1 Nascita e infanzia di Milarepa
Milarepa nacque nei 1040 nel Tibet sud-occidentale, non lontano dalla frontiera nepalese. Apparteneva alla tribù Khyung po, discendente da un grande clan di pastori del Centro Nord. Il nome Mila apparteneva alla famiglia da generazioni e la sua origine si deve ad un antenato di Milarepa chiamato Gyose, un eremita abile nello scacciare i demoni e nel guarire le malattie, molto famoso e assai richiesto nel paese.
Una storia trasmessa fino ai nostri giorni ci dà uno stralcio della grande fama di questo famoso avo: si racconta di un demone che iniziò a perseguitare una famiglia che non credeva molto in Gyose, la quale si rivolse a un altro lama ma senza risultato. Alla fine fu costretta a ricorrere al potente eremita, ed egli spaventò il demone a morte, tanto che esso fuggì emettendo grida di terrore, e appellando il lama in questo modo: “ Mila! Mila! Non ho mai incontrato un simile pericolo!”.
Da quel momento il nome Mila si tramandò di padre in figlio, ma Milarepa prese questo nome solo molto più tardi, quando si rifugiò tra i ghiacci a meditare, vestito solo di tela.
Quando nacque gli fu attribuito il nome di Thopaga, che significa “Gioia nell’Ascolto”. Suo padre infatti, un ricco possidente locale che si era unito in matrimonio con una nobile fanciulla del clan dei Myang, fu talmente felice nell’udire la notizia della sua nascita, che lo chiamò così. Sembra infatti che Milarepa avesse una voce melodiosa e che tutti lo ascoltassero cantare con grande gioia.
Milarepa ebbe una infanzia felice, almeno fino ad un certo punto; giocava con sua sorella Peta, spensierato come ogni bambino dovrebbe essere. La famiglia di Milarepa era assai agiata; avevano una bella casa, ampia e luminosa; tappeti morbidi e preziosi, di fattura pregiata ricoprivano i pavimenti e cuscini di seta erano sparsi ovunque. I loro possedimenti erano numerosi: le fertili terre, il bestiame, i commerci ed altre attività assai redditizie assicuravano il benessere e l’agiatezza della famiglia. Inoltre essi possedevano uno scrigno colmo di gioielli, pietre preziose, turchesi e monili di ogni sorta. Bianca Ghirlanda, la madre di Milarepa, apparteneva ad una famiglia di nobili origini ed era avvezza agli agi, ma senza indolenza o grettezza, come qualcosa di profondamente connaturato al suo essere. Per questo motivo ella non doveva lavorare, ma solo dirigere la servitù dentro casa e nei campi, cosa che faceva con modi garbati; era sempre vestita con abiti nuovi, della stoffa più fine; le camice erano di seta, dai colori brillanti, e sul suo petto facevano bella mostra i gioielli più preziosi.
Mila Trofeo di Saggezza (questo era il nome del padre di Milarepa) infatti amava la moglie appassionatamente e le regalava collane con le turchesi più rare e pietre di ogni genere, anelli e orecchini di squisita fattura adornavano sempre il volto e le mani della sua amata sposa.
Nella buona stagione facevano montare all’aperto tende nuove fiammanti dove offrivano ai parenti e agli amici pranzi prelibati e in genere non perdevano occasione per trascorrere lietamente momenti felici, in compagnia ed allegria.
Anche Milarepa e Peta erano sempre ben vestiti come due piccoli principi, amati da tutti; giocavano con gli altri bambini del villaggio sentendosi privilegiati, ma senza farlo pesare ad alcuno. Bianca Ghirlanda dal canto suo non aveva mai approfittato di questa sua condizione di superiorità. I suoi modi erano semplici ed era pronta ad aiutare le persone in caso di necessità, soprattutto i suoi parenti e gli amici più cari.
Purtroppo questo periodo di gaiezza era destinato a finire.
Quando Milarepa aveva circa sette anni, il padre si ammalò di una malattia terribile. Medici e indovini si avvicendavano al suo letto, ma non esisteva cura per il suo male. La madre di Milarepa era disperata perché il suo amato marito stava per lasciarla ed ella sarebbe rimasta sola con i due figli. Cosa avrebbe fatto? Chi si sarebbe preso cura di lei? Quando Mila Trofeo di Saggezza si aggravò, tutti i parenti vennero a trovarlo, radunandosi intorno al suo letto. Egli allora, preoccupato per la sorte della moglie e dei figli, confidando nell’onestà e nel buon cuore dei congiunti, pronunciò il suo testamento, enumerando tutti i suoi possedimenti, che non erano pochi, le terre, il bestiame, la casa, gli oggetti preziosi in essa contenuti, senza tralasciare nulla; poi mise la famiglia, i suoi beni e le sue proprietà sotto la tutela di suo fratello, lo zio e di sua moglie, la zia acquisita, fino a quando Milarepa, ormai adulto, avrebbe potuto rientrare in possesso delle proprietà e sposare Dzesse, sua promessa sposa, con i parenti come testimoni. Raccomandò allo zio e alla zia e a tutti i parenti riuniti di prendersi cura della sua famiglia con sollecitudine ed affetto, aggiungendo che egli avrebbe vegliato dalla tomba, e spirò.
Dopo la cerimonia funebre gli zii entrarono in casa del defunto e fecero man bassa di ogni bene, tappeti pregiati, gioielli, utensili, mobili, portando via tutto, gli occhi pieni di cupidigia. Bianca Ghirlanda, in un angolo, con i figli stretti a sé, assisteva impotente, tremando di rabbia e di dolore. Questa era dunque la sorte che era toccata proprio a lei, che era di nobile lignaggio, abituata ad essere riverita da tutti! E proprio per mano dei parenti più stretti!
Le cose andarono molto peggio di quanto ella stessa avrebbe mai immaginato; Bianca Ghirlanda, ormai povera, era costretta a lavorare nei campi, lacera, e per di più additata da tutti, derisa. Erano stati una famiglia agiata, stimata da tutti, influente, ed ora erano dei miserabili.
Iniziò per lei un periodo di grande sofferenza e umiliazione, costretta a servire la zia, senza cibo a sufficienza per sé e i propri figli, i capelli a rade ciocche pieni di pidocchi, sporca e scalza.
Quanto sarebbe durato tutto ciò? Ci sarebbe stata una possibilità di riscatto? Così pensava e rimuginava, soffrendo pene indicibili.
Milarepa e Peta crescevano tra gli stenti, i bambini del villaggio ora li schernivano e il loro sguardo divenne triste. Non c’erano soldi per comprare abiti nuovi, senza scarpe i loro piedini si indurirono e i capelli si radunarono in lunghe ciocche, come quelli degli asceti.
In queste tristi condizioni, gli anni passarono.
Quando Milarepa compì quindici anni, Bianca Ghirlanda ricominciò a sperare. Non aveva più nulla, tranne un piccolo campo, datole in dote dai genitori, che suo fratello lavorava molto bene traendone un buon raccolto, così da mettere da parte un po’ di denaro. E sempre con l’aiuto del fratello riuscì ad organizzare un banchetto a casa sua, in grande stile, con carne, del buon chang ed ogni ben di dio. Tutti i parenti sarebbero dovuti intervenire, e, soprattutto, lo zio e la zia.
Era giunto infatti il gran giorno, così pensava Bianca Ghirlanda, in cui finalmente avrebbe rivendicato le sue proprietà e ogni bene sottrattole, perché suo figlio Milarepa, ormai grande, era in grado di assumere le responsabilità di un capofamiglia. Glielo avrebbe detto a gran voce, allo zio e alla zia, perorando la sua giusta causa, con tutti i parenti a testimoni!
Come sarebbe stata felice, finalmente, dopo tutti quegli anni di miseria ed ingiustizia! Bianca Ghirlanda non stava più nella pelle.
Finalmente arrivò il momento tanto atteso. Tutto era stato preso a prestito: tappeti pregiati erano stati stesi a terra e ai lati della stanza spiccavano una quantità di bei cuscini colorati dove potersi accomodare.
Al centro era stato allestito il banchetto: dell’ottimo chang, cialde squisite da accompagnarsi a stufati prelibati, l’immancabile tè al burro ed ogni leccornia facevano bella mostra di sé sulle tovaglie candide, a disposizione degli invitati, soprattutto degli zii, i quali avrebbero occupato il posto d’onore.
I parenti iniziarono ad arrivare, e anche gli zii che notoriamente erano dei gran mangiatori.
Bianca Ghirlanda li fece accomodare al posto loro riservato e il banchetto ebbe inizio. Tutti gustavano i cibi succulenti e s’inebriavano di birra parlando animatamente tra di loro e lodando la padrona di casa.
Ad un certo punto quando reputò essere il momento adatto, Bianca Ghirlanda si portò al centro della stanza, davanti allo zio e alla zia, e così parlò: ”Chiedo a tutti voi presenti, e in primo luogo allo zio ed alla zia, di prestare ascolto. Voi tutti siete stati testimoni della morte del mio amato marito, Mila Trofeo di Saggezza, e delle sue ultime parole. Ecco il suo testamento, che voi tutti ben conoscete.” E lesse tutto il testamento. Poi continuò: “Il senso di quanto è scritto è chiaro. È ormai tempo che mio figlio rientri in possesso del patrimonio, che gli spetta di diritto, affinché possa sposarsi con Dzesse e mettere su famiglia. Mi rivolgo dunque allo zio e alla zia affinché ci restituiscano i beni che furono a loro affidati”.
A queste parole lo zio, che aveva molti figli al seguito, iniziò ad inveire a gran voce contro Bianca Ghirlanda: “Che cosa dici? Di quali beni vai parlando, quando siamo stati noi a prestare a tuo marito la casa, i campi, i gioielli ed ogni altra cosa! Egli ce li ha semplicemente restituiti, alla sua morte. Ci siamo presi cura di voi, rimasti soli e in miseria, affinché non moriste di fame, miserabili!”
Poi lo zio scattò in piedi e, avventandosi su Bianca Ghirlanda, la schiaffeggiò e colpì i due figli con la manica della veste, a mò di sfregio.
Bianca Ghirlanda era furiosa e nello stesso tempo umiliata, chiamava il marito affinché facesse qualcosa dall’aldilà. Ma gli zii, i figli e i loro amici erano superiori di numero ed ebbero la meglio. Prima di andarsene, lo zio così parlò: ”Dici di essere povera, e allora con quali mezzi hai comprato tutto questo ben di dio? Anzi, anche questa casa ci appartiene, siamo stati degli sciocchi a lasciarla a degli ingrati come voi! Andatevene via immediatamente da qui! Noi i vostri beni non li abbiamo, e anche se li avessimo, non ve li renderemmo! Perciò, se siete in molti, fateci la guerra, se siete in pochi, inviateci la magia”.
Dopo queste dure parole, che mettevano fine ad ogni possibilità di riscatto della madre e dei due figli, gli zii uscirono impettiti e sdegnati, seguiti dai figli e da quanti tra gli invitati approvavano il loro comportamento.
Tutti gli altri si precipitarono ad aiutare Bianca Ghirlanda, dicendole di non prendersela, ma ella era distrutta, e così Milarepa e Peta, cui era stato sottratto il futuro di una vita dignitosa e felice. Non più speranze, finite contro il muro impenetrabile fatto di falsità e ingordigia dello zio paterno.
Cos’altro restava, a lei e ai figli, se non piangere, oppure….un pensiero diverso iniziò a farsi strada nella sua mente, assetata ora di vendetta: “Ecco la vera faccia dei nostri parenti, ed io che fino all’ultimo ho sperato… per Peta, per Milarepa…ora comprendo appieno le intenzioni dello zio e della zia e giuro che non avrò pace finché non avremo vendicato il torto subito, l’onta che per lunghi anni ci è stata gettata addosso…ma cosa ha detto lo zio…ha parlato di magia…”
Così piano piano nella mente di Bianca Ghirlanda un’idea si faceva strada, prendeva corpo, forma. Si andava delineando lentamente, a sua stessa insaputa, e fu un particolare evento che lo portò alla luce. Il fratello e i genitori di Dzesse, promessa sposa di Milarepa, la spronavano ad andare avanti e la aiutavano come potevano. Milarepa fu mandato a studiare presso un maestro assai rinomato nella zona; ogni tanto Dzesse andava a trovarlo, portandogli piccoli doni, a volte degli abiti, a volte una ghiottoneria. Quelle visite consolavano un po’ Milarepa, che si sentiva impotente contro lo zio, incapace di prendere le difese della madre e della sorella.
I due giovani si ritrovavano, parlavano un po’, si scambiavano qualche effusione. Quando Dzesse se ne andava, Milarepa era rincuorato, anche se triste nel vederla andare via. Un giorno il maestro di Milarepa fu invitato ad una festa, nella valle di Tsa, dove il “chang”scorreva a fiumi. Il maestro presto fu brillo, come tutti d’altra parte, ed anche Milarepa. Si cantò e si bevve in allegria e Milarepa dimenticò per un po’ la triste sorte capitata a lui e alla sua famiglia, in fondo era giovane e aveva voglia di divertirsi ogni tanto. Il suo cuore si sciolse, momentaneamente, ed incamminatosi verso casa, ripensando alla festa, iniziò a cantare, tanto più che aveva una bella voce!
Mentre ancora cantava, l’animo leggero e leggermente ebbro, arrivò proprio sotto le finestre di casa. La madre stava tostando dell’orzo quando udì la voce dolce, inconfondibile, di suo figlio. “Cosa?” gridò precipitandosi fuori, furiosa “Noi qui andiamo in rovina, né si potrebbe mai immaginare una situazione peggiore della nostra, e tu canti! Ma che razza di figlio sei!” e iniziò a colpirlo con l’attizzatoio.
A quelle grida anche Peta uscì, proprio mentre Bianca Ghirlanda, sopraffatta dall’emozione, perdeva i sensi. Peta si rivolse allora al fratello maggiore: “Ma cosa hai fatto? Non vedi che non è in sé! Aiutami a rialzarla!” E così iniziarono a piangere disperatamente, cercando di rianimare la madre.
A poco a poco ella riprese i sensi e, alzandosi, si unì al pianto dei figli.
Poi, tra le lacrime, fissando Milarepa, disse: “Figlio mio, sono disperata perché la nostra miseria è talmente grande! L’unica cosa che potrebbe consolarmi è vedere te, in alto, troneggiare sui nostri nemici, in basso, e annientarli fino alla nona generazione! Parti, dunque, va’ da un maestro di magia, un potente mago, e tramite l’affatturamento, la grandine ed altri terribili artifizi, fai finalmente giustizia!”
Milarepa non poteva rifiutare nulla a sua madre e così, fatti i dovuti preparativi e messi insieme i doni per il maestro, partì.
Fonte che si ringrazia devotamente per la sua grande gentilezza http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/buddhismo/magrini.pdf