Gestire le emozioni disturbanti: l’attaccamento

bhGestire le emozioni disturbanti: l’attaccamento

Alexander Berzin, Riga, Lettonia, luglio 2004. Traduzione italiana a cura di Francesca Paoletti.

Cos’è un’emozione disturbante?

Questa sera parleremo di come gestire le nostre emozioni disturbanti. Ma cos’è una “emozione disturbante?” Questa è la prima domanda. Qui non le sto chiamando “distruttive” o “negative,” sto usando il termine “disturbante” e questo è un termine molto specifico che è in linea con la definizione. Un’emozione disturbante è definita come uno stato mentale che, quando lo sviluppiamo, ci fa perdere la nostra pace mentale e ci fa perdere il nostro autocontrollo. Poiché perdiamo la nostra pace mentale, significa che è disturbante; disturba la nostra pace mentale. Poiché diventiamo disturbati quando perdiamo la nostra pace mentale, non abbiamo molta chiarezza nel nostro pensiero e nelle nostre emozioni. A causa di questa mancanza di chiarezza, perdiamo il senso della discriminazione che è necessario per avere autocontrollo. Bisogna essere in grado di distinguere tra ciò che è utile e ciò che non è utile; cosa è appropriato e cosa non è appropriato in specifiche situazioni.

Emozioni disturbanti possono anche accompagnare stati mentali costruttivi

Esempi di emozioni disturbanti sarebbero, per esempio, l’attaccamento o il desiderio bramoso, la rabbia, la gelosia, l’orgoglio, l’arroganza e così via. Alcune di queste emozioni disturbanti possono portarci ad agire in maniera distruttiva, ma non è necessariamente sempre così. L’attaccamento e il desiderio bramoso, ad esempio, potrebbero portarci ad agire in maniera distruttiva: per esempio uscire e andare a rubare qualcosa. Ma potremmo anche avere il desiderio bramoso di essere amati ed essere attaccati a questo, e dunque aiutiamo gli altri affinché loro ci amino. Aiutare gli altri non è distruttivo; è una cosa costruttiva, ma c’è un’emozione disturbante dietro ad essa: “voglio essere amata, quindi ti supplico di ricambiare con il tuo amore.”

Oppure considerate il caso della rabbia: la rabbia può portarci ad agire in maniera distruttiva, a ferire qualcuno o addirittura ucciderlo, perché siamo molto arrabbiati. Dunque, questo è un comportamento distruttivo. Ma supponiamo che siamo arrabbiati per l’ingiustizia di un certo sistema o di una certa situazione, e siamo talmente arrabbiati per questo che effettivamente facciamo qualcosa per cercare di cambiarlo. Ciò che facciamo non dev’essere necessariamente una cosa violenta. Ma il punto è che fare anche qualcosa di costruttivo o di positivo è in questo caso motivato da un’emozione disturbante. Non abbiamo pace mentale e siccome non abbiamo pace mentale, quando compiamo quell’azione positiva, la nostra mente e le nostre emozioni non sono molto chiare e il nostro stato emotivo non è molto stabile.

In questi casi, allora, per via del desiderio bramoso o della rabbia, vogliamo che l’altra persona ci ami, oppure vogliamo che un’ingiustizia finisca. Questi non sono stati mentali o stati emotivi stabili. Poiché non sono stati mentali o stati emotivi sereni, non pensiamo molto chiaramente a ciò che fare e al modo in cui possiamo effettivamente realizzare la nostra intenzione. Di conseguenza, non abbiamo autocontrollo. Per esempio, potremmo cercare di aiutare qualcuno a fare qualcosa, ma forse un modo migliore per aiutarlo sarebbe lasciarlo fare. Supponiamo di avere una figlia adulta e che vogliamo aiutarla a cucinare o a prendersi cura della casa o ad accudire i bambini: in molti modi questo significa essere invadenti. Nostra figlia potrebbe proprio non apprezzare che le si dica come cucinare o come accudire i propri bambini. Ma noi vogliamo essere amati e vogliamo essere utili, e dunque c’imponiamo su di loro. Stiamo facendo qualcosa di costruttivo, ma nel fare questo perdiamo quell’autocontrollo che ci avrebbe fatto pensare: “è meglio stare zitti, non dare la mia opinione e non offrire il mio aiuto.”

Anche se offriamo il nostro aiuto in una situazione in cui è appropriato aiutare l’altra persona, non siamo rilassati al riguardo, perché potremmo aspettarci qualcosa in cambio. Vogliamo essere amati; vogliamo che ci sia bisogno di noi; vogliamo essere apprezzati. Con questo tipo di desiderio bramoso come condizione nelle nostre menti, allora se nostra figlia non reagisce nel modo in cui vogliamo, ci arrabbieremo molto.

Questo meccanismo delle emozioni disturbanti che ci fa perdere la pace mentale e l’autocontrollo, è ancora più ovvio quando andiamo a combattere le ingiustizie. Siccome ne siamo così disturbati, questo ci sconvolge davvero. Se agiamo in base al fatto di essere disturbati, di solito non pensiamo molto chiaramente a cosa fare. Spesso non seguiamo la linea di azione migliore per ottenere il cambiamento che vogliamo.

In breve, sia che agiamo in maniera distruttiva o che agiamo in maniera costruttiva, se l’azione è motivata e accompagnata da un’emozione disturbante, il nostro comportamento ci causerà problemi. Sebbene non possiamo veramente prevedere con precisione se questo causerà problemi ad altre persone oppure no, soprattutto causerà problemi a noi stessi. Questi problemi non sono necessariamente cose che accadono immediatamente; sono problemi di lungo termine nel senso che agire sotto l’influenza di emozioni disturbanti accumula l’abitudine a ripetere l’azione disturbata più e più volte. In questo modo, il nostro comportamento impulsivo basato sulle emozioni disturbanti accumula nel lungo termine una vasta sfera di comportamenti problematici. Non abbiamo mai pace mentale.

Un esempio molto chiaro di tutto ciò è il caso in cui vogliamo essere utili agli altri e fare delle cose piacevoli per loro, perché desideriamo sentirci amati ed apprezzati. Dietro a questo, siamo fondamentalmente insicuri. Ma più continuiamo ad agire con questo tipo di motivazione, meno siamo soddisfatti, non pensiamo mai: “va bene, ora mi ama, ora è sufficiente, non ho bisogno di altro.” Non ci sentiamo mai in questo modo. Così il nostro comportamento semplicemente rinforza e potenzia quest’abitudine di pensare impulsivamente: “devo sentirmi amato, devo sentirmi importante, devo sentirmi apprezzato.” Facciamo sempre di più, di più, con la speranza di essere amati, ma ci sentiamo sempre frustrati. Siamo frustrati perché anche se qualcuno ci dice grazie, pensiamo: “oh, non lo pensa sul serio,” o cose del genere. Per via di questo, non abbiamo mai pace mentale. E poi va sempre peggio, perché la sindrome si ripete e si ripete e si ripete. Questo, peraltro, si chiama samsara: una situazione problematica che si ripete in modo incontrollabile.

Quindi non è così difficile riconoscere questo tipo di sindrome, quando l’emozione disturbante ci fa agire in maniera negativa o distruttiva. Per esempio, potremmo essere sempre irritati, e siccome siamo irritati e ci arrabbiamo per ogni sciocchezza, allora nelle nostre relazioni con gli altri parliamo sempre in maniera brusca oppure diciamo cose crudeli. Allora è ovvio che non piacciamo a nessuno; le persone non vogliono veramente stare molto con noi e questo crea molti problemi nelle nostre relazioni. In questo caso è abbastanza facile riconoscere cosa sta succedendo. Ma non è altrettanto facile riconoscerlo quando l’emozione disturbante sta dietro ad una nostra azione positiva. Ma dobbiamo riconoscerlo in entrambe le situazioni.

Come riconoscere quando siamo sotto l’influenza di un’emozione, un atteggiamento o uno stato mentale disturbante

La domanda quindi è come possiamo riconoscere che stiamo agendo sotto l’influenza di un’emozione o atteggiamento disturbante? Non deve necessariamente essere un’emozione, può essere anche un atteggiamento verso la vita o un atteggiamento verso noi stessi. Per questo bisogna avere un po’ di sensibilità per essere introspettivi e notare cosa proviamo dentro di noi. Per fare questo, la definizione di un’emozione o atteggiamento disturbante è molto utile: causa la perdita della nostra pace mentale e la perdita del nostro autocontrollo. E dunque, se quando stiamo per dire o fare qualcosa ci sentiamo un po’ nervosi dentro, non siamo del tutto rilassati, questo è un segno che c’è qualche emozione disturbante. Potrebbe essere inconscia e spesso è inconscia. Ma c’è una qualche emozione disturbante dietro a questo.

Supponiamo che stiamo cercando di spiegare qualcosa a qualcuno. Se notiamo che c’è un po’ di disagio nel nostro stomaco mentre parliamo con la persona, questa è una buona indicazione che c’è dietro un po’ di orgoglio, ad esempio. Potremmo pensare, “quanto sono intelligente, io lo capisco. Ti aiuterò a capirlo.” Potremmo volere aiutare sinceramente l’altra persona dando loro una spiegazione su qualcosa, ma se ci sentiamo un po’ a disagio nello stomaco, c’è un po’ di orgoglio lì. Questo accade specialmente quando parliamo dei nostri successi o delle nostre qualità. Molto spesso proviamo questo con un po’ di disagio.

Oppure prendiamo il caso di un atteggiamento disturbante, per esempio l’atteggiamento “tutti dovrebbero prestarmi attenzione,” che spesso abbiamo. Non ci piace essere ignorati, a nessuno piace essere ignorato, per cui pensiamo: “le persone dovrebbero prestarmi attenzione e ascoltare quello che dico,” e così via. Beh, anche questo può essere accompagnato da un po’ di nervosismo dentro di noi, specialmente se gli altri non ci stanno prestando attenzione. Perché dovrebbero prestarci attenzione? Se ci pensate su, non c’è una buona ragione.

La parola sanscrita “ klesha,” “ nyon-mong” in tibetano, è un termine molto difficile che sto traducendo con “emozione disturbante” o “atteggiamento disturbante.” È difficile perché ce ne sono alcuni che non rientrano proprio né nella categoria delle emozioni né in quella degli atteggiamenti, per esempio l’ingenuità. Possiamo essere molto ingenui riguardo agli effetti del nostro comportamento sugli altri o su noi stessi. Oppure potremmo essere ingenui riguardo ad una situazione, alla realtà di quanto sta succedendo. Supponiamo per esempio che siamo ingenui riguardo al fatto che qualcuno non stia bene o sia agitato. In tali situazioni, certamente possiamo essere ingenui riguardo a quale risultato possa derivarne di dire loro qualcosa; potrebbero diventare molto irritati con noi, malgrado le nostre buone intenzioni.

Quando abbiamo questo tipo di stato mentale disturbante, chiamiamolo così, non necessariamente ci sentiremmo a disagio dentro di noi. Ma, come abbiamo visto, quando perdiamo la nostra pace mentale, le nostre menti non sono chiare. Pertanto, quando siamo ingenui, la nostra mente proprio non è chiara; siamo nel nostro piccolo mondo. Perdiamo l’autocontrollo nel senso che siccome siamo nel nostro piccolo mondo, non distinguiamo tra ciò che è utile ed appropriato in una certa situazione e ciò che non lo è. A causa di questa mancanza di discriminazione, non ci comportiamo in modo appropriato e sensibile. In altre parole, non abbiamo il controllo necessario per essere in grado di comportarci in maniera appropriata ed astenerci dal fare qualcosa di inappropriato. In questo modo, l’ingenuità rientra nella definizione di questo stato mentale disturbante, sebbene sia difficile pensare all’ingenuità come a un’emozione o un atteggiamento. Come dicevo, “ klesha” è un termine per cui è molto difficile trovare una traduzione davvero calzante.

Emozioni non-disturbanti

In sanscrito e in tibetano non c’è una parola per “emozioni.” Queste lingue parlano di fattori mentali, i quali sono i vari componenti che formano ogni momento del nostro stato mentale.

Dividono questi fattori mentali in quelli disturbanti e non-disturbanti, e in quelli costruttivi e distruttivi. Queste due categorie non si sovrappongono completamente, una sull’altra. Inoltre, ci sono fattori mentali che non rientrano in nessuna di queste categorie. Quindi, per quanto riguarda

quello che in occidente chiamiamo “emozioni,” ce ne sono alcune che sono disturbanti, e alcune che non sono disturbanti. Non è che nel Buddhismo cerchiamo di liberarci da tutte le emozioni, non è affatto così. Vogliamo soltanto liberarci da quelle disturbanti. Questo si fa in due fasi: la prima fase è di non cadere sotto il loro controllo e la seconda è di liberarsene in maniera tale che non sorgano nemmeno.

Quale potrebbe essere un’emozione non-disturbante? Beh, potremmo pensare che “amore” sia un’emozione non-disturbante, o “compassione,” oppure “pazienza.” Ma quando analizziamo queste parole che usiamo nelle nostre lingue europee, scopriamo che ognuna di queste emozioni può avere una varietà disturbante o non-disturbante. Quindi dobbiamo essere un po’ prudenti. Se l’amore è il tipo di sentimento in cui proviamo: “ti amo così tanto, ho bisogno di te, non lasciarmi mai!” Allora questo tipo di amore in realtà è uno stato mentale piuttosto disturbante. È disturbante perché se l’altra persona non ricambia il nostro amore o non ha bisogno di noi, ne siamo molto turbati. Ci arrabbiamo molto e all’improvviso la nostra emozione cambia: “non ti amo più.”

Pertanto, quando analizziamo uno stato mentale, sebbene potremmo concepirlo come uno stato emotivo che chiamiamo “amore,” in realtà questo stato mentale è un miscuglio di molti fattori mentali. Non proviamo soltanto un’emozione tutta da sola. I nostri stati emotivi sono sempre un miscuglio di molti componenti differenti. Quel tipo di amore in cui proviamo “ti amo, io non posso vivere senza di te” è ovviamente una forma di dipendenza ed è piuttosto disturbante. Ma c’è anche un tipo non-disturbante, ovvero il semplice desiderio che l’altra persona sia felice e che coltivi le cause per essere felice, indipendentemente da ciò che fa. Non ci aspettiamo niente in cambio da loro.

Per esempio, possiamo avere questo tipo di amore non-disturbante nei confronti dei nostri bambini. Non ci aspettiamo veramente nulla in cambio da parte loro. Beh, ovviamente ci sono genitori che invece lo fanno. Ma generalmente, qualsiasi cosa faccia il bambino, noi comunque lo amiamo. Vogliamo che il bambino sia felice. Ma ancora una volta questo è spesso mescolato con un altro stato disturbante, ovvero che vogliamo essere proprio noi stessi a renderli felici. Se facciamo qualcosa con l’intenzione di rendere felice il bambino, come ad esempio portarli ad uno spettacolo di marionette, e questo non funziona in quanto preferirebbe giocare al computer, ci sentiamo molto male. Ci sentiamo male perché volevamo noi essere la causa della felicità del nostro bambino, non il gioco al computer. Ma continuiamo a chiamare questo sentimento verso il nostro bambino “amore.” “Voglio che tu sia felice, cercherò di renderti felice, ma voglio essere la persona più importante nella tua vita a fare ciò.”

Allora, il punto di tutta questa lunga discussione è che dobbiamo davvero osservare con molta attenzione i nostri stati emotivi e non attaccarci troppo alle parole che usiamo per etichettare le diverse emozioni. Bisogna indagare veramente per capire quali aspetti dei nostri stati mentali siano disturbanti e causino la perdita della nostra pace mentale, la perdita della nostra chiarezza, la perdita del nostro autocontrollo. Queste sono le cose su cui dobbiamo lavorare.

Inconsapevolezza come causa sottostante delle emozioni disturbanti

Se vogliamo liberarci di questi stati mentali o emozioni o atteggiamenti disturbanti, dobbiamo arrivare alla loro causa. Se possiamo eliminare la causa sottostante, allora possiamo liberarcene. Non è soltanto una questione di liberarsi dalle emozioni disturbanti in sé, le quali causano i nostri problemi; dobbiamo andare veramente alla radice dell’emozione disturbante e liberarcene.

Dunque qual è la causa più profonda di questi stati mentali disturbanti? Ciò che troviamo è quello spesso tradotto come “ignoranza,” oppure, come preferisco, “mancanza di consapevolezza.” Siamo inconsapevoli di qualcosa, semplicemente non sappiamo. Ignoranza suona come se fossimo stupidi. Non è che siamo stupidi. Semplicemente non sappiamo oppure siamo confusi: comprendiamo qualcosa in maniera sbagliata.

A proposito di cosa siamo confusi o non consapevoli? Fondamentalmente, è l’effetto del nostro comportamento e delle situazioni. Siamo molto arrabbiati o abbiamo molto attaccamento o siamo in qualche modo agitati e questo ci fa agire in maniera molto impulsiva, basata su abitudini e tendenze precedenti. Questo è tutto ciò di cui tratta il karma, l’impulso ad agire in un modo che è basato su un’emozione disturbante o su un atteggiamento disturbante, cioè senza autocontrollo. Dietro a questo comportamento impulsivo c’è l’inconsapevolezza: non sapevamo quale sarebbe stato l’effetto di quello che abbiamo detto o fatto. Oppure eravamo confusi, pensavamo che rubare qualcosa ci avrebbe reso felici, ma non è stato così. Oppure pensavamo che aiutandoti, ci saremmo sentiti amati e che ci sarebbe stato bisogno di noi: non è stato così. Quindi non sapevamo quale ne sarebbe stato l’effetto. “Non sapevo che dicendo questo ti avrei ferito.” Oppure siamo confusi a questo proposito. “Pensavo che sarebbe stato d’aiuto ma non lo è stato.” “Pensavo che mi avrebbe reso felice, ma non lo ha fatto.” O che ti avrebbe reso felice, ma non lo ha fatto. O in certe situazioni: “non sapevo che eri impegnato.” Oppure “non sapevo che eri sposato.” Oppure potremmo essere confusi: “pensavo che avessi molto tempo.” Ma non era così. “Pensavo che fossi libero, non impegnato con nessuno, quindi ho cercato di approfondire un certo tipo di relazione romantica,” cosa che era inappropriata. Quindi di nuovo siamo inconsapevoli delle situazioni: o non le conosciamo, oppure siamo confusi rispetto ad esse, le comprendiamo in maniera errata.

Ora è vero che una mancanza di consapevolezza sia alla radice del nostro comportamento impulsivo. Ma non è così ovvio che sia anche alla radice delle emozioni disturbanti e che le emozioni disturbanti siano proprio molto connesse al comportamento impulsivo. Quindi dobbiamo osservare questi punti più attentamente.

Un esempio d’inconsapevolezza

Farò un esempio. In questo momento, non ho bisogno di riposarmi. Ho molta energia e quindi forse non mi accorgo che altre persone in questa stanza si stanno stancando un po’ e vorrebbero sgranchirsi le gambe o forse hanno bisogno di andare in bagno. Questa mancanza di consapevolezza mi rende ingenuo, e a causa di questa ingenuità, sebbene potrei continuare ad impegnarmi nell’attività costruttiva dell’insegnare, questa vi sta creando problemi. E in definitiva il fatto che continui a parlare sta causando problemi anche a me, perché le persone non stanno prestando molta attenzione. Quindi le mie parole sono sprecate; diventano chiacchiere senza significato. Pertanto, facciamo cinque minuti di pausa.

Inconsapevolezza della realtà – le due verità

Stavamo parlando di come l’inconsapevolezza sia alla radice delle nostre emozioni e dei nostri atteggiamenti disturbanti: ne è la loro causa più profonda. E l’inconsapevolezza, come abbiamo detto, può essere riguardo a causa ed effetto – gli effetti del nostro comportamento – o l’inconsapevolezza riguardo alla realtà. L’inconsapevolezza riguardo a causa ed effetto comportamentali viene generalmente descritta come la causa dell’agire distruttivamente, del fare la cosa sbagliata. Invece l’inconsapevolezza della realtà, delle situazioni, può stare alla base di qualunque comportamento di tipo samsarico, costruttivo o distruttivo. Quindi, se vogliamo osservare il modo in cui l’inconsapevolezza stia alla base delle nostre emozioni disturbanti e dei nostri atteggiamenti disturbanti, dobbiamo indagare maggiormente in termini di inconsapevolezza riguardo alle situazioni, inconsapevolezza riguardo alla realtà.

Ora, la parola “realtà” è davvero una parola buffa. Può avere molte differenti sfumature di significato. La parola che viene usata generalmente è “verità,” la verità riguardo a qualcosa. Ci sono due verità su qualsiasi cosa. C’è la verità relativa, convenzionale o superficiale di come una cosa appare essere e la verità più profonda del modo in cui qualcosa esiste. Non è che una verità è più vera dell’altra, come la parola “livelli” di verità potrebbe suggerire. Sono entrambe vere. Non mi piace usare il termine “assoluta” in relazione alla seconda di queste due verità, dal momento che assoluta suona come se fosse più vera dell’altra; “più profonda” è la parola che preferisco. Allora, le due verità sono solo la verità superficiale di come qualcosa appare essere, e la più profonda, come esiste.

Cos’è l’attaccamento?

Andiamo a vedere le due verità in rapporto alle emozioni disturbanti, così forse sarà un po’ più chiaro. Cos’è l’attaccamento o il desiderio bramoso? È lo stato mentale disturbante che esagera le qualità positive di qualcosa e si manifesta in due modi principali. Il desiderio bramoso mira a qualcosa che non abbiamo e l’emozione è “devo ottenerlo, devo assolutamente averlo!” L’attaccamento mira a qualcosa che abbiamo già e sente che “non voglio lasciarlo andare!” Entrambi sono basati sull’esagerazione delle qualità positive di qualcosa, o quello che pensiamo siano le qualità positive di qualcosa. Una terza alternativa è l’avidità, che mira anche a qualcosa che abbiamo, e non essendo mai soddisfatta, vuole sempre di più.

Con tutte queste varianti, siamo inconsapevoli dell’effettiva realtà, la verità effettiva di ciò che qualcosa è. In altre parole, non vediamo solo le buone qualità o gli aspetti positivi di qualcosa, ma anche le esageriamo o aggiungiamo buone qualità che non sono nemmeno presenti. Di solito in aggiunta a questo, minimizziamo o ignoriamo completamente i difetti o gli aspetti negativi. Quindi, siamo inconsapevoli di quali siano veramente gli aspetti positivi e quali invece siano gli effettivi punti deboli di qualcosa. Questo “qualcosa” potrebbe essere, per esempio, una persona che conosciamo e troviamo così attraente e bellissima, o potrebbe essere un oggetto, come un gelato.

Considerate il caso di qualcuno per cui proviamo desiderio bramoso ed attaccamento. Noi esageriamo, ad esempio, la sua bellezza o qualsiasi altra qualità che troviamo così attraente. Esageriamo [pensando] che sia la persona più bella che abbiamo mai incontrato, e così via. E tendiamo davvero ad ignorare i difetti della persona, non vogliamo pensarci più di tanto, per esempio al fatto che possa essere seccante o mangi in qualche modo buffo o russi di notte. Ora, questa persona può essere piuttosto attraente e potremmo in effetti trovarla molto attraente. Non lo stiamo negando, ma esagerare questa caratteristica è ciò che causa l’attaccamento e il desiderio bramoso, e implica ignorare e minimizzare i difetti di questa persona. Questo stato mentale creerà dei problemi prima o dopo, perché alla fine l’infatuazione svanirà. Allora il nostro amore, il nostro attaccamento, può facilmente trasformarsi in vera irritazione e rabbia nei confronti dell’altra persona quando i loro difetti cominciano ad emergere.

L’irritazione e la rabbia sono soltanto il loro opposto. Esageriamo le qualità negative, i difetti di qualcuno o qualcosa, e ne ignoriamo gli aspetti positivi. Ad esempio, facciamo una grande scenata per il fatto che l’altra persona non tenga la stanza in ordine, sia trasandata o non ci dia una mano a lavare i piatti o qualsiasi altra cosa. Ne facciamo un grande problema; lo esageriamo al di là di ogni proporzione, ci arrabbiamo e ci agitiamo. Allo stesso tempo, tendiamo ad ignorare o a perdere di vista gli aspetti positivi della persona, ovvero che è molto gentile, molto responsabile e molto costante e così via. L’unica cosa che emerge è “non sopporto che lasci i suoi calzini sporchi per terra.” E così ci arrabbiamo.

La verità più profonda

Come in questi esempi, la nostra inconsapevolezza della verità superficiale, relativa, di qualcuno – quali siano i suoi aspetti positivi e negativi, oppure i suoi punti forti o deboli – è dietro al nostro attaccamento e alla nostra rabbia. Non li conosciamo oppure li ignoriamo o li esageriamo, o ci sbagliamo riguardo ad essi. Ma alla base del nostro attaccamento e della nostra rabbia, ad un livello più profondo, c’è la nostra inconsapevolezza della verità più profonda dell’altra persona, il modo in cui esiste.

Nonostante potremmo discutere questa cosa ad un livello molto complicato e sottile, per il nostro scopo di stasera, discutiamola solamente ad un livello più facile. Ci sembra che questa persona esista come una sorta di entità là fuori con una solida e spessa linea intorno a lei. Ci sembra come se fosse incapsulata nella plastica o qualcosa del genere, ed eccola qui di fronte a noi, che esiste esattamente come appare, congelata come in una fotografia fissa. È sulla base di questa convinzione errata che pensiamo a lei come ad un’entità concreta, stabilita da sé, indipendente da cause, condizioni, influenze e così via, senza cambiamenti, permanente. Questo è molto confuso; non è corretto perché in realtà il suo umore cambia costantemente; il suo corpo cambia costantemente; il suo stato emotivo cambia costantemente. Non c’è nulla di solido là fuori, come se fosse incapsulato nella plastica, in modo permanente, per sempre.

Basandoci su quest’idea sbagliata del “tu” come un’entità concreta, permanente, ad esempio pensiamo: “sei sempre così; lasci sempre i tuoi calzini per terra!” Questa convinzione errata e la nostra inconsapevolezza che non corrispondono alla realtà, sono alla base della nostra esagerazione delle qualità negative di questa “cosa” che sta dall’altra parte del letto, a darci fastidio. La nostra inconsapevolezza di come esiste è anche causa dell’esagerazione delle buone qualità di questa persona come “cosa” apparentemente solida e bellissima. La nostra confusione allora agisce come causa per toccare la persona impulsivamente. Non possiamo tenere a bada le nostre mani, perché è così attraente. Siamo così attaccati che non vogliamo mollare e permettere alla persona di addormentarsi.

Quindi, se possiamo liberarci di questi due aspetti dell’inconsapevolezza con cui pensiamo che qualcuno esista in modo concreto e permanente, allora l’emozione disturbante non sorgerà. Ci accorgeremmo che la persona cambia costantemente, è aperta al cambiamento, non è affatto una specie di cosa solida incapsulata nella plastica. Quando comprendiamo questo, allora non penseremmo che questa cosa di plastica là fuori ha questo insieme di buone qualità, che potremmo esagerare o addirittura inventare. Saremmo pronti a vederne le sue effettive qualità, buone e cattive, e capiremmo che tutti hanno aspetti positivi e negativi. Non li ingrandiremmo e nemmeno li negheremmo. Su questa base, allora possiamo capirci in una maniera molto matura, amorevole e gentile, con tolleranza, pazienza, comprensione e così via. Non ci attaccheremmo [a qualcuno] e nemmeno ne saremmo irritati.

Attaccamento e rabbia verso congegni meccanici

È la stessa cosa con il registratore, esattamente la stessa cosa. Cosa c’è dietro al fatto di essere attaccati oppure di arrabbiarci con quest’oggetto? Prima di tutto c’è che ne facciamo una cosa grande e concreta, pensando che “ho speso un sacco di soldi per questa cosa” ed eccola qua, questa cosa qui, con una linea attorno grande e solida. E poi potremmo esagerarne le qualità positive, “è completamente affidabile per registrare gli insegnamenti,” e pertanto ne diventiamo molto dipendenti. Non stiamo davvero nemmeno attenti alla lezione o non prendiamo appunti, perché pensiamo che il registratore sia infallibile e permanente, e funzionerà sempre. E se poi non funziona, ci arrabbiamo proprio tanto con quest’oggetto.

Ma dopo tutto, è soltanto una congegno. È fatto di componenti e i componenti si consumano, non c’è nulla che duri per sempre. È vero, può registrare bene, ma a volte non funziona. È soltanto una macchina, le batterie si possono scaricare e così via. Se capiamo questo, allora non ne faremo una grande questione quando le batterie si scaricano, se questo accade. Agiamo in modo responsabile prima di usarlo e controlliamo per essere sicuri che il congegno stia funzionando in modo corretto, le batterie siano cariche e così via. Ma se non funziona, non ce la prendiamo. E prendiamo appunti: non diventiamo totalmente dipendenti da questo registratore.

È piuttosto interessante vedere come possiamo avere tali emozioni disturbanti nei confronti dei congegni, come questo registratore, e particolarmente al giorno d’oggi nei confronti dei computer. Ci arrabbiamo così tanto quando quella cosa non vuole fare quello che noi vorremmo facesse. “Ha una mente tutta sua,” pensiamo. Suvvia, questo è ridicolo. Pensiamo: “eccolo qui, dovrebbe funzionare,” dopotutto questa cosa dovrebbe essere perfetta. Ma è soltanto un congegno ed è fatto di componenti; ed è stato fatto da persone che fanno errori e che non sanno come fare le cose in maniera perfetta. Ciò non significa che non usiamo il computer o il registratore. Li usiamo perché ci possono essere molto utili, ma non ci attacchiamo ad essi se funzionano; e non ci arrabbiamo quando non fanno quello che vogliamo. In questo modo, abbiamo un atteggiamento salutare ed equilibrato nei confronti dell’oggetto. Non è facile, specialmente se la macchina è costosa.

Un metodo provvisorio per affrontare il desiderio e l’attaccamento verso qualcuno

Ci sono metodi a due livelli usati nel Buddhismo per affrontare le nostre emozioni disturbanti.

Ci sono metodi temporanei, provvisori, che fondamentalmente ci aiutano a vedere correttamente la verità relativa delle cose, e ci sono i metodi ultimi o più profondi, che implicano la comprensione della verità più profonda dell’oggetto verso cui è rivolta l’emozione disturbante. I metodi più profondi richiedono molto studio e riflessione, ma siccome i metodi temporanei, provvisori, sono più facili da capire e applicare, questi sono i metodi in cui ci prepariamo e che applichiamo per primi. Diamo un’occhiata ad alcuni esempi di questi metodi provvisori.

Pensare a quello che c’è dentro il corpo

Se proviamo attaccamento o desiderio bramoso per qualcuno, e in particolare se abbiamo un’infatuazione e esageriamo le qualità della bellezza del corpo della persona, oppure anche se siamo attaccati al nostro stesso corpo, allora quello su cui meditiamo viene spesso chiamato “la bruttezza del corpo.” Beh, già usare questa parola “brutto” ci fa perdere un po’ dell’interesse. Non è una parola rassicurante. Quindi penso che possiamo fare a meno qui della parola “bruttezza,” e anche della parola “sporcizia,” che a volte viene anch’essa usata. Entrambe hanno delle sfumature di significato troppo malsane nelle società di oggi, in cui la bassa autostima è così prevalente. Invece, osserviamo solo il corpo umano, di altri o di noi stessi, semplicemente dal punto di vista di ciò che abbiamo discusso, la verità relativa di come qualcosa è.

In questo caso possiamo usare l’analogia di un pacco. Un pacco è confezionato, per esempio un regalo è incartato dal lato esterno e poi ha il suo contenuto all’interno. Allo stesso modo, il nostro corpo, o il corpo di qualcun altro, è avvolto dalla pelle dal lato esterno, che normalmente è l’unica cosa che vediamo. Quindi la pelle è come una confezione molto bella. E allo stesso modo in cui spesso il pacco può essere incartato con nastri e carta costosa e decorata, così il corpo può essere avvolto in vestiti bellissimi e costosi per renderlo più attraente. Ma anche i vestiti sono solo delle confezioni. Per attrarre ancora più attenzione verso un prodotto del negozio, i produttori si sforzano molto a ideare la confezione del prodotto e ad aggiungere pubblicità accattivanti. Allo stesso modo, molte persone spesso cercano di rendere la confezione della loro pelle ancora più attraente con il trucco, con pettinature di gusto e profumo o con accattivanti ed elaborati tatuaggi, piercing e così via.

Ma il pacco non è soltanto l’incarto, c’è anche il contenuto. Dentro al pacco c’è uno scheletro, i muscoli, gli organi e così via. Se il contenuto dello stomaco uscisse fuori, avremmo del vomito. Nell’intestino ci sono gli escrementi e nella vescica c’è l’urina e c’è il sangue nelle arterie e nelle vene. Questa è la realtà; questa è la verità di ciò che è dentro la confezione di questa pelle. Davvero non possiamo negarlo. E se togliessimo tutto il vomito dallo stomaco e tutto lo sputo dalla bocca e tutto il muco dal naso e tutti gli escrementi dall’intestino, tutta l’urina dalla vescica e tutto il sangue dalle vene e dalle arterie e avessimo soltanto la pelle da sola, beh, questo non sarebbe affatto la nostra amata, no? La realtà della nostra amata è che lui o lei è l’intera confezione. Non vogliamo solamente la pelle della nostra amata, imbottita di cotone o qualcosa del genere come se venisse da un museo di storia naturale. Vogliamo che la persona sia viva, e dunque questa è la realtà di cosa c’è dentro la confezione, che ci piaccia o meno.

Quindi ora la faccenda diventa molto interessante. Cos’è che troviamo bello e cos’è che troviamo brutto? Cos’è che troviamo pulito e cos’è che troviamo sporco? Certe persone potrebbero trovare la pelle molto bella e lo scheletro brutto, ma cosa c’è di brutto in uno scheletro? È solo uno scheletro. E se assistessimo ad un’operazione in un ospedale e vedessimo tutto quello che c’è dentro il corpo, beh, cosa ci sarebbe di tanto brutto e repellente? È il nostro atteggiamento, non è vero? Certamente i chirurghi che fanno l’intervento non lo trovano brutto e repellente. È semplicemente quello che c’è dentro il corpo.

Evitare l’esagerazione delle buone qualità, come la bellezza

Il punto è di non esagerare le buone qualità, e anche le buone qualità sono relative e soggettive. Per esempio, qualcuno che io trovo molto bello, voi potreste non trovarlo affatto bello. Oppure qualcuno che io trovo brutto, voi potreste trovarlo molto bello. È totalmente soggettivo. Pertanto se troviamo attraenti la pelle di una persona e la forma del suo corpo, va bene, è bello per noi, non c’è niente di male in questo. Il punto è di non esagerare. Non c’è niente di male nel fatto che ci fa piacere vedere questa persona. Ci piace il loro aspetto; il vederli ci rende felici. Ma quello che ci guasta la festa è quando esageriamo e dopo sentiamo che “devo toccare il suo corpo tutto il tempo; devo abbracciarlo ogni volta che lo vedo; devo averlo vicino a me tutto il tempo.” Questo è il problema. Se qualcun altro guarda questa persona con desiderio, allora ci arrabbiamo molto: “questa persona e il suo corpo sono miei.” Ci sono molte persone molto belle che incontriamo per strada. È solo disturbante quando pensiamo impulsivamente: “ vorrei poter toccare questa persona, oppure fare questo o quell’altro con questa persona.” Questo ci rende emotivamente molto disturbati.

E se iniziamo ad esagerare veramente la confezione – l’aspetto dell’altra persona – allora è molto utile sviluppare qualcosa come uno sguardo a raggi X ed immaginarci lo scheletro di questa persona. Non è così difficile da fare, specialmente se sappiamo che aspetto ha uno scheletro. Non è una lezione di anatomia, non dev’essere perfetto. Ma possiamo all’incirca immaginarci il teschio che si trova sotto la pelle del viso e della testa. Questo ci aiuta a darci una calmata. Oppure se stiamo carezzando l’addome di qualcuno e pensiamo, “questo è così meraviglioso,” cerchiamo di essere un po’ consapevoli del fatto di cosa staremmo accarezzando se andassimo tre o quattro centimetri sotto la pelle. Questo non significa che allora ne siamo disgustati. Significa che non c’è nulla di speciale nei piaceri che deriviamo dall’accarezzare il corpo di qualcun altro. L’applicazione di questi metodi ci dà maggiore equilibrio emotivo.

Il metodo per smantellare l’attaccamento e il desiderio bramoso

Questi metodi sono solo temporanei, non ci liberano dal desiderio bramoso o dall’attaccamento. Ma, temporaneamente, questi metodi smorzano le emozioni disturbanti quando sorgono in certe situazioni. Per liberarci effettivamente da esse, dobbiamo comprendere veramente il modo in cui una persona esiste in realtà, e non rendere la persona una “cosa.” Ma questo è molto difficile e avanzato. Quindi, applichiamo per prima cosa questi metodi temporanei, provvisori. Essere in grado di fare questo richiede un processo in tre fasi: l’ascolto, la riflessione e la meditazione.

Ascoltare il metodo e rifletterci su

Prima di tutto, dobbiamo sapere quale sarebbe il metodo. Se siamo così tanto attaccati a qualcuno per via del suo corpo e del suo aspetto, allora il metodo sarebbe di essere anche consapevoli di ciò che si trova sotto la pelle, come ad esempio lo scheletro e ciò che è nello stomaco. Dopo aver ascoltato questo metodo, dobbiamo pensarci su per comprenderlo ed essere convinti che se fossimo consapevoli non soltanto della confezione, ma anche del suo contenuto, non saremmo così disturbati dal desiderio bramoso e dall’attaccamento verso questa persona. Avremmo meno problemi con questa persona e anche meno problemi con il nostro stato emotivo.

Applicare i quattro assiomi

Per riflettere su questi punti che abbiamo ascoltato, dobbiamo esaminarli dalla prospettiva dei cosiddetti “quattro assiomi.” Questi sono quattro modi per diventare convinti di qualcosa.

L’assioma della dimostrazione tramite ragionamento

Con il primo assioma, esaminiamo gli insegnamenti per vedere se sono ragionevoli e logici. In questo caso, è abbastanza ovvio che le persone non siano solamente la loro pelle. Non abbiamo davvero bisogno di provarlo. Ma, se vogliamo esaminare questo punto con la logica, allora ovviamente un sacco di pelle vuoto non potrebbe stare in piedi se non avesse uno scheletro al suo interno. Se mangiamo, allora ci dev’essere qualcosa all’interno dello stomaco e dell’intestino. Quindi è perfettamente logico che il corpo di una persona non sia solo la sua pelle, perché ci dev’essere qualcosa sotto la pelle.

L’assioma della funzionalità

In seguito, esaminiamo come funzionerebbe un particolare insegnamento per produrre il risultato previsto. Per esempio, se fossimo ugualmente consapevoli di ciò che è all’esterno e all’interno del corpo di questa persona, tale comprensione non provocherebbe l’esagerazione del primo e l’ignoranza del secondo.

Potremmo anche analizzare, se qualcuno è così tanto attraente e bello, allora perché troviamo che solo la sua pelle sia così bella? Perché non dovremmo trovare bello anche il vomito nel suo stomaco? Ovviamente non è questo il caso. Pertanto, essere consapevoli dei due aspetti del suo corpo, l’esterno e l’interno, non deve impedirci di godere della sua bellezza esterna e non deve distruggere il nostro godimento della sua bellezza. Semplicemente mette questo piacere nella giusta prospettiva. Va bene, il corpo di questa persona può essere bello di fuori, ma c’è anche quello che si trova dentro e tutti esistono in questo modo.

Quando riflettiamo su questi punti per convincerci di essi, troviamo qualcosa d’interessante, perché molto spesso accade che non vogliamo davvero crederci a queste cose. C’è una resistenza emotiva a pensare ciò che si trova nello stomaco e negli intestini di una persona. È molto interessante da vedere. Comunque il punto è che questa è la realtà, questa è la verità. I tibetani amano immagini molto crude, terra terra. Direbbero che se tu avessi un gran mucchio di escrementi e creassi con questo mucchio una statua magnifica di un corpo nudo e la dipingessi con il colore della pelle, per quanto possa essere bella, sarebbe sempre della cacca!

L’aspetto funzionale di questa comprensione è pure che se sono consapevole sia dell’esterno che dell’interno del corpo di qualcuno, questo agisce [come antidoto] per non provare desiderio bramoso e attaccamento per quel corpo. Questo accade perché non sto solo negando l’uno o esagerando l’altro. Pertanto, questa comprensione è incompatibile con l’infatuazione. Questa comprensione è compatibile con l’avere un impegno stabile e di lungo termine con la persona, con un atteggiamento di amore sincero e pazienza per quello che accade ad ogni corpo quando invecchia. Se esageriamo la sua bellezza attuale, allora quando comincia ad invecchiare, o ad ammalarsi e a perdere quella bellezza, potremmo cercare qualcun altro che troviamo più attraente. Ma se comprendiamo ed accettiamo la realtà che l’esterno e l’interno siano entrambi destinati a cambiare, allora quell’intuizione sarebbe compatibile con l’avere una relazione stabile e amorevole con la persona.

L’assioma della natura delle cose

Perché alcune persone possono essere carine all’esterno, ma poi hanno uno scheletro, escrementi e vomito all’interno? Beh, questo è soltanto nella natura delle cose; siamo esseri viventi e questi sono i componenti del nostro corpo. Non abbiamo scelta se non accettare che questa sia la realtà. Questo è il modo in cui il corpo funziona.

L’assioma della dipendenza

Infine, esaminiamo da cosa dipende lo sviluppo e la comprensione di questo stato mentale, per essere in grado di ottenerlo. Prima di tutto, abbiamo bisogno di un certo autocontrollo. Quando vediamo la persona, dobbiamo controllare lo stimolo impulsivo a metterle le mani addosso su tutto il suo corpo. Abbiamo bisogno dell’autocontrollo per soffermarci un momento e applicare l’analisi e l’introspezione. Quest’autocontrollo ci permetterà di vedere in modo più chiaro e profondo.

Inoltre, dobbiamo avere la volontà e l’apertura a farlo e non avere paura che avremo così tanta repulsione per questa persona da non saperla gestire. L’applicazione corretta del metodo dipende da tutti questi fattori. Se capiamo questo in anticipo, sapremo come prepararci.

Meditazione

Una volta che abbiamo compiuto questo processo di riflessione, il quale significa comprendere gli insegnamenti ed essere convinti che siano utili da approfondire e siano qualcosa che vogliamo approfondire, allora facciamo effettivamente quella che è chiamata la “meditazione” su di essi. La meditazione è un metodo per integrare nelle nostre vite gli insegnamenti che abbiamo capito e di cui siamo convinti. Con la riflessione e l’agire secondo le istruzioni fornite, integriamo gli insegnamenti nella nostra vita, rendendoli un’abitudine benefica.

Questo è un processo duplice. Per prima cosa, facciamo la meditazione di discernimento, a volte chiamata “meditazione analitica.” In una situazione controllata, in altre parole seduti per conto nostro, non con l’altra persona di fronte a noi, lavoriamo con una persona per cui proviamo attaccamento, ad esempio desiderio smanioso per il loro aspetto. Lavoriamo con un’immagine della persona o semplicemente pensiamo a questa persona e poi indaghiamo: “sì, lei ha uno scheletro. Sì, lei ha qualcosa nello stomaco.” Immaginiamo il suo corpo come se fosse trasparente e, immaginando il suo scheletro, i contenuti del suo stomaco e così via all’interno della pelle, cerchiamo di percepire quello che il suo corpo contiene. In questo modo, imprimiamo su noi stessi il fatto che tale visione sia vera. È come avere uno sguardo a raggi X, ma senza perdere di vista l’apparenza esteriore della persona, che può in effetti essere graziosa. Osservare l’interno del suo corpo non annulla la sua bellezza convenzionale esteriore.

Dopo un periodo di questa meditazione di discernimento, durante il quale la nostra energia mentale si stava dirigendo, in un certo senso, verso il nostro oggetto di focalizzazione, cioè il corpo della persona, passiamo alla meditazione stabilizzante. Durante questa seconda fase,

la nostra energia mentale è diretta più verso l’interno, ovvero cerchiamo di lasciare che quello che abbiamo percepito faccia presa in profondità. Cerchiamo di provare realmente che “sì, questa è la realtà; questa è la verità sul corpo di questa persona, dall’esterno all’interno. Sì, questo è vero.” E se abbiamo identificato la persona solo in base al suo corpo, ci rammentiamo che la persona ha anche una mente, emozioni e così via. Ma questo è un argomento ulteriore di meditazione.

Applicare il metodo nella vita quotidiana

Una volta che abbiamo instaurato un po’ di familiarità con questo modo di affrontare il desiderio bramoso e l’attaccamento, una volta che comincia a diventare un’abitudine radicata, allora iniziamo ad applicare questi metodi in situazioni vere, della vita di tutti i giorni. Li applichiamo quando ne abbiamo bisogno, cioè quando abbiamo questa forte sensazione di attaccamento, questo forte desiderio bramoso di accarezzare la persona. Esaminando le nostre motivazioni, capiamo ad esempio che non vogliamo toccare la persona con le mani perché hanno bisogno di conforto o di un massaggio o qualcosa del genere, ma riconosciamo di volerla toccare perché siamo così smaniosi. A questo punto, applichiamo lo stesso modo in cui abbiamo percepito il suo corpo così come l’abbiamo praticato in meditazione. Percepiamo che l’avere uno scheletro e del vomito nello stomaco è il suo effettivo modo di essere, e cerchiamo di sentire che questo sia un fatto.

Di conseguenza, sentiamo di avere maggiore chiarezza mentale per essere in grado di vedere cos’è appropriato o inappropriato in questa situazione. Ciononostante, qui stiamo solo lavorando con un metodo provvisorio. Quindi, anche se sentiamo di voler toccare la persona, tenerle la mano o qualsiasi altra cosa, realizziamo che lo stiamo in realtà facendo perché questo ci farebbe stare meglio. Non che l’altra persona dal canto suo ne abbia veramente bisogno. Tuttavia, applicando questa meditazione in quel momento, non esagereremo quello che facciamo. Inoltre ci consente di verificare: l’altra persona si sentirà a suo agio? Va bene per lei se facciamo così? E se non va bene, saremo maggiormente in grado di esercitare l’autocontrollo per astenerci dal toccarla.

Alla fine diventerà naturale e spontaneo agire in questa maniera equilibrata e premurosa: non stiamo esagerando, non ci stiamo attaccando alla persona e così via. Di conseguenza, l’altra persona se ne accorgerà, se ha una certa sensibilità nei nostri confronti. Perché se le abbiamo sempre preso la mano perché in realtà siamo noi a sentirci insicuri e pensiamo che tenendole la mano ci sentiremo meglio, che questo risolverà i nostri problemi, allora c’è questa vibrazione disturbante in noi e nella nostra smania. L’altra persona non si sentirà a proprio agio. Se l’altra persona ha un certo livello di sensibilità, se ne può accorgere. Ma se invece non esageriamo il piacere del contatto fisico, allora sentiamo che “va bene, stiamo tenendo la mano di una persona; è una piacevole sensazione di contatto; so cosa c’è dentro la sua mano, le ossa e così via,” quindi non è “ohhhhh! Questo è così fantastico!” Invece se ci rendiamo conto che “è bello e mi fa sentire un po’ meglio, ma non risolverà tutti i miei problemi di questo mondo,” allora ci rilassiamo. È spontaneo, è naturale e l’altra persona non lo trova artificiale; inoltre si sente molto più a suo agio. Questo è ciò che cerchiamo di ottenere. Non cerchiamo di ottenere “non toccare nessuno, ognuno è solamente un sacco di escrementi,” non è a questo a cui puntiamo. Stiamo mirando qui all’equilibrio, in modo tale che poi possiamo veramente lavorare per il beneficio altrui.

Quando leggiamo questi metodi in alcuni dei grandi testi buddhisti, come Impegnarsi nel comportamento dei bodhisattva di Shantideva, dobbiamo apprezzare e comprendere il contesto in cui Shantideva, per esempio, sta discutendo questi temi. È nel contesto del raggiungimento della stabilità mentale e della concentrazione. Una delle maggiori distrazioni nella meditazione è pensare costantemente ad una persona per cui proviamo attaccamento e desiderio bramoso. Questa è una distrazione molto, molto grande. Così, per essere in grado di raggiungere stabilità mentale e concentrazione, particolarmente in una qualsiasi pratica meditativa, abbiamo bisogno di applicare questo metodo, anche se non siamo con quella persona per cui proviamo tale attrazione. Questo è il contesto in cui questi metodi vengono spiegati nel testo.

Ma questi metodi ovviamente hanno una grande applicazione al di fuori delle situazioni in cui cerchiamo di meditare e di raggiungere la concentrazione. Hanno una grande applicazione nelle nostre relazioni ordinarie con gli altri. Pertanto, quando leggiamo questi metodi nei testi per affrontare il desiderio bramoso e l’attaccamento, abbiamo bisogno di pensare ad un contesto più ampio in cui potremmo utilizzarli, piuttosto che semplicemente applicarli come antidoti alla distrazione nelle meditazioni di concentrazione.

I testi contengono anche analisi dettagliate e presentazioni dei vari metodi per contrastare altre emozioni disturbanti come la rabbia, la gelosia e così via, ma in realtà non abbiamo tempo per farlo ora. Ma penso che questo esempio di come possiamo affrontare l’attaccamento e il desiderio bramoso verso qualcuno, basato sul loro aspetto, ci offra una buona spiegazione della metodologia coinvolta.

Sommario

In breve, questo è il modo in cui affrontiamo le emozioni disturbanti, esercitandoci per riuscire ad applicare dei metodi abili. Ci sono molti metodi per affrontare ogni singolo tipo di emozione disturbante ed è molto utile impararli e praticarli ed essere in grado di applicarne una grande varietà. Questo perché in certe situazioni un metodo può non essere del tutto efficace oppure non siamo in grado di applicarlo così bene. Ma, se abbiamo altri metodi alternativi, potrebbero essere più efficaci in quella specifica situazione. A volte, così come per una malattia dobbiamo applicare una combinazione di medicine, allo stesso modo potremmo avere bisogno di applicare una combinazione di metodi per affrontare un’emozione disturbante particolarmente forte. Così, più impariamo e ci esercitiamo, maggiormente saremo in grado di gestire ed evitare situazioni problematiche e difficili.

Per questo leggere e studiare il testo di Shantideva, Impegnarsi nel comportamento dei bodhisattva, è davvero così utile, perché la sua presentazione è orientata verso lo studio di: “Perché permetto a queste emozioni disturbanti di comandarmi? Perché rendo le cose così facili per loro nella mia mente? Questo è il vero nemico e in realtà non hanno alcuna potenza. Una volta che ce ne siamo liberati e sono usciti dalla mia mente, dove andranno? Non possono starsene da qualche parte ed attaccarci nuovamente come un nemico comune; non c’è nulla di solido in loro.” Pensare in questo modo e diventare convinti che si tratti della verità è molto utile. Ci dà una base stabile per iniziare a liberarci da queste emozioni disturbanti. Non cadere sotto il loro controllo ci permetterà di essere più responsabili per la qualità delle nostre vite.

Grazie. Che domande avete?

Domande

Affrontare l’attaccamento verso le altre qualità di qualcuno, non per il suo corpo

Domanda: Supponiamo che non siamo attaccati al corpo di qualcuno, ma siamo attaccati ad una sorta di anima o mente della persona, o ad alcuni aspetti della sua personalità. Come ci liberiamo da questo attaccamento?

Alex: È esattamente la stessa cosa. Se consideriamo la mente di qualcuno o la sua personalità, se di nuovo proviamo attaccamento, stiamo esagerando quelle qualità che troviamo belle ed attraenti mentre stiamo ignorando quegli aspetti che non sono così belli. E di nuovo, cerchiamo di vedere la realtà. Ognuno ha dei punti forti; ognuno ha dei punti deboli nella sua personalità, nella sua costituzione emotiva, nella sua mente, nella sua intelligenza.

Domanda: Ma se tutto è bello e va bene…

Alex: Se tutto è bello e va bene, allora generalmente siamo ingenui. Non stiamo guardando sufficientemente in profondità, perché solo un Buddha possiede solamente qualità buone e positive e nessun difetto o limite. Inoltre, soltanto nelle favole abbiamo il Principe Azzurro o la Principessa sul cavallo bianco: qualcuno assolutamente perfetto che avvera tutti i nostri sogni. Quindi se stiamo cercando il principe o la principessa sul cavallo bianco, oppure se pensiamo di averne trovato uno, penso che ci stiamo prendendo in giro. E certamente il pensare che ne potremo mai trovare uno è semplicemente il sentiero verso la sofferenza.

Affrontare l’insicurezza

Domanda: Una delle nostre maggiori emozioni disturbanti è questo forte desiderio di sicurezza. Sembra che in realtà dobbiamo liberarci dalle aspettative e dalla paura e poi fondamentalmente ci sentiremo molto più sicuri, ci sentiremo molto più rilassati. Come vedi questo punto?

Alex: È vero, sembra come se una delle emozioni disturbanti più profonde fosse la nostra insicurezza, la quale è nutrita dalla paura, dalla solitudine e così via. Come ne veniamo fuori? Per questo dobbiamo veramente comprendere la verità più profonda, la verità più profonda riguardo all’ “io,” ovvero che non c’è alcun “io” solido, avvolto nella plastica, isolato da ogni cosa e da tutti, che potrebbe essere rassicurato. Non c’è nulla di simile che potrebbe essere rassicurato. Stiamo cercando di rassicurare qualcosa che è un’esagerazione del modo in cui realmente esistiamo. La realtà è che cambiamo tutto il tempo: il nostro stato mentale cambia tutto il tempo, il nostro corpo cambia tutto il tempo, le nostre emozioni cambiano tutto il tempo. Convenzionalmente, tutto questo è etichettato come “io,” ma non c’è nessun “io” solido che è lì, che esiste separatamente da tutto questo e il quale dev’essere rassicurato. Tutto cambia tutto il tempo.

Se tutto ciò che è convenzionalmente etichettato come “io” cambia tutto il tempo, allora tutto quello che possiamo cercare di fare è di avere una direzione chiara, una direzione sicura – il significato del rifugio – verso cui ci stiamo dirigendo. Questa direzione sicura significa lavorare realisticamente per sviluppare atteggiamenti più positivi, per migliorare noi stessi, e così via. Ma non c’è nulla da rassicurare, non c’è nulla da difendere. Nulla esiste in maniera isolata e tagliata fuori dalle influenze di tutto il resto. Se capiamo questo in modo profondo e ne siamo convinti, allora i problemi dell’insicurezza e della solitudine lentamente e gradualmente si dissolvono e svaniscono. In un certo senso, non c’è nulla di cui avere paura. Ma è importante che nello smontare il senso di un “io” solido e permanente, non cadiamo nell’estremo nichilista di pensare che non esistiamo affatto e quindi non ci prendiamo la responsabilità delle nostre azioni. Potremmo non essere sicuri dei risultati delle nostre azioni, ma agiamo comunque e facciamo del nostro meglio.

Ora, qui ovviamente stiamo parlando principalmente dell’insicurezza emotiva, ma ci sono anche altri aspetti dell’insicurezza: l’insicurezza economica e così via. In questi campi dobbiamo riconoscere anche la verità relativa riguardo a “me” e alle mie responsabilità. Certamente dobbiamo cercare di avere cura dell’aspetto economico o qualsiasi altro aspetto sia presente che ci darebbe un certo senso di sicurezza convenzionale. Ma nel fare questo, come nella sfera emotiva, bisogna anche non esagerare la realtà della situazione. La realtà della nostra situazione economica non è completamente sotto il nostro controllo. La situazione economica del mondo intero avrà un impatto sulla nostra sicurezza finanziaria, sul sistema sociale e così via. Se ad esempio il comunismo crolla e c’è una nuova forma di governo e sistema sociale, le cose cambieranno. E dunque l’unica cosa che ci dà stabilità e sicurezza è avere una direzione sicura verso cui ci stiamo dirigendo, e acquisire sempre più strumenti per poter affrontare qualsiasi cosa sorga, qualsiasi cosa accada. Soltanto se la vita fosse assolutamente statica, senza cambiamenti, potremmo allora essere al sicuro, perché sapremmo sempre cosa sta per accadere. Ma questo è impossibile.

Inoltre dobbiamo accontentarci, sapere quando ne abbiamo abbastanza. Conosco persone che hanno un milione di dollari ma si sentono insicure perché dicono: “non ho dieci milioni di dollari. Se avessi dieci milioni di dollari, allora mi sentirei al sicuro.” Cercate di non essere così. È uno stato mentale molto infelice.

Il tentativo di liberarsi dall’inconsapevolezza è senza speranza?

La prossima domanda è: come ci liberiamo da questa inconsapevolezza, dato che, fondamentalmente, se posso parafrasare quello che hai detto, abbiamo dei limiti e non siamo dei Buddha e quindi non possiamo vedere o conoscere tutte le conseguenze delle nostre azioni e così via? Quindi, il nostro destino è segnato?

No, certamente il nostro destino non è segnato, perché è possibile liberarsi da questa inconsapevolezza. Non sarà facile ed è un processo lungo, ma la mente ha la capacità di comprendere le cose ed ha la portata necessaria per mettere tutto insieme. E dunque, quello che facciamo è cercare d’ampliare la nostra comprensione. Cerchiamo di avere sempre più intuizioni, comprendere sempre più cose, così che malgrado non sappiamo esattamente quale sarà l’effetto del nostro comportamento in quanto non conosciamo tutte le variabili coinvolte, tuttavia comprenderemo sempre di più. Su questa base, possiamo quindi fare un’ipotesi ragionevole su quale sia il modo migliore per affrontare ogni situazione, basata sulla probabilità e sull’esperienza, e poi continuare a lavorare per migliorare noi stessi.

Per migliorare le nostre abilità nel trattare gli altri, cerchiamo di assorbire quante più informazioni possiamo riguardo all’altra persona, riguardo alle circostanze e così via. Cerchiamo di notare gli schemi di ciò che accade abitualmente: qual è lo schema secondo cui questa persona reagisce e così via, ed anche tenere in considerazione l’unicità della situazione e l’unicità della persona. In base a questo, abbiamo perlomeno qualche idea di cosa provare in termini di come rapportarsi con questa persona e cosa fare.

Tutti noi abbiamo tutte queste capacità, questo è il modo in cui la mente funziona. Naturalmente assorbiamo tutte le informazioni sensoriali attorno a noi. Potremmo non prestare attenzione a tutte, potremmo non esserne interessati, ma tutte queste informazioni sensoriali sono lì; ci arrivano. E siamo perfettamente in grado di notare degli schemi. Possiamo vedere, ad esempio, che queste tre persone sono tutte donne, e pertanto possiamo riconoscere lo schema in cui le cose s’incastrano. Possiamo riunire le informazioni in schemi e comprenderne il senso. Possiamo riconoscere che la nostra mano destra non è la nostra mano sinistra, e pertanto siamo consapevoli dell’unicità delle cose. Abbiamo anche la capacità di trattare cose diverse in modo differente. Sappiamo come parlare con un bambino e come parlare con un adulto, e non parliamo con queste due persone esattamente nello stesso modo. A meno di non essere proprio insensibili, abbiamo questa flessibilità. Quindi, tutto il materiale di base è presente.

A proposito, questi modi differenti in cui la nostra mente funziona sono alcune delle caratteristiche conosciute come “natura di Buddha.” Tutti noi abbiamo queste qualità della natura di Buddha che ci permetteranno di diventare dei Buddha illuminati. È soltanto una questione di riconoscerle ed esercitarle.

Le fasi per liberarci dall’inconsapevolezza

Domanda: È corretto che non possiamo realmente eliminare l’inconsapevolezza semplicemente usando questi mezzi abili? Può essere solo eliminata attraverso la percezione diretta della vacuità e acquistando familiarità con quest’ultima? È giusto? Qual è la relazione tra questi mezzi abili e quell’eliminazione?

Alex: La domanda è: “qual è la relazione tra questi mezzi abili che abbiamo appena nominato e la liberazione effettiva dall’inconsapevolezza, e inoltre non è forse vero che abbiamo bisogno della cognizione non-concettuale della vacuità e così via per liberarci veramente da questa inconsapevolezza?”

Beh, quello di cui abbiamo parlato finora sono metodi temporanei, provvisori, e quindi non sono i metodi che possono liberarci dalla nostra inconsapevolezza della realtà più profonda delle cose. Liberarsi solo dall’inconsapevolezza della realtà convenzionale, la verità convenzionale delle cose, non è sufficiente. Quindi, è vero che abbiamo bisogno della comprensione più profonda della vacuità. “Vacuità” significa l’assenza di modi impossibili di esistere; modi impossibili di esistere non corrispondono a nulla. Pertanto sono impossibili: non si riferiscono a niente di reale. Quindi, sì, dobbiamo arrivare a questa comprensione della vacuità per poterci veramente liberare dalle emozioni disturbanti e dall’inconsapevolezza che ne è alla base, e questa comprensione dev’essere non-concettuale.

Ma tutto questo avviene gradualmente. Ci sono due livelli di emozioni e di atteggiamenti disturbanti. Ci sono quelli che hanno una base dottrinale. Sorgono dall’aver appreso e accettato come vere le affermazioni di alcune tradizioni filosofiche o religiose non-buddhiste che si riferiscono a come “io” esisto. In altre parole, quando pensiamo di esistere nella maniera che abbiamo appreso dalle dottrine di certi sistemi non-buddhisti, le emozioni disturbanti che proviamo basate su questa convinzione errata di noi stessi sono “basate sulla dottrina.” E poi ci sono anche emozioni disturbanti che sorgono spontaneamente. Nessuno ha dovuto insegnarci nulla sul modo in cui esistiamo affinché sorgano.

Ad esempio, supponiamo d’aver appreso da una tradizione non-buddhista, e accettato come vero, che il nostro “sé,” l’ “io,” sia in realtà un’ “anima” immutabile e monolitica, un “atman.” Quest’anima passa da un corpo ad un altro corpo e non è influenzata da nulla, ma può liberarsi da questo ciclo e dopo esistere indipendentemente dal corpo e dalla mente. Ad un livello, potremmo attaccarci a questa visione e metterci sulla difensiva. Potremmo arrabbiarci ed essere aggressivi verso chiunque la metta in discussione. Potremmo anche diventare molto arroganti, pensando che [questa visione sia] “più sacra di voi,” e così via. Comunque, ad un livello più profondo, concepiremmo l’ “io” che prova sofferenza e le sue cause, ma il quale può provare la liberazione dalla sofferenza attraverso una comprensione corretta, come l’ “io” definito dalle dottrine di quel sistema non-buddhista. Questo è l’ “io” che immaginiamo, il quale ad esempio si sente solo, e vuole sentire che c’è bisogno di lui e avere l’amore e l’apprezzamento di tutti.

Queste sono emozioni disturbanti che hanno una base dottrinale: si basano sul fatto d’aver appreso e accettato come vero qualche sistema non-buddhista. Quando raggiungiamo per la prima volta la cognizione non-concettuale della vacuità, ce ne liberiamo. In altre parole, realizziamo completamente che questa spiegazione che ci era stata insegnata e in cui abbiamo creduto semplicemente non è vera. E dunque non ci crediamo più, e non pensiamo più di esistere in quel modo impossibile. Di conseguenza, ovviamente non ci arrabbiamo più, non ci mettiamo più sulla difensiva, non siamo più aggressivi o qualsiasi altra cosa simile per via delle affermazioni di questo sistema. Di maggior significato è che, mentre soffriamo e ci impegniamo per la liberazione, non pensiamo più di esistere in questo modo basato sulla dottrina. Di conseguenza, qualsiasi emozione disturbante abbiamo ancora, sarà solamente della categoria che sorge spontaneamente, basata sulla convinzione errata di come esistiamo, la quale sorge spontaneamente.

In questa fase del nostro sentiero spirituale diventiamo ciò che viene chiamato un “arya,” un essere altamente realizzato, un cosiddetto “nobile.” Se stiamo seguendo uno dei sentieri Hinayana, dove c’impegniamo solo per la nostra liberazione personale, a questo punto diventiamo quello che viene chiamato un essere “entrato nella corrente.” Il Mahayana non usa questa terminologia. Ma sia l’Hinayana che il Mahayana usano la terminologia dell’arya, un essere altamente realizzato.

In questa fase in cui diventiamo un arya per la prima volta, avremo ancora le emozioni disturbanti che sorgono spontaneamente. Anche i cani le hanno. Per liberarcene, dobbiamo meditare ulteriormente utilizzando la stessa comprensione della vacuità che ci aveva liberati dall’inconsapevolezza basata sulla dottrina. Quando ci libereremo da quelle, allora saremo liberi da tutte le emozioni ed atteggiamenti disturbanti. Diventeremo un essere liberato, un arhat. A questo punto non proveremo più alcuna emozione disturbante – niente rabbia, niente attaccamento – ma non ci saremo ancora liberati dalle costanti abitudini di quest’inconsapevolezza, la confusione e le emozioni disturbanti.

Ci sono molte affermazioni del Buddhismo Mahayana che si riferiscono a cosa queste costanti abitudini delle emozioni disturbanti danno ancora luogo dopo aver ottenuto la liberazione. Non è necessario entrare nei dettagli. Alcune dicono che non danno adito ad emozioni disturbanti evidenti, ma solo subliminali. Altre dicono che producono solo apparenze di modi impossibili di esistere, ma senza che sorgano emozioni disturbanti basate sulla credenza che queste apparenze corrispondano alla realtà. Altre ancora dicono che continuano a sostenere la mancanza di chiarezza della mente, prevenendo la cognizione evidente simultanea delle due verità di ogni cosa. Comunque, dobbiamo meditare ulteriormente utilizzando la cognizione non-concettuale della vacuità, e quando la nostra mente acquisirà una totale familiarità con essa, allora alla fine la nostra mente smetterà di produrre questi cosiddetti oscuramenti cognitivi che prevengono la nostra onniscienza. A quel punto, diventeremo dei Buddha illuminati.

In breve, dallo stato di arya fino allo stato di Buddha ci familiarizziamo con la cognizione non-concettuale della vacuità, ancora e ancora, così che alla fine la possiamo avere tutto il tempo, non soltanto durante le sessioni di meditazione. Allo stesso tempo, accumuliamo ancora più forza positiva, dedicata alla nostra illuminazione, la quale fornirà una forza sempre più potente alla nostra cognizione non-concettuale della vacuità che ci permetterà di liberarci anche dai livelli più sottili degli oscuramenti. In altre parole, è un processo lungo e avviene in stadi successivi, gradualmente. Soltanto arrivare al primo momento della cognizione non-concettuale della vacuità non è abbastanza.

Dedica

Terminiamo ora con una dedica. Auguriamoci che qualsiasi comprensione abbiamo ottenuto, possa andare sempre più in profondità e fungere da causa per l’ottenimento dell’illuminazione da parte di tutti gli esseri, per il beneficio di tutti. Grazie mille.

http://www.berzinarchives.com/web/it/archives/sutra/level3_lojong_material/general/dealing_with_disturbing_emotions-attach/transcript.html