5 La Vita di Millarepa: Marpa
Dopo alcuni giorni, sentendo che le piaghe erano migliorate, Marpa andò a trovare Milarepa per esortarlo a riprendere il lavoro. Il giovane si stava dirigendo verso la costruzione e vide la Madre venire velocemente verso di lui. Ella aveva un piano: inscenare una finta partenza per muovere a compassione il cuore del lama. Così il giovane preparò i suoi pochi bagagli, un sacco con dentro i suoi libri e un po’ di farina che gli aveva procurato la Madre. Faceva questi preparativi con studiata lentezza, cercando così di attirare l’attenzione del lama mentre la Madre faceva finta di volerlo trattenere, dicendogli che avrebbe di nuovo intercesso per lui. Tutti questi movimenti finirono per attirare l’attenzione di Marpa, il quale si accorse che stava accadendo qualcosa. “Che state confabulando voi due?” tuonò il lama, dirigendosi a grandi passi verso la moglie e il giovane novizio.
Fu la Madre a rispondere: “Il Grande Mago se ne vuole andare, dal momento che non ottiene alcun insegnamento. Egli è venuto presso di te da molto lontano per ottenere la dottrina, ma ormai ha perso le speranze di poterla mai ricevere da te, o lama. Perciò ha deciso di andare a cercarsi un altro maestro.” “Ah, bene!” disse Marpa, e con inaudita violenza prese a schiaffeggiare il discepolo “ dove credi di andare, dal momento che proprio tu stesso all’inizio mi offristi il tuo corpo, la tua parola, la tua mente? Tu mi appartieni, e poi dimmi perchè oltre a tutto ti porti via anche la mia farina? Il lama era un uomo robusto e continuava a picchiarlo con tutte le sue forze, poi gli strappò la farina e la riportò in casa. Milarepa, dopo quest’ultima sfuriata, si sentiva svuotato di tutto; si rifugiò nella sua stanza a piangere. La Madre lo seguì e, abbracciandolo e carezzandogli dolcemente la fronte, gli disse che lei stessa lo avrebbe iniziato ad una pratica meditativa di grado inferiore, affinchè egli per lo meno potesse trovare un po’ di pace. Era sicura che prima o poi Marpa avrebbe ceduto, ma non si poteva sapere quando. Milarepa iniziò a meditare, e , per quanto non si trattasse della dottrina suprema che cercava, pure ne trasse giovamento. Era profondamente riconoscente alla moglie del lama, provava affetto per lei e desiderava esprimerle al meglio questi suoi sentimenti. Le stava sempre vicino facendole piccoli favori, la aiutava sia in casa che fuori. I due divennero inseparabili. Una corrente di puro amore spirituale si era stabilita tra loro. Il giovane però non era soddisfatto. Non aveva ottenuto ciò che cercava, ciò per cui era partito e per cui si era tanto dato da fare. Rifletteva se non fosse veramente il caso di andare a cercare un altro lama. Qualcosa dentro di lui gli diceva che la soluzione di tutto era lì, non altrove. Era sicuro che Marpa possedesse gli insegnamenti supremi, in grado di far raggiungere l’illuminazione in una sola vita. La domanda era : glieli avrebbe mai dati? L’unica cosa certa in tutta la storia era il suo karma negativo, che lo avrebbe trascinato nelle prossime reincarnazioni negli strati più bassi del samsara. Ma se invece di arrendersi avesse, come il grande Naropa, sopportato ogni prova, finché Marpa lo avesse istruito? Quale immensa gioia, quale ineffabile felicità poter realizzare lo stato di Buddha in questa vita! Milarepa sentì il sangue refluirgli nelle vene, e, con ardore rinnovato, prese il cesto per la malta e a grandi passi si diresse verso le sue due costruzioni.
Proprio in quel periodo giunse alla Valle delle Betulle Gnoton Chor dor di Jung per chiedere la sublime iniziazione dello Hai Vajra. Aveva un seguito numeroso e recava molti doni.
Allora Dakmema andò subito a cercare Milarepa, il quale lavorava alla costruzione della torre e della loggia. Lo trovò mentre trasportava grandi quantità di terra e pietre, infaticabile come sempre.
“Presto, figlio caro, vieni dunque a chiedere anche tu l’iniziazione al lama Marpa. Se non si accontenta dell’offerta della torre e della loggia gli puoi offrire qualcosa di prezioso, ma devi tentare. Se poi ti dirà nuovamente di no, allora interverrò io stessa.”
La Madre, nella sua infinita bontà e per l’affetto profondo che nutriva per Milarepa, gli diede una meravigliosa turchese che era di sua proprietà, cosicché il giovane potesse offrirla al maestro.
Quando Marpa vide la pietra, volle sapere la sua provenienza. Milarepa non poteva che dire la verità, e cioè che l’aveva avuta dalla Madre.
Il lama la mandò a chiamare.
“Moglie” disse” da dove arriva questa pietra?”
“E’ di mia proprietà” rispose la Madre” me la dettero i miei parenti quando ci sposammo. Sapevano che avevi un brutto carattere e pensarono che ne avrei avuto bisogno se ci fossimo divorziati…Ora il mio cuore è lacerato dalla pena che provo per questo giovane, nostro figlio spirituale, non posso più vederlo soffrire in questo modo…perciò glielo ho data, affinché potesse offrirtela in dono”.
“Ah, é così” rispose Marpa “allora questa pietra è mia, dal momento che io sono il tuo padrone. E tu,” proseguì rivolgendosi a Milarepa, “Grande Mago, hai qualcosa di tuo da offrire oltre a questa pietra che già mi appartiene? Se no, vattene subito via di qui!”
Poi, vedendo che il giovane esitava, egli infatti nutriva la segreta speranza che la Madre rinnovasse le sue preghiere, si avventò su di lui, lo gettò col viso a terra e, afferrato un bastone, stava per colpirlo con violenza quando il lama Gnogpa si precipitò a trattenerlo, mentre Milarepa fuggiva in cortile.
La Madre lo raggiunse immediatamente e lo trovò in lacrime. Ormai era evidente che Marpa, per ragioni sue proprie, non aveva nessuna intenzione di dargli l’iniziazione.
Ella lo consolava, abbracciandolo e baciandolo sulle guance bagnate, piena di tenerezza per lui e di sdegno per il marito.
“Non ti affliggere, caro, non è colpa tua, non può esserci un discepolo più devoto e amorevole di te. A questo punto è giunto il momento che tu vada a cercare l’insegnamento altrove, ti procurerò io tutto il necessario”.
Lo accompagnò nella sua stanza e, invece di tornare nella sala comune per trascorrere la notte in preghiera insieme a Marpa e agli altri, come era solita fare quando avevano luogo riti così importanti, restò con lui.
Milarepa passò la notte a piangere, ed ella lo consolava con parole dolci, carezze e con la sua rassicurante presenza.
L’indomani Marpa mandò a chiamare il discepolo.
“Come ti senti? Nutri pensieri negativi a causa del mio rifiuto?” chiese il lama.
“No, maestro, non ho pensieri negativi. Sono afflitto, ma penso che la colpa di tutto sia mia e del mio cattivo karma” rispose Milarepa con sincerità, non riuscendo però a frenare le lacrime.
“Perchè piangi? Vuoi forse protestare per qualcosa? Dillo subito, oppure vattene!”
Milarepa non era più in grado di sostenere tanta ostilità. Se ne andò pieno di amarezza. Rifletteva infatti sull’ironia della sorte, che lo vedeva pieno di doni e ricchezze quando cercava un maestro di magia nera, e ora, che così disperatamente desiderava il dharma, per volgersi al sommo bene, era povero, privo di tutto ciò che serviva per ottenere la dottrina.
“Povero me” pensava in cuor suo “cos’è l’uomo senza il dharma? Soltanto un essere miserevole che ammucchia peccati vita dopo vita, senza speranza di liberarsi dalle catene del samsara! Tanto varrebbe togliersi la vita subito! E poi, senza denaro, non si può far nulla. Per prima cosa devo trovare il modo di procurarmene, non posso più rimanere qui.”
Fece in fretta i suoi bagagli, senza dir nulla neanche alla Madre, e partì, allontanandosi in fretta.
Durante il cammino però il suo pensiero correva a lei, che era stata sempre così buona, amorevole e gentile verso di lui, e fu preso dal rimorso.
“Sono proprio un ingrato”, pensava, “devo tornare da lei?”
Mentre era ancora in cammino incontrò un vecchio, il quale gli chiese se sapeva recitare le preghiere.
“Certo”, rispose il giovane.
“Allora vieni ad officiare a casa mia” lo invitò il vecchio, “ti pagherò”.
Milarepa era contento di aver trovato così presto un’opportunità di guadagno, e recatosi alla dimora del vecchio, si mise a recitare le Ottomila Strofe, tra le quali la storia di un eroe, di nome Tagtugnu, la cui vita somigliava per alcuni aspetti a quella del giovane.
Milarepa rifletteva , mentre continuava a salmodiare i versi, sul senso della propria vita: “Certo che Tagtugnu non si sarebbe fermato di fronte a niente. Non avrebbe esitato a dare tutto se stesso per il dharma, si sarebbe strappato il cuore dal petto pur di ottenere il suo scopo. Io, invece, che cosa ho fatto? In confronto a lui, proprio nulla. Chi lo sa se ho fatto bene ad andarmene…Magari alla fine Marpa acconsentirà ad istruirmi, oppure la Madre mi aiuterà a trovare un altro maestro…”
Quando ebbe finito, nel suo cuore era maturata la convinzione a ritornare dal suo maestro e dalla sua amata Madre.
Nel frattempo, alla Valle delle Betulle, il lama e la moglie parlavano tra di loro della partenza di Milarepa.
“Sarai contento, ora che il tuo nemico è partito!” diceva la Madre con tristezza.
“Come, partito?” Marpa era ancora all’oscuro di tutto.
“Il Grande Mago, che hai trattato peggio di un cane!” rispose la Madre, addolorata.
In realtà Marpa fu profondamente addolorato nell’udire quella notizia, s’intristì e grosse lacrime iniziarono a sgorgargli dagli occhi.
Non era stato facile, per lui, comportarsi così. In realtà amava Milarepa dal profondo del suo cuore, le loro anime erano unite dall’eternità, ma il sogno di Naropa aveva un ben preciso significato, e lui sapeva di fare tutto ciò per il bene del suo discepolo, anche se all’esterno appariva tutto il contrario. In quel momento non riuscì a controllore il suo dolore e, con voce rotta dal pianto, esclamò: “Voi, protettori del dharma che vi muovete liberi nello spazio, riportatemi il mio Figlio prediletto!”
Proprio in quell’istante apparve Milarepa, di ritorno dal suo breve viaggio, felice di trovarsi di nuovo lì, nella dimora del suo maestro.
La Madre lo accolse con gioia e lo introdusse subito alla presenza di Marpa.
“Vieni, figlio, arrivi proprio a proposito. Sembra che la situazione sia mutata, il lama ha pianto quando ha saputo che eri partito, ha pregato affinchè tu ritornassi! Le sue preghiere sono state esaudite, visto che sei qui. Vieni, vedrai che ora riceverai ciò che desideri”.
Milarepa era titubante, non sapeva se credere alle parole della Madre o no.
Non sapeva come interpretare le parole di Marpa, il quale era ancora in casa, sul suo cuscino, avvolto nel suo mantello e immerso in una profonda meditazione.
“Lama, le tue preghiere sono state esaudite, il Grande Mago è qui, non ci ha abbandonato!” gli bisbigliava la madre all’orecchio.
“Non ha abbandonato se stesso, e questo è un bene! Fallo venire qui da me!” rispose Marpa, consapevole di dover riprendere ancora una volta il suo ruolo.
Milarepa si prostrò ai piedi del lama, senza dire nulla, con il capo chino. Vedeva i piedi del maestro, la sua veste dal colore brillante con i lembi del mantello di lana color porpora che scendevano alle caviglie. Non osava alzare lo sguardo, per paura di incontrare il suo sguardo penetrante, i suoi occhi capaci di trapassare l’anima.
“Se tu desideri veramente la dottrina, dal profondo del cuore, devi essere disposto a fare qualsiasi cosa per ottenerla, devi dare la vita. La grande iniziazione non si addice ad un cuore tiepido, ma ad un cuore ardente. Perciò, se vuoi il dharma, va’ a costruire la torre di tre piani, se no vattene, tanto più che dobbiamo pure mantenerti e non è che ci costi poco”.
Milarepa fu invaso da un profondo scoraggiamento e senza rispondere uscì.
Non che avesse sperato qualcosa di più, però doveva constatare che l’atteggiamento del maestro non era cambiato.
La Madre lo raggiunse all’aperto, mentre si recava nel suo alloggio.
Il giovane stava fissando l’orizzonte, gli ampi spazi davanti a sé, le montagne che circondavano la Valle delle Betulle.
Era giunto pieno di speranza, ansioso di apprendere gli insegnamenti, e invece… doveva darsi per vinto, rinunciare.
“Cosa pensi di fare?” gli chiese la moglie del lama, vedendolo così pensieroso.
“Non posso più restare. Il lama non ha nessuna intenzione di darmi l’iniziazione, chissà se me la darà mai. Se resto e continuo a lavorare senza ottenere nulla, sarà proprio tempo sprecato. Chiedo umilmente il permesso di ritornare al mio paese, augurando a te e a Marpa ogni bene”.
La Madre annuì: “Sia così, dunque. Comprendo appieno le tue ragioni. Ti aiuterò, come ti avevo promesso, a farti istruire da un altro maestro. Gnoton è un grande discepolo ed iniziato e ti prenderà con sé, se glielo chiederò io. Lasciami il tempo di organizzare la cosa, e intanto rimani ancora un po’ e fa’ vedere che riprendi a lavorare”.
Milarepa sorrise a quella prospettiva, la Madre riusciva sempre a fargli tornare la voglia di andare avanti. Si girò dirigendosi verso il luogo del suo lavoro.
Marpa, come il suo maestro Naropa, era solito celebrare il decimo giorno della luna con un grande sacrificio, seguito da un banchetto e una grande festa. Si beveva in questa occasione molta birra, e i monaci cadevano in uno stato di ubriachezza che aveva un valore simbolico e rituale.
La Madre pensò di approfittare della situazione per realizzare i suoi piani.
Preparò una grande quantità di birra, facendo bollire l’orzo in tre diversi calderoni per farne di tre tipi, leggera, forte e media.
Durante il banchetto fece in modo che a Marpa ne fosse versata continuamente di quella più forte, mentre lei bevve solo alcuni sorsi di birra più leggera, e così anche Milarepa, in base ai loro precedenti accordi.
Infatti, durante queste feste, era assai difficile rimanere sobri.
Alla fine della festa i monaci erano ebbri, e Marpa più di tutti gli altri. Giacevano riversi sui preziosi tappeti e sui pesanti cuscini della sala comune, immersi in un sonno profondo, simile alla trance ipnotica.
La Madre andò nella stanza del marito a prelevare gli oggetti che voleva dare al suo amato figlio spirituale: il sigillo del lama, più i gioielli e le reliquie di rubini del maestro Naropa. Scrisse di suo pugno una lettera su cui poi appose il sigillo di Marpa, avvolse il tutto in una preziosa stoffa di broccato di seta, sulla quale erano ricamati dei draghi fiammanti, vi mise la ceralacca e consegnò tutto al giovane con queste parole:
“Ora, caro figlio, va’, presto. Con questi doni recati dal lama Gnoton e pregalo di darti la dottrina.
Vedendo il sigillo di Marpa e i gioielli di Naropa, non oserà certo rifiutarsi. Presto, mentre sono tutti immersi nel sonno!”
Fu così che Milarepa si rimise in viaggio, diretto nello Jung, dove abitava il lama Gnogpa, nel quale ora riponeva tutte le sue speranze.
Quel giorno il lama, circondato dai suoi discepoli, stava esponendo la dottrina dello Hai Vajra, ed era arrivato ad un passo molto significativo che diceva così.
“Io sono il maestro e io la dottrina,
Io sono il discepolo che possiede le buone qualità.
Io sono lo scopo e io colui che istruisce.
Io sono il mondo e le cose del mondo.
La mia natura è quella della gioia innata…”
Aveva appena finito di recitare questi versi, quando vide in lontananza un monaco prosternarsi e senza riconoscerlo, lo salutò, agitando l’alto copricapo a punta.
“Da come saluta si direbbe un discepolo di Marpa”, disse il lama ai suoi discepoli, “ inoltre giunge proprio mentre sto recitando questo passo sublime della dottrina, e ciò costituisce un ottimo auspicio, egli sarà maestro in tutti gli insegnamenti. Presto, andategli incontro, fatevi dire il suo nome!”
Uno dei monaci, che era stato di recente dal lama Marpa per la grande iniziazione, andandogli incontro lo riconobbe e gli chiese, sorpreso: “Sei proprio tu? Perché sei qui?”
“Sono venuto per ricevere l’insegnamento, dal momento che Marpa è molto impegnato e non può impartirmelo. Ho recato dei doni preziosi, i gioielli e le sacre reliquie di Naropa”.
Il monaco si affrettò a riferire tutto al suo maestro, dicendogli che si trattava niente di meno che del Grande Mago, inviato dal lama Marpa.
Gnogpa fu pieno di gioia nel vederlo e nel vedere le preziose reliquie del grande Naropa. Si rivolse raggiante ai suoi discepoli:
“Presto, bisogna riceverlo con tutti gli onori! Interrompo qui l’insegnamento, su questo passo assai auspicioso. Andate a prendere parasole, stendardi e cembali! Questo evento è raro e propizio e dobbiamo celebrarlo!”
Milarepa era ancora fermo nel punto in cui si era prosternato, aspettando la risposta del lama. Con grande sorpresa vide venire verso di sé una processione di monaci recanti stendardi, parasoli e cembali che lo onoravano.
Non era certo abituato ad un trattamento di quel tipo, perciò fu felice e li seguì pieno di gioia alla presenza del lama.
Si gettò ai suoi piedi offrendogli i doni e consegnandogli la lettera con il sigillo di Marpa.
Lama Gnogpa lesse la lettera con le lacrime agli occhi e depose i doni sull’altare, benedicendoli.
Poi si rivolse a Milarepa: “Grande Mago, sono felice di vederti! Avevo perfino pensato di mandarti a chiamare, ma, nella sua infinita compassione, ci aveva già pensato il grande Marpa! Ebbene devi sapere che da me vengono molti discepoli, provenienti da tutte le direzioni. Durante il viaggio, soprattutto quando devono valicare i passi montani, i briganti del posto li assalgono e li derubano di tutto. Ti prego perciò di recarti colà e di far cadere la grandine, dopodiché ti darò la grande iniziazione.”
Milarepa rifletteva dentro di sé sulle parole del lama. “Certo” pensava “non posso rifiutarmi di eseguire i suoi ordini se voglio ricevere l’iniziazione. Questo karma negativo della magia nera mi perseguita, sembra che mi stia proprio attaccato addosso. Che fare? Devo partire, ritornare ad essere ancora per un po’ il Grande Mago!”.
Così, radunati i suoi oggetti, si rimise in viaggio per compiere la volontà del lama.
Il luogo designato si chiamava Yas Pho. Il giovane trovò alloggio da una vecchia, aveva infatti bisogno di un riparo quando si sarebbero scatenati gli elementi. Ricordava bene cosa era accaduto al suo villaggio, e non voleva farsi cogliere alla sprovvista.
Uscì all’aperto, guardando davanti a sé. Le alte montagne, con le cime inaccessibili ricoperte di neve, facevano corona alla valle. Più in basso, i campi dei contadini verdeggiavano, avvicinandosi al raccolto.
Milarepa iniziò a pronunciare le formule magiche, poi alzò il dito indice, capace di far ammassare le nubi, e scariche di elettricità attraversavano l’aria.
Dopo poco, ecco che i primi chicchi di grandine, grossi come noccioline, iniziarono a cadere, dapprima più radi, poi via via sempre più fitti e violenti.
La vecchia uscì di casa allarmata. Cosa mai stava accadendo? Iniziò a piangere e a lamentarsi, avvicinandosi al giovane mago.
“Cosa mangerò questo inverno se il raccolto andrà distrutto? Di certo morirò di fame, povera vecchia quale sono!”
Milarepa osservò la sua pelle incartapecorita, gli occhi come due fessure, lo sguardo implorante ma colmo di saggezza.
“Chi sono io per fare danno a questa vecchia? Solo un peccatore malvagio!” pensò e rapidamente si volse verso di lei:
“Presto, disegna qui il tuo campo” le disse, ed ella tracciò sul terreno una forma triangolare.
“La magia può anche aiutare oltre che distruggere” pensava Milarepa e, riprodotta l’immagine la coprì con un bacile. Però una parte del disegno, che era un triangolo con una punta allungata, rimase fuori dal recipiente.
Intanto si era scatenata una tempesta di grandine senza eguali, dalle alture circostanti i villaggi incriminati scendevano a valle con violenza inaudita torrenti scroscianti di acqua scura, che in poco tempo distrussero ogni cosa.
Solo il campo della vecchia si era salvato, tranne quella parte che era rimasta scoperta.
Milarepa partì di gran fretta e lungo la strada non tralasciò di informare chi incontrava che era stato lui l’autore del disastro e l’avrebbe fatto di nuovo se gli abitanti dei villaggi avessero derubato i monaci diretti dal lama Gnogpa. La voce si diffuse e gli abitanti del posto si convertirono e divennero devoti del lama.
Milarepa stava ritornando nello Jung, con la speranza di ricevere l’iniziazione. Lungo la strada raccolse tra i cespugli uccelli e topi morti e li portò con sé, infilandoli sotto il mantello.
Erano esseri morti a causa sua, non poteva lasciarli così ora che nel suo cuore albergava la consapevolezza dei suoi atti.
Li porto con sé e, giunto al cospetto del lama, li depose delicatamente ai suoi piedi, dicendo: “Santo lama, sono venuto per ricevere il dharma, ma non so se lo merito. Sono un uomo malvagio, un grande peccatore, ho ucciso delle creature innocenti” e intanto piangeva.
Il lama lo rassicurò: “Non preoccuparti, fratello Grande Mago, nel nostro lignaggio esiste la possibilità di far illuminare anche un uomo malvagio nel corso di una vita. Per quanto riguarda queste creature, ti prometto che rinasceranno nelle Terre dei Buddha Perfetti; io non permetterò che si reincarnino nelle tre condizioni inferiori di esistenza . Te lo dimostrerò!”
Lama Gnogpa battè le mani e subito gli animali ripresero vita: gli uccelli volarono via, e i topi sgaiattolarono via veloci.
Milarepa era felice: lui era capace solo di distruggere, ma Gnogpa era un grande lama, capace di ridare la vita!
Si prostrò ai suoi piedi, riconoscente, ringraziandolo dal profondo del cuore.
Il lama impartì la potente iniziazione del Vajrayana al suo nuovo discepolo e lo mandò a meditare in una grotta la cui apertura era rivolta verso la sua dimora.
Milarepa la imbiancò e si preparò per il ritiro di meditazione.
Il lama impartiva l’insegnamento dall’imboccatura della grotta, controllando di tanto in tanto i progressi dell’allievo.
Ma senza il consenso di Marpa, l’iniziazione non aveva effetto, anche se Milarepa meditava intensamente e senza distrarsi.
Il lama un giorno gli chiese se si fossero manifestati alcuni segni, come prova che la meditazione stava producendo i suoi effetti.
Alla risposta negativa del suo discepolo si stupì: “Non è mai successo che nel mio lignaggio l’iniziazione non generasse le qualità di esperienza e realizzazione. L’unica causa sarebbe il mancato consenso di Marpa, ma ho qui la lettera con il sigillo. Tu continua a meditare, poi si vedrà”, disse, lasciando Milarepa nella grotta, in preda alla paura. Era proprio uno stupido, ripeteva a se stesso, se pensava di ingannare il suo maestro. Non sapeva se dire la verità a Gnogpa oppure tacere, aspettando che le cose si chiarissero da sé. Intanto continuava a meditare, aspettando con fiducia.
Nel frattempo Marpa stava preparando una grande festa di inaugurazione per la torre di suo figlio.
Aveva appreso dalla Madre della partenza del novizio, e aveva deciso che era giunto il momento di farlo ritornare a casa.
Scrisse così una lettera al lama Gnogpa, ordinandogli di mandargli della legna per la costruzione del parapetto della torre, che ancora mancava, e per invitarlo alla festa di inaugurazione quando l’opera fosse stata completa. In ultimo gli diceva di portare anche Milarepa, quel discepolo malvagio che sapeva essere alla sua dimora.
“Malvagio!” pensò Gnogpa leggendo la lettera “ma allora il Grande Mago è venuto senza il suo consenso!” e si recò immediatamente alla grotta, per chiedere spiegazioni al giovane discepolo.
Milarepa non poté fare altro che dire la verità: “In realtà è la Madre che mi ha mandato e che mi ha dato i doni e la lettera” ammise con riluttanza .
“Senza il suo consenso, la pratica non potrà mai generare le qualità richieste; ma ora vuole che tu ritorni alla Valle delle Betulle, cosa decidi di fare?” chiese il lama un po’ incerto.
Milarepa acconsentì ad unirsi al suo seguito come servo. Fino al momento della partenza Gnogpa gli ordinò di rimanere nella grotta a meditare.
Il lama nel frattempò inviò la legna a Marpa e si informò sulla data della festa. Poi ritornò alla grotta, per parlare con il suo discepolo:
“La data della festa di inaugurazione è stata fissata. Ho incontrato la Madre, la quale ha voluto tue notizie. Le ho risposto che sei tuttora in ritiro. Mi ha consegnato un oggetto di tua proprietà che avevi dimenticato nel tuo alloggio”. Il lama estrasse dal mantello un dado e glielo consegnò.
Milarepa ringraziò, poi portò il dado alla fronte, in segno di benedizione. Infatti per lui tutto quello che proveniva dalla Madre era sacro; ma perchè mai gli aveva inviato un dado? Gli venne voglia di giocarci, e lo tirò sul pavimento della grotta: il dado si ruppe e ne uscì un piccolo foglio di carta arrotolato. Felice di ricevere un messaggio dalla Madre il giovane lesse con avidità: “Caro figlio, ritorna pure con il lama Gnogpa, poiché Marpa ha deciso di darti l’iniziazione”.
Milarepa era talmente felice che si mise a danzare, il suo corpo attraversava volteggiando il piccolo spazio della grotta, che ora gli sembrava un grande spazio: lo spazio che la sua mente avrebbe raggiunto tramite la dottrina!
Intanto alla dimora del lama Gnogpa fervevano i preparativi: egli stava radunando tutti i suoi beni, gli animali, le tanka, gli oggetti preziosi , il vasellame, per recarsi dal suo maestro. Lasciò solo una capra che non poteva camminare a causa di una zampa fratturata.
Tutti i discepoli del lama si unirono al corteo, pronti a partire.
Il lama dette a Milarepa una preziosa turchese e della seta da offrire a Marpa e la moglie vi aggiunse un sacco di formaggio.
Tutto era pronto e finalmente si misero in cammino.
Prima di partire il giovane lanciò un’occhiata alla piccola grotta dove aveva meditato: la sua mente correva alla Valle delle Betulle, dove il suo viaggio spirituale avrebbe finalmente avuto inizio.
Erano quasi giunti, quando il lama mandò avanti Milarepa per avvertire del loro arrivo e chiedere del chang.
Il giovane volò giù per il pendio, verso la casa di Marpa, e si imbatté nella Madre. Si inginocchiò e le offrì il formaggio. Ella era felice di riavere il suo amato figlio spirituale con sé, e lo mandò da Marpa affinché lo salutasse.
Milarepa entrò in casa e lo trovò immerso in meditazione, il volto rivolto ad oriente. Egli si inginocchiò ai suoi piedi per offrirgli i doni e ricevere la sua benedizione, ma il lama si voltò verso occidente. Il giovane discepolo si prosternò ad occidente, e quello si voltò a sud.
“Maestro” esclamò Milarepa con dolcezza, “capisco che siete arrabbiato con me e non volete accettare i miei doni, ma il lama Gnogpa sta arrivando con il suo seguito e tutti i suoi beni , le sue ricchezze e il suo bestiame e vorrebbe essere ricevuto con un po’ di birra!”
Il lama si infuriò: “Nessuno venne ad accogliere Marpa, il Traduttore, quando tornò dall’India recando la saggezza distillata dei Tantra raccolta in lunghi anni di pellegrinaggi! Ed ora questo lama pretende di essere ricevuto con tutti gli onori solo perché ha portato qualche capra! Esci subito da qui!”
Milarepa si precipitò fuori e riferì tutto alla Madre. Ella ben conosceva il carattere collerico del marito, e si apprestò ad andare ad accogliere Gnogpa insieme al giovane mago e ad alcuni monaci che trasportavano birra in grande quantità.
Iniziarono i festeggiamenti per la maggiore età del figlio di Marpa, cui parteciparono anche gli abitanti della Valle.
Marpa consacrò la casa cantando molti inni di lode, poi si sedette sul suo seggio. Tutti allora andarono ad inginocchiarsi ai suoi piedi per ricevere la sua benedizione.
Il lama Gnogpa per primo andò ad offrirgli i suoi doni, pregandolo di conferirgli l’iniziazione suprema: “Santo lama, a voi appartengono il mio corpo, la mia parola,la mia mente. Per questo oggi vi offro tutti i miei beni, tranne una vecchia capra zoppa che, impossibilitata a camminare, è rimasta a casa.
Vi prego di accettare questi doni e di conferirmi l’iniziazione e gli insegnamenti orali più alti. In particolare vi chiedo la trasmissione dei testi arrotolati”.
Marpa sorrise compiaciuto e gli rispose: “Questi insegnamenti costituiscono l’essenza del Vajrayana, ovvero la via rapida che consente di ottenere l’iniziazione in una sola vita, senza bisogno di rinascere innumerevoli Kalpa, e ti saranno dati.
La trasmissione dei testi arrotolati rappresenta la santa parola del mio guru e difficilmente potrai ottenerla se non mi porterai anche quella vecchia capra”.
A quelle parole tutti gli astanti scoppiarono a ridere. Solo lama Gnogpa rimase serio, e chiese al suo maestro se quella era l’unica condizione per l’istruzione.
“Sì” rispose Marpa,” ma dovrai essere tu in persona a portarmela”.
Il lama si mise in viaggio l’indomani, quando i festeggiamenti erano ormai terminati. Egli ritornò portando la capra sulle spalle e la offrì al suo maestro, il quale compiaciuto gli disse: “Non ho bisogno di questa capra, ma volevo che tu comprendessi l’importanza di quanto stai per ricevere”:
Poi gli dette l’iniziazione e le istruzioni orali più avanzate, secondo la sua richiesta.
Gnogpa e il suo seguito trascorsero alcuni giorni alla Valle delle Betulle.
I monaci stavano preparando un’altra festa, che prevedeva delle offerte rituali, quando Marpa, munito di un lungo bastone, si avvicinò.
Gnogpa si fece piccolo piccolo, temeva infatti i rimproveri del collerico lama, ed infatti questi gli chiese con fare minaccioso:
“Mi devi ancora spiegare perché hai dato l’iniziazione a quel malvagio del Grande Mago…”.
Il discepolo rispose, cercando intanto con gli occhi una via di fuga: “Siete stato proprio voi, maestro, che me l’avete ordinato! Ho la vostra lettera con il sigillo, e le sacre reliquie di rubini del grande Naropa, oltre ai suoi gioielli. Ho solo eseguito i vostri ordini!”
Allora Marpa si rivolse a Milarepa: “E tu come ti sei procurato queste cose?” chiese con il volto contratto dall’ira, gli occhi lampeggianti.
Milarepa si preparò al peggio, poi disse che gliele aveva date la Madre.
Allora il maestro con il bastone in pugno si alzò con il chiaro intento di picchiare la moglie. Ella però era stata più svelta, e si era rifugiata nel tempio chiudendosi dentro a chiave. Il bastone picchiò sul legno della porta, poi il maestro tornò indietro furente.
Ordinò a Gnogpa di riportargli immediatamente i gioielli e reliquia del suo maestro, poi si coprì fino al capo con il mantello, e si immerse in una profonda meditazione.
Il lama Gnogpa si preparò di nuovo a partire, mentre il giovane mago era in preda ad una profonda disperazione.
Forse sarebbe dovuto fuggire insieme alla Madre, alla quale aveva procurato solo guai, come al lama Gnogpa, che aveva ingannato. Il suo karma negativo rovinava sempre tutto, e coinvolgeva anche le persone che amava. Vedendo il lama pronto a partire, lo pregò di portarlo con sé.
“Senza il consenso di Marpa non si può far nulla, abbiamo provato e abbiamo fallito. Se lui rinuncerà ad averti come discepolo, allora sarò lieto di accoglierti, fratello Grande Mago!” rispose il lama.
“Allora mi ucciderò, perché comprendo che non c’è possibilità di arrestare questa spirale negativa del karma che ho accumulato. Possa io rinascere in forma umana per ottenere la dottrina”.
Il giovane stava per compiere una sciocchezza e il lama lo fermò con queste parole: “Non farlo, ti prego, sarebbe l’azione più negativa che tu possa fare, è scritto nella tradizione del Mantra segreto che il corpo umano è sacro e, uccidendoti, sarebbe come uccidere una divinità. Non ci sarebbe per te nessuna possibilità di ottenere il dharma. Non disperare, qualcosa accadrà”. Gli parlava con dolcezza, per consolarlo, mentre Milarepa piangeva sul suo triste destino, sopraffatto dal dolore.
Tutti i monaci si erano radunati intorno a lui, alcuni piangevano, altri cercavano di consolarlo, altri ancora, non potendo sopportare la sua pena, persero i sensi.
Fonte che si ringrazia devotamente per la sua grande gentilezza http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/buddhismo/magrini.pdf