettarci come cattivi per aver commesso quell’azione e non mollare mai più. È come se non portassimo via l’immondizia e invece ce la tenessimo in casa pensando: “Questa immondizia è davvero orribile. Ha un pessimo odore.” Piuttosto che l’emozione della colpa, il terzo ramo è il rimorso per i nostri errori: “Mi rammarico delle mie azioni e cercherò di fare del mio meglio per non ripeterle. Cercherò di fare del mio meglio per superare i miei difetti.”
(4) Gioire
Il quarto passo è il gioire delle cose positive fatte da noi e dagli altri, e in questo modo avere un atteggiamento più positivo verso noi stessi e verso gli altri.
(5) Richiedere insegnamenti
Poi chiediamo ai maestri e ai Buddha d’insegnarci: “Per favore, insegnate sempre. Sono aperto e ricettivo.”
(6) Implorare i maestri di non morire
Il prossimo ramo è: “Non andate via. Non morite. Voglio proprio imparare sul serio, quindi vi prego di restare con me.”
(7) Dedica
Alla fine c’è la dedica. La dedica significa, in un certo senso, indirizzare l’energia in una certa direzione. Pensiamo: “Qualsiasi forza, qualsiasi comprensione sia stata accumulata, mi auguro che possa contribuire al compimento della mia intenzione.” L’analogia che mi piace usare è come quando salviamo il nostro lavoro su un computer. Se non lo salviamo in una certa cartella, la cartella “Liberazione” o “Illuminazione,” allora l’impostazione predefinita è che il nostro lavoro verrà salvato automaticamente nella cartella “Miglioramento del samsara.” Va bene salvare il nostro lavoro nella cartella “Miglioramento del samsara,” ma se questo non è il nostro scopo, se vogliamo che il nostro lavoro conti al fine dell’ottenimento della liberazione o dell’illuminazione, allora dobbiamo deliberatamente salvarlo nella cartella “Illuminazione.” Questa è la dedica. E lo diciamo sul serio, non soltanto a parole. Dedichiamo l’energia positiva con qualche emozione sottostante, con compassione ecc.
Dopo la preghiera in sette rami inizia la meditazione vera e propria, e alla fine della meditazione, facciamo un’altra dedica.
Conclusione
Potete vedere come la meditazione sia un processo molto sofisticato e le istruzioni su come farla siano abbastanza precise. Qui vi ho soltanto dato le istruzioni generali; ogni meditazione specifica avrà istruzioni specifiche. È molto, molto importante sapere cosa stiamo facendo, come lo stiamo facendo e perché lo stiamo facendo.
Ci sono alcune tradizioni buddhiste, come la tradizione Zen, che dicono semplicemente: “Siediti, medita e poi capirai strada facendo.” Anche se questo può andare bene per certe persone, potrebbe essere piuttosto difficile per altre. Molte persone trovano questo approccio molto difficile, quindi ciò che vi ho presentato è la tradizione indo-tibetana.
Domande e risposte
Domanda: Quando hai spiegato i tipi di meditazione, ce n’erano tre tipi. Uno di questi era la concentrazione. E tutti loro, più o meno, implicano una qualche forma di attività mentale. La mia domanda è questa: è possibile ottenere dei progressi verso meditazioni più elevate – come il passare da shamatha a vipashyana al tantra e allodzogchen – senza avere sviluppato la concentrazione attraversoshamatha?
Alex: Non penso. Credo che tutte le varie istruzioni e manuali di meditazione che ho letto e sentito indichino che certamente dobbiamo prima di tutto sviluppare la concentrazione. Ora, la domanda se sia necessario sviluppare shamatha al massimo livello come da definizione oppure no, è un discorso diverso. Nel tantra, per esempio, ci sono metodi speciali per essere in grado di sviluppare shamatha evipashyana simultaneamente. Quindi in ogni sistema ci possono essere modi diversi per ottenere shamatha e vipashyana.
La shamatha è uno stato mentale calmo e posato, cioè è calmato da tutta la divagazione mentale e dal torpore, ed è posato, focalizzato su un oggetto oppure su un certo modo di percepire le cose. Quindi è al 100% in questo modo, totalmente concentrato. Inoltre ha un senso di benessere, ovvero uno stato euforico (ma non in maniera disturbante) dell’essere fisicamente e mentalmente capaci di rimanere semplicemente focalizzati su tutto, per tutto il tempo che vogliamo. Quindi è come l’essere allenati molto, molto bene dal punto di vista fisico, e allora avete questo senso di benessere fisico che vi fa sentire come se poteste fare quasi tutto. È uno stato molto euforico.
E poi il vero vipashyana da definizione è, sulla base di shamatha, uno stato mentale eccezionalmente percettivo che è in grado di percepire qualsiasi cosa, ed ha un ulteriore senso di benessere.
Quindi, che sia meditazione dzogchen o una regolare meditazione di tantra o qualsiasi altra cosa, avrà queste componenti.
Domanda: Di recente, vengono spesso dei maestri in Ucraina e in Russia per dare insegnamenti su argomenti profondi come il tantra o come atiyoga, e inoltre ci sono per esempio corsi da dieci giorni divipashyana, offerti su larga scala. Dunque la mia domanda è, prima di tutto, se abbia senso partecipare a quegli insegnamenti se non si è sviluppata shamatha in maniera sufficientemente forte. E poi: perché questi maestri insegnano queste cose, se non c’è una forte base dishamatha tra gli studenti?
Alex: Prima di tutto, è molto difficile ottenere shamatha (anche se nei testi si dice che se vi sforzate molto, potete ottenerla in tre mesi). Per partecipare a qualsiasi insegnamento, è necessario essere concentrati. Se andate lì e dormite per tutta la lezione, oppure state divagando mentalmente o siete distratti per tutta la lezione, è inutile. Quindi dobbiamo avere perlomeno un certo livello di concentrazione per partecipare a qualsiasi lezione e far sì che ne valga la pena. Non deve essere necessariamente la piena shamatha. In effetti, se aspettiamo di aver ottenuto la piena shamatha, potremmo non riuscire mai ad andare a nessuna lezione!
I tibetani sono assolutamente convinti nell’esistenza di vite future. Quando i maestri insegnano questi argomenti avanzati, spesso dicono che lo stanno facendo per piantare dei semi per le vostre vite future; non si aspettano che comprendiate o pratichiate abilità molto avanzate in questa vita. Questo è l’atteggiamento con cui molti tibetani laici (e anche monaci e monache) vanno agli insegnamenti – per piantare i semi per le vite future. Quindi dal punto di vista tibetano, i maestri pensano in maniera del tutto differente riguardo al perché dare questi insegnamenti, rispetto al modo in cui pensiamo noi occidentali.
E poi dovete considerare gli organizzatori nei centri di Dharma. Se un organizzatore di un centro di Dharma offre un corso di tantra o didzogchen o di qualche argomento esoterico, questo argomento attirerà un maggior numero di persone rispetto all’offrire un corso sul rifugio o qualsiasi altro argomento apparentemente più mondano. Gli organizzatori di un centro di Dharma hanno la pressione del dover pagare l’affitto del centro di Dharma, del pagare per poter invitare gli insegnanti, e così via. Quindi ci sono anche motivi samsarici, economici. E inoltre c’è un po’ di questo aspetto anche dal lato tibetano, anche se non in maniera altrettanto forte, perché se da un lato i maestri non insistono su ciò che vogliono insegnare (beh, alcuni lo fanno), dall’altro hanno una pressione incredibile a riportare soldi per nutrire i monaci del loro monastero. Questa è veramente una pressione molto reale a cui sono sottoposti e quindi è nel loro interesse avere un vasto pubblico. Purtroppo non viviamo in un mondo ideale.
Pertanto, quando vengono questi maestri ad insegnare argomenti molto avanzati, se la scelta è tra andare o non andare, allora per molti aspetti è meglio andare. Ma non dovremmo essere presuntuosi e pensare: “Sono un praticante così avanzato che posso davvero praticare tutto questo proprio ora, in questa vita.” Ed è vero anche l’opposto: non dovremmo venire scoraggiati, pensando: “Oh, è tutto troppo difficile, è impossibile per me riuscire ad essere mai in grado di praticare queste cose.” Più a lungo uno pratica (stiamo parlando di decenni e decenni), più realizzerà che c’è bisogno di tornare all’inizio, e lavorare su questi passi iniziali che sono molto, molto cruciali. Senza questi passi iniziali, tutto quello che va al di là di essi non ha alcun senso, non ha alcuna sostanza, sono soltanto parole vuote. Dovremmo sforzarci di pensare: “Cosa sto facendo per prepararmi ed essere in grado di proseguire il mio cammino in vite future? Quanto sto prendendo sul serio questo punto? E quali passi concreti sto intraprendendo in questa direzione?” Raggiungere quel livello, ed essere sinceri, è davvero straordinario.
Domanda: Ho una domanda sulla rinascita. Mi sembra strana l’idea che un essere umano possa rinascere come animale, perché la coscienza umana è così tanto più sviluppata. Come può una coscienza umana rinascere come animale o come insetto o qualcosa del genere? Forse il Buddhismo è soltanto una religione per un grande pubblico, per le grandi masse e i maestri non credono veramente alla rinascita?
Alex: Beh, prima di tutto, posso assicurarti che i maestri credono fermamente alla rinascita. Non fanno finta di crederci – ci credono assolutamente. Quello di cui stiamo parlando qui è l’attività mentale, e quali siano i fattori mentali che caratterizzano la nostra attività mentale. Quello che caratterizza l’attività mentale umana è l’intelligenza, e questa intelligenza, come sappiamo, può coprire l’intera scala da “non troppo intelligente” a “molto intelligente.” Ma ci sono altri fattori che fanno parte dell’attività mentale, per esempio la rabbia, l’avidità, l’attaccamento, la distrazione e i comportamenti impulsivi che vengono istigati da questi fattori mentali. In alcune persone, questi fattori dominano la loro attività mentale a tal punto che non usano la loro intelligenza umana e invece operano principalmente sulla base dell’avidità, della rabbia e così via. Per esempio, ci sono persone che hanno un incredibile desiderio sessuale e vanno in giro per i bar, incontrando altre persone e avendo rapporti sessuali quasi con chiunque incontrino – questa persona si comporta come un cane, non trovate? Un cane monterà qualsiasi altro cane che incontri, in qualsiasi momento; non eserciterà alcuna forma di autocontrollo. Se un essere umano si comporta in questo modo, sviluppa l’abitudine di una mentalità animale. Quindi non è sorprendente, se pensiamo in termini di rinascita, che la mentalità di desiderio di quella persona sarà la modalità dominante l’attività mentale che essa avrà in una vita futura e che si reincarnerà in un corpo che sarà una base appropriata per quell’attività mentale, cioè una rinascita animale.
Quindi è molto utile esaminare il nostro comportamento: “Mi sto comportando come questo tipo di animale oppure un altro tipo di animale?” Pensate per esempio ad una mosca. La mentalità di una mosca è la totale divagazione mentale. Una mosca non può restare ferma in un posto per più di alcuni momenti; si muove costantemente ed è costantemente distratta. È questo il modo di essere della nostra mente, come la mente di una mosca? Se è così, cosa ci aspettiamo dalla prossima rinascita? Ci aspettiamo che saremo intelligenti e avremo una buona capacità di concentrarci?
Questi sono alcuni dei pensieri che ci aiutano a comprendere il modo in cui possiamo rinascere in molti tipi diversi di forme di vita. C’è molto, molto di più che si potrebbe dire su questo argomento, ma sfortunatamente non abbiamo abbastanza tempo oggi. Ma è importante comprendere come non ci sia nulla di intrinseco nell’attività mentale che la renda un’attività mentale umana. Non c’è niente che renda l’attività mentale specificamente umana, o che la renda maschio o femmina o qualsiasi cosa del genere. È semplicemente attività mentale. E dunque il tipo di rinascita che abbiamo dipende dal karma, dalle varie abitudini che abbiamo sviluppato per via del nostro comportamento impulsivo, per cui in vite future avremo un corpo che funzionerà come una base appropriata per mettere in atto queste abitudini.
Per ora finiamo qui. Siccome questa era una lezione buddhista, possiamo concludere con una dedica. Possiamo pensare: “Qualsiasi comprensione, qualsiasi forza positiva o energia che sia stata accumulata, ci auguriamo che possa andare sempre più in profondità e fungere per noi da causa per essere in grado di continuare su un sentiero spirituale e ottenere l’illuminazione per il beneficio di tutti noi e di tutti gli altri.”