12 Patrul Rinpoche: Le Istruzioni Orali del Mio Perfetto Maestro.
Una guida ai preliminari del Longchen Nyingthig dello Dzogchen.
Titolo originale: Kun bzang lama’i zhal lung (Dzog pa chenpo longchen nyingthig gi nongdro’i khird yig kun bzang lama’i zhal lung); Insegnamenti orali del maestro Samantabhadra sulle pratiche preliminari Dzogchen della serie “Essenza del cuore della vasta estensione”.
Seguire il maestro: Milarepa e Marpa.
Infine, occupiamoci di come Jetsun Milarepa si pose al seguito del suo maestro Marpa di Lhodrak.
Nella regione di Ngari Gungthang viveva un uomo benestante di nome Mila Sherab Gyaltsen, che aveva un figlio e una figlia. Il figlio maschio, chiamato Mila Thöpa-ga (“Mila che si ascolta con gioia”), divenne in seguito Jetsun Mila.
Mentre i suoi figli erano ancora piccoli, il padre di Mila morì; sicché uno zio, Yungdrung Gyaltsen, si appropriò dei suoi beni abbandonando senza mezzi i bambini e la loro madre, i quali ebbero a soffrire numerosi patimenti. Crescendo, Mila apprese da due maghi, Yungtön Throgyal di Tsang e Lharje Nupchung, l’arte di evocare tempeste di grandine e altri incantesimi. Provocando il crollo di una casa, egli uccise il figlio e la nuora dello zio assieme ad altre trentatrè persone; e quando i suoi compaesani gli si rivoltarono contro, egli provocò una grandinata tale da lasciare a terra uno strato di ghiaccio di circa tre metri.
In seguito, pentito per le sue azioni, egli decise di praticare il Dharma e, dietro consiglio di Lama Yungtön, chiese di essere ammesso al seguito di un praticante di Dzog Chen di nome Rongtön Lhaga.
“Il Dharma che ti trasmetto,” gli disse il Lama, è lo Dzog Chen. La sua radice è la conquista dello stato originario, che è la vetta di ogni realizzazione e supera tutti gli yoga. Se mediterai su di esso di giorno, diverrai un Buddha il giorno stesso. Se invece mediterai di notte, diverrai un Buddha la notte stessa. Gli esseri fortunati che con le vite passate hanno creato condizioni favorevoli, non hanno nemmeno bisogno di meditare e saranno liberati semplicemente ascoltando le mie istruzioni. Ti trasmetterò dunque questo prezioso Dharma destinato a coloro che sono dotati di facoltà superiori.”
Dopo aver ricevuto le iniziazioni e le istruzioni, Mila pensò: “Mi ci vollero due settimane per imparare le formule magiche e sette giorni per apprendere l’arte di far grandinare. Questo Dharma sembra molto più facile. Inoltre, considerando il modo con cui sono venuto a conoscenza di esso, potrei essere uno di quelli favorito dalle azioni passate.” Così egli restò a letto senza meditare, non realizzando nulla di quell’insegnamento.
Dopo alcuni giorni, il Lama gli disse: “Ciò che mi avevi detto di te è vero: sei un gran peccatore. Non sono in grado di guidarti, ma ti consiglio di recarti all’eremo di Trowolung in Lhodrak, dove vi è un discepolo diretto del siddha Naropa. Il re dei traduttori Marpa è infatti un eccellente maestro e non ha rivali nei tre mondi. Dal momento che con Marpa hai un legame derivante dalle vite passate, recati da lui!” Il solo suono del nome Marpa infuse in Mila una gioia inesprimibile. Tutti i pori della sua pelle fremettero per una improvvisa beatitudine e gli occhi gli si riempirono di lacrime per l’intensa devozione sorta in lui. Egli dunque partì chiedendosi quando avrebbe potuto incontrare di persona il maestro.
Quando Mila fu nei pressi del suo futuro maestro, Marpa e la moglie ebbero sogni meravigliosi, dai quali il maestro comprese che il suo discepolo si stava avvicinando. Così, egli scese a valle ad attenderlo, fingendo di dissodare un campo. Mila vide dapprima il figlio di Marpa, Tarma Dodé, che badava al bestiame. Dopo un po’, egli scorse Marpa intento a lavorare la terra. In quel momento, una gioia tremenda e inesprimibile si impadronì di lui annullando per un istante tutti i suoi pensieri. Tuttavia, egli non comprese di avere di fronte il maestro, perciò gli si rivolse chiedendogli di Marpa.
“Ti condurrò io da lui,” rispose Marpa. “Intanto, dissoda questo campo per me;” e lasciandogli una caraffa di birra, si eclissò. Mila, bevendo la birra fino all’ultima goccia, si mise all’opera, finché, quando ebbe finito, il figlio del lama lo andò a chiamare accompagnandolo in casa.
Quando fu in presenza di Marpa, Mila pose i piedi del lama sul suo capo e gridò: “Sono un gran peccatore e vengo dall’ovest! Vi offro il mio corpo, la mia parola e la mia mente. Vi prego di nutrirmi, vestirmi e insegnarmi il Dharma. Datemi modo di diventare un Buddha in questa vita!”
Marpa replicò: “Non è colpa mia se ti ritieni tanto malvagio. Non ti ho certo chiesto di accumulare azioni cattive per mio conto! Cosa hai fatto di tanto grave, dunque?”
Mila gli raccontò la sua vita fin nei minimi dettagli; dopodiché, Marpa gli disse con accondiscendenza: “Offrire il proprio corpo, la propria voce e la propria mente è in ogni caso una buona cosa. Quanto al cibo, ai vestiti e al Dharma non potrai avere tutte e tre le cose. Ti sfamerò e ti rivestirò, ma dovrai andare a cercare il Dharma da qualcun altro. Allena la tua mente: se è il Dharma che cerchi, solo la tua perseveranza farà sì che tu ottenga la buddhità in questa vita.”
“Se è così,” rispose Mila, “dal momento che ero venuto qui per il Dharma, cercherò vestiti e provviste altrove!” Egli dunque, accomiatatosi dal maestro, restò un certo tempo a mendicare nell’alto e basso Lhodrak racimolando ventuno misure di orzo. Con quattordici di esse acquistò un vaso di rame a quattro manici, dopodiché mise le restanti sei misure in un sacco e si diresse da Marpa per offrirgli il tutto.
Giunto nuovamente al cospetto del maestro, Mila mise giù le pesanti misure di orzo scuotendo il pavimento della casa. Marpa si alzò: “Piccolo monaco forzuto, stai tentando di seppellirci sotto le macerie di questa casa? Porta il tuo sacco fuori di qui!” disse, dando un calcio al sacco d’orzo, che Mila fu costretto a portar via. Pertanto, Mila dovette limitarsi al gesto, considerato scortese, di fare dono del vaso che aveva acquistato lasciandolo vuoto. Egli dunque non riuscì a conquistarsi la benevolenza del maestro.
Un giorno, Marpa disse al suo aspirante discepolo: “Certa gente di Yamdrok Taklung e Lingpa hanno assalito alcuni discepoli venuti a farmi visita da U e Tsang, rubando tutte le loro provviste e offerte. Fai cadere una tempesta di grandine sulle loro teste e, come ricompensa, ti darò alcuni insegnamenti.”
Quando Mila, avendo fatto ciò che il maestro gli aveva detto, tornò per ricevere quanto era stato promesso, Marpa disse: “Per pochi chicchi di grandine dovrei darti i preziosi insegnamenti che ho faticosamente condotto qui dall’India? Se davvero vuoi da me il Dharma, devi fare un maleficio alla gente delle colline di Lhodrak, che hanno attaccato i miei discepoli di Nyaloro e continuano a trattarmi con assoluto disprezzo. Quando avrò un segno che mi indicherà il buon esito del tuo maleficio, ti darò le istruzioni orali di Naropa che fanno conseguire la buddhità in una sola vita.”
Tempo dopo, essendo apparso il segno del successo del suo maleficio, Mila chiese al maestro il Dharma. “Stai scherzando?” disse il maestro, “per onorare il tuo accumulo di atti negativi dovrei concederti queste istruzioni ancora calde del respiro delle dakini e che ho ricevuto rischiando la vita? Questo è troppo! Prima che ti elimini dalla faccia della terra, restituisci la vita a quelli che hai ucciso e fai riavere alla gente di Yamdrok il loro raccolto! Se mi obbedirai, avrai i miei insegnamenti, altrimenti, sarà meglio che non ti faccia più vedere!”
Mila, colpito da quell’aspro rimprovero, pianse amaramente.
Il giorno dopo, Marpa tornò da lui dicendo: “Sono stato troppo crudele con te, ma non scoraggiarti. Poco alla volta, ti darò quello che chiedi. Sii paziente! Sei un buon operaio, perciò ti chiedo di costruire una casa per mio figlio. Quando avrai finito, ti darò gli insegnamenti e anche vestiti nuovi e cibo.”
Tuttavia Mila, ancora perplesso, gli chiese: “Cosa farò se nel frattempo morrò senza aver ricevuto il Dharma?”
“Non preoccuparti,” rispose Marpa, “mi assumo la responsabilità che ciò non accada. I miei insegnamenti non sono pura vanagloria: dal momento che sei così perseverante, essi ti condurranno davvero alla Buddhità in una sola vita.”
Dopo ulteriori incoraggiamenti, egli costrinse Mila a costruire tre dimore: una circolare ai piedi della collina orientale, un’altra semicircolare ad ovest e infine l’ultima, triangolare, a nord. Ogni volta che Mila stava per terminarne una, il maestro lo rimproverava furiosamente, costringendolo a demolirla e a riportare tutte le pietre necessarie alla sua costruzione nello stesso punto dove le aveva raccolte.
A causa delle sue fatiche, una piaga aperta si produsse sulla schiena di Mila. Egli tuttavia pensò: “Se la mostro al maestro, finirà per scacciarmi. Potrei informarne la moglie, ma rischierei di provocare solo un inutile trambusto.” Piangendo, senza mostrare ad alcuno la sua ferita, egli dunque si limitò a pregare la moglie di Marpa di intercedere presso il maestro affinché gli concedesse i suoi insegnamenti. Quando la moglie lo accontentò, Marpa le disse: “Dai a Mila del buon cibo e conducilo da me.” Finalmente, Mila ricevette dal maestro l’iniziazione e i voti del rifugio. “Questa è solo la base del Dharma,” gli disse. “Per ricevere le straordinarie istruzioni del Mantrayana Segreto dovrai attraversare prove molto dure.” Per dargli un esempio di ciò, Marpa gli narrò le traversie della vita di Naropa. “Sarà difficile per te emularlo,” concluse.
A quelle parole, Mila provò una devozione così intensa da non riuscire a trattenere le lacrime. Infine, con fiera determinazione, fece voto di fare tutto ciò che il maestro gli avrebbe detto.
Pochi giorni dopo, Marpa si mise in cammino prendendo con sé Mila come suo attendente. I due si diressero a sud-est finché, giunti presso una zona situata in una posizione favorevole, Marpa ordinò a Mila: “Costruisci per me una torre quadrata a nove piani con un pinnacolo sulla cima. Non la butterò giù e, quando avrai finito, ti trasmetterò gli insegnamenti e ti darò delle provviste per il tuo ritiro di pratica.”
Mila si mise al lavoro, scavando le fondamenta e iniziando a costruirvi sopra, quando tre fra i discepoli più avanzati del maestro giunsero da quelle parti e, per gioco, fecero rotolare una pietra enorme fino al luogo ove Mila era all’opera; sicché questi la incorporò nelle fondamenta. Mila aveva già terminato i primi due piani quando Marpa, giunto a visitarlo e scorgendo la pietra in questione, gli chiese da dove provenisse. Mila gli raccontò l’accaduto; al che Marpa urlò: “I miei discepoli che praticano lo yoga delle due fasi non sono i tuoi servi! Togli di là quella pietra e rimettila dov’era!” Così, Mila demolì quanto aveva costruito, eliminando la pietra e riportandola nel luogo ove era stata trovata. A quel punto, Marpa gli disse: “Ora, riporta qui quella pietra e rimettila nelle fondamenta.” Cosa che Mila fece.
Proseguendo il suo lavoro, Mila innalzò sette piani quando gli si aprì nel fianco una ferita. Marpa intanto interruppe la sua opera pretendendo che gli costruisse un tempio con una sala a dodici colonne e un santuario sopraelevato.”
Mila pazientemente costruì il tempio, ma durante le ultime fasi dell’opera, un’altra ferita gli comparve sul fondoschiena. Nel frattempo, Metön Tsönpo di Tsangrong e Tsurtön Wangé di Döl giunsero presso Marpa per ricevere, rispettivamente, l’iniziazione di Samvara e quella del Guhyasamaya. In entrambe le occasioni, Mila, ritenendo di averne acquisito il diritto, tentò di prendere parte alle loro riunioni con Marpa, ottenendo tuttavia solo rimproveri e busse dal maestro. La sua schiena era ormai un’unica grande piaga sanguinante piena di pus. Nondimeno, egli proseguì il suo lavoro trascinando dinanzi a sé i secchi di terra da costruzione.
Quando Ngoktön Chödor di Shung si recò da Marpa per ricevere l’iniziazione di Hevajra, la moglie del maestro donò a Mila un grande turchese tratto dal suo tesoro personale. Mila pensava di poter usare la pietra come offerta per la cerimonia di iniziazione. Tuttavia, come le volte precedenti, Marpa lo scacciò via picchiandolo. Quest’ultimo episodio convinse Mila che non ci fossero più speranze per lui: egli non avrebbe mai ricevuto alcun insegnamento da Marpa, perciò si allontanò da quel luogo vagando senza una meta precisa. Una famiglia di Lhodrak Khok lo assunse per leggere loro La trascendente saggezza in ottocento versi. Durante la lettura, giunto alla narrazione delle vicende di Sadaprarudita, pensò che per trovare il Dharma egli avrebbe dovuto accettare qualunque prova pregando il maestro di ordinargli ciò che doveva fare. Egli perciò ritornò da Marpa, il quale, come benvenuto, lo riempì delle consuete busse e rimproveri. Mila si disperò a tal punto che la moglie del maestro, mossa a pietà, lo spedì presso Lama Ngokpa, il quale gli diede alcuni insegnamenti. Tuttavia, mancando il consenso di Marpa, durante le meditazioni, Mila non ottenne alcun beneficio. In seguito Marpa richiamò a sé Mila assieme a Lama Ngokpa e, durante una celebrazione delle offerte, rimproverò aspramente il Lama e altri discepoli giungendo quasi al punto di picchiarli.
Mila allora pensò tra sé: “Col mio karma malvagio, non solo attiro su di me le sofferenze causate dai miei errori passati e dalle mie oscurità, ma causo problemi anche a Lama Ngokpa e alla moglie del mio maestro. Non faccio altro che accumulare azioni cattive senza ottenere alcun insegnamento. Tutto ciò che devo fare è uccidermi.” Egli dunque si preparò al suicidio, mente Lama Ngokpa tentava di fermarlo. Marpa, a quella vista, si calmò e convocò entrambi alla sua presenza. Infine egli accettò Mila come discepolo col nome di Mila Dorje Gyaltsen (“Mila Bandiera Adamantina della Vittoria”) e gli elargì numerose istruzioni preziose.
Trasmettendo a Mila l’iniziazione di Samara, Marpa fece apparire il mandala delle sue sessantadue divinità. In seguito, egli destinò a Mila il nome segreto di Shepa Dorje (“Risata Adamantina”) conferendogli tutte le iniziazioni e gli insegnamenti come un vaso che versa il suo contenuto in un altro. Mila praticò per tutta la vita nelle condizioni più avverse ed ottenne infine le realizzazioni ordinarie e quelle supreme.
Le storie che abbiamo narrato mostrano il modo in cui i pandita, i siddha e i vidyadhara del passato, affiancandosi ad un autentico maestro, conseguirono le stesse realizzazioni del loro amico spirituale semplicemente esaudendo tutti i suoi desideri.
Seguire con mente insincera e con motivazioni impure un maestro autentico è un grave errore. Al contrario, non scandalizzarsi per la sua condotta apparentemente incomprensibile ed evitare di mentirgli sono atti altamente meritevoli.
Una volta, il discepolo di un grande siddha impartiva il Dharma ad una folla di seguaci, quando il suo maestro apparve vestito come un mendicante. Imbarazzato dall’aspetto repellente del maestro, il discepolo finse di non vederlo, finché, giunta la sera, quando la folla di seguaci si disperse, si presentò a lui inchinandosi.
“Perché non ti sei prostrato prima?” gli chiese il maestro.
“Non vi avevo visto!” Mentì il discepolo.
Immediatamente, i suoi occhi caddero a terra ed egli si affrettò ad implorare il suo maestro rivelandogli la verità. Dopo di ciò, il maestro gli restituì la vista.
Una storia analoga è quella del mahasiddha indiano Krisnacarya. Un giorno, mentre egli navigava sul mare in compagnia di molti discepoli, un pensiero gli sorse nella mente: “Il mio maestro è un grande siddha. Tuttavia, dal punto di vista mondano, lo supero di gran lunga, essendo più ricco e onorato di lui.” All’improvviso, l’imbarcazione affondò nell’oceano ed egli, annaspando nell’acqua, supplicò il suo maestro che comparve portandolo in salvo. “Questa è la ricompensa per la tua grande arroganza,” gli disse il maestro. “Avevo anch’io una volta beni e onori, ma ho deciso poi di liberarmene.”
Una quantità inconcepibile di Buddha sono giunti su questa terra, ma la loro compassione non è stata sufficiente a salvarci. Pertanto, siamo ancora preda delle sofferenze del samsara.
Dai tempi più remoti, innumerevoli maestri hanno insegnato il Dharma, ma non abbiamo avuto la fortuna di incontrarli e godere delle loro compassionevoli cure.
Oggi gli insegnamenti del Buddha si avviano alla loro dissoluzione, mentre le cinque degenerazioni sono sempre più evidenti. (Le cinque degenerazioni sono: riduzione della lunghezza della vita, aumento delle emozioni negative, difficoltà a redimere gli esseri, crescenti disordini materiali e avversità, diffusione di visioni errate.) Nonostante abbiamo ottenuto questa preziosa vita umana, siamo del tutto soggetti alle conseguenze delle nostre azioni negative e non abbiamo le idee chiare su ciò che va fatto e ciò che va evitato. Vaghiamo alla ricerca di qualcosa come un cieco in una pianura vuota. Per questo motivo, l’amico spirituale, il maestro eccellente, si prende cura di noi con compassione infinita apparendo in forma umana. Per quanto sia un Buddha realizzato, egli agisce adeguandosi alla nostra imperfetta natura. Con le sue indiscutibili qualità egli ci accetta come discepoli e abilmente ci introduce nel supremo e autentico Dharma, rendendoci edotti su ciò che ci sostiene e ciò che ci danneggia e indicandoci in modo infallibile la via verso la liberazione e l’onniscienza.
Davvero egli non è diverso dal Buddha in persona, tuttavia la sua gentilezza nel prestarci soccorso è per noi superiore a quella di ogni altro essere realizzato. Cerchiamo dunque di seguirlo nel modo migliore con i tre tipi di fede. (Descritti nella seconda parte del testo, i tre tipi di fede sono: 1 fede vivida, che si genera dalla nostra ammirazione per un maestro o una rappresentazione del Dharma; 2 fede appassionata, nata dal nostro entusiasmo verso le qualità e le realizzazioni che si ottengono seguendo il Dharma e dal desiderio di conseguirle; 3 fede profonda, derivante dalla conoscenza del senso reale delle verità del Dharma.)
Ho incontrato un maestro eccellente,
Ma non ho abbandonato le mie visioni errate.
Ho intrapreso il giusto sentiero,
Ma ancora mi attardo nelle vie traverse.
Benedici tutti coloro che, come me, hanno tendenze tanto scellerate,
Affinché le nostre menti si sottomettano al Dharma.
Prima edizione tibetana: Gangtok 1974. Prima edizione occidentale: The Words of My Perfect Teacher, San Francisco 1996. Traduzione di Cristoforo Andreoli, © 2006. Fonte che si ringrazia per la sua gentilezza www.realizzazione.it, http://www.realizzazione.it/perfettomaestro/IstruzioniOrali.pdf