3 Patrul Rinpoche: Le Istruzioni Orali del Mio Perfetto Maestro.
Una guida ai preliminari del Longchen Nyingthig dello Dzogchen.
Titolo originale: Kun bzang lama’i zhal lung (Dzog pa chenpo longchen nyingthig gi nongdro’i khird yig kun bzang lama’i zhal lung); Insegnamenti orali del maestro Samantabhadra sulle pratiche preliminari Dzogchen della serie “Essenza del cuore della vasta estensione”.
Cinque vantaggi legati alle circostanze, le otto circostanze furtive che annullano la libertà di praticare il dharma. le otto tendenze incompatibili che annullano la libertà di praticare il dharma. capitolo secondo, l’impermanenza della vita, l’impermanenza dell’universo esteriore in cui vivono tutti gli esseri, l’impermanenza degli esseri che abitano l’universo, altri esempi di impermanenza
CINQUE VANTAGGI LEGATI ALLE CIRCOSTANZE
Un Buddha è apparso e ha predicato il Dharma,
I suoi insegnamenti sono ancora accessibili e possono essere appresi,
Laddove vi sono uomini che hanno buon cuore per i propri simili.
Diversamente da chi è nato in un kalpa oscuro, noi viviamo in un’epoca in cui Buddha si è manifestato. Il nostro vantaggio è perciò il poter godere della presenza di uno specifico maestro.
Dal momento che il Buddha non solo è apparso, ma ha anche fatto girare la Ruota del Dharma secondo tre livelli di insegnamento, noi possediamo anche il vantaggio di aver ricevuto l’insegnamento del Dharma.
L’estinzione o la perdita di codeste istruzioni le renderebbe del tutto inefficaci. Il fatto dunque di vivere in un’epoca in cui ciò non è ancora accaduto, ci favorisce col vantaggio del tempo.
Nel caso che l’insegnamento esista, è anche necessario che qualcuno lo recepisca e lo metta in pratica. La nostra decisione di aver intrapreso questo sentiero ci sostiene perciò col vantaggio della nostra buona sorte.
L’intenzione personale di avvicinarci al Dharma deve tuttavia coesistere con la circostanza di essere accettati da un maestro, senza il quale non verremo mai edotti sulla reale natura delle istruzioni spirituali. Questa circostanza ci fornisce il vantaggio della straordinaria compassione.
I cinque fattori appena citati, che cooperano e si armonizzano con i vantaggi soggettivi visti in precedenza, sono chiamati i cinque vantaggi legati alle circostanze.
Se la nostra vita possiede le otto condizioni di libertà e i dieci vantaggi, essa è ciò che si chiama “vita umana dotata di diciotto libertà e vantaggi.” Tuttavia, Longchenpa, l’Onnisciente Re del Dharma, aggiunge ad esse sedici ulteriori condizioni che ostacolano qualunque realizzazione ottenibile con la pratica del Dharma. Esse comprendono otto circostanze furtive (ossia, che irrompono nella mente senza preavviso) e otto tendenze incompatibili nelle quali è importante non ricadere. Egli dice, infatti:
Inquietudini derivanti dalle otto apprensioni,1 stupidità,
predominio di cattive influenze,
Pigrizia, l’essere sommersi dagli effetti delle azioni malvagie del passato,
Assoggettarsi agli altri, cercare una scappatoia dalle difficoltà,
tenere condotte ipocrite:
Queste sono le otto circostanze furtive che annullano la nostra libertà.
Essere vincolati a qualcuno, depravarsi in modo evidente,
Mantenere un certo apprezzamento per il samsara,
essere del tutto privi di fede,
Provare piacere nelle azioni negative,
non avere alcun interesse per il Dharma,
Essere disattenti nel mantenere i voti e il samaya:
Queste sono le otto tendenze incompatibili che annullano la nostra libertà.
1 Le otto comuni apprensioni che ci assalgono nella vita: piacere e dolore, guadagni e perdite, elogi e critiche, gloria e infamia.
Le otto circostanze furtive che annullano la libertà di praticare il Dharma.
Chi si trova sotto il forte influsso dei cinque veleni, ossia di emozioni negative quali l’astio per i nemici o la passione incondizionata per gli amici e i parenti, di tanto in tanto vorrebbe praticare il vero Dharma, ma la sua mente, dominata per la maggior parte del tempo da questi veleni, è ostacolata nella pratica corretta degli insegnamenti.
Gli esseri completamente ottusi, sprovvisti della minima scintilla di intelligenza, possono accostarsi al Dharma, ma non essendo in grado di capire il senso di una sola parola di esso, sono del tutto incapaci di studiarlo e meditarlo.
I falsi amici spirituali insegnano punti di vista e pratiche distorte. La mente di chi si fa loro discepolo viene in tal modo introdotta in un sentiero errato fino a trovarsi in totale disaccordo col vero Dharma.
Coloro che, pur essendo desiderosi di apprendere il Dharma, sono troppo pigri e non possiedono alcuna traccia di diligenza, irretiti dalla loro stessa indolenza e indecisione non realizzeranno nulla.
L’influsso delle azioni negative è tale che, nonostante gli sforzi per accostarsi al Dharma, coloro che le hanno commesse non riescono a sviluppare le buone qualità che scaturiscono dalla sua pratica. Le conseguenze delle cattive azioni li sopraffanno senza che essi se ne avvedano, ma anzi, facendo sì che essi ne attribuiscano la causa all’inefficacia degli insegnamenti, pregiudicando la fiducia in essi.
Coloro che sono soggiogati a qualcuno ed hanno perso la loro autonomia, pur volendo praticare il Dharma ne sono impediti dai loro dominatori.
Alcuni si accostano al Dharma per evitare ciò che temono possa accadere nella loro vita attuale: scarsità di cibo o vestiti ed altre disgrazie. La loro insufficiente fiducia nei confronti degli insegnamenti fa sì che essi, pur abbandonando le loro vecchie abitudini, si applichino a qualcosa che non è il vero Dharma.
Altri infine agiscono da impostori simulando le pratiche del Dharma per ottenere beni, comodità e prestigio. Pur essendo considerati dei praticanti, costoro sono solo interessati ai benefici che si possono ottenere in questa vita. Pertanto essi sono molto distanti dal sentiero della liberazione.
Le otto circostanze appena elencate, qualora si presentino, rendono impossibile continuare la pratica del Dharma.
Le otto tendenze incompatibili che annullano la libertà di praticare il Dharma
Coloro che sono troppo legati ai propri interessi mondani, quali la salute, i piaceri, i figli, i parenti, applicano tutti gli sforzi possibili per queste cose e non hanno il tempo di praticare il Dharma.
Vi sono persone sprovviste di umanità la cui natura è così depravata da non riuscire a migliorare in alcun modo la loro condotta. Persino un autentico maestro spirituale avrebbe serie difficoltà ad indirizzarli verso il giusto sentiero. A tale proposito, un essere sublime del passato disse: “Le abilità di un discepolo possono essere modellate, ma non il suo carattere.”
Chi non prova il minimo sconforto a sentir parlare dei regni inferiori e delle avversità del samsara, né è afflitto dai disagi della sua vita attuale, non ha alcuna determinazione a liberare se stesso dalla presente condizione, perciò non trova alcun motivo di intraprendere le pratiche del Dharma.
La totale assenza di fede nel vero Dharma e nel maestro impedisce ogni accesso alle virtù dell’insegnamento sbarrando la porta alla liberazione.
Provare piacere nelle azioni negative o dannose e non essere capaci di controllare i pensieri, le parole e il comportamento vuol dire essere privi di ogni nobile qualità avendo voltato le spalle al Dharma.
Non essere in alcun modo interessati ai valori spirituali del Dharma, come un cane non è attratto dall’erba, fa sì che non si provi alcun entusiasmo per esso e che, di conseguenza, la propria mente non ne sviluppi le qualità.
Chiunque sia entrato nel Veicolo della Base (O “Veicolo delle Caratteristiche”. Tale veicolo comprende ciò che viene di solito chiamato “Buddismo Hinayana e Mahayana” e segue gli insegnamenti elargiti dal Buddha durante la sua vita terrena.) e abbia rotto i voti e gli impegni del samaya verso i maestri, i fratelli e le sorelle spirituali, non rinascerà se non nei reami inferiori, dove non vi è più alcuna opportunità di praticare il Dharma.
Chiunque sia entrato nel Veicolo del Mantra Segreto (Detto anche Vajrayana, Mantrayana, Veicolo Adamantino, Buddismo tantrico, sviluppa gli insegnamenti trasmessi da manifestazioni del Buddha non nel corpo fisico, ma nel sambhogakaya.) ed abbia rotto gli impegni del samaya verso il maestro, i fratelli e le sorelle spirituali sarà la causa della rovina propria e di questi ultimi, distruggendo ogni prospettiva di realizzazione.
Le otto tendenze appena elencate conducono fuori dal Dharma e smorzano la lampada della liberazione.
Si cerchino attentamente dentro di sé le tracce di questi sedici fattori che ostacolano la pratica corretta. Solo allora, dopo averle individuate e rimosse, coloro che vivono in quest’era di decadenza potranno considerare le opportunità conferite dalle otto condizioni di libertà e dai dieci vantaggi e ritenersi qualificati per diventare autentici seguaci del Dharma. Infatti, né il re sul suo trono, né il lama al riparo del suo parasole, né l’eremita sulla montagna solitaria, né l’uomo che ha rinunciato al proprio stato, nessuno insomma che abbia un’alta opinione del proprio valore può in realtà ritenersi un praticante del Dharma se è ancora soggetto alle sedici condizioni limitanti di cui abbiamo parlato.
Prima di accostarsi ciecamente al Dharma, è necessario esaminare con cura la propria vita cercando di individuare la presenza di tutti gli aspetti legati alle libertà e ai vantaggi. Se tale indagine ha un esito positivo, si gioisca e si rifletta più volte su questa fortunata condizione, ricordando a se stessi la necessità di non sprecare simili requisiti così difficili da ottenere. Si decida pertanto di praticare davvero, qualunque cosa accada. E se qualcuno di tali fattori sembra a volte perduto, si cerchi di riottenerlo con ogni mezzo possibile.
L’esame di se stessi volto a confermare la presenza o meno di tutte le qualificazioni necessarie per la pratica deve essere condotto per tutta la vita, pena l’impossibilità di continuare a esercitare il Dharma in modo adeguato. Dopo tutto, anche l’esecuzione dei compiti più comuni della nostra ordinaria esistenza richiede una certa quantità di presupposti e condizioni materiali. Nessuna meraviglia dunque che la realizzazione dello scopo più elevato, ossia il Dharma, richieda la compresenza dei fattori citati prima.
Esaminando con attenzione la propria mente, vedremo quanto sia difficile ottenere le condizioni favorevoli definite dalle otto libertà e dai dieci vantaggi. Soprattutto questi ultimi, rispetto agli otto fattori, sembrano ancora più rari se si considera, ad esempio, che non tutti coloro che nascono in forma umana, con tutte le facoltà intatte e in un luogo in cui il Dharma è ben conosciuto possiedono uno stile di vita adeguato e una fede autentica nel Buddha. Molti esseri umani possiedono in realtà solo tre dei cinque vantaggi soggettivi. Condurre una vita che non sia del tutto in conflitto col Dharma è in effetti molto difficile, dal momento che ogni pensiero, discorso o comportamento potrebbe creare nuovi attaccamenti a questa vita mondana anche in chi appare moralmente e intellettualmente irreprensibile.
Per quanto riguarda poi i cinque vantaggi legati alle circostanze, non è detto che la manifestazione di un Buddha, il suo insegnamento e la salvaguardia di esso nel tempo assicurino l’avvicinamento di tutti gli uomini al Dharma. Di fatto, molte persone che se ne tengono ben lontani conducono la loro vita godendo di soli tre dei cinque vantaggi. Accostarsi al Dharma in realtà implica che dopo aver richiesto un insegnamento e lo si abbia ricevuto, si giunga al genuino convincimento che l’intero samsara non ha un valore in sé stesso se non quello di fornire un supporto per il suo superamento. Il sentiero del Buddismo Mahayana implica la generazione dentro di sé dell’autentico bodhicitta; e il requisito minimo per ottenerlo è una fede incrollabile nei Tre Preziosi Gioielli, ai quali non si deve rinunciare a costo della vita. Senza di essa, la recita di preghiere e l’indossare tuniche gialle non provano in alcun modo che si è praticanti del Dharma.
Assicuriamoci dunque di poter identificare con precisione ciascuno dei fattori legati alle libertà e ai vantaggi e di riuscire a rintracciarli in noi stessi. Ciò è di importanza cruciale.
La nostra attuale vita umana dotata di tutte le libertà e i vantaggi è il risultato dei meriti accumulati in passato. Trascurare la cosa essenziale, ossia il Dharma, e trascorrere la vita al solo scopo di procacciarsi cibo e indumenti lasciandosi distrarre dalle otto preoccupazioni ordinarie è uno spreco superfluo. Quanto è inutile attendere il momento della morte per battersi il petto in preda al rimorso! Le nostre scelte sbagliate non ci saranno di alcun aiuto, com’è detto nella Via del Bodhisattva:
Avendo ottenuto le libertà della vita umana,
se fallissi nel cimentarmi con la virtù,
Che immensa follia sarebbe?
Potrei mai perdonarmi per questo?
La nostra vita attuale è dunque il luogo cruciale dove poter scegliere tra abbandonare il male o tralasciare il bene. Se non usiamo correttamente le nostre opportunità per guadagnarci in questa vita una dimora nella natura assoluta, sarà molto difficile in futuro riottenere una simile libertà. Rinati in uno dei reami inferiori, non avremo più alcun contatto col Dharma e, troppo confusi per decidere le cose giuste da fare, cadremo sempre più in basso.
Diciamo dunque a noi stessi che è giunto il momento di fare uno sforzo, mentre meditiamo più volte su questi argomenti applicando i tre metodi supremi. Iniziamo cioè a generare il pensiero del bodhicitta, eseguiamo poi la pratica principale senza lasciarci distrarre dai pensieri e alla fine, dedichiamo i meriti.
Per avere la misura di quanto il meditare su queste cose ci possa aver trasformato, si consideri il dialogo in cui Geshe Chengawa, che praticò tutta la vita senza dormire, fu interpellato da Geshe Tönpa, in questo modo: “Ora sarà meglio riposare, figlio mio, altrimenti ti ammalerai.”
“È vero, potrei ammalarmi,” replicò Chengawa. “Ma se penso a quanto sia difficile ottenere le libertà e i vantaggi che possiedo, mi sembra che non vi sia il tempo per riposare.” Così, senza mai prendere sonno, egli per l’intera vita recitò novecento milioni di mantra di Miyowa. A questo punto, meditiamo fino a generare dentro di noi una convinzione analoga.
Benché abbia ottenuto queste libertà,
non so nulla del Dharma, che ne costituisce l’essenza.
Benché mi sia accostato al Dharma,
ho sprecato la vita in una quantità di altre cose.
Benedici me e tutti i miei simili
Affinché possiamo realizzare
la vera essenza delle libertà e dei vantaggi.
CAPITOLO SECONDO
L’impermanenza della vita
Considerando questo triplice universo come una effimera illusione,
Hai gettato via le preoccupazioni mondane come uno sputo nella polvere. Accettando le avversità, hai seguito le orme degli antichi maestri.
Impareggiabile guida, ai tuoi piedi mi prostro.
Nel capitolo precedente abbiamo illustrato il modo adeguato di ricevere gli insegnamenti. Ora trattiamo invece l’insegnamento vero e proprio iniziando dalle sette meditazioni, che riguardano i seguenti argomenti: l’impermanenza dell’universo esteriore in cui vivono tutti gli esseri, l’impermanenza degli esseri stessi, l’impermanenza degli esseri venerabili, l’impermanenza di coloro che sono in posizione di preminenza, altri esempi di impermanenza, l’incertezza sulle circostanze che ci porteranno alla morte e infine l’impermanenza come intensa consapevolezza.
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L’IMPERMANENZA DELL’UNIVERSO ESTERIORE IN CUI VIVONO TUTTI GLI ESSERI
Il nostro universo, questo ambiente esteriore forgiato dal buon karma degli esseri nel loro insieme, con la sua solida struttura che oltrepassa i quattro continenti, il Monte Meru e i reami celesti, è destinato a durare un intero kalpa. Nondimeno, esso è impermanente e non sfuggirà al momento in cui esso sarà distrutto da sette fasi di fuoco e una di acqua.
Quando il grande kalpa attuale si avvicinerà alla sua distruzione, i reami situati al di sotto di quello degli dei e del primo stadio meditativo, spariranno uno dopo l’altro assieme agli esseri che li contengono finché non sopravviverà più nessuno.
Dopo di ciò, sette soli sorgeranno nel cielo. Il primo brucerà tutte le foreste e gli alberi da frutto. Il secondo farà evaporare l’acqua delle fonti, dei ruscelli e dei laghi; il terzo disseccherà i fiumi; il quarto, tutti i grandi laghi, compreso quello di Manasarovar. Quando apparirà il quinto sole, anche l’oceano si seccherà, dapprima fino ad una profondità di cento leghe, poi di duecento, di settecento, di mille, di diecimila e infine di diciottomila leghe. L’acqua rimanente si ridurrà fino a non restarne abbastanza da riempire un’impronta di piede. Nel tempo in cui sei soli arderanno contemporaneamente nel cielo, la terra e tutti i monti innevati saranno consumati dalle fiamme. Quando infine il settimo sole sorgerà, esso brucerà il Monte Meru assieme ai quattro continenti, agli otto sub-continenti, alle sette montagne dorate e al massiccio circolare che delimita il margine del mondo. Tutto sarà ridotto ad una sola massa infuocata che, bruciando al di sotto, consumerà tutti i reami inferiori, mentre in alto inghiottirà il palazzo di Brahma, già deserto da tempo. Al di sopra di esso, le giovani divinità del reame della Chiara Luce grideranno terrorizzati “Che immensa conflagrazione!”, ma verranno rassicurati dalle divinità più antiche, che diranno loro: “Non abbiate paura! Come è già successo in passato, una volta raggiunto il mondo di Brahma, tutto ciò finirà.” Tuttavia, dopo le distruzioni per mezzo del fuoco, le nubi si formeranno anche nel regno degli dei del secondo stato meditativo, nel quale avrà luogo una pioggia torrenziale che scaverà un abisso dove tutto, compresi gli dei della Chiara Luce, si disintegreranno come sale che si scioglie nell’acqua.
Dopo questa settima devastazione, il vajra incrociato fatto d’aria che è alla base dell’universo si manifesterà; al che tutti gli stati di esistenza, compreso quello degli dei del terzo stato meditativo, saranno spazzati via come polvere al vento.
Riflettiamo dunque sinceramente e profondamente sul fatto che, se tutti gli universi che compongono il cosmo, ognuno dotato del proprio Monte Meru, dei quattro continenti e dei cieli, possono essere distrutti simultaneamente e con tanta facilità, come potrebbe il nostro corpo, che è come una foglia spazzata via dal vento autunnale, avere qualche tipo di permanenza o stabilità?
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L’IMPERMANENZA DEGLI ESSERI CHE ABITANO L’UNIVERSO
Dall’alto del più puro dei cieli fino al più basso degli stati infernali, non vi è un solo essere che possa scampare alla morte. La Lettera della consolazione afferma:
Qualcuno ha mai visto, sulla terra o nel cielo,
Un essere venuto al mondo senza un destino mortale?
O ha mai saputo che qualcosa di simile sia mai accaduto?
O abbia mai sospettato che ciò possa mai accadere?
Tutto ciò che viene al mondo è destinato a morire. Nessuno ha mai visto o sentito dire che qualche essere appartenente ad uno qualsiasi dei regni di esistenza, compreso quelli divini, sia mai nato con la facoltà di non morire. In effetti nessuno di noi si chiederebbe mai se questa o quella persona morirà o meno. La morte infatti è una certezza, specialmente per chi, come noi, è nato nella parte finale di un’era e in una dimensione dell’esistenza in cui la lunghezza della vita è particolarmente incerta e breve. Fin dal momento della nascita, la morte inizia ad avvicinarsi sempre più, mentre la vita non può che accorciarsi di ora in ora. Il procedere inesorabile della morte non conosce soste o rallentamenti, proprio come l’ombra di una montagna al tramonto.
Possiamo forse sapere con certezza quando e dove morremo? Non potrebbe essere stanotte o domani? Siamo proprio certi che non morremo proprio ora, fra questo respiro e l’altro? Come è riferito ne La raccolta dei detti ponderati:
Chi può essere certo di vivere fino a domani?
È oggi che bisogna prepararsi,
Poiché le legioni della Morte
Non sono dalla nostra parte.
Lo stesso Nagarjuna ha inoltre affermato:
Come un barlume in un turbine di mille montagne,
Più fragili di una bolla in un ruscello.
Nel sonno, ogni respiro se ne va senza fare più ritorno;
Che sorpresa essere ancora vivi al risveglio!
Respirando quietamente, l’uomo si gode il meritato riposo nel sonno. Tuttavia, fra un respiro e l’altro non vi è garanzia che la vita resti ancora in lui. Risvegliarsi in buona salute è un evento che merita di essere considerato un miracolo, più che una certezza. Benché sappiamo di dover prima o poi morire, la nostra attitudine nei confronti della vita non è influenzata da questo pensiero. Così trascorriamo tutto il tempo a preoccuparci del nostro sostentamento futuro, come se dovessimo vivere per sempre in questa forma. Siamo completamente immersi negli sforzi compiuti per il nostro benessere, la nostra felicità e la nostra posizione sociale; finché all’improvviso la Morte, brandendo il suo cappio e mostrando le sue zanne in un ghigno feroce, ci si para davanti. In quel momento, né la legge, né gli eserciti, né il potere del denaro, né la saggezza del filosofo, né il fascino della bellezza, né la forza dell’atleta, niente e nessuno potrà soccorrerci. Possiamo proteggerci con una armatura metallica, guardati a vista da centinaia di migliaia di uomini forti armati di lance e frecce appuntite, ma questo non ci nasconderà e difenderà più di quanto possa farlo un sottile capello. Una volta che il Signore della Morte avrà fatto passare il suo cappio tenebroso attorno al nostro collo, il viso impallidirà, gli occhi saranno bagnati di lacrime, la testa e le gambe cederanno e saremo trascinati a forza nel sentiero che ci condurrà alla nostra prossima esistenza.
La Morte non può essere sconfitta da alcun guerriero, né venire dissuasa dal potere umano o corrotta dal denaro. Ad essa non si può sfuggire in nessun luogo, né ci possiamo celare ad essa o trovare un rifugio, una difesa o una guida che ci consentano di evitarla. La Morte resiste ad ogni ricorso alla pietà o all’abilità umana. Una volta conclusosi il suo ciclo vitale, neanche il Buddha della Medicina fu in grado di ritardare la propria morte.
Riflettiamo e meditiamo con onestà sull’importanza del momento presente, senza cadere nella pigrizia e nell’abitudine a rimandare, praticando la sola cosa che ci sarà di aiuto al momento della morte, ossia il vero Dharma.
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ALTRI ESEMPI DI IMPERMANENZA
Per meditare sull’impermanenza, si consideri il ciclo di crescita e declino che ha luogo durante un kalpa. Molto tempo fa, all’inizio del kalpa attuale, non vi erano in cielo né luna né sole e tutti gli esseri umani, rischiarati dalla loro intrinseca luminosità, potevano muoversi miracolosamente attraverso lo spazio. Essi erano alti diverse leghe e, nutrendosi di nettare divino, godevano di una felicità e un benessere perfetti, simili a quelli degli dei. Tuttavia, l’influenza delle emozioni perturbatrici e delle azioni negative portò l’umanità verso una degenerazione progressiva, fino allo stato attuale. Nel tempo presente, divenendo le nostre emozioni sempre più grossolane, la vita umana e la buona fortuna non cessano di declinare. Tale processo continuerà finché la vita umana non durerà più di un decennio.
Molti esseri che attualmente vivono sulla terra sono destinati a scomparire a causa di guerre, carestie e pestilenze; finché una emanazione del Buddha Maitreya predicherà ai sopravvissuti l’astinenza dall’atto di uccidere. In quel tempo, l’altezza media di un uomo non supererà il cubito. Da quel momento, la durata media della vita raggiungerà i venti anni e continuerà ad aumentare fino a raggiungere gli ottocento anni. A quel punto, il Signore Maitreya apparirà in persona diventando un Buddha e facendo girare nuovamente la Ruota del Dharma. Dopo diciotto di questi cicli di crescita e declino, la vita umana durerà un numero incalcolabile di anni e il Buddha dell’Infinita Aspirazione si manifesterà vivendo lo stesso numero di anni di tutti i mille Buddha del Buon Kalpa messi insieme. Anche le sue opere a beneficio dell’umanità uguaglieranno quelle dei Buddha appena citati; ma dopo di ciò questo kalpa, come tutti gli altri, si avvierà alla distruzione.
Esaminando tali cambiamenti, si può notare che gli eventi, anche considerati su una scala temporale così vasta, non si sottraggono affatto all’impermanenza.
L’osservazione dell’alternarsi delle stagioni è un altro modo di meditare sull’impermanenza. D’estate i prati sono verdeggianti e traboccano del nettare dei fiori mentre tutti gli esseri viventi si crogiolano in un caldo e piacevole appagamento. Una innumerevole varietà di infiorescenze sbocciano rendendo il paesaggio simile ad un paradiso bianco, rosso, blu e dorato finché le brezze autunnali ne modificano il colore facendo appassire fiori e frutti. Presto subentra l’inverno, che rende la terra dura e secca come una roccia. I fiumi e gli stagni gelano mentre i venti glaciali spazzano il suolo sul quale, anche camminando per giorni, non ritroverete nemmeno uno dei fiori sbocciati d’estate. Così le stagioni si alternano, ognuna diversa dall’altra, ma tutte ugualmente effimere.
Allo stesso modo, l’ieri e l’oggi, questo giorno e la notte che seguirà, l’anno appena trascorso e quello venturo, tutto scorre senza sosta. Niente perdura e nulla è affidabile nella sua apparente stabilità.
Si guardi il villaggio, il monastero o qualunque altro ambiente entro cui trascorriamo la nostra vita. Persone che non molto tempo fa sembravano ricche e benestanti ora sono prossime alla rovina. Altri invece, poveri e senza mezzi, ora parlano con autorità e godono di salute e potere. Nulla resta uguale e persino nella nostra famiglia generazioni di genitori, nonni, bisnonni e trisavoli si sono succedute una dopo l’altra ed ora per noi sono solo un elenco di nomi senza vita. Quando il loro tempo è venuto, molti fratelli, sorelle e parenti a vario titolo sono morti ed ora nessuno sa dove essi continuano la loro esistenza. Del popolo forte e invincibile che un secolo fa dominava tutta la terra ora si ricorda appena il nome. Chi può sapere se la fama e il benessere che fanno l’invidia del popolo minuto non cesseranno nel giro di un anno o forse di un mese? Degli animali domestici che ci circondano – cani, pecore, capre -, quanti di essi sono già morti e quanti sono ancora in vita? Nel considerare queste cose, non si può non ravvisare che tutto si modifica senza sosta. Di tutti coloro che sono nati un secolo fa neppure uno è scampato alla morte; così come di tutti noi che viviamo in questo momento, fra cento anni neanche uno resterà in vita.
In tutto l’universo non vi è nulla, vivente o no, che resti stabile e permanente.
Tutto ciò che è nato è impermanente e destinato a morire.
Tutto ciò che è stato accumulato è impermanente e destinato a disperdersi.
Tutto ciò che è tenuto insieme è impermanente e andrà a pezzi.
Tutto ciò che è stato costruito è impermanente e crollerà.
Tutto ciò che si eleva è impermanente e cadrà in basso.
Così, l’amicizia e la contesa, la fortuna e l’afflizione, il bene e il male,
i pensieri che scorrono nella mente: tutto è in perenne cambiamento.
Potremmo essere sublimi come i regni celesti, possenti come il tuono, preziosi come un naga, splendidi come un dio, incantevoli come l’arcobaleno; non importa chi e cosa siamo: quando la morte sopraggiungerà, le nostre qualità non la ritarderanno neanche un istante. Non avremo altra scelta che seguirla, nudi e freddi, con le mani vuote serrate sotto le ascelle. Allora, ci sarà insopportabile il pensiero di doverci separare dal nostro denaro, dalle cose amate, dagli amici, dagli amanti, dagli attendenti, dai discepoli, dalla patria, dai possedimenti, dai sudditi, dalle proprietà, dal cibo, dalle bevande e dal benessere. Estraniati da tutto, lasciamo sulla terra uno spazio vuoto, come l’orma di un pelo che è stato rimosso da una fetta di burro. Se fossimo un lama a capo di migliaia di monaci, nessuno di questi ultimi potrebbe accompagnarci. Se governassimo sopra decine di migliaia di sudditi, neanche uno di essi potrebbe diventare nostro servitore. Di tutto il benessere di questo mondo non porteremo con noi neanche un capello.
Il nostro amato corpo dovremo lasciarcelo alle spalle. Questo stesso corpo che era avviluppato in sete e broccati, che riempivamo di tè e birra e che un tempo aveva l’aspetto gradevole di un dio, è ora un cadavere che se ne sta disteso orribilmente livido, pesante e sfigurato. Come affermò Jetsun Mila:
Quella cosa che chiamiamo cadavere,
così terribile a guardarsi,
è presente proprio qui ed ora: è il nostro corpo.
Il nostro corpo viene allora legato saldamente con una corda e coperto con un telo prima di essere deposto fra la terra e le rocce. La ciotola che ci apparteneva viene rovesciata e posta al nostro capezzale; mentre, nonostante la stima e l’amore che ci circondava in vita, orrore e nausea ora si diffondono fra i presenti. Chi è vivo, una volta distesosi per dormire su morbide pelli, non resiste a lungo nella medesima posizione e deve spostarsi di continuo. Una volta morti invece, non ci importa di giacere per sempre con la guancia su una pietra o un ciuffo d’erba ed i capelli coperti di terra.
Qualcuno che è a capo di una grande famiglia o una tribù potrebbe preoccuparsi per la sorte dei suoi protetti. “Essi, quando non sarò più qui, potrebbero morire di freddo o di fame, oppure venire uccisi dai nemici o affogare in un fiume! Il loro benessere, la loro agiatezza e prosperità non dipendono forse da me?” La verità invece è che costoro proveranno un certo sollievo ad occuparsi della eliminazione del nostro putrido corpo, il quale verrà cremato o gettato in un fiume, oppure sarà deposto in un cimitero.
Chi muore non ha altra scelta che vagare tutto solo nello stato intermedio senza che alcuno lo accompagni. In quella circostanza, l’unico rifugio sarà il Dharma; perciò è bene ripetere a se stessi che da adesso in poi faremo lo sforzo di portare a termine almeno una pratica dell’autentico Dharma.
Tutto ciò che viene accumulato è destinato a disperdersi nuovamente. Un re può governare il mondo intero e poi terminare la sua vita come uno straccione vagabondo. Molti iniziano la loro vita circondati dal benessere e poi la terminano nella carestia perdendo tutte le loro ricchezze. I proprietari di molti greggi un giorno potrebbero essere ridotti a mendicare, rovinati dalle epidemie o dalle avversità del clima. Persone agiate e potenti potrebbero da un giorno all’altro essere costretti a elemosinare a causa della distruzione delle loro proprietà da parte dei nemici. Ognuno di noi può constatare che queste cose accadono di frequente, perciò è impossibile fare affidamento per sempre sulla prosperità e la ricchezza. Non si dovrebbe mai dimenticare che il capitale più importante da accumulare in questa vita è la nostra generosità.
My Perfect Teacher, San Francisco 1996. Traduzione di Cristoforo Andreoli, © 2006. Fonte che si ringrazia per la sua gentilezza www.realizzazione.it, http://www.realizzazione.it/perfettomaestro/IstruzioniOrali.pdf