Milarepa: canto sulla pratica del tummo
Disgustato della vita del mondo
cercavo la solitudine
sulle pendici del Latchi Khang.
Il cielo e la terra, tenuto consiglio,
mi inviarono la tempesta
come loro messaggero.
Gli elementi dell’aria e dell’acqua,
alleati alle fosche nebbie del sud,
imprigionarono il sole e la luna,
soffiarono via dal cielo le piccole stelle
ed avvilupparono le grandi in un sudario di foschia.
Nevicò poi senza sosta per nove giorni e nove notti,
i grossi fiocchi erano spessi
come fiocchi di lana,
essi discendevano e volavano come uccelli.
I piccoli della grossezza dei piselli e dei grani di mostarda;
Essi discendevano roteando e turbinando.
L’immensità della neve era di là da ogni descrizione.
In alto, copriva le creste dei ghiacciai,
in basso, gli alberi della foresta ne erano sepolti fino alle cime.
I monti neri sembravano bianchi di calce,
il gelo appiattiva le onde agitate dei laghi,
e i ruscelli dalle acque azzurre erano nascosti sotto il ghiaccio,
alture e vallate livellate sembravano un piano,
gli uomini erano prigionieri nei villaggi,
gli animali domestici soffrivano la fame,
gli uccelli e le bestie selvagge digiunavano.
I topi ed i ratti erano sigillati nella terra come tesori.
Durante questo periodo di calamità, la neve, l’uragano invernale, da un canto
e i miei abiti leggeri dall’altro,
si combattevano uno contro l’altro sulle montagne bianche.
A mano a mano che cadeva, la neve si fondeva su me, mutato in ruscello.
La tempesta ruggiva e si rompeva sul mio leggero abito di cotone
che conteneva un calore ardente.
La lotta per la vita e la morte poteva allora essere vinta.
Ed avendo riportato la vittoria, io lasciai per gli eremiti un esempio
che dimostra la grande virtù del tummo.
http://zenvadoligure.blogspot.it/2016/02/milarepa-mago-poeta-e-mistico-tra_80.html