4 – Commentario sul Sutra del Essenza della Saggezza del Ven. Geshe Gedun Tharchin, Roma 2004.
Ka Dam Pa
Dunque per praticare il Dharma non è necessario conoscere tutti i sutra, i mantra, i tantra, ecc…basta vedere la pratica di mia madre e di Geshe Ben Kun Je. Non si deve pensare di non saper praticare il Dharma perché non si hanno delle grandi conoscenze filosofiche, non si sa abbastanza: praticare il Dharma è qualcosa di naturale, essendo nati come esseri umani si possiedono già tutte le dotazioni necessarie per praticarlo. Questo è un punto fisso ed essenziale che caratterizza la tradizione Ka Dam Pa. Ka significa insegnamento di Buddha, Dam consiglio, quindi la Ka Dam Pa è la tradizione che si basa nel dare in pochi consigli quelli che sono gli insegnamenti del Buddha. Ma oggi Ka Dam non si riferisce solo agli insegnamenti di Buddha, ma a tutti gli insegnamenti di tutte le religioni e tradizioni spirituali di tutto il mondo, a qualsiasi buon consiglio, ad ogni sistema d’istruzione.
Ka Dam Pa è una parola molto significativa, che indica umiltà e armonia, significa in un certo senso “abbassarsi”. La tradizione Ka Dam è basata sugli insegnamenti di Atisha. Il primo Geshe di questa tradizione fu Drom Ton Pa, da cui è scaturita la tradizione basata sugli insegnamenti Lam Rim e Lo Jong.È in questo contesto che è nato anche il termine Geshe, utilizzato per riferirsi con rispetto ai propri amici spirituali, fratelli spirituali. Per questi motivi Ka Dam è un buon termine e indica colui che prende qualsiasi buon consiglio, ovunque, per portare avanti la sua pratica spirituale.
Vi sono tre correnti Ka Dam. La prima è Ka Dam Lam Rim Pa: si tratta di praticanti Ka Dam che si basano soprattutto sui testi o sugli insegnamenti intitolati Lam Rim. Oggi ci sono principalmente otto testi concernenti il Lam Rim, intitolati Lam Rim. Il primo è il testo di Atisha, “La lampada che illumina il sentiero verso l’Illuminazione”; poi vi sono i tre testi Lam Rim scritti da Lama Tsong Khapa, il grande, il medio e il piccolo, intitolato “Frasi di esperienza”; poi vi sono altri commentari fatti da vari Dalai Lama o Panchen Lama e comunque altri testi Lam Rim. Quindi se fossimo Ka Dam che si basano su testi Lam Rim, ci chiameremmo Ka Dam Lam Rim Pa.
Poi abbiamo i Ka Dam Shung Pa Wa, un tipo di praticante Ka Dam che si basa sulle Scritture. Si tratta di un erudito che basa la propria pratica sullo studio di sutra, di commentari, di vari testi tibetani. Tutte le varie Scritture sono sintetizzate in ciò che viene studiato nel monastero, cioè i cinque trattati sul buddismo: Pramana, logica ed epistemologia; Prajnaparamita, la perfezione della saggezza;Madhyamika, la via di mezzo; Abidharma, metafisica o studio dei fenomeni; Vinaya, il codice monastico. Come si vede non c’è il tantra, in quanto per divenire geshe non c’è bisogno di tantra, il tantrismo non è incluso nel curriculum monastico delle università monastiche tibetane, che sono Gan Den, Dre Pung e Se Ra. Se si studiano bene questi cinque trattati, i testi tantra-yana diventano facilmente comprensibili, anche solo attraverso una semplice lettura. Se invece non si ha una profonda conoscenza di questi trattati, di questi argomenti, e si affronta lo studio del cosiddetto più alto tantra, non si capirà niente, ci si limiterà solo a dire: questo ha tre teste, un occhio qua, uno là, ma non si comprenderà nulla del significato, non si capirà l’essenza.
Vi è un detto tibetano: “La ricchezza del Thud (un dolce al formaggio tibetano) risiede nel burro che vi è dentro: senza aggiungervi burro il Thud sarebbe semplicemente un pezzo di formaggio secco. La ricchezza del mantra risiede nel suo fondarsi sul sutra. Senza sutra, il mantra sarebbe semplicemente un suono come Hum Hum Phad Phad”.
Infine, per terzo, abbiamo Ka Dam Men Ngag Pa, cioè colui che fonda la sua pratica solo su insegnamenti, istruzioni orali. Ciò significa che questo tipo di praticante non legge nessun testo, ma solamente ascolta gli insegnamenti del suo maestro e pratica. Come si è detto, Ka Dam è una tradizione che prende origine da Atisha, maestro proveniente dal Bangladesh.
Il discorso fatto sulla tradizione Ka Dam non è un tentativo di creare delle categorie, bensì di mostrare come sia possibile praticare in modi diversi. Mia madre è Ka Dam Men Ngag Pa, perché segue solo gli insegnamenti orali, impara tutte le preghiere da mio padre, memorizzando ogni giorno tre o quattro righe in più. È una cosa molto particolare, che mi ha sorpreso. Quando c’è qualche nuova preghiera, mio padre gliela legge e lei la memorizza ed è poi in grado di ripeterla. Questi praticanti Ka Dam si esercitano tutti in modi diversi, ma la loro pratica è ugualmente valida.
Apprezzo molto la tradizione Ka Dam, il suo approccio semplice ed umile alla pratica del Dharma; i Ka Dam trattano tutti ugualmente e non pensano mai di essere superiori agli altri, il loro stesso nome, Ka Dam, è molto semplice ed indica rispetto verso ogni cosa, verso ogni buon consiglio. Se si guarda ai grandi Geshe del passato di questa tradizione, si può vedere come siano stati dei grandi yogi umili. Questa tradizione è molto adatta alla nostra società occidentale odierna. Non è una tradizione rivolta solo ai monaci ed infatti il primo Geshe era laico ed è stato comunque considerato il fondatore della tradizione Ka Dam, si chiamava Drom Ton Pa e fu discepolo di Atisha.
Non ci sono requisiti particolari per accedere alla pratica di questa tradizione, basta essere persone normali, molto semplici e umili, dedite all’arricchimento della mente. Non vi sono neppure iniziazioni, ritiri, mantra. Proprio per questo l’approccio al Dharma di questa tradizione sorta nel X o XI secolo in Tibet è molto adatto alle caratteristiche della società occidentale. Questa tradizione ispirata dagli insegnamenti di Atisha si è manifestata in una forma di pratica adatta al Tibet di quell’epoca, durante la quale, forse, la società tibetana era molto avanzata.
Bisogna capire cos’è il Dharma e qual’è il modo di praticarlo. Adesso tratteremo il sutra del cuore. Prima abbiamo parlato di come praticare il Dharma in una maniera molto pratica, ad un livello che può essere molto diffuso e popolare. Penso che sia stato importante perché concentrandosi troppo sui sutra o su temi molto complicati si rischia di perdere la vera essenza, il modo di praticare il Dharma nel contesto della nostra esistenza, della nostra situazione. Inoltre l’argomento di questo sutra è analogo a ciò che di cui si è appena discusso, dal momento che affronta il tema di che cos’è il Dharma e come bisogna praticarlo.
Il Sutra del Cuore e il Kalachakra Tantra
Il Sutra del Cuore è un insegnamento che, come si è detto, è stato dato dal Buddha sul Picco degli Avvoltoi, nel nord dell’India, ed è il secondo dei tre giri dati alla ruota del Dharma. Si dice che nello stesso momento in cui stava impartendo l’insegnamento sul Sutra del Cuore, il Buddha fosse anche nel Sud dell’India, dando gli insegnamenti sul Kalachakra Tantra. Questa è una leggenda della tradizione maha-yana or vajra-yana, ma se guardiamo i testi circa la vita e gli insegnamenti del Buddha della tradizione theravada non troviamo questi insegnamenti, i quali appartengono ad una parte della vita del Buddha segreta, misteriosa. Tra i buddisti vi sono molti che non credono a queste cose, ma possono essere tuttavia dei grandi praticanti di Dharma, dei grandi praticanti buddisti. Spesso davanti a questo genere di cose le persone vedono delle contraddizioni nel mondo buddhista che in realtà non sussistono, perché questo è il modo in cui il Buddismo si è sviluppato nel mondo e queste sono state le capacità particolari che il Buddha ha utilizzato per fare in modo che il suo insegnamento potesse recare veramente beneficio a tutte le persone. Il suo scopo non era quello di promuovere la sua filosofia o il suo punto di vista, ma quello di aiutare gli altri. Perciò se in quel tempo vi fosse stato il Cristianesimo o l’Islam, il Buddha avrebbe potuto insegnare la dottrina cristiana o musulmana per recare beneficio agli altri, poiché qualsiasi cosa che è di beneficio agli altri è da considerarsi buona. È un fatto oggettivo, non soggettivo.
Non è facile capire cosa sia il Buddismo. Il Buddismo è la ricerca della liberazione e di conseguenza non significa attaccarsi ad un punto di vista e fissarsi su di esso; la pratica del Buddismo, chiamata Dharma, è volta principalmente a recare beneficio agli altri. Per questo i Bodhisattva possono praticare ed imparare qualsiasi cosa che sia di beneficio agli altri. In alcuni sutra si dice che i Bodhisattva possono imparare tutti i diversi sentieri, possono realizzare tutti questi diversi sentieri, possono praticare tutti questi diversi sentieri per poter aiutare tutte le diverse persone, a seconda delle capacità di comprensione e delle inclinazioni mentali di quest’ultime. Questo è il Buddismo. Non è in contraddizione con le altre religioni ed al suo interno vi sono delle posizioni apparentemente contraddittorie che però collaborano insieme per recare beneficio ad una vasta gamma di persone. Vi è democrazia, unità. C’è da stupirsi se si pensa che nel Buddismo alcuni credono nel Sutra del Cuore, altri credono nel kalachakra, certi in entrambi, etc…
In conclusione, secondo il Buddismo tibetano, che nella società occidentale è conosciuto sotto il nome di vajra-yana, mentre il Buddha stava dando l’insegnamento del Sutra del Cuore sul Picco degli Avvoltoi, stava anche insegnando Kalachakra in Danakataka, nel sud dell’India. È difficile comprendere cosa sia il Dharma e come vada praticato.
E’ importante comprendere come vi siano molte diversità all’interno del Buddismo, ma come tutti pratichino il Dharma; ognuno ha il suo punto di vista, il suo modo di avvicinarsi al Dharma, ma tutti praticano lo stesso Dharma ed è per questo che appartengono al medesimo sentiero spirituale. Se è un modo di recar beneficio a qualcun altro, di portare rispetto a qualcun altro, allora non vi è nulla di male nel recitare il Sutra del Cuore, anche se non dovessi crederci: il punto non è se ci si crede o meno, ma se questo può essere di aiuto agli altri.
Tre tipi di Buddha
Il Sutra del Cuore rientra nei testi importanti del Lam Rim, fa parte degli stadi del sentiero, è basato sui cinque principali stadi del sentiero verso l’Illuminazione. Questi cinque sentieri, come si è detto, sono: il sentiero dell’accumulazione, il sentiero della preparazione, il sentiero della visione, il sentiero della meditazione e il sentiero della fine dell’apprendimento, che è il percorso dell’Illuminazione.
Questo insegnamento è stato trasmesso agli Shravaka e ai Pratyeka-buddha. Si può pertanto dire che non fu impartito solo ai Bodhisattva, che sono i praticanti del grande veicolo, ma anche a praticanti diversi, che seguono il veicolo della liberazione individuale.
Il tema principale di questo sutra è la vacuità, la natura ultima della realtà. Ma il modo in cui la vacuità viene spiegata passa attraverso la spiegazione dei cinque sentieri che portano alla liberazione: i cinque sentieri del praticante bodhisattva, i cinque sentieri degli ascoltatori o shravaka, i cinque sentieri dei praticanti solitari o pratyekabuddha. Ci sono in tutto quindici sentieri diversi, cinque per ciascuno dei tre praticanti.
L’obiettivo che si propongono shravaka e pratyekabuddha è la liberazione individuale, mentre quello dei bodhisattva è l’Illuminazione completa. In entrambi i casi, per raggiungere tale meta è indispensabile la realizzazione della vacuità. Per ognuno di questi tipi di pratiche vi sono un metodo e una saggezza che vengono applicati. Nei primi due casi, cioè nei casi in cui lo scopo finale è la liberazione individuale, il metodo è la rinuncia, mentre nel caso della via del Bodhisattva il metodo è la bodhicitta. Tuttavia, in tutti i tre casi, la saggezza è la stessa: è la saggezza che realizza la natura ultima dei fenomeni. Il metodo comune a questi tre tipi di praticanti esiste ed è la compassione e la gentilezza amorevole, che sono l’altra faccia della rinuncia e sono la manifestazione dinamica di bodhicitta. Quindi, per quanto riguarda il metodo e la saggezza che caratterizza tali sentieri spirituali, possiamo dire che si tratta della stessa nozione, ma applicata a livelli diversi. Per quanto riguarda l’aspetto della saggezza, il sentiero degli shravaka ha una approccio alla saggezza minore, mentre l’approccio dei pratyekabuddha è un approccio intermedio, infine l’approccio dei bodhisattva alla saggezza è del livello più alto. Per quanto riguarda l’aspetto del metodo, la rinuncia, questa è l’applicazione della compassione con dei limiti; da questo punto di vista gli shravaka sono simili ai pratyeka buddha, mentre i bodhisattva possiedono la bodhicitta che è il massimo livello di altruismo, gentilezza amorevole, compassione e rinuncia.
Ora abbiamo una chiara comprensione di quali sono i due aspetti complementari che possono permettere ai tre tipi di praticanti diversi di raggiungere (o) la liberazione individuale o l’Illuminazione completa. Questa è una premessa fondamentale per riuscire a seguire in maniera corretta il commento del testo.
È importante capire i cinque aspetti del sentiero che conduce alla liberazione individuale o all’Illuminazione per poterli inserire nel discorso sul metodo e la saggezza.
Il percorso dell’accumulazione non è facile. Il modo per misurare quanto ci siamo addentrati nel sentiero dell’accumulazione è il livello di pura rinuncia che abbiamo raggiunto. Nel caso del sentiero del bodhisattva un modo per svilupparla è quello di cercare di sviluppare bodhicitta. Quando abbiamo sviluppato una pura rinuncia, ma non bodhicitta, allora siamo entrati nel sentiero shravaka o pratyeka. A volte è possibile sviluppare bodhicitta e far sorgere spontaneamente anche la rinuncia. In questo caso si entra direttamente nel percorso del bodhisattva.
Per poter entrare in uno di questi sentieri, sia che si tratti di quello degli shravaka sia di quello degli pratyekabuddha o dei bodhisattva, non c’è bisogno di aver sviluppato la vacuità, né di averla realizzata.
Il sentiero dell’accumulazione è dunque lo sviluppo della pura rinuncia e bodhicitta, non è necessario, per poterlo percorrere, aver ottenuto la realizzazione della vacuità. Il sentiero dell’accumulazione è il momento in cui si studia la vacuità mediante studio e letture.
Vi sono tre fasi nello studio, nello sviluppo, nella realizzazione della vacuità: la fase dell’ascolto degli insegnamenti; la contemplazione; la meditazione. Quindi la realizzazione, la comprensione della vacuità ha tre stadi: il primo è accumulare, ascoltare, studiare, comprendere cosa è la vacuità. In questo momento sono importanti le prime due fasi dell’apprendimento, cioè l’ascolto o lo studio e la contemplazione, la riflessione. Pertanto, il sentiero dell’accumulazione è il momento in cui vengono poste in essere queste prime due fasi dell’apprendimento. Come viene indicato nel testo, la prima parte del percorso dell’accumulazione, dopo aver sviluppato la rinuncia e la bodhicitta, consiste nell’iniziare ad ascoltare gli insegnamenti sulla vacuità e a riflettere sul significato di tale concetto.
Questo discorso corrisponde alle righe nel Sutra del Cuore in cui viene formulata la domanda: “Come deve addestrarsi un figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della saggezza?” che concerne il modo in cui sviluppare questi due aspetti del sentiero verso la liberazione individuale o l’Illuminazione.
Poi viene la risposta: “Shariputra, ogni figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della saggezza, dovrebbe vedere chiaramente nel seguente modo: dovrebbe vedere distintamente che anche i cinque aggregati sono vuoti di natura intrinseca”.
Riflettere su quest’ultima frase, cioè sul fatto che “i cinque aggregati sono vuoti di natura intrinseca”, fa parte del sentiero dell’accumulazione.
Fonte http://geshetharchin.blogspot.it/2013/11/commentario-sul-sutra-del-essenza-della.html che si ringrazia di cuore per la sua infinita gentilezza.