Il Karmapa prosegue l’insegnamento sulla Bodhicitta: Siamo tutti parte gli uni degli altri.
17 Gennaio 2016. Monastero di Tergar, Bodh Gaya, Bihar, India Appunti ed editing del Dr. Luciano Villa, revisione dell’Ing. Alessandro Tenzin Villa e di Graziella Romania nell’ambito del Progetto “Free Dharma Teachings” per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Ci scusiamo per i possibili errori ed omissioni.
Sua Santità il Karmapa
Continuando con la spiegazione su come meditare sulla bodhicitta d’aspirazione, passiamo a considerare gli esseri come nostre madri. Il motivo per cui lo facciamo è perché tutti gli esseri viventi sono stati estremamente gentili con noi. Non dobbiamo qui necessariamente pensare ai nostri genitori, ma semplicemente ricordare quanto gentili, amorevoli ed affettuosi stati con noi gli esseri viventi. Se crediamo nelle vite passate e future, possiamo comprendere ed accattare che, da tempo senza inizio fino ad ora, abbiamo preso innumerevoli rinascite con diversi corpi mutevoli e genitori, in modo che, una volta o l’altra, tutti gli esseri viventi sono stati i nostri genitori.
Se noi non crediamo nelle vite passate, c’è ancora un modo con cui possiamo meditare: su tutti gli esseri viventi come nostre madri, riflettendo sulla situazione in cui ora viviamo.
Questi tempi sono conosciuti come l’Era dell’Informazione, e, grazie ad internet, stiamo diventando sempre più connessi. Se ci pensiamo un po’, possiamo vedere chiaramente che le nostre stesse vite dipendono dalle altre persone e da altre situazioni. Di solito il cibo che mangiamo è stato coltivato da altri, e gli abiti che indossiamo sono stati cuciti da altri. Noi non li vediamo o li conosciamo, ma abbiamo ancora ricevuto la loro gentilezza. Pertanto dipendiamo gli uni dagli altri e ci sosteniamo a vicenda. Questa è la nostra situazione nel mondo. La gentilezza di una persona permette ad un’altra di vivere, quindi siamo un prodotto della gentilezza e noi dipendiamo gli uni dagli altri.
Di solito, si pensa in termini di sé e dell’altro, come se ci fosse un gap od una separazione tra noi e gli altri. Riteniamo inoltre che il nostro sé detenga il controllo e sia autonomo, indipendente e lo stesso vale per gli altri. Ma questo non è il caso perché dipendiamo gli uni dagli altri: la nostra felicità e sofferenza dipendono dagli altri e la loro felicità e sofferenza dipende da noi. È importante riconoscere questo. Noi siamo una parte di altri e gli altri sono una parte di noi stessi. Una volta che abbiamo capito che questo è il modo in cui stanno le cose, abbiamo naturalmente sviluppato la sensazione di voler fare qualcosa per eliminare le sofferenze degli esseri viventi e per aiutarli a trovare la felicità.
Anche se sappiamo che questa connessione profonda è la situazione reale, molti pochi di noi sono pronti ad assumersene la responsabilità.
Le persone hanno paura perché non hanno grande compassione, ma, senza questa compassione, non avremo la fiducia, ma nemmeno l’idea di assumerci la responsabilità per gli altri. È importante fare una distinzione tra la simpatia (o empatia) e la grande compassione. Di solito quando pensiamo alla simpatia od alla compassione ordinaria, pensiamo in termini d’un soggetto in una buona situazione, che sente la compassione, mentre l’oggetto di quella compassione è un qualcuno più svantaggiato. Con questa mentalità li vediamo come diversi, tra loro differenti. Abbiamo bisogno di cambiare questa percezione in modo da vedere la sofferenza altrui come una parte di noi stessi. Questo è difficile da fare fisicamente, ma mentalmente, chi professa la compassione può spostare il suo atteggiamento aprendosi a sentire il dolore e la sofferenza degli altri, giungendo anche a percepire che tutti hanno la stessa natura.
In questi giorni, gli scienziati stanno parlando di come tutti gli esseri viventi hanno naturalmente compassione. I grandi testi filosofici del buddismo parlano anche di questo e di come gli esseri hanno diversi livelli di compassione. Tutti noi abbiamo il seme della compassione, ma è piuttosto debole e sottosviluppata, come se avessimo chiuso sopra una porta. Prendete un bambino, che ha la capacità di poter parlare, ma dovesse crescere in terre selvagge senza compagnia umana non imparerà certo a parlare. Allo stesso modo, il fiorire della compassione in una persona dipende dalle circostanze. Se la parola compassione si sente abbastanza spesso, allora si svilupperà; altrimenti i nostri cuori saranno induriti ed insensibili.
Abbiamo un potenziale innato per la compassione: ma lo dobbiamo formare, altrimenti non lo svilupperemo. Dal momento che esiste una grande opportunità per espandere la nostra compassione, non dobbiamo lasciarla andare sprecata, ma fare ogni sforzo per ingrandirla. Con questo consiglio concludo l’insegnamento di questa mattina.