Denys Rinpoce: La terapia sacra, le quattro nobili realtà
1. INTRODUZIONE
Una terapia di liberazione dal malessere, che realizza il benessere
La terapia sacra per la felicità autentica fu il tema del primo insegnamento del Buddha, che la espose in quattro tappe: le Quattro Nobili Realtà. Questo tema era di attualità 25 secoli fa, e lo è ancora oggi.
Una motivazione universale
Questo tema ci riguarda tutti. È interessante notare che se c’è qualcosa che ci unisce tutti, è la motivazione di stare bene, di trovare il benessere, la felicità. Sarebbe difficile trovare delle eccezioni. Tutti abbiamo questa aspirazione normale, legittima, e universale che è comune a tutti gli esseri viventi….
Il contesto: il risveglio e l’inizio dell’insegnamento
Forse conoscete la storia del Buddha: dopo anni di ricerche di meditazione, si è seduto ai piedi di un albero e restando in contemplazione ebbe l’esperienza di una rivelazione, di una visione di risveglio. Si è risvegliato alla realtà di ogni cosa. In questo stato di risveglio alla realtà di ciò che è, ha visto e provato la via della felicità, la via della liberazione dal malessere e dalle sofferenze. È quello che enunciò nel suo primo insegnamento.
Dopo essersi risvegliato a Bodhgaya, si è chiesto che cosa ne avrebbe fatto di questa esperienza. Come condividerla con gli altri? Egli vedeva che non sarebbe stato facile. Andò ad ovest dell’attuale Bihar, a Sarnath, nel parco delle gazzelle, vicino a Benares. Ritrovò i suoi vecchi compagni che l’avevano abbandonato quando aveva deciso di lasciare la forma di ascesi estrema che praticavano insieme… È al loro che esporrà il suo primo insegnamento.
La constatazione: la disarmonia e il malessere
Nel suo primo insegnamento Buddha segue un approccio eminentemente pragmatico. Egli parte dalla constatazione della nostra situazione: una situazione di malessere, di malattia, e poi si domanda quale sia la sua origine.
All’inizio ci troviamo in uno stato di disarmonia o di malessere. L’origine di questa disarmonia si trova nella presa/fissazione dualista che fa esistere l’illusione dell’ego e l’avidità delle sue passioni nei confronti dei suoi oggetti. La salute fondamentale è la cessazione della disarmonia con la la realizzazione dell’armonia essenziale. Il Buddha indica il cammino, è la terapia sacra, la via verso lo stato del risveglio, lo stato primordiale di salute fondamentale.
Il Buddha non ha insegnato una verità, non ha predicato “credete questo” o “credete a quello”, e nemmeno “ho scoperto la verità”. Il suo approccio è terapeutico: il suo scopo è di curare la vita, di curare la mente, di prendersi cura di quello che siamo e di condurci alla guarigione.
In questa prospettiva terapeutica medica, è molto utile capire che l’armonia corrisponde alla salute (quando il nostro corpo con le sue diverse funzioni ed organi opera armoniosamente c’è la salute, il benessere). Al contrario, la disarmonia corrisponde alla malattia (quando il nostro corpo e i suoi organi funzionano male, in disarmonia, allora c’è la malattia, malessere e sofferenza). Armonia, salute e benessere sono lo stato naturale che, se perturbato, diventa disarmonia, malattia, malessere.
Duhkha e suhkha
In sanscrito, questa malattia, questo malessere e queste sofferenze, viene chiamato “duhkha”. Duhkha viene tradotto più frequentemente con “disarmonia, malessere, sofferenza e infelicità”, e suhkha viene tradotto con “armonia, benessere e felicità”. In francese “felicità” e “infelicità” sono parole il cui senso è simmetrico a suhkha e duhkha: una parte della parola è la stessa e la seconda parte esprime “bene” o “male”. Tempo fa, un amico specialista di sanscrito che è stato uno dei miei professori mi spiegò la differenza tra duhkha e suhkha, dicendo che “kha” ha il senso di “centro” o di “girare”. Suhkha è quando gira bene e duhkha è quando gira male. È anche un modo per parlare di armonia: suhkha è l’armonia, duhkha la disarmonia. Suhkha è l’armonia della realtà, della salute fondamentale, analoga alla salute fisica, è lo stato di armonia dell’organismo. Questo stato di salute fondamentale è naturalmente benessere e felicità.
Duhkha è la disarmonia. È la realtà offuscata dalle interferenze delle illusioni che producono un disfunzionamento analogo alla malattia e, come sappiamo tutti, la malattia è malessere e sofferenza.
Nondimeno, la traduzione di duhkha con sofferenza è riduttrice. Non è sbagliata ma da un’impressione pessimista che non corrisponde all’insegnamento originale, e il significato di questa parola va al di là di quello che si intende di solito con sofferenza. Dunque tradurremo meglio duhkha con disarmonia o malessere oppure manterremo la parola sanscrita. Il malessere è “essere nell’illusione”, e l’illusione è penosa e dolorosa.
La terapia sacra, via della guarigione, è la via che conduce dal malessere alla salute fondamentale.
2. LE QUATTRO TAPPE DELLA TERAPIA SACRA
Introduzione
Le Quattro Nobili Realtà espongono la via della liberazione dal malessere, ovvero la realizzazione della felicità. Sono le quattro tappe della terapia sacra. Queste tappe sono: la constatazione della malattia, poi la diagnosi della sua origine, e, nella conoscenza della possibilità di guarigione, l’applicazione della terapia adeguata. È un protocollo terapeutico classico.
La Prima Nobile Realtà del Buddha: duhkha, il malessere e le sofferenze
Dalla sofferenza grossolana alla più sottile
Nella Prima Nobile Realtà, il Buddha fa una constatazione: nel mondo, in noi stessi, nella nostra vita, in quello che sono e che vivo, c’è del malessere, della disarmonia e delle sofferenze. Noi ci troviamo di solito in uno stato di duhkha. Spiega poi che ci sono diversi livelli di malessere, di duhkha.
C’è il malessere grossolano, il dolore, la sofferenza abituale che sperimentiamo nella vita dalla nascita alla morte con le malattie e la vecchiaia. E anche essere confrontati a quello che non vogliamo, a non avere quello che avremmo voluto.
C’è poi un malessere più sottile che è il malessere della mancanza, del cambiamento o della perdita.
C’è infine un malessere molto sottile che è il malessere esistenziale, il malessere dell’esistenza, della separazione, dell’incompletezza. Dal momento che è molto sottile, è un malessere spesso impercettibile. Soggiace ai primi due ma è di solito mascherato da questi stessi.
Dalla sofferenza sottile alla più grossolana
– Duhkha esistenziale
Consideriamo ora duhkha partendo dal suo aspetto più sottile per andare verso quello più grossolano. Duhkha inizia con la disarmonia che è l’esistenza individuale, ovvero con la dualità, la separazione che fa sì che esistiamo come qualcuno, come individualità o ego separati da ciò che è altro, come un soggetto di fronte al suoi oggetti di esperienza.
Questa separazione inizia con il soggetto che è l’osservatore. È la nascita del soggetto, che vive l’esperienza come propria. E l’apparizione di un io che abita l’esperienza e se ne appropria. Questa separazione o taglio, è l’esilio dallo stato primordiale, l’esilio dalla realtà non dualista, l’esilio dall’Essere assoluto, potremmo dire in Occidente. È duhkha esistenziale, o duhkha dell’essere individuale, il malessere dell’essere individuale che è la malattia di essere o anche la malattia dell’essere e l’impressione, l’illusione che l’ io-soggetto e gli oggetti che l’”io” afferra esistono indipendentemente. È l’illusione che gli esseri esistono veramente, indipendentemente. Il dharma del Buddha insegna il carattere relativo, relazionale di ogni essere. Espone che ogni cosa è interdipendente, che tutto vive in interdipendenza; in effetti non c’è un essere ma piuttosto un’inter-essere.
Prendersi cura dell’essere, la terapia dell’essere, è realizzare l’illusione dell’essere individuale indipendente, constatare che non esiste veramente. L’essere esiste solo come illusione, è l’insegnamento dell’interdipendenza, dell’assenza di indipendenza o della vacuità, del vuoto di essere indipendente.
L’impressione d’essere, la presa/fissazione di essere e degli esseri che sono le cose è dunque duhkha fondamentale; è il primo aspetto da cui discendono gli altri
Secondo la formulazione tradizionale: “i cinque aggregati della presa-fissazione (skandha: la forma, la sensazione, la percezione, l’azione e la coscienza) sono sofferenza”. Questi cinque aggregati costituiscono la nostra esperienza nell’esistenza individuale, e dunque il semplice fatto di essere come siamo è duhkha fondamentale.
– Duhkha del cambiamento
Quando si “è”, “quello che si è” ha paura di perdere ciò che è e ciò che ha; paura di perdersi, paura del cambiamento, della perdita e della mancanza. È il secondo aspetto di duhkha, duhkha del cambiamento, che è l’esperienza del carattere transitorio delle cose, associata all’esperienza della perdita, della mancanza e della frustrazione. C’è una inadeguatezza tra la natura impermanente di ogni nostra esperienza felice o infelice e la tendenza solidificatrice, reificatrice della presa-fissazione che tende a percepire delle entità stabili là dove non ce ne sono e che cerca di conservare quello che non può essere conservato.
– Duhkha della sofferenza
Infine, i sintomi grossolani di duhkha sono tutte le forme di malessere, di malattia e di sofferenza psicologica o fisica: è la sofferenza in tutte le sue forme abituali, nude e crude, quello che chiamiamo duhkha della sofferenza.
Secondo le parole del Buddha: “la nascita è duhkha, la vecchiaia è duhkha, la malattia è duhkha, la morte è duhkha, essere uniti a quelli che non amiamo è duhkha, essere separati da chi amiamo è duhkha”.
Duhkha della sofferenza riguarda tutte le sofferenze fisiche e mentali di cui possiamo fare l’esperienza nella nostra vita.
– Un approccio realista
Possiamo constatare, con questa Prima Nobile Realtà, che l’approccio del Buddha è fondamentalmente realista. Se non ci fosse stato all’inizio, in una forma o in un’altra, della disarmonia o del malessere, non ci sarebbero stati problemi, domande, cammino o via, tutto sarebbe già perfetto. Quest’approccio parte dalla realtà: il nostro stato abituale con le sue disarmonia e il suo malessere.
– La Seconda Nobile Realtà del Buddha
– La diagnosi
La Seconda Nobile Realtà corrisponde alla diagnosi, l’origine di duhkha, la comprensione dell’origine della disarmonia, della malattia. Fondamentalmente, quest’origine si situa nella presa/fissazione che fa esistere l’illusione dell’ego e delle sue passioni, l’illusione della dualità soggetto-oggetto e tra questi due poli le passioni che si possono riassumere in tre: attrazione, repulsione e indifferenza. Con il termine presa-fissazione, noi intendiamo l’appropriazione costitutiva della coscienza abituale ed in questa tutte le relazioni di desiderio-attaccamento, di aggressione e di indifferenza. In altri termini, l’origine di duhkha è l’ignoranza o l’illusione, ovvero la non comprensione, o la non intelligenza della realtà così come è a livello essenziale fondamentale.
La dualità come origine di duhkha
Il malessere inizia con la dualità, la separazione io-altro che è la nascita dell’illusione dell’ego. Quello che noi chiamiamo ego è la coscienza abituale nella sua presa fissazione osservatore-osservato e nell’identificazione all’osservatore come “io”. L’ego si trova nelle pulsioni il cui prototipo è una triade: attrazione, repulsione e indifferenza. Da queste tre passioni o emozioni conflittuali di base derivano tutti gli altri comportamenti e atteggiamenti egotici ed egoisti e tutte le passioni. Quest’origine di duhkha è la seconda nobile realtà.
L’ignoranza come origine di duhkha
La dualità di cui parliamo è l’ignoranza fondamentale, la radice di tutti i veli e di tutte le passioni. Quello che noi traduciamo qui con “ignoranza” è il termine tibetano “marigpa”. Dunque, letteralmente, “marigpa” è l’assenza di “rigpa”. “Rigpa” è l’esperienza primordiale, l’intelligenza immediata e non dualista, che possiamo chiamare “gnosi”. Questa gnosi è la natura di buddha, lo stato di salute fondamentale. L’ignoranza è dunque la “non-gnosi” la non intelligenza della nostra natura, del nostro stato fondamentale. Bisogna ben capire che l’ignoranza di cui parliamo non è l’assenza di sapere nel senso abituale ma l’assenza di realizzazione della nostra vera natura. Questa ignoranza è l’origine di duhkha, è non conoscere o realizzare quello che io sono, significa non aver realizzato quello che ci suggerisce il famoso “conosci te stesso”.
L’esilio dalla terra pura come duhkha
Nel nostro stato abituale, la dualità ci ha dunque esiliato dallo stato primordiale che è quello della “terra pura” come la chiamiamo nel dharma. Questa dualità è l’ignoranza che ci separa dalla nostra natura primordiale originariamente pura. Ci fa perdere la nostra salute fondamentale, ce ne taglia fuori, ci esilia, ce ne allontana.
Ci sono diverse tappe nell’esilio. Sono quelle della coagulazione della presa-fissazione dualista e delle sue rappresentazioni che solidificano un mondo artificiale, separato dalla natura prima. Tutte queste tappe o livelli di dualità sono anche gli stati multipli della coscienza, gli stati del samsara, i diversi mondi della coscienza nei quali si coagulano l’osservatore e il suo mondo osservato, l’abitante e l’abitacolo
Notate che questa separazione o quest’esilio, che è l’inizio dell’illusione o la nascita della dualità, può essere espresso anche in un modo monoteista come la perdita della natura divina da cui l’uomo decadde per aver voluto conoscerla afferrandola. Dandole un nome, afferrare questa natura la fa diventare qualcosa d’altro. Con i nomi e le forme, l’uomo si è rappresentato quello che era e, in questa rappresentazione, ha abbandonato la presenza della sua natura primordiale.
All’inizio, prima dell’illusione della presa/fissazione concettuale, prima della concezione, c’è lo stato di presenza primordiale, lo stato di salute fondamentale, lo stato adamantino. Poi, nella concezione, nasce “io”, e con “io” è nasce ciò che è altro da “io”. La dualità nasce nella concezione. Tutto ciò che può essere conosciuto, tutte le concezioni, “co-nascono” le proiezioni che costituiscono il mondo abituale, il samsara, che si sovrappongono così alla realtà fondamentale dello stato naturale primordiale. Questa emergenza dell’io e del suo mondo è l’emergenza del samsara, il ciclo degli stati molteplici della coscienza e delle sue illusioni soggetto-oggetto.
Così, in modi diversi, l’origine di duhkha è l’illusione, la malattia che è la presa-fissazione duale, l’ignoranza che è la coscienza duale, che vela la natura fondamentale della mente.
Il desiderio egotico come origine di duhkha
L’origine del malessere e delle nostre sofferenze si trova nella avidità, il desiderio in quanto pulsione dell’ego, l’appetito egoista.
Tutte le infelicità personali e quelle del mondo hanno una sola causa: questo desiderio e questo appetito egoista. Si può fare una lettura della situazione del mondo, una lettura dell’attualità con questo tipo di sguardo. Qualche anno fa c’è stato un colloquio sul tema “economia e spiritualità”. Nella mia presentazione, facevo notare che in Occidente come in Oriente, si può considerare che i problemi economici hanno una sola causa, che è l’avidità.
In questo senso, Aristotele e Buddha hanno una stessa visione. In Occidente, Aristotele nella sua etica fa una distinzione tra quello che chiama l’economia e la crematistica. L’economia consiste in tutti i scambi della società umana: il cibo, l’habitat, il petrolio, gli aerei, i servizi, tutti gli scambi o transazioni tangibili. Tutto questo flusso, questi scambi, costituiscono la dinamica della società. Aristotele dice che tutto questo è l’etica. Al contrario, la crematistica è l’avidità, l’arricchimento per l’arricchimento, la creazione artificiale di ricchezza, money making money. Per Aristotele, la crematistica non è etica, l’avidità non etica. È esattamente quello che anche il Buddha ha detto, non in termini di etica in effetti, ma in termini di malattia: l’avidità è una malattia. È la malattia dell’ego.
Nella tradizione dei tantra che utilizza delle immagini simboliche molto forti, l’ego è rappresentato con un vampiro. La pulsione dell’ego è la pulsione del vampiro, quella che lo porta a saltare sul vicino per succhiare il sangue! L’ego è un vampiro, il sistema finanziario contemporaneo è come un vampiro!
Il Buddha ha insegnato che la fonte del malessere si trova in questa pulsione egotica vampiresca. È vero a livello interpersonale, è vero nella coppia, in famiglia, nelle relazioni professionali, sociali, economiche, internazionali, e finanziarie a livello planetario. Ed è questa pulsione egotica vampiresca che ci ha condotto oggi nel disastro ecologico planetario nel quale ci troviamo.
Il Buddha fu chiamato “anatmavadin” che significa quello che insegna “anatma”, il non sé. Intendiamo con “non sé” il carattere illusorio, relativo, relazionale del sé. Perché credere in un sé è un problema! Credere nella realtà del “sé” o “io” induce la pulsione dell’ego. Possiamo notare che, in questo contesto, “sé”, “io” e “ego” sono dei sinonimi. Potremmo anche aggiungere, come sinonimi occidentali “anima” e “essere”, ma questo potrebbe essere complicato, perché le definizioni e gli ambiti di significato variano.
Il Buddha insegnato che “io sono”, ma che “io non sono un’entità solida e indipendente; “io sono relativamente, ma dietro l’impressione di essere solido e indipendente, non c’è una realtà sostanziale o indipendente”. Ha anche mostrato che non siamo questo ego solido e indipendente con il quale ci identifichiamo abitualmente. Questo ego, questo io con il quale ci identifichiamo, è un’impressione reale, ma privo di una realtà autentica. Vivere comprendendo tutto questo, entrare completamente in questa intelligenza e in questa esperienza è una grande liberazione.
La terza nobile realtà del Buddha
La salute fondamentale
La Terza Nobile Realtà del Buddha è quella della salute fondamentale, la possibilità di liberazione, la cessazione di duhkha. Siamo sani prima di essere malati, c’è in noi una salute fondamentale, profonda, un buon fondo, un fondo sano. E se duhkha, il malessere, è senz’altro una realtà, è possibile liberarsene. È possibile guarire da questa malattia e realizzare la salute che noi siamo fondamentalmente.
Questa salute fondamentale è pura intelligenza, pura bontà, intelligenza in sé, bontà in sé, che sono le qualità naturali e spontanee dello stato di presenza assoluta, lo stato del risveglio.
Il risveglio al di là dell’illusione
Questa Terza Nobile Realtà è la grande scoperta del Buddha: al di là dell’illusione, al di là della malattia, c’è uno stato di salute, la liberazione dalla disarmonia, la realizzazione dell’armonia fondamentale, l’esperienza dello stato primordiale. Questa realizzazione è il risveglio, la fine dell’illusione simile ai sogni durante il sonno. È la nobile realtà della cessazione di duhkha, la realizzazione del risveglio assoluto.
Il Nirvana
La cessazione di duhkha viene anche chiamato Nirvana, termine che si può tradurre con “estinzione dell’illusione”, la fine dell’individualità che si dissolve nella Chiara Luce. La Chiara Luce è la chiarezza fondamentale dello stato di presenza. E’ la chiarezza visibile e intelligibile dell’esperienza che si vive in se stessa, nell’istantaneità immediata dell’eterno presente. È l’esperienza più semplice e più vicina che ci possa essere, talmente semplice che c’è prima che ci siamo noi, e talmente vicina che è più vicina a noi stessi di quanto noi siamo vicini a noi stessi.
La Quarta Nobile Realtà del Buddha
La Quarta Nobile Realtà del Buddha è quella della terapia sacra propriamente detta. È la nobile realtà della via che permette di guarire dalla malattia delle illusioni e delle passioni, il cammino della riunione con lo stato primordiale, lo stato di risveglio. Questa via, il Buddha l’ha presentata come un triplice apprendistato.
L’apprendistato di un’etica di bontà, di amore-compassione e di non violenza che viene chiamato shila in sanscrito.
L’apprendistato dell’esperienza di presenza autentica, di attenzione e di apertura completa a ciò che qui, nell’istante: samadhi in sanscrito.
L’apprendistato della comprensione, l’intelligenza della natura dell’esperienza che io sono e vivo, o la presenza assoluta dell’assenza di sé, prima della separazione dualista: prajna in sanscrito.
N.B. Il triplice apprendistato e gli addestramenti pratici saranno sviluppati nei prossimi temi.
Conclusione
Una via di realizzazione
In conclusione, la terapia sacra ci conduce a realizzare la realtà, ed è per questo che ne parliamo come di una realizzazione. È anche la via della liberazione e della felicità assoluta. È la grande terapia, ed è per questo che uno degli epiteti del Buddha è “il grande terapeuta” o “il grande medico.
Una via di liberazione
Il dharma è dunque una via di risveglio, di salute. E’ una via di liberazione da duhkha, una via di liberazione dal malessere, la cui origine è l’illusione dell’ego che viene chiamata ignoranza, con la pulsione, l’appetito avido che ne deriva.
Non si tratta però di appropriarsi della felicità in modo egoistico, ma di liberarsi dalle cause del malessere e della sofferenza.
Viva la libertà! Il Buddha dice: “come il grande oceano ha un unico sapore, quello del sale, il mio insegnamento ha un unico sapore, quello della liberazione”.
(estratto da un insegnamento di Deny Rinpoce: La via della felicità, Grenoble, 22 marzo 2012)