5 – Commentario sul Sutra del Essenza della Saggezza del Ven. Geshe Gedun Tharchin, Roma 2004.
Il sentiero della preparazione
La seconda parte della risposta indica il modo in cui si può riflettere su questa prima frase, secondo quattro modalità diverse. Si entra maggiormente nel dettaglio su come riflettere circa la vacuità dei cinque aggregati. Si dice che il tuo corpo è vacuo e la vacuità è il tuo corpo, il tuo corpo non è altro che la vacuità e la vacuità non è altro che il tuo corpo o : “La forma è vuota, la vacuità è forma; la vacuità non è altro che forma, la forma non è altro che vacuità. Allo stesso modo sono vuote le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza.”
Questi quattro modi diversi di riflettere sulla vacuità appartengono al sentiero della preparazione. Quando si legge questo testo non si avverte immediatamente la distinzione in cinque fasi diverse, perché si parla sempre di vacuità, il testo è relativamente breve, non si vedono molte differenze, sembra che si rimanga sempre su uno stesso discorso. Invece con l’aiuto di queste cinque fasi possiamo percepire come sia progressivo il modo che il testo ha di proporre, di consigliare la pratica di avvicinamento a tale realizzazione.
Quando leggiamo la prima frase, che dice che i cinque aggregati sono vacui, questo è un modo breve, sintetico per avvicinarsi alla vacuità, specialmente con riferimento alla vacuità del sé. Dire che i cinque aggregati sono vacui è un modo molto sintetico di definire la vacuità degli aggregati ed è un modo molto conciso di presentare la riflessione su di essi.
Quando si leggono queste righe la profondità della comprensione raggiunge solo il livello dello studio, della riflessione, non raggiunge il livello della meditazione. Dopo la prima fase di accumulazione, in cui si studia, si impara, si comprende cos’è la vacuità, si raggiunge il secondo gradino, quando si dice : “La forma è vuota, la vacuità è forma; la vacuità non è altro che forma, la forma non è altro che vacuità”. In questo momento si va più in profondità nell’osservazione della vacuità della forma e questo significa che siamo entrati nel livello della meditazione. A questo punto si entra nel sentiero della preparazione.
Come si passa ora dal percorso dell’accumulazione al percorso della preparazione? Questo passaggio è determinato solamente dal livello di realizzazione della vacuità raggiunto. All’inizio si ha una visione strettamente intellettuale di cosa sia la vacuità, poi attraverso una meditazione si comincia a vedere questa vacuità, si comincia a realizzarla, non ad alto livello, poiché questa realizzazione è ancora piena di punti d’ombra, di cose non chiare, ma comunque si inizia a percepire cosa sia la vacuità. Solo attraverso la meditazione si può pervenire alla realizzazione, la meditazione samatha (che è la meditazione su un unico punto) e vipassana (che è l’analisi della vacuità). Attraverso l’unione di samatha e vipassana si può raggiungere la realizzazione della vacuità.
Una volta ottenuta tale realizzazione, si raggiunge il sentiero della preparazione. Per cosa ci stiamo preparando? Ci stiamo preparando a vedere la vacuità, ci stiamo preparando al sentiero della visione, intesa come un vedere in maniera intuitiva, chiara, diretta. Dunque il percorso della preparazione dura fino al momento in cui si percepirà spontaneamente, direttamente la vacuità.
Adesso abbiamo visto chiaramente quali siano le caratteristiche del sentiero dell’accumulazione, del percorso della preparazione e del percorso della visione.
Il percorso dell’accumulazione ha tre fasi: una iniziale, una intermedia ed una avanzata. Nella prima fase dovremmo praticare le quattro consapevolezze vicine: consapevolezza del corpo, consapevolezza delle sensazioni, consapevolezza della mente, consapevolezza degli aspetti positivi e negativi dei fenomeni. Questo è il modo per preparare una solida base per l’arrivo di tutte le realizzazioni future.
Per poter praticare bene queste quattro consapevolezze è necessario basarsi sulle Quattro Nobili Verità, che sono fondamentali.
Come seconda parte del sentiero dell’accumulazione dovremmo praticare le quattro perseveranze.
In terzo luogo ci sono le quattro concentrazioni.
Quindi è molto importante lo sviluppo della consapevolezza, della perseveranza, della concentrazione, che sono fondamentali per espandere le nostre realizzazioni nel futuro. Inoltre queste tre cose ci danno una forza dinamica che ci permetterà di far sviluppare il sentiero della preparazione per poter capire, realizzare la vacuità.
Nel percorso dell’accumulazione vi è però un altro aspetto riguardante il metodo, la bodhicitta. Lo sviluppo di bodhicitta è reso attraverso tre metafore: bodhicitta come il terreno, bodhicitta come l’oro, bodhicitta come la luna(, la luna) del primo giorno. Tali esempi rappresentano l’incrementarsi di bodhicitta durante il sentiero dell’accumulazione.
Bodhicitta come terreno rappresenta la bodhicitta che fornisce una valida base per l’incremento della realizzazione. In questo primo momento, però, la bodhicitta potrebbe anche decrescere, diminuire.
Quando si raggiunge, invece, il secondo livello, cioè la bodhicitta come l’oro, significa che ormai la bodhicitta non cambia più, non può più diminuire (in quanto l’oro è inalterabile).
Il terzo livello, la bodhicitta come la luna del primo giorno, significa che da questo momento la bodhicitta aumenterà sempre, proprio come la luna del primo giorno che cresce sempre.
Per riassumere: nel sentiero dell’accumulazione, con riferimento al percorso del bodhisattva, quando si acquisisce la bodhicitta come il terreno, questo è il momento in cui entriamo nel percorso maha-yana del bodhisattva. Per aumentare questa bodhicitta vi è la pratica delle quattro consapevolezze che sviluppa la bodhicitta facendola divenire bodhicitta simile all’oro; in seguito, la pratica delle quattro perseveranze la espande ulteriormente, facendola diventare bodhicitta come la luna del primo giorno; infine la pratica delle quattro concentrazioni l’espande al punto tale da raggiungere il sentiero della preparazione, in cui la bodhicitta è come il calore.
Questo rafforzamento di bodhicitta attraverso le tre quadruplici pratiche è ciò che ci permette di avere una comprensione sempre più approfondita della vacuità. La meditazione sulla vacuità, pratica che è simultanea a quella delle tre quadruplici pratiche, ci aiuta a passare dal sentiero dell’accumulazione a quello della preparazione e automaticamente a generare una bodhicitta che è come il calore.
Quindi l’ottenimento della bodhicitta come il calore, la realizzazione della vacuità e l’entrata nel sentiero della preparazione avvengono nello stesso momento, simultaneamente.
III Parte Lo Jong (14 Marzo 2004)
Stiamo tentando di sviluppare una comprensione approfondita sul Sutra del Cuore, per poter capire la realtà ultima o verità ultima dei fenomeni esistenti.
Lo strumento da utilizzare per tale comprensione è il Dharma, che è un termine molto conosciuto, molto diffuso oggigiorno, utilizzato sia all’interno del Buddismo sia all’interno della pratica Induista e che viene usato anche in altre tradizioni religiose per indicare una soluzione ai problemi quotidiani.
All’interno della filosofia buddista il Dharma indica la natura ultima dei fenomeni, denominata vacuità. Con riferimento al Dharma si parla anche di Nirvana, intendendo per questo la vacuità della mente che è riuscita ad arrivare la di là di ogni sofferenza. Quindi il Dharma e il Nirvana sono strettamente collegati.
Il motivo per cui possiamo sviluppare il Dharma e il Nirvana risiede unicamente nella nostra mente. La mente possiede la caratteristica innata di sentire spontaneamente un senso di Io, di Mio. Se non vi fosse questa naturale tendenza a sviluppare un’idea di Io e di Mio, allora non sorgerebbe nessun problema, nessuna sofferenza. La filosofia buddista propone un approccio basato sull’osservazione di questa tendenza umana a concepire l’esistenza di un Io e di un Mio: l’oggetto base della pratica è lo studio dei motivi che ci spingono a seguire la tendenza a percepire un’idea di Io e di Mio.
Nella pratica del Lo Jong, che unisce tutti gli insegnamenti sul Lo Jong, si dice nel primo verso che bisogna dare la colpa di tutti i problemi ad una sola cosa: l’attaccamento al sé. Dal momento che abbiamo questa naturale tendenza a credere in un Io, iniziamo ad attaccarci a questa figura e pensiamo “Io devo essere felice, Io devo essere contento, etc…”. L’oggetto di quest’attaccamento è appunto l’Io, unito all’idea di Mio. Risolvere i problemi non significa risolverli uno per uno, perché ciò sarebbe impossibile, non basterebbe la nostra vita intera, dal momento che i problemi sono migliaia. Per questo alcune persone intelligenti consigliano di tagliare l’origine dei problemi, di sradicare il fondamento dei problemi, in modo tale che non possano germogliare i suoi rami e frutti. La radice di tutti i problemi è appunto l’attaccamento al sé. Per riuscire a liberarcene, bisogna innanzitutto andare alla ricerca e analizzare quello che noi chiamiamo Io. Non è sufficiente sviluppare questa riflessione solo ad un livello mentale, occorre, al contrario, pensare profondamente, analizzare intensamente questo tema.
L’attaccamento all’Io si suddivide in due livelli: l’attaccamento al sé che deriva dall’aver sentito teorie su questo Io; l’attaccamento al sé che deriva dall’attaccamento istintivo, naturale all’Io.
Noi stiamo tentando di eliminare non l’attaccamento al sé frutto di teorie sull’Io, ma stiamo tentando eliminare l’attaccamento all’Io fondamentale, spontaneo. È curioso notare come sia molto difficile studiare, apprendere delle cose positive, mentre non dobbiamo fare assolutamente niente per sviluppare questo attaccamento all’Io, che possediamo già come componente innata del nostro essere. Bisogna sforzarsi molto per ottenere la capacità meditativa, la concentrazione, la compassione, ma per avere questo attaccamento all’Io non dobbiamo fare proprio nulla. È un buon segno o no? È interessante: sia la compassione, la gentilezza amorevole, sia l’attaccamento all’io sono ambedue emozioni mentali; ma mentre l’attaccamento all’Io si manifesta spontaneamente, in ogni circostanza, la compassione, per quanto cercata, si manifesta poche volte. Inoltre tutto ciò che richiede sforzo per essere sviluppato, cioè le buone qualità, porta felicità.
Quando si parla di vacuità non è importante chiedersi se tutti i fenomeni sono vacui o no. La cosa importante è chiedersi se l’oggetto dell’attaccamento al sé, l’Io, è vacuo o no, se esiste realmente nella maniera in cui lo percepiamo, in cui ci appare spontaneamente. Questo attaccamento non fa altro che portarci problemi, quindi bisogna impegnarsi nel capire perché comporta così tanti problemi. Generalmente tentiamo di risolvere i problemi senza mai chiederci qual è la causa di questi problemi. Se non sappiamo cos’è che ci procura problemi e continuiamo a tentare di risolvere i problemi, non vi riusciremo mai, perché la causa dei problemi resta. La conoscenza, la comprensione della vacuità è così importante perché riguarda la radice della sofferenza, di tutti i problemi. Tutte le altre cose sono metodi per risolvere i problemi, ma se non eliminiamo la loro causa, continueranno ad esserci continuamente.
Il riconoscimento dell’Io, del sé è fondamentale nel mondo buddista.
Il primo passo da fare in questa ricerca circa la natura dell’Io è osservare l’Io così come ci appare spontaneamente per via della nostra innata tendenza.
È importante conoscere l’Io ed è importante non attaccarsi all’Io. Perché quando ci attacchiamo all’Io non ci attacchiamo all’Io vero, bensì a qualcos’altro. L’Io che compare agli occhi dell’attaccamento è completamente diverso dall’Io che appare agli occhi della saggezza. Riuscire a vedere il vero Io è la causa che sta alla base dell’eliminazione di tutti i problemi derivanti da una sua errata percezione. Attaccarsi all’Io impedisce di vedere il vero Io. Quando parliamo di vacuità dell’Io non parliamo di eliminazione dell’Io, parliamo del riconoscimento del vero Io, della sua realtà ultima, e solo nel momento in cui saremo in grado di riconoscere il vero Io inizieremo a provare dei veri benefici. Per questo motivo la vacuità dell’Io è la realtà ultima dell’Io. Vedere la vacuità dell’Io significa conoscere l’Io perfettamente, vedere come siamo veramente. Negli altri momenti noi pensiamo di fare qualcosa per noi stessi, ma in realtà non sappiamo neppure cosa siamo veramente ed è per questo che finiamo sempre per creare difficoltà, problemi, sofferenze; il punto è che in realtà si ignora il proprio vero io e ci si attacca a qualcosa di diverso dal proprio vero Io. Invece riconoscere il nostro vero sé ci permette di trovare i modi per portare aiuto e benefici a noi stessi. L’Io è l’oggetto della spontanea attitudine d’attaccarsi all’Io ed è un Io sbagliato. La vacuità dell’io, l’assenza di sé, dell’Io stesso è il vero Io. L’Io è vacuità, la vacuità è l’Io, l’Io non è altro che vacuità, la vacuità non è altro che l’Io: basandoci su questa riflessione inizieremo a vedere cos’è il vero Io. Prima di fare ciò, però, dobbiamo procedere in un altro tipo di meditazione che consiste nel cercare l’Io nei cinque aggregati: dobbiamo considerare i cinque aggregati costituenti di ciò che chiamiamo Io o sé come a loro volta privi di un’esistenza intrinseca, autonoma.
Quando parliamo di Io, quando usiamo la parola Io, non ci chiediamo mai di che cosa sia fatto questo Io, dove si trovi, in cosa consista. In realtà non è nulla di differente dai cinque aggregati che ci costituiscono. L’Io è composto, formato dai cinque aggregati. Ma se andiamo ad analizzare ciascuno di questi costituenti, non possiamo dire che uno di essi costituisca l’Io. Esaminando infatti ognuno di questi cinque aggregati, come ad esempio la forma, ci verrà da chiederci che cosa sia la forma stessa. Si pensa che la forma sia qualcosa di concreto, di esistente, ma quando cominciamo ad osservarla attentamente, ad analizzarla non la vediamo più nella stessa maniera in cui la percepivamo prima: la forma sparirà. Similmente anche le sensazioni, come “mi sento male, soffro, sono felice”, una volta analizzate, spariscono, non esistono più nel modo in cui le percepivamo. Non si tratta solo di sensazioni negative come la sofferenza; anche se analizziamo la felicità ci rendiamo conto di quanto questa sia in realtà diversa da come siamo soliti intenderla, diversa da come ci appare. Possiamo considerare in questo modo anche le discriminazioni (cioè la capacità di suddividere, di distinguere le persone e le cose) e ci accorgeremo di quanto sia distante la nostra abituale percezione di esse in confronto alla loro reale natura. Questo vale anche per il quarto dei cinque aggregati, vale a dire gli elementi di formazione, cioè gli altri fattori mentali oltre la discriminazione. Quando analizziamo questi elementi di formazione vediamo come la loro reale natura sia diversa dall’idea che ne abbiamo istintivamente, spontaneamente. Arriviamo dunque al quinto dei cinque costituenti, cioè la coscienza, anche detta mente principale. Solitamente nella storia degli uomini nella società, i filosofi, gli spirituali identificano l’Io con questa mente principale. Ma se osserviamo questa stessa mente principale non troviamo nulla. Quindi che senso c’è nel dire che questa mente, questa coscienza sia l’Io, se non vi è nulla di essa che riusciamo a fermare di essa, non vi è nulla di stabile in essa? Quindi se analizziamo uno per uno i cinque aggregati vedremo come tutti, uno per uno, scompariranno e di conseguenza anche l’Io, formato da tali aggregati, scomparirà. Ed è per questo motivo che si dice che l’Io è vacuo. Però l’Io è ancora esistente, quando procediamo con questa analisi l’Io non è scomparso. Quando stiamo analizzando, osservando l’Io, questo scomparirà, ma in realtà avremo trovato il vero Io. Proprio nel momento in cui l’Io scompare durante l’analisi, quando non troviamo più quell’Io che credevamo essere qualcosa di concreto, troviamo il vero Io.
L’Io non è altro che la vacuità. L’Io che non possiede esistenza inerente ed autonoma è il vero Io. Non c’è differenza quindi tra l’Io fondamentale ed ultimo e l’Io che vediamo scomparire durante l’analisi. L’Io non è altro che vacuità e la vacuità non è altro che l’Io. Il primo passo da compiere nell’analisi della realtà ultima del sé è osservare i cinque aggregati che costituiscono il sé; il secondo passo è il quadruplice ragionamento.
Lam Rim
Il Sutra del Cuore si caratterizza appunto per una proposta di analisi della vacuità attraverso una serie di diversi processi.
Brevemente, per osservare la vacuità dell’Io, si parte dall’analisi dei cinque aggregati costituenti il sé. In un secondo momento si analizza ogni singolo aggregato applicando i quattro ragionamenti nell’osservazione della vacuità di ciascun aggregato. Questo è un modo più dettagliato per osservare i cinque aggregati rispetto a quello più generico che si utilizzava nella fase precedente. Il quadruplice ragionamento consiste appunto nell’enunciato “La forma è vuota, la vacuità è forma; la vacuità non è altro che forma, la forma non è altro che vacuità”, che oltre che alla forma, può essere applicato anche agli altri aggregati (“Allo stesso modo sono vuote le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza”.)
Il Sutra del Cuore è un testo molto importante del Lam Rim, in quanto illustra gli stadi che caratterizzano il percorso che conduce all’Illuminazione basandosi sui cinque sentieri: il primo è quello dell’accumulazione, poi vi è quello della preparazione, della visione profonda, della meditazione, poi l’ultimo che non è propriamente un sentiero, ma è lo stato d’Illuminazione. Il Sutra del Cuore spiega, definendoli, questi cinque percorsi che conducono all’Illuminazione, sebbene ad un’osservazione diretta e superficiale sembra che parli sempre di vacuità e che si limiti a mostrare le varie fasi che occorrono per poterla realizzare e per poter percorrere i cinque sentieri. Quando si parla di analizzare l’Io tramite l’analisi dei cinque aggregati ci si riferisce al primo sentiero, che è quello dell’accumulazione. Il quadruplice ragionamento applicato ai cinque aggregati rappresenta invece un’analisi più approfondita e caratterizza il sentiero della preparazione.
Questo modo di intendere la lettura del testo si riferisce solo all’aspetto della Saggezza, ma esiste un altro aspetto, un altro sentiero, che è quello del Metodo, cioè la bodhicitta. Per bodhicitta intendiamo una forma di compassione molto avanzata che dovrebbe essere sviluppata attraverso l’ottenimento di varie realizzazioni.
Il percorso dell’accumulazione si divide in tre fasi: iniziale, intermedia e finale. Nella fase iniziale bisogna praticare le quattro contemplazioni vicine; nella fase intermedia bisogna raggiungere la realizzazione dei quattro abbandoni; nell’ultima fase bisogna sviluppare le quattro concentrazioni, dette anche le “quattro gambe miracolose”. Questo significa che nella prima fase si sviluppa una grande consapevolezza, nella seconda fase una grande perseveranza, nella terza una grande capacità di concentrazione. Quest’ultima consente di poter ricevere sempre insegnamenti di Dharma e di ricordare tutti gli insegnamenti di Dharma ascoltati in tutte le vite precedenti. Si ottiene anche la capacità di comunicare direttamente con gli esseri illuminati, e la capacità di parlare con le statue e con le immagini e con la loro vera natura, il tutto come risultato dei poteri miracolosi delle quattro concentrazioni. Da qui si passa al sentiero della preparazione che, dal punto di vista del Metodo, possiede quattro fasi: la prima è la saggezza del calore, perché la saggezza della vacuità ci fa sentire il calore dell’Illuminazione. Proprio questo ci fa capire che siamo passati dal sentiero dell’accumulazione a quello della preparazione. Durante il sentiero dell’accumulazione si realizza la vacuità senza averne avuto una diretta percezione e non si ha una visione della vacuità chiara come quella che si ha durante il sentiero della preparazione. Nel sentiero dell’accumulazione la realizzazione della vacuità è basata soprattutto su un livello intellettuale: si realizza la vacuità ma non attraverso l’esperienza, solo mediante il ragionamento. Nel primo momento si ha una conoscenza intellettuale della vacuità, poi si ha una realizzazione della vacuità basata l’esperienza, tramite l’unione di Samatha e Vipassana, cioè calma mentale e speciale visione interiore. Quindi non si ha ancora una percezione diretta della vacuità, ma una realizzazione basata sull’esperienza, quindi sulla meditazione che ci dà una comprensione anche emotiva di ciò che è la vacuità stessa. Questo è il punto che ci indica il fatto che abbiamo raggiunto il sentiero della preparazione. Questa è chiamata la saggezza del calore, si inizia a sentire il calore dell’Illuminazione.
Poi viene il picco. In questo caso si sviluppa una forza capace di contrastare le forze negative opposte. Si dice picco perché per raggiungere il picco della montagna bisogna impegnare molto sforzo, una volta raggiunto il picco non c’è più bisogno di sforzo e quindi si riesce senza sforzo a fare esperienza della vacuità.
La terza fase è la saggezza della perseveranza. In questa fase si raggiunge una tale saggezza della vacuità da far scaturire una grande pazienza. Questa è la linea di confine oltre la quale vi è lo stato in cui è impossibile ritornare indietro nei reami inferiori.
La quarta fase è la fase del Dharma supremo, cioè la realizzazione più alta a livello mondano.
Fonte http://geshetharchin.blogspot.it/2013/11/commentario-sul-sutra-del-essenza-della.html che si ringrazia di cuore per la sua infinita gentilezza.