Malintesi comuni sul Buddhismo
Alexander Berzin, Berlino, Germania, Novembre 2010. Traduzione italiana a cura di Benedetta Lanza
Mi è stato chiesto di parlare di alcuni dei malintesi comuni sul Buddhismo. Essi sono di vario tipo e sorgono per molte ragioni differenti.
Alcuni sono specifici di una determinata cultura, sia occidentale che asiatica, o di altre culture influenzate dal nostro pensiero occidentale moderno. Ci sono malintesi che potrebbero provenire da altre aree culturali: il modo di pensare tradizionale cinese e così via. Possono esserci malintesi che sorgono in generale, dovuti alle emozioni disturbanti delle persone. Altri sono dovuti semplicemente al fatto che il materiale è difficile da capire. Malintesi possono nascere in seguito al fatto che l’insegnante non ha spiegato le cose in modo chiaro o non le ha spiegate affatto, così che noi attribuiamo ad esse ciò che pensiamo sia il loro significato. Potrebbe anche darsi che sia l’insegnante stesso a fraintendere gli insegnamenti. A volte accade. Perché non tutti gli insegnanti sono pienamente qualificati; molti vengono mandati ad insegnare o viene chiesto loro d’insegnare prima di esserlo diventati. Inoltre, anche se l’insegnante ha spiegato in modo chiaro, potrebbe darsi che non abbiamo ascoltato bene. Molte persone non ascoltano molto bene e non rimane loro impresso in modo corretto ciò che l’insegnante ha effettivamente detto. Oppure i loro appunti sono scarsi, non se li ricordano bene e così via.
Quindi ci sono molte, molte ragioni per i malintesi. Oggi mi sono seduto ed ho iniziato a fare una lista di alcuni di essi, e sono arrivato ad elencarne trenta. Parlo solo di quelli che mi sono venuti in mente mentre ero lì seduto al computer; a quel punto, mi sono fermato. Credo inoltre che questi differenti motivi di malinteso ci portino a fare molti errori e a cadere in confusione. E, come dicevo, non tutti i malintesi sono limitati a noi occidentali; ne troviamo molti anche tra i tibetani ed in altre tradizioni asiatiche.
Ho pensato quindi di limitarmi a parlare solo di alcuni argomenti generali, piuttosto che continuare ad allungare l’elenco, anche se in effetti potrebbe non essere possibile coprire tutto ciò che mi sono annotato. I campi su cui vorrei concentrarmi sono l’etica, il tema dei guru, quello della pratica, e l’argomento del tantra. Sono solo alcuni. Ovviamente ho lasciato da parte la vacuità e tutte queste altre cose che possono essere facilmente fraintese.
Quindi iniziamo. Dal momento che si tratta di parecchi argomenti, non li approfondirò tutti ma ne parlerò brevemente affinché ci riflettiate. Sono cose sulle quali possiamo fermarci a riflettere ulteriormente.
Malintesi sull’etica e i voti
Per quanto riguarda l’etica, ritengo che i malintesi sorgano a causa della traduzione, così come avviene in molti altri casi. Spesso attribuiamo concetti non buddhisti agli insegnamenti. E, ad esempio, usiamo una terminologia biblica, una terminologia connotata dalla nostra tradizione biblica. Parole quali virtuoso, non virtuoso, merito, peccato, questo tipo di parole attribuiscono agli insegnamenti di etica buddhista l’idea di giudizio morale e di colpa: il fatto che alcune cose sono virtuose, nel senso di buone ed appropriate, e che siamo brave persone se ci comportiamo in quel modo. Ed accumuliamo merito, come fosse una sorta di ricompensa. E che se agiamo in modo non virtuoso, non da santi, allora siamo cattivi ed accumuliamo peccati, a causa dei quali dobbiamo soffrire. Questa vuol dire chiaramente attribuire l’etica biblica all’etica buddhista, perché nel Buddhismo l’etica è fondamentalmente basata sullo sviluppo della consapevolezza discriminante tra ciò che è costruttivo, ciò che è distruttivo, ciò che è di beneficio o che è dannoso.
Poi è un malinteso considerare i voti come delle leggi. Da qui la credenza che l’etica buddhista sia basata sull’obbedienza alle leggi piuttosto che sulla consapevolezza discriminante. In alcune culture le persone prendono molto sul serio le leggi e si mostrano alquanto inflessibili; non vogliono infrangere la legge: “così è, e non si discute.” Al contrario i tibetani sono molto più rilassati per quanto riguarda le linee guida dell’etica. Questo non vuol dire che le trascurano, ma che in determinate situazioni bisogna usare la propria consapevolezza discriminante per applicare le linee guida. Perché ciò che qui stiamo cercando di distinguere è se stiamo agendo sotto l’influenza di un’emozione disturbante o se c’è una ragione costruttiva nel modo in cui ci comportiamo.
All’estremo opposto possiamo osservare i voti, qui sto parlando specificatamente dei voti, proprio come farebbe un avvocato. Cerchiamo delle scappatoie nella presentazione del karma per trovare delle scuse al comportamento distruttivo o per compromettere e sminuire un voto. Ad esempio potremmo prendere un voto per evitare il comportamento sessuale inappropriato e poi affermare che fare sesso orale va bene perché è un’espressione di amore. Quindi [creiamo] queste scuse perché per l’appunto questa forma di comportamento sessuale ci piace. Oppure, dopo aver preso un voto per non assumere più alcol, affermiamo che bere del vino a tavola con i nostri genitori per non offenderli va bene, oppure che va bene bere occasionalmente se non ci si ubriaca. Quindi ci inventiamo questo tipo di scuse per cercare di aggirare un voto. Il punto è che se si prende un voto, lo si prende integralmente. Non lo si prende in parte. Questo è il modo in cui viene precisato il voto. Se non riusciamo a mantenere tutti i dettagli dei voti o di un voto in particolare, come precisato nei testi, allora non prendetelo. Non c’è l’obbligo di prendere un voto.
C’è un’alternativa. Nell’abhidharma, quando si parla dei voti, vengono indicate tre categorie: c’è un voto in cui ci si impegna fondamentalmente ad astenersi da ciò che è distruttivo. Poi c’è qualcosa molto difficile da tradurre, letteralmente un anti-voto. E’ un voto nel quale non ci si astiene, ad esempio, dall’uccidere: se si entra nell’esercito si sparerà al nemico, o qualcosa del genere. E poi c’è qualcosa che è una via di mezzo. Potremmo qui applicare proprio questa categoria intermedia. In altre parole, potremmo astenerci solo da una parte di ciò che è indicato in un voto, ad esempio non fare sesso con il partner di qualcun altro; oppure non usare violenza durante i rapporti sessuali; stuprare qualcuno, obbligarlo a fare sesso. [Possiamo fare] qualcosa di questo genere, nel caso ci siano parti del voto che non pensiamo di poter mantenere. Fare una promessa del genere in effetti non corrisponde al voto così come precisato nel testo. Ma è molto più positivo, fa accumulare forza positiva (preferisco forza positiva a merito, e forza negativa a peccato). Quindi fa accumulare più forza positiva nel nostro continuum mentale rispetto al solo astenersi da quel tipo di comportamento. Quindi questo non compromette il voto e allo stesso tempo continua ad essere una forma molto forte di pratica etica.
Un altro sbaglio riguardante l’etica è credere erroneamente che l’etica buddhista sia umanistica. “Umanistica” vuol dire semplicemente evitare di fare cose che danneggiano gli altri. Fino a quando non danneggia qualcun altro, va bene. Quello che vogliamo evitare è danneggiare gli altri. Questa è l’etica umanistica o almeno quello che io credo sia l’etica umanistica. Ed anche se è molto bella, molto buona, non è la base dell’etica buddhista. La base dell’etica buddhista è l’enfasi sull’evitare ciò che è distruttivo per se stessi, perché non sappiamo quello che può danneggiare gli altri: si potrebbe regalare a qualcuno un milione di euro pensando di beneficiarlo. Ed il giorno dopo, a causa di quel danaro, questa persona viene derubata ed assassinata. Quindi non sappiamo ciò che è di beneficio agli altri. Non possiamo vedere il futuro. Quello che è precisato negli insegnamenti buddhisti è che se agiamo in modo distruttivo sulla base di emozioni disturbanti come collera, avidità, lussuria, gelosia, ingenuità, questo tipo di cose, questo sarà distruttivo nei confronti di noi stessi: crea un’abitudine negativa a ripetere queste azioni che ci porterà a provare sofferenza. Questa è la base dell’etica buddhista.
Malintesi sulla rinascita
Quest’idea che l’etica buddhista sia umanistica, consistente solo nel non danneggiare gli altri, spesso sembra provenire dall’importanza prematura data alla pratica Mahayana, ovvero pensare di poter saltare a piè pari gli stadi iniziali e intermedi del lam-rim. Gli stadi iniziali: evitare rinascite peggiori. Beh, non crediamo nemmeno nella rinascita. Il livello intermedio: evitare la rinascita e il samsara. Beh, non crediamo ancora nella rinascita, quindi la cosa non ci appare davvero importante; passiamo oltre. Siamo invece attratti dagli insegnamenti Mahayana perché, sotto molti aspetti, assomigliano molto ad alcuni [insegnamenti] della nostra tradizione occidentale sull’amore, la pazienza, la compassione e la generosità, sul praticare la carità e così via. Questo ci suona molto, molto bello, e ne siamo attratti, e trascuriamo o minimizziamo l’importanza di quegli scopi iniziali, quelli nei quali si lavora per superare le emozioni disturbanti, il comportamento distruttivo, ecc., perché è distruttivo per noi stessi, e invece andiamo avanti cercando di aiutare gli altri. Questo è un errore. Anche se è importante porre l’accento sul Mahayana, questo dev’essere fatto sulla base dello scopo iniziale ed intermedio.
Una delle ragioni principali per le quali molti di noi vorrebbero saltare gli insegnamenti di scopo iniziale, è che pensiamo che la rinascita non esista. Dopotutto l’enfasi qui è nei modi per evitare le rinascite inferiori; è per questo che prendiamo rifugio (intraprendiamo una direzione positiva nella nostra vita) e seguiamo le leggi del karma per evitare il comportamento distruttivo che ci porterebbe a rinascite inferiori. La ragione per cui vorremmo saltare tutto questo o sminuirlo, è che non crediamo alla rinascita. E soprattutto, di certo non crediamo ai reami infernali e ai reami degli spiriti afferranti (spiriti famelici) e agli dei e semi-dei. Pensiamo che non esistano veramente, e che le descrizioni che si trovano nei testi di Dharma si riferiscano a stati psicologici degli esseri umani. Questa è un’ingiustizia nei confronti degli insegnamenti ed è un grande fraintendimento.
Non voglio addentrarmi in dettagli qui, ma se pensiamo ad una mente, ad un continuum mentale che sia il nostro o quello di chiunque altro, questo può provare una gamma molto più ampia, in effetti l’intera gamma di felicità ed infelicità, piacere e sofferenza, e non soltanto la parte limitata di questa gamma che è definita dai parametri del nostro corpo e mente di esseri umani. Gli animali hanno maggiori capacità visive. Alcuni di loro sentono meglio. E così via. E allora perché i confini di ciò che possiamo provare in termini di felicità, infelicità, piacere e dolore non possono essere anch’essi estesi ed avere un’appropriata forma fisica come base?
Quindi anche se nella presentazione del karma si dice che ci possono essere delle ripercussioni [in una vita umana], dei residui di vite precedenti trascorse in quei reami, tanto da trovare elementi simili ad essi [in questa vita umana], questo non vuol dire che possiamo ridurre la discussione sulle forme di vita che noi e gli altri potremo assumere, semplicemente a stati psicologici umani. Dal momento che non accettiamo la rinascita e questi altri stati di esistenza, fraintendiamo il karma ritenendo che esso descriva solo le conseguenze delle nostre azioni in questa vita; questo è causa di molti problemi. E questo perché ci sono grandi criminali che sembrano farla franca, che non vengono mai catturati, mentre noi potremmo provare ogni genere di cose orribili nel corso della nostra vita senza aver compiuto alcuna azione eccezionalmente distruttiva. Quindi, se limitiamo la nostra discussione o la nostra visione soltanto a questa vita, il karma non sembra avere molto senso.
Malintesi sul Dharma
Tutto ciò mette in evidenza un problema molto più ampio, un grande malinteso relativo al Dharma e cioè pensare che nel Dharma, nel Buddhismo, si possa prendere il meglio, solo ciò che ci piace, e possiamo scartare o ignorare quello che abbiamo difficoltà ad accettare: il cosiddetto Buddhismo “depurato.” Lo disinfettiamo o ripuliamo da tutte le cose difficili.
Pensiamo a tutte quelle storie sul karma con elefanti che vanno sotto terra e defecano oro, e tutte quelle altre cose, “ma via! sono favole per bambini!” Non riusciamo a vedere che contengono degli insegnamenti. Sia che le prendiamo a livello letterale (come fanno alcuni tibetani) o meno, non è questo il punto. Il punto è non rifiutarle: fanno parte degli insegnamenti. Oppure l’idea nei sutra Mahayana che il Buddha insegna a centinaia di milioni di esseri, e che ci sono centinaia di milioni di Buddha presenti, e che in ciascun poro di un Buddha ce ne sono altri cento milioni, e così via. Quindi sentirsi imbarazzati e dire “questo è troppo strano,” e non accettarlo.
E pertanto scegliere il meglio, le parti che ci piacciono. Beh, ci sono certi voti tantrici e del bodhisattva che vanno proprio contro questa cosa: prendere solo parte degli insegnamenti ignorando il resto, prendere quello che ci piace. Se accettiamo il Buddhismo come nostro sentiero spirituale, come minimo dobbiamo restare abbastanza aperti da dire: “questo insegnamento non lo capisco,” anche se ci suona molto strano, e “per ora sospendo il mio giudizio, fino a quanto non otterrò una migliore comprensione, una migliore spiegazione, una spiegazione più profonda.” Non limitarci a chiudere la nostra mente e respingerlo.
Perfino se accettiamo la rinascita, un altro fraintendimento consiste nel pensare che ottenere nuovamente una preziosa rinascita umana sia facile. Spesso pensiamo: “sì, sì, credo alla rinascita. E naturalmente rinascerò come essere umano. E naturalmente continuerò ad avere tutte le opportunità per continuare a praticare,” e così via. Questo è molto ingenuo, molto, molto ingenuo. Soprattutto se pensiamo alla quantità di comportamenti distruttivi che abbiamo avuto, alla quantità di tempo che abbiamo passato sotto l’influenza di emozioni disturbanti: collera, avidità, egoismo, ecc., paragonata alla quantità di tempo in cui abbiamo agito per puro amore e compassione, risulta molto chiaro che sarà estremamente difficile ottenere di nuovo una preziosa rinascita umana.
Inoltre un altro errore che qui si evidenzia, un malinteso, è che a causa dell’attaccamento ai nostri amici ed alla famiglia, desideriamo ardentemente ottenere una preziosa rinascita umana per continuare a restare in contatto con loro. Oppure pensiamo semplicemente che se otterremo di nuovo una preziosa rinascita umana, incontreremo di nuovo tutti gli amici e parenti e le persone amate. Anche questo è un malinteso. Ci sono infinite forme di vita, esseri senzienti, e tutti noi rinasceremo in differenti situazioni. Quindi non c’è assolutamente alcuna garanzia; in realtà ci sono molte più possibilità che trascorra un tempo molto lungo prima di poter rincontrare qualcuno di questa vita. Può succedere. Non è una cosa impossibile. Ma è un malinteso pensare che sia facile o che sia certo.
Malintesi sul karma
Un’altra questione relativa al karma e alla rinascita è che anche se accettiamo il fatto che la sofferenza in questa vita è la maturazione di potenziale karmico negativo accumulato nelle vite passate, pensiamo che: “beh, se sto soffrendo, se mi succede qualcosa di brutto, me lo merito.” Oppure: “te lo meriti, se succede a te.” Qui il malinteso consiste nel pensare che vi sia un “io” solidamente esistente che ha infranto la legge, che è colpevole e cattivo, e che ora riceve la punizione che si merita.
Diamo quindi la colpa all’ “io,” a questo “io” solido che è così cattivo e che ora viene punito, perché stiamo semplificando eccessivamente le leggi del karma, causa ed effetto comportamentali. Non vediamo che ci sono molti fattori implicati nel provare la maturazione del karma, come tutte le circostanze nelle quali maturano i vari risultati karmici. Queste hanno delle cause. E’ un errore, è un malinteso pensare che io sono la causa della maturazione del karma delle altre persone. Ciò di cui facciamo esperienza sorge in dipendenza da tutti quei fattori, non soltanto da me.
Vi faccio un esempio. Veniamo investiti da una macchina. Ora, non è a causa di quello che ho fatto in una vita precedente che provoca l’altra persona ad investirmi. Pensiamo “sono io il responsabile del fatto che mi ha investito.” No. Ciò di cui siamo responsabili è l’esperienza di essere investiti. Il karma dell’altra persona è invece responsabile del fatto che questa ci abbia investito con la macchina. Così, in questo modo, quello che ci accade è il risultato dell’interazione di molti, molti differenti fattori karmici, di emozioni disturbanti e di fattori generali, come il tempo: stava piovendo, la strada era scivolosa ecc. Tutti questi fattori si mettono insieme e portano alla maturazione di, beh, diciamo non alla maturazione ma al verificarsi di una situazione nella quale proviamo sofferenza o problemi.
Quindi questi sono alcuni dei malintesi che possono presentarsi in termini di etica, karma e così via. Sono certo che ce ne sono molti, molti altri. Questi sono solo quelli che mi sono venuti in mente e a cui stavo pensando oggi.
Malintesi sui guru
Ora parliamo dei guru, credo che questo argomento sia una grande fonte di malintesi, non solo tra gli occidentali. Prima di tutto grazie all’importanza che viene data al guru, fraintendiamo il fatto che il guru deve essere qualificato, c’è bisogno di un guru qualificato, e vi è una lista in cui queste qualifiche sono elencate. Ed anche se il guru è qualificato, è necessario sentirsi ispirati da questa persona. Perché una delle ragioni principali dell’importanza del maestro spirituale è che il maestro è per noi fonte di ispirazione, di energia per praticare, è il modello che vogliamo seguire. Le informazioni possiamo trarle dai libri, da internet e così via. Naturalmente il maestro deve rispondere alle domande. Dev’essere in grado di correggerci quando facciamo errori nella nostra pratica meditativa. Ma se non c’ispira, non potremo andare molto lontano.
A causa di questo malinteso, del fatto che devono essere veramente qualificati e che devono ispirarci, abbiamo fretta di accettare qualcuno come nostro guru senza prima esaminare lui o lei pienamente e nel modo appropriato, e ciò a causa dell’enfasi posta sul fatto che “devi avere un guru; devi avere un guru.” Così rischiamo di trovarci delusi quando più tardi vedremo in maniera obiettiva che lui o lei hanno dei difetti. Non avevamo esaminato nel modo appropriato. Questo è un grosso problema, perché molti sono gli scandali nati intorno a maestri spirituali che sono stati accusati a torto o a ragione di comportamento improprio. E a volte le accuse sono giuste: non erano veramente qualificati. E potremmo esserci sentiti pressati da questa enfasi sul guru ad accettare questa persona come il nostro guru. Poi vediamo accadere quelle cose e ne siamo devastati.
A sostegno di questo, c’è un malinteso riguardante la convinzione che tutti i tibetani, o in maniera più limitata tutti i monaci e monache; o, in modo ancora più limitato, tutti i Rinpoche, i Ghesce e i Kenpo, siano esempi perfetti della pratica buddhista. Questo è un malinteso molto comune. Pensiamo “ah, devono essere dei buddhisti perfetti, sono tibetani,” o “buddhisti perfetti, indossano l’abito monacale.” “Buddhisti perfetti, hanno il titolo di Rinpoche. Devono essere degli esseri illuminati.” Questo è molto ingenuo. Sono delle persone normali.
Probabilmente tra i tibetani c’è una proporzione più ampia di praticanti buddhisti rispetto alla maggior parte delle altre società; ci possono essere determinati valori buddhisti che fanno parte della loro cultura; ma questo non vuol dire che sono tutti perfetti, è una cosa certa. E se uno si fa monaco o monaca le ragioni possono essere molte. Tra i tibetani, può darsi che la famiglia lo abbia messo in monastero da bambino perché non aveva di che nutrirlo, mentre lì avrebbe ricevuto cibo e istruzione. Oppure la ragione potrebbe essere una motivazione più personale, magari si hanno dei problemi e c’è bisogno della disciplina della vita monastica per superarli.
Come disse uno dei miei amici Rinpoche, “il fatto che indosso la veste monastica è segno che ho veramente bisogno di questa disciplina perché sono una persona davvero indisciplinata, ho molte emozioni disturbanti e mi sto impegnando con tutti i miei sforzi per superarle.” Questo non vuol dire averle già superate. Quindi non dovremmo pensare ingenuamente che sono tutti illuminati, specialmente per quanto riguarda i Rinpoche e così via. Come dice sempre Sua Santità il Dalai Lama: affidarsi solo al nome di un predecessore famoso è un grande errore. [Egli sottolinea il fatto che] quei Rinpoche in questa vita devono dimostrare e provare le loro qualità, non soltanto affidarsi alla reputazione del loro nome.
Dall’altro lato è un malinteso non rispettare e sostenere i monaci e le monache e ridurli a servi dei frequentatori laici dei centri di Dharma. Questo accade spesso, ci sono centri di Dharma dove c’è un monaco o monaca residente che deve pulire la casa, riordinare ed organizzare tutto per gli insegnamenti e raccogliere le quote. E se si tratta di un centro residenziale, devono occuparsi della biancheria e di cose di questo genere. E non possono neppure partecipare agli insegnamenti. E i laici pensano che questi siano i nostri servitori. Invece è tutto il contrario. Quali monaci o monache, hanno tutto il diritto di essere rispettati a prescindere dal livello della loro etica. E questo è parte degli insegnamenti: bisogna rispettare perfino l’abito monastico. Ciò non vuol dire pensare ingenuamente che siano perfetti. Ma bisogna mostrare un certo rispetto.
Vi è poi un grosso malinteso circa la devozione al guru, così come viene chiamata. Penso che questa non sia una traduzione molto utile, perché sembra implicare quasi una venerazione cieca, come in un culto. Questo è un grande fraintendimento. La parola che viene usata per riferirsi alla relazione con il maestro spirituale vuol dire affidarsi e riporre fiducia nel maestro spirituale così come faremmo affidamento ed avremmo fiducia in un medico qualificato. Lo stesso termine viene usato per la relazione con il proprio medico. Ma a causa dell’istruzione secondo cui il guru viene visto come un Buddha, pensiamo erroneamente che il maestro sia infallibile e che quindi la nostra obbedienza nei suoi confronti debba essere assoluta, come in un culto. Questo è un errore. E in seguito a ciò, rinunciamo a tutte le nostre capacità critiche e alla responsabilità verso noi stessi, diventando dipendenti e chiedendo spesso che ci vengano fatti dei mo (mo, divinazione con i dadi); i dadi vengono lanciati e prenderanno tutte le decisioni che ci riguardano al posto nostro.
Aspiriamo a diventare un Buddha sviluppando la consapevolezza discriminante per essere in grado di prendere noi stessi decisioni intelligenti e compassionevoli. Quindi se un insegnante ha il solo scopo di renderci dipendenti da lui o lei, come in un delirio di onnipotenza, ci dev’essere qualcosa di sbagliato. Ed è un errore pensare che ciò vada bene e andare avanti così, sostenere questo tipo di gioco e di sindrome da controllo e potere con un insegnante che non sta davvero seguendo le linee di condotta in modo appropriato.
Malinteso vuole anche dire attribuire a un maestro buddhista il ruolo di pastore o di psicologo con il quale trattare i nostri problemi personali e a cui chiedere consiglio. Non è questo il ruolo di un maestro spirituale buddhista. Un maestro spirituale buddhista tradizionalmente offre insegnamenti, poi sta a noi capire come applicarli. In realtà l’unica cosa appropriata consiste nel fare domande sulla comprensione degli insegnamenti e sulla nostra pratica meditativa. Se si hanno problemi psicologici bisogna andare da uno psicoterapeuta, non dal maestro spirituale. Soprattutto, la cosa più fuori luogo da fare è parlare di problemi coniugali o problemi di coppia o di problemi sessuali con un monaco o una monaca. Sono celibi. Non si occupano di queste cose. Non sono le persone a cui rivolgersi per questo tipo di problemi. Ma venendo da una tradizione nelle nostre chiese di pastori, preti, rabbini o altro, ci aspettiamo che assumano questa funzione generale di guidarci nelle cose della vita, occupandosi di noi a livello personale, della nostra vita personale e così via.
Vi faccio un esempio. Ho trascorso nove anni con il mio maestro spirituale Serkong Rinpoche, una relazione molto stretta; eravamo insieme tutto il giorno, per la maggior parte del tempo. Nel corso di questi nove anni non mi ha mai fatto una domanda personale. Mai. Sulla mia vita personale. Sulla mia famiglia. Sulle mie origini. Niente. Durante tutto il giorno o mi dava insegnamenti, o lavoravo insieme a lui per beneficiare gli altri, o traducevo per lui, o organizzavo i suoi viaggi, o qualunque altra cosa. E’ un tipo di relazione molto diversa, non facile da capire per noi.
Il tema della relazione con il maestro ci porta all’argomento del rifugio, che a me piace chiamare “direzione sicura.” Vuol dire intraprendere una direzione nella nostra vita, quella indicata da Buddha, Dharma e Sangha. Rendere insignificante il rifugio considerandolo come l’adesione ad un club, è un malinteso. Sapete, ci si taglia un ciuffetto di capelli, si indossa un cordino rosso, si prende un nuovo nome ed eccoci membri del club. Soprattutto quando, a causa dello specifico lignaggio tibetano del maestro, consideriamo questo club al quale ci siamo uniti come uno specifico lignaggio del Buddhismo tibetano, piuttosto che del Buddhismo in generale: “ora sono diventato un Ghelugpa.” “Ora sono diventato un Karma Kagyu.” “Ora sono diventato un Nyingma.” “Ora sono diventato un Sakya.” Piuttosto che: “ora sto seguendo il sentiero del Buddha.” A causa di questo malinteso, diventiamo settari, esclusivisti, ed evitiamo di frequentare un centro di Dharma differente dal nostro. E’ davvero interessante. In occidente si può osservare questo fenomeno: la maggior parte delle persone frequentano un solo centro di Dharma e non vanno mai in nessun altro.
E la cosa che disorienta di più è che ogni maestro che arriva sembra voler fondare un proprio centro di Dharma e la propria organizzazione, il che a me appare come un grande errore perché è un qualcosa che diventerà insostenibile. Non si possono sostenere quattrocento differenti tipi di Buddhismo in modo indefinito in futuro, è una cosa che causa molta confusione ai nuovi studenti. Ed è anche un notevole salasso finanziario ed una grossa spesa mantenere tutti questi posti con i loro altari, biblioteche, affitti e così via. In Tibet, anche se arrivarono molti maestri e furono fondati molti monasteri, in seguito si misero insieme formando gruppi distinti. Non gli stessi gruppi che c’erano in India, in India non c’erano i Kagyu o i Sakya, ma gruppi che diventarono sostenibili, che misero insieme vari lignaggi. Quindi anche se in occidente ci sono delle grandi organizzazioni di Dharma, per esempio ciò che è stato fondato da Trungpa Rinpoche, Sogyal Rinpoche, e da Lama Yeshe, Lama Zopa ecc., in un certo senso dobbiamo andare di più in quella direzione… Beh, è difficile perché qui ci si trova davanti a due estremi. Uno è: se è troppo frammentato, non funziona. Dall’altro lato se è troppo regolamentato non funziona lo stesso. Quindi credo che bisogna stare molto cauti qui; ma l’argomento della sostenibilità è molto importante.
Per quanto riguarda il fatto che non si frequentano altri centri di Dharma, anche qui credo ci sia un malinteso quando si pensa di non dover studiare con altri maestri, perfino se fanno parte del lignaggio del nostro maestro. La maggior parte dei tibetani hanno diversi maestri, non uno soltanto. Atisha ne aveva 155, è documentato. Maestri differenti sono specializzati in cose differenti. Uno è bravo a spiegare una cosa, uno un’altra. Uno ha questo lignaggio, uno quest’altro. Avere molti maestri non vuol dire essere sleale verso il proprio maestro. Come dice Sua Santità il Dalai Lama: possiamo guardare ai nostri maestri come ad Avalokiteshvara a undici teste, ogni maestro è una faccia differente, tutte nei termini di una figura centrale che è la nostra guida spirituale. Qualcosa del genere.
Un’altra cosa importante è non prendere maestri che siano in conflitto tra loro. Questo non funziona. Bisogna che troviate maestri che hanno uno stretto ed armonioso legame tra loro, quello che in tibetano è chiamato dam-tshig. Perché sfortunatamente tra vari maestri spirituali esistono quelle che a volte chiamiamo “guerre stellari spirituali” in cui c’è un violento dissenso riguardo a determinati argomenti, sia che si tratti dei protettori, o di chi è il vero Karmapa, o altro. Questo tipo di cose. Quindi se si intende avere più di un maestro, bisogna scegliere maestri che siano in armonia tra loro. E quello che è essenziale capire è che ascoltare una lezione di un maestro buddhista non fa automaticamente di questa persona il nostro maestro spirituale con tutte le implicazioni della devozione al guru, anche se bisogna mostrargli rispetto. Come dice Sua Santità, “si può partecipare agli insegnamenti di chiunque come si fa con un insegnamento universitario.” Non comporta nulla al di là di questo. Va bene.
Malintesi sulla pratica
Per quanto riguarda la pratica, è un malinteso pensare che la tradizione Ghelug sia puramente un lignaggio di studio e che i Kagyu e i Nyingma siano puramente lignaggi di pratica e che quindi se si segue uno di essi l’altro aspetto vada trascurato, trascurando il nostro studio o la nostra meditazione. Quando i maestri danno importanza a uno o all’altro, allo studio o alla meditazione, questo non vuol dire che dobbiamo applicarci solo ad un aspetto ed ignorare l’altro. E’ abbastanza chiaro che abbiamo bisogno di entrambi.
Recentemente Sua Santità, durante un incontro con un gruppo di occidentali che hanno studiato alla biblioteca di Dharamsala negli anni ’70 e ’80, ha fatto un ottimo esempio. Ha detto che il tantra, il mahamudra e lo dzogchen, questo tipo di pratiche, sono come le dita di una mano. Il palmo della mano è la base, gli insegnamenti della tradizione indiana del Monastero di Nalanda, gli insegnamenti sui sutra dei maestri indiani di Nalanda. L’errore consiste nel dare troppa importanza alle dita; a volte lo fanno anche i maestri, danno troppa importanza alle dita, allo studio e alla pratica delle sole dita, e si dimenticano della mano. Le dita sono un prolungamento della mano e di per sé non hanno una funzionalità. Questa è l’immagine, l’analogia usata da Sua Santità; credo sia un consiglio molto utile. E’ un errore pensare “beh, devo fare questa pratica dzogchen; mi siedo in modo naturale e così via.” Vuol dire semplificare eccessivamente questo tipo di insegnamenti senza avere le basi.
In maniera simile, è un malinteso pensare di essere come Milarepa e che tutti (nello specifico noi stessi) devono andare in ritiro per il resto della vita, o fare almeno un ritiro di tre anni. Solo poche persone sono adatte ad una vita totalmente dedita alla meditazione; la maggior parte ha bisogno di fare una vita impegnata nel benessere sociale. Questo consiglio viene direttamente da Sua Santità il Dalai Lama. E’ davvero molto raro che qualcuno sia adatto a ritirarsi in meditazione per tutta la vita. O che qualcuno possa sul serio trarre beneficio da un ritiro di tre anni senza trascorrerlo semplicemente seduto a recitare mantra, senza davvero lavorare su se stesso ad un livello più profondo.
E’ naturale che per ottenere la liberazione o l’illuminazione sia necessaria un’intensa pratica di Dharma a tempo pieno, ed è un errore pensare di poterle ottenere senza di essa. Pensiamo: “beh, posso praticare solo nel mio tempo libero e diventerò liberato o illuminato.” Anche questo è un malinteso. Ma è un errore anche non essere obiettivi con noi stessi riguardo alla nostra capacità di praticare in modo così intenso adesso. Perché quello che accade è che se chiediamo troppo a noi stessi senza essere in grado di svolgere questo tipo di pratica, diventeremo molto frustrati, ci verrà quello che i tibetani chiamano lung (rlung), energia nervosa frustrata, che ci mette sotto sopra psicologicamente, emotivamente e fisicamente.
Questo ha anche un po’ a che fare con il non credere alla rinascita, perché se non si crede alla rinascita non si prenderanno sul serio gli obiettivi a lungo termine di molti, molti eoni di pratica. C’è un insegnamento che dice che è possibile ottenere l’illuminazione in questa vita, ma questa non dovrebbe essere una scusa per pensare: “beh, abbiamo solo questa vita, perché la rinascita non esiste,” e quindi spingersi al di là di ciò che al momento siamo in grado di fare.
Dall’altro lato è un errore dare poca importanza alla pratica meditativa quotidiana. Se vogliamo sostenere la nostra pratica di Dharma, è molto importante avere una routine quotidiana di meditazione. Ci sono moltissimi benefici in termini di disciplina; in termini di responsabilità; in termini di aggiungere stabilità alla nostra vita, affidabilità: è una cosa che faremo tutti i giorni, qualsiasi cosa accada. E se vogliamo sul serio cercare di instaurare un maggior numero di abitudini benefiche, dobbiamo praticare: questo è lo scopo della meditazione.
“Praticare” vuol dire: trovarsi in un ambiente protetto, addestrarsi ad essere pazienti, e così via, immaginando varie situazioni, analizzando quali sono le cause dei nostri problemi: “cosa c’è in questa o quella situazione che mi turba? Perché quando mi ammalo divento irascibile? E’ perché…” Si approfondisce sempre di più e si vede che “sono concentrato su me stesso. Sto soffrendo. Povero me.” Anche se non pensiamo in maniera conscia “povero me” mentre siamo ammalati, la nostra attenzione è comunque su quel “me” e lo rendiamo un “me” estremamente forte. E poi, siccome non ci piace ciò che stiamo provando, ci facciamo prendere dal nervosismo e lo attribuiamo ad altre persone. Quindi questo è ciò che si fa con la meditazione, si analizza ciò che accade ogni giorno. Una pratica quotidiana nella quale analizziamo queste cose, nella quale lavoriamo in maniera regolare a favore di una qualche abitudine che è di beneficio. E’ un grande malinteso pensare di poterne fare a meno.
Inoltre è un malinteso pensare che pratica, la pratica buddhista, voglia dire semplicemente eseguire un rituale e non lavorare su noi stessi in primo luogo. Molte persone lo pensano. “Beh, io faccio questa o quest’altra sadhana,” e si recita qualcosa in tibetano, una lingua che neppure si capisce, e pensiamo che quella sia la pratica. Dzongsar Khyentse Rinpoche, che è stato qui qualche mese fa, ha fatto un bellissimo esempio. Ha detto che se i tibetani dovessero recitare quotidianamente preghiere e varie pratiche in tedesco scritto con la fonetica tibetana, senza avere la minima idea di cosa stanno dicendo, secondo lui sarebbero in pochissimi a farlo. Eppure noi come occidentali lo facciamo e consideriamo questa pratica sufficiente. In realtà praticare vuol dire lavorare su noi stessi. Lavorare per cambiare i nostri atteggiamenti. Lavorare sulle nostre emozioni disturbanti. Analizzare. Capire. Creare maggiori abitudini di amore, compassione, comprensione corretta e così via.
Un altro fraintendimento per quanto riguarda la pratica è pensare che per praticare il Dharma in modo appropriato sia necessario seguire gli usi tibetani o qualche altra forma di usi asiatici, avere un elaborato altare in stile tibetano, una camera-santuario, o anche un centro di Dharma. Naturalmente molti tibetani amano allestire i centri di Dharma come un gompa tibetano, un tempio tibetano, con i colori alle pareti, i dipinti e con tutto ciò che potete vedere in questa stanza. Ma pensare che questo sia necessario… E, come direbbe un tibetano, se agli occidentali piace, perché no? Non fa male a nessuno… Ma pensare che sia assolutamente necessario è un grande errore. Soprattutto quando richiede una spesa molto ingente, quando i soldi potrebbero essere spesi in altri modi con maggiore beneficio. Quindi sia che si tratti di un centro di Dharma, sia che si tratti di casa vostra, non c’è bisogno di qualcosa di elaborato, in stile tibetano, per poter praticare il Buddhismo tibetano.
Anche se la cosa più importante nel Dharma è eliminare per sempre le cause della sofferenza, cioè la nostra ignoranza, la nostra inconsapevolezza della realtà, le nostre emozioni disturbanti, questo tipo di cose, il malinteso consiste nel pensare che il superamento delle emozioni disturbanti avverrà rapidamente, dimenticandoci che le avremo ancora, in grado sempre minore, fino a quando non diventeremo un arhat. Solo quando diventeremo un arhat, un essere liberato, saremo completamente liberi dalla rabbia, dall’attaccamento e così via. Se ce lo dimentichiamo, ci scoraggeremo quando dopo anni di pratica continueremo ad arrabbiarci. Accade molto, molto spesso.
E’ un errore non avere pazienza con noi stessi. Dobbiamo capire che la pratica del Dharma va su e giù, proprio come il samsara; va su e giù. E, a lungo termine, possiamo sperare in un miglioramento. Non sarà una cosa così facile. E’ un errore non avere pazienza con noi stessi quando abbiamo periodi negativi. Ma dall’altro lato dobbiamo evitare l’estremo per il quale siamo troppo permissivi nei confronti delle nostre abitudini negative e siamo negligenti o pigri nel lavoro su noi stessi. Qui ci vuole una via di mezzo: non fustigarsi quando ancora una volta ci arrabbiamo, ma neppure dire soltanto “beh, mi sento arrabbiato” o “sono di cattivo umore” senza cercare di applicare qualche metodo del Dharma per superarlo.
E’ molto interessante osservare ciò a cui ci rivolgiamo quando siamo di cattivo umore, ciò che andiamo a cercare per trovare sollievo. Ci rivolgiamo alla meditazione? Al rifugio? O alla cioccolata, al sesso, alla televisione, oppure alle chiacchiere con gli amici? A cosa mi rivolgo? Credo che la nostra reazione a quando siamo di cattivo umore dica molto sulla nostra pratica di Dharma.
E’ un malinteso, uno di quelli particolarmente ardui, pensare di poter ottenere la liberazione o l’illuminazione senza vincere sulla biologia, nello specifico sul sesso. Nonostante il fatto che nel tantra è possibile, a livelli avanzati, usare il desiderio e l’energia sessuale per liberarsi del desiderio e dell’energia sessuale, questo avviene solo quando ci si trova a stadi molto avanzati e si ha il controllo sul nostro sistema di energia sottile. E’ un grave errore pensare che il tantra sia un metodo per fare sesso esotico. Stiamo aspirando ad ottenere la liberazione. Liberazione vuol dire liberazione proprio da questo, da questo tipo di corpo fisico con tutte le sue pulsioni biologiche, ed ottenimento del corpo di un essere liberato o illuminato, fatto di luce e così via, e non soggetto a queste limitazioni. Quindi, spesso vogliamo ottenere la liberazione e l’illuminazione con poco sforzo, senza dover abbandonare questo tipo di piacere fisico. Questo è un errore.
Malintesi sul tantra
Eccoci quindi giunti al tantra: sono moltissimi i malintesi su questo argomento. Spesso questi malintesi sono dovuti al marketing. Il tantra e lo dzogchen vengono abilmente venduti come sentiero facile, sentiero veloce, questo genere di cose; il sentiero migliore e così via. E per via di questo marketing (fatto da maestri tibetani o vari praticanti occidentali o tibetani), per qualsiasi ragione per cui li possano presentare in questo modo, il fatto che, ad esempio, il tantra o lo dzogchen vengano offerti come sentieri facili è un malinteso.
Come mai questi aspetti, il fatto che siano semplici e veloci, ci attraggono? Come ha fatto notare uno dei miei maestri, la causa potrebbe risiedere sia nel fatto che siamo pigri e quindi cerchiamo qualcosa che sia facile e veloce (non abbiamo voglia di impegnarci troppo) oppure nel fatto che cerchiamo di fare un affare. Così come quando andiamo a fare shopping cerchiamo le occasioni, così vogliamo ottenere l’illuminazione a poco prezzo. Spesso abbiamo questo tipo di mentalità nei confronti dei vari metodi di Dharma. Dov’è l’affare? Cosa c’è in saldo questa settimana? Questo tipo di cose. La pratica del tantra e dello dzogchen, pratiche di questo tipo, richiedono un’ enorme mole di lavoro. Sono tremendamente difficili. Molto, molto sottili. E tutte necessitano di pratiche preliminari che non sono facili, quelle centinaia di migliaia di prostrazioni e così via.
Inoltre è un malinteso pensare che se accettiamo la necessità di fare anche queste pratiche preliminari come le prostrazioni, da esse deriveranno miracoli. Pure quest’idea può nascere da una mentalità commerciale, oppure possiamo essere noi stessi a sovrastimare il potere di questi preliminari. “Sono così disperato. Dimmi solo cosa devo fare. Va bene, mi getterò al suolo per centomila volte, reciterò per centomila volte delle sillabe in un’altra lingua e tutti i miei problemi scompariranno.” Questo è un malinteso. Ma a causa della disperazione lo facciamo, lo facciamo e lo facciamo ancora in attesa che alla fine si manifesti qualche miracolo. E questo non accade. Così restiamo completamente delusi dalla pratica del Dharma.
Naturalmente, le pratiche di purificazione possono essere efficaci, ma non quando per il 99% del tempo la nostra mente è distratta e non si concentra su ciò che si sta facendo. Oppure quando non si ha una motivazione forte e appropriata. Affinché queste pratiche risultino efficaci (ed anche quando sono efficaci non fanno miracoli), bisogna eseguirle nel modo appropriato, con completa concentrazione e con una motivazione piena e adeguata. Non è facile, vero? Oppure pensare che dopo che abbiamo svolto questo compito per centomila volte “ho pagato quanto dovevo e ora passiamo alla parte buona.” Anche in questo caso è quasi come provare risentimento per via delle pratiche preliminari. E voglio solo finirle. E senza riuscire a vedere il valore che hanno in sé per poter accumulare forza positiva. Come ancora ed ancora, intraprendere una direzione positiva nella vita, il rifugio, riaffermare Buddha, Dharma e Sangha. Questa è la direzione nella quale sto andando. Ancora e ancora, generare bodhicitta. Questo tipo di preliminari sono di grande aiuto.
Anche per quanto riguarda i preliminari ngondro, è un errore svolgerli prima di avere almeno una comprensione di base del Buddhismo, pensando che siano semplicemente un modo per purificare i nostri peccati. Si va da un maestro, e questo accade spesso in occidente, si va da un maestro e immediatamente, prima di qualsiasi insegnamento, prima di qualsiasi comprensione: “fai centomila prostrazioni!” E le persone le fanno, il che è piuttosto sorprendente. Quindi ci si chiede: “perché lo fanno?” E in genere è per disperazione, perché pensano che possa derivarne qualche miracolo. Oppure pensano di praticare una specie di culto ed obbediscono al maestro, come nell’esercito. E’ sbagliato pensare che la relazione con il maestro sia come quella con un ufficiale dell’esercito: si obbedisce senza discutere. E’ molto importante non perdere mai la facoltà critica. Sua Santità pone l’accento su questo. Siate critici. Questo non vuol dire criticare, anche se la parola in inglese suona allo stesso modo. “Critico” vuol dire esaminare ciò che sta accadendo. “Criticare” vuol dire pensare “io sono molto meglio e tu sei terribile,” guardandolo dall’alto in basso con un atteggiamento molto negativo. Quindi è importante avvicinarsi a queste pratiche ngondro quando ne abbiamo le basi, quando capiamo ciò che stiamo facendo.
E questo è indicativo di un malinteso ancora maggiore che consiste nell’impegnarsi in pratiche tantriche prematuramente, anche se si inizia con quelle ngondro. Ad esempio nelle tradizioni in cui viene posta grande importanza sulle pratiche ngondro, c’è un ngondro comune o condiviso, cioè i quattro pensieri che fanno rivolgere la nostra mente al Dharma: questi fondamentalmente coprono il materiale del lam-rim (il materiale del sentiero graduale); e poi uno non comune, speciale, non condiviso che consiste nelle prostrazioni e così via. Quindi saltare a piè pari, o sminuire, o minimizzare questi preliminari condivisi (gli insegnamenti di base del lam-rim) per arrivare direttamente a fare le prostrazioni e così via, porta spesso ad un atteggiamento molto irrealistico nei confronti delle prostrazioni, dei [mantra di] Vajrasattva e può creare problemi. Dopo un po’ ci si inizia a chiedere: “per quale ragione al mondo lo sto facendo? Qual è il punto?” Mentre se abbiamo una chiara comprensione, almeno a un certo livello, dell’importanza di accumulare forza positiva e di eliminare il potenziale negativo (o almeno di ridurlo al minimo), perché desideriamo raggiungere questo o quest’altro tipo di obiettivo spirituale, ecco che i preliminari assumono un senso.
Quindi come dicevo, il problema qui non sta solo nell’impegnarsi prematuramente nelle pratiche ngondro, ma piuttosto nell’impegnarsi prematuramente nel tantra. E questo accade molto spesso, in quanto potremmo richiedere la visita di un lama affinché offra delle iniziazioni, anche se il nostro gruppo non è ancora in grado di praticarle. Oppure i lama stessi offrono iniziazioni nel corso della loro visita, anche quando il pubblico per la maggior parte è impreparato. Quindi non siamo completamente responsabili di questo malinteso, che pone così tanta importanza nel tantra e al fatto che venga presentato e praticato prematuramente dalla maggioranza delle persone.
Perché domandiamo che ci venga data un’iniziazione? Le ragioni possono essere tante. Pensiamo sia una cosa molto elevata. E’ il nocciolo di tutto. E’ esotico. Farà accorrere un maggior numero di persone il che vuol dire che raccoglieremo più soldi e saremo in grado di pagare il maestro in visita e anche di sostenere il nostro centro. Quindi la ragione potrebbe essere di tipo finanziario: questa è la più inopportuna che si possa verificare. Gli insegnanti stessi potrebbero essere motivati dal pensiero che “va bene non praticheranno, ma verranno piantati semi per le vite future.” Beh, la maggior parte degli occidentali non crede nelle vite future. Quindi questo è un malinteso. Oppure i maestri stessi non capiscono veramente che gli occidentali non hanno l’esperienza per poter praticare il tantra efficacemente. Oppure, come si diceva, potrebbero essere sotto pressione perché devono raccogliere fondi da portare a casa per il monastero e per i monaci. Ci possono essere molte ragioni. Ma il consiglio che viene sempre dato è, se c’è un maestro in visita, di chiedergli insegnamenti di base. E se desideriamo ricevere insegnamenti più avanzati, di chiedere insegnamenti avanzati sui sutra, sapete: insegnamenti avanzati sulla bodhicitta, sulla vacuità e così via.
E quando ci impegniamo nel tantra e vogliamo ricevere istruzioni su come praticare, anche qui è un fraintendimento pensare che l’enfasi principale della pratica stia nella visualizzazione e quindi preoccuparsi esageratamente per cogliere correttamente tutti quei piccoli dettagli. Il mio maestro Serkong Rinpoche faceva ricorso a un esempio che si prendeva gioco dei fraintendimenti degli occidentali. Diceva: “le persone vengono da me e mi chiedono se Yamantaka o Vajrayoghini hanno l’ombelico. Questo è ridicolo. Questo vuol dire perdere l’essenza, quelli che sono i punti importanti in queste pratiche.”
Certamente, quando si vuole sviluppare la concentrazione univoca e così via, c’è bisogno di tutti i dettagli, ma non è questo ciò su cui ci si focalizza o a cui si dà importanza all’inizio. Quello che si vuole ottenere è una comprensione di base dei tre aspetti principali del sentiero, Tsongkhapa lo dice molto chiaramente.
· La rinuncia. Rinunciare alle apparenze ordinarie, all’aggrapparsi alle cose in termini di vera esistenza e così via. Richiede un’enorme determinazione (rinuncia) a liberarsi di questo.
· Bodhicitta. Aspiriamo ad ottenere l’illuminazione. Queste forme di Buddha, questi yidam rappresentano la futura illuminazione che vogliamo raggiungere, quindi immaginiamo di essere già lì ora. Senza bodhicitta, perché dovremmo immaginarci in questa forma e compiere tutte le attività per beneficiare gli altri? Quindi, ovviamente, vogliamo essere in quel modo per poter beneficiare gli altri.
· E poi la completa comprensione della vacuità: sappiamo di non esistere in quel modo allo stato attuale ma di averne i potenziali. Bisogna considerare la causa ed effetto, il suo sorgere dipendente e così via. Non sono Tara o tantomeno Cleopatra, peraltro.
Quindi se vi apprestate a ricevere insegnamenti sul tantra, accertatevi che essi siano a questo livello. Queste sono le cose a cui dare importanza. Qual è il punto? Cosa stiamo cercando di fare? Ecco perché c’è bisogno della preparazione preliminare. Non preoccupatevi della visualizzazione dei dettagli infinitesimali. Il modo in cui appare un gioiello e cose del genere. Anche se ci sono istruzioni a questo riguardo, non è su di esse che dovete puntare la vostra attenzione, in particolare non all’inizio.
E’ interessante: all’iniziazione di Kalachakra nel 2004 a Toronto, in Canada, Sua Santità dette un insegnamento preliminare su un testo di Nagarjuna sulla vacuità, non ricordo quale. Questo durò circa tre giorni. E successivamente dette l’iniziazione. La cosa che risultò evidente fu che per l’iniziazione c’era un numero di persone molto maggiore che per gli insegnamenti sulla vacuità. Sua Santità disse di apprezzare molto le persone che erano venute solo per gli insegnamenti di Nagarjuna ma che non erano rimaste per l’iniziazione, piuttosto che coloro che avevano fatto il contrario, che avevano saltato gli insegnamenti iniziali, gli insegnamenti di base, ed erano venuti solo all’iniziazione. Questo ci dice molte, molte cose.
Per quanto riguarda le pratiche tantriche, è un malinteso guardare agli yidam come a dei santi a cui preghiamo affinché ci aiutino, Santa Tara, Santo Cenrezig e così via. Questo fraintendimento, questa specie di adorazione, non è limitata agli occidentali. Possono ispirarci, come possono ispirarci i Buddha e i guru del lignaggio, ma il lavoro dobbiamo farlo noi.
Vedete, alcuni dei malintesi derivano da un problema di traduzione nelle preghiere di richiesta, quando si fanno le richieste ai vari guru e yidam. Per prima cosa, la parola preghiera per noi porta con sé la connotazione del pregare Dio e del fatto che “Dio esaudisce qualcosa.” Oppure quando si pregano i santi, questi diventano un intermediario tra me e Dio, il quale esaudirà qualcosa. Già qui ci troviamo ad essere un po’ sviati dalle nostre attribuzioni. Ma quando facciamo le richieste, la parola tibetana chingylab (byin-gyis rlabs) è di solito tradotta con benedizione. Questo determina una connotazione completamente differente e fuorviante. Chiediamo: “benedicimi affinché io possa fare questo. Benedicimi affinché io possa fare quest’altro,” come se tutto ciò di cui abbiamo bisogno fosse il potere di queste figure che vengono a benedirci e poi, tutto ad un tratto, otteniamo le nostre realizzazioni.
Questo non è Buddhismo. Il termine letteralmente vuol dire elevare e illuminare. Questo è il significato. Adhisthana in sanscrito. Adhisthana: porci in una posizione più elevata, elevarci. La connotazione è quella di rendere più luminoso. Io pertanto preferisco tradurlo con ispirare. Quindi chiediamo loro di ispirarci per riuscire ad ottenere questo, questo e quest’altro. Ma queste figure (che siano guru o Buddha o yidam) non possono da parte loro, per loro potere, esaudire i nostri desideri, fare tutto per noi, e tutto quello che dobbiamo fare è sottometterci a loro. Di nuovo, qui si tratta di interpolazione; di attribuire un’idea o un concetto occidentale al Buddhismo. La cosa più importante è che il lavoro dobbiamo farlo noi stessi. Ci sono i Buddha e i guru che possono ispirarci, insegnarci, guidarci, ma non possono fare il lavoro al posto nostro. Dobbiamo capire noi stessi.
Malintesi sui protettori
In modo simile, è un malinteso porre l’accento in modo eccessivo sulla pratica del protettore. Questo accade spesso. In alcuni centri di Dharma, ad esempio, ogni settimana fanno una pratica del protettore. Oppure ogni giorno. E perfino i nuovi arrivati partecipano alla pratica del protettore senza avere la benché minima idea di ciò che stanno facendo. Guardano al protettore considerandolo come se fosse colui che ci protegge (così come il termine proteggere suggerisce) da tutti i nostri ostacoli e pericoli e così via, dimenticando che siamo noi stessi che dobbiamo proteggerci nel senso che… Dove sono andati a finire il karma e il rifugio?
Abbiamo intrapreso una direzione sicura (Buddha, Dharma, Sangha) per evitare di cadere nelle rinascite inferiori: gli insegnamenti sullo scopo iniziale. Non è che per evitare le rinascite inferiori ci rivolgiamo a un protettore. Questo non è scritto da nessuna parte negli insegnamenti, no? Andate dal Buddha, Dharma e Sangha. E protezione non vuol dire nel senso che ci salveranno. Ci insegnano cosa fare. Dobbiamo farlo noi stessi. Ci mostrano l’esempio. E il karma: evitare il comportamento distruttivo. Cosa vuol dire intraprendere la direzione sicura di Buddha, Dharma e Sangha? La direzione sicura, principalmente, consiste nel Dharma. Il Dharma, il più profondo gioiello del Dharma, si riferisce alla terza e quarta nobile verità. Alle vere cessazioni delle cause della sofferenza e quindi alla vera cessazione della sofferenza. Ed al vero sentiero o alla mente sentiero che condurrà ad essa: la comprensione della vacuità ecc., e a ciò che ne deriverà. Questa è la direzione che abbiamo intrapreso. Ed essa esiste appieno nel continuum mentale di un Buddha, deiBuddha, molti Buddha, e in parte nel continuum mentale degli arya Sangha. Questa è la direzione. E se noi prendiamo questa direzione, proteggeremo noi stessi dalla sofferenza. Dharma, la parola sanscrita, proviene dalla radice trattenersi. Tratteniamo noi stessi, in modo da evitare la sofferenza.
Non è che un protettore può farlo al posto nostro. Un protettore è come un supplemento. Ci sono molti modi di vedere i protettori. Serkong Rinpoche era solito descrivere i protettori come un grande cane feroce. Egli diceva che se ci si trova al centro di un mandala nell’aspetto di divinità, una divinità davvero molto potente come Yamantaka, bisogna essere in grado di avere il potere di controllare questi protettori. Sono come un cane selvaggio. Ed anche se potremmo stare noi stessi al cancello per scacciare i ladri, perché farlo noi stessi quando lo può fare un cane? Però tu devi essere il padrone, devi tenerlo sotto controllo. Quindi anche se pensiamo che un protettore ci aiuti nel senso che scaccia via le interferenze ed i ladri e così via, siamo noi che fondamentalmente abbiamo il controllo di tutto ciò.
In altre parole i protettori, se li consideriamo, come fanno i tibetani, esseri reali, spiriti o altro, possono fornirci le circostanze affinché il nostro karma maturi. Ma se non abbiamo quel karma da maturare, non potranno esserci d’aiuto. E’ la stessa cosa di quando si fa la puja del Buddha della Medicina e pratiche simili. Non sarà di per sé efficace, non è la causa stessa del miglioramento. E’ una circostanza affinché il nostro karma positivo possa maturare. In alcuni casi i protettori sono la circostanza affinché il nostro karma negativo maturi con effetti però di scarso rilievo, in modo che si esauriscano tutti quei gravi ostacoli che in futuro potrebbero impedire il nostro successo. Possono agire in molti modi.
L’errore qui, il malinteso, consiste nel dare troppa enfasi alle pratiche del protettore; renderle centrali al posto di Buddha, Dharma e Sangha. E farle diventare quasi il culto di un qualche tipo di spirito. Ci sono molti problemi che derivano da questo, come è illustrato dal controverso protettore tra i tibetani. Quindi bisogna stare molto attenti. E non credo sia molto saggio per un centro di Dharma svolgere pubblicamente una pratica del protettore ogni giorno o settimana o mese, e consentire a chiunque di partecipare, anche ai nuovi arrivati, perché, specialmente se questi testi vengono tradotti, sono molto pesanti. “Schiaccia gli intrusi, i nemici” e così via. Può risultare molto pesante e può essere facilmente frainteso. Quindi bisogna essere molto cauti su queste cose.
Malintesi relativi all’iniziazione
Ora parliamo delle iniziazioni per quanto riguarda il tantra. E’ un errore prendere un’iniziazione tantrica senza prima esaminare il maestro o la pratica. Ed anche se li esaminiamo, è un errore o un malinteso prendere l’iniziazione senza l’intenzione di praticare il sistema del tantra. Lo scopo di un’iniziazione o potenziamento è di attivare e rafforzare, accrescere, i fattori della nostra natura di Buddha in modo da poter essere in grado di impegnarci nella pratica di uno specifico sistema di divinità. Tutto lo scopo sta qui. I vari rituali e visualizzazioni, ciò che si svolge, attivano i semi, piantano nuovi semi, in modo che ci possiamo impegnare in una pratica specifica. E’ con l’iniziazione che s’incomincia quella pratica.
Se equivochiamo tutto questo, finiamo per partecipare indiscriminatamente a qualunque iniziazione conferita da qualunque lama in qualunque pratica. E ci andiamo o per ricevere benedizioni oppure perché spinti dal nostro gruppo. E’ un errore farlo solo per questo. Partecipare ad un potenziamento, un’iniziazione, è una faccenda seria. E dobbiamo esaminare a fondo il maestro. Desidero instaurare con questo maestro la speciale relazione di guru tantrico? Molti di noi non hanno alcuna idea di cosa ciò voglia dire. Sono intenzionato a fare questa specifica pratica della divinità piuttosto che un’altra? E sono davvero determinato a farla, che sia adesso oppure più avanti? Ma andarci così, voglio dire, possiamo andarci per partecipare ad un evento antropologico. Ci si va come un antropologo per vedere cosa fanno questa specie di indigeni mentre compiono i loro rituali. Va bene. Sua Santità dice che se ci si vuole andare, lui li chiama osservatori neutrali, non è un problema. Ma partecipare in questo modo vuol dire sminuire il processo dell’iniziazione.
Ed è un ulteriore errore pensare che se ci andiamo in quel modo, come ad un evento antropologico, oppure solo per le benedizioni o a causa della pressione del gruppo (tutti gli altri ci vanno quindi ci devo andare anch’io), è un errore pensare che abbiamo ricevuto i voti e le responsabilità solo per il fatto che eravamo presenti all’iniziazione, senza prenderli in modo consapevole e con intenzione. I voti si ricevono solo se si sono presi consapevolmente. Il fatto di trovarsi semplicemente lì non vuol dire che si sono presi i voti o che si è ricevuta l’iniziazione. I tibetani portano con loro i cani alle iniziazioni. Ciò non vuol dire che i cani hanno preso i voti e che ora hanno l’iniziazione alla pratica. Voglio dire, naturalmente ce li portano per le benedizioni o cose del genere. Ma noi vogliamo partecipare ad un’iniziazione come fa un cane? Questo è il punto. Oppure pensare, “oh, ci farà sballare.” Qualcosa del genere.
Dall’altra parte è ugualmente un malinteso pensare che possiamo ricevere un’iniziazione ed impegnarci nella pratica senza aver preso e mantenuto i voti. Uno degli aspetti più importanti di un’iniziazione o potenziamento sono i voti. E’ detto chiaramente in molti testi: “non c’è iniziazione senza voti.” Quindi come minimo ci sono i voti del bodhisattva. Tsongkhapa e Atisha sottolineano che in tutte le iniziazioni di tutte le classi, incluso lo dzogchen, è necessario avere come base i voti o pratica di pratimoksha, anche se si tratta solo dei voti da laico. Non è neanche necessario che siano tutti e cinque: non uccidere, rubare, mentire, ecc. Una qualche base di etica generale. Poi i voti del bodhisattva. E se si tratta delle due classi superiori del tantra, i voti tantrici. Questo è assolutamente essenziale. E dobbiamo farlo molto seriamente interrogandoci: sono in grado di mantenerli?
Se bisogna prendersi la responsabilità di una pratica (a volte le iniziazioni comportano l’impegnarsi in una pratica), è un malinteso pensare di poter contrattare con il maestro per diminuire la responsabilità, come quando si mercanteggia con un venditore di scarpe in un mercato orientale per ottenere un prezzo più basso. Certamente mi è capitato di vedere a volte degli occidentali che lo facevano. A Dharamsala Sua Santità offre un potenziamento e l’impegno è quello di svolgere la pratica quotidianamente per il resto della vita. Ad esempio Lama Chopa (Guru Puja). Sua Santità offre insegnamenti su questa [pratica] e la responsabilità è di svolgerla ogni singolo giorno per il resto della vita. Gli occidentali vogliono parteciparvi, ma vogliono contrattare, cercano di contrattare: abbiamo una vita con molti impegni e così via, la dobbiamo fare veramente? E’ possibile farla solo qualche volta, quando abbiamo tempo? Cercano di pagare un prezzo basso, un prezzo più basso. Questo è un grosso errore.
Il punto è che se andiamo agli insegnamenti, ciò vuol dire che vogliamo fare la pratica. Siamo seriamente intenzionati a farla. Altrimenti perché andare agli insegnamenti? Solo per curiosità? Non è questo il punto. Si ritiene che questi insegnamenti siano preziosi, sacri, e se li si studia è perché lo si vuole davvero fare. Questo naturalmente diventa un argomento difficile con tutto il materiale che si trova su internet, i libri ecc., perché come dice Sua Santità il Dalai Lama, c’è comunque tanto materiale disponibile. Però ci sono anche tante informazioni errate riguardanti il Dharma e il tantra, ed è molto meglio ricevere le informazioni giuste. Sua Santità a volte scherza dicendo: “è meglio andare all’inferno con una corretta comprensione che con una comprensione sbagliata. Con una comprensione corretta se ne potrà venire fuori molto prima.” Sia che questo debba essere preso alla lettera o come uno scherzo, non lo so, ci dà comunque da pensare. Ma questa non è una scusa. Riceveremo quegli insegnamenti. C’è una responsabilità. Prendetela seriamente.
Se la responsabilità consiste in una recitazione quotidiana, è un errore non prenderla seriamente pensando di poter saltare un giorno quando non ci sentiamo di farla: “la faccio solo quando me la sento.” Oppure prendere troppi impegni di pratica per tutta la vita senza considerare realisticamente se saremo in grado di mantenerli o meno. Questo era un errore molto, molto frequente negli anni ’70 in India. A quei tempi le iniziazioni venivano date più facilmente, le iniziazioni complete con gli impegni di pratica completi, e gli occidentali le prendevano. Prendevamo questi potenziamenti e ci assumevamo gli impegni pensando che avremmo potuto mantenerli sempre. Però se andiamo a vedere solo dieci anni più tardi, lasciamo perdere venti, trenta, quaranta anni più tardi, quante di quelle persone li hanno effettivamente mantenuti? E continuano a mantenerli? Solo una manciata. Ed anche allora, al tempo in cui li hanno presi, le persone dovevano davvero combattere per mantenere la pratica quotidiana perché… Al mattino erano troppo occupati. “Il mattino non è un buon momento per me,” pensavano così. E allora li rimandavano alla sera, così avevano due o tre ore di pratiche da fare. E si addormentavano praticando, stavano lì seduti e si appisolavano e allora ci voleva mezza nottata per terminare. E diventava una tortura. Questo è un grosso problema.
Se assumiamo degli impegni di pratica, bisogna essere realisti su ciò che possiamo fare effettivamente. E questi impegni di pratica richiedono seriamente di essere svolti ogni giorno per il resto della vita. E perché vogliamo farli ogni giorno per il resto della vita? Perché la mia intenzione di ottenere la liberazione e l’illuminazione è molto seria. E comprendo il metodo di base del tantra. Questo è molto importante. Sua Santità pone sempre l’accento sul fatto che se ci si impegna nel tantra, la base di ciò dovrebbe essere la comprensione di cosa sia il tantra e la fiducia nell’efficacia del metodo. Altrimenti perché lo fate? Soprattutto se pensate che consista semplicemente in strane visualizzazioni e nel borbottio di alcuni mantra, dopo un po’ lo abbandonerete perché vi sembrerà ridicolo: “perché lo sto facendo?” Quindi è molto importante considerare seriamente se possiamo mantenere queste responsabilità.
Ed infine, considerare la pratica del tantra come mera recitazione di un rituale o mera ripetizione di un mantra, è un malinteso. Senza un’intensa meditazione su bodhicitta e vacuità, ecco quale sarà il nostro malinteso: recito semplicemente il rituale; recito semplicemente “bla, bla, bla…” Si cerca di visualizzare, ma la maggior parte delle volte non ci si riesce; è troppo complicato. Quindi vogliamo fare le versioni più semplici, e pensiamo che sulla base di quelle potrà davvero accadere qualcosa. E molto spesso diventa semplicemente una fuga nella Terra della Fantasia, senza essere davvero un metodo effettivo per mettere insieme tutti gli insegnamenti.
Il tantra è un metodo che raduna insieme tutti gli insegnamenti, così che, nel corso del rituale, ad un certo punto si generano i quattro atteggiamenti incommensurabili; ad un certo punto il rifugio, ad un certo punto bodhicitta, ad un certo punto si riaffermano i voti, ad un certo punto (in molti, molti punti) si fa la meditazione sulla vacuità; in punti differenti dello scritto si generano differenti comprensioni e realizzazioni del Dharma. Quindi se prima di tutto ciò non avete praticato i metodi, quando nel rituale in poche parole si dice: “ora ho la comprensione della vacuità,” cosa fate? Reciterete solamente le parole. Ma recitare soltanto le parole non porta a nulla. Perciò la pratica del tantra richiede una grande preparazione. E’ un errore pensare che consista solo in un “bla, bla, bla” accompagnato da una recitazione che, per la maggior parte del tempo, viene svolta mentre la mente sta vagando altrove.
Conclusione
Questi sono alcuni dei malintesi che mi sono venuti in mente semplicemente quando mi sono seduto a pensarci. Sono certo che ne potrei elencare molti di più. Come dicevo, ci sono molti malintesi che sorgono proprio a causa della difficoltà del materiale; soprattutto per quanto riguarda quelli sulla vacuità, i differenti sistemi di principi e così via. Uno degli aspetti del Dharma è: tutto ciò che il Buddha ha insegnato è per il beneficio degli altri. Se prendiamo questa cosa seriamente, cercheremo di arrivare a comprendere qual è lo scopo di tutto questo, in qualsiasi aspetto. Se non capiamo, chiediamo. Esaminiamo. Seguiamo i metodi del Dharma.
Se ci sono dei blocchi mentali, il modo per superarli è accumulare maggiore forza positiva, così quegli ostacoli mentali ed emotivi vengono superati. Questo è affermato in modo chiaro nelle scritture, quindi dobbiamo prenderlo molto seriamente. Non farlo sarebbe un malinteso. C’è qualcosa che non capiamo. Quindi, ad esempio, ci impegniamo intensamente nella pratica di Manjushri. E questo non vuol dire semplicemente recitare il mantra con un “bla, bla, bla,” ma [generare] una chiara visualizzazione e immaginazione in modo che la mia mente diventi molto più chiara, con luci che giungono a noi nella visualizzazione, le quali aiutano ad immaginarlo in modo grafico. Ciò che accade è che si stabilisce con grande forza di volontà di rendere la propria mente più chiara; di trarre ispirazione per essere più chiari. Questo può essere di grande aiuto. Ma semplicemente sforzarci e sforzarci e sforzarci senza fare affidamento sui metodi del Dharma per superare questi ostacoli e blocchi… [non sempre aiuta]. E potrebbe richiedere un notevole sforzo.
Penso ad alcuni dei miei viaggi, quando vado in giro a dare… Sono molti i posti in cui sono stato invitato ad insegnare, come ritiri di bodhicitta. Mi accade di sentirmi bloccato in ciò che sto scrivendo o traducendo; poi parto per andare in tour o qualcosa del genere. E con questo, attraverso l’interazione con gli altri, cercando di essere generoso negli insegnamenti, mi accade di accumulare un certo potenziale positivo per tornare indietro, e allora la mia mente è più chiara per poter superare eventuali blocchi [mentali]. Quindi cercate di guardare alle cose in questo modo.
Comunque, questi sono alcuni dei miei pensieri. Forse avete delle domande.
Domande
Domanda su come intendere gli insegnamenti che appaiono magici
Domanda: A volte ciò che viene promesso se si fa questo o quello, sembra quasi magico. Come quando in alcuni testi si legge del rifugio: sei protetto dagli umani, dai non umani e da qualunque cosa accada. Oppure: recita questo mantra e purificherai quarantamila eoni. Sembra una favola. E, ad esempio riguardo al rifugio, rivolgo sempre una domanda a me stesso: cosa vuol dire prendere rifugio quando mi alzo al mattino? Vuol dire riaffermare ciò che voglio ottenere nella vita, aspirare all’illuminazione, o si tratta soltanto di una qualche spada magica che ho creato per me stesso?
Alex: La tua domanda presenta due aspetti. Uno dice: come comprendere gli insegnamenti che appaiono magici? Come quelli che affermano che se si prende rifugio si sarà protetti dagli umani e non umani. E che se si prende rifugio in questo Buddha si purificheranno le forze negative per quarantamila eoni; e in quell’altro Buddha, trentacinque mila, e nei trentacinque Buddha della Confessione, cinquecentocinquantasei mila (sto solo inventando dei numeri), e così via. E ci si domanda: come è possibile che siano arrivati a determinare questi numeri? E come capirli? Questo suona come una magia.
Qual era l’altro aspetto della tua domanda?
Partecipante: era relativo al rifugio. Quando al mattino prendo rifugio…
Alex: Ah sì. Quando al mattino si prende rifugio vuol dire che si sta indirizzando la propria vita verso il Buddha, Dharma e Sangha, oppure si tratta di una qualche formula magica che recitiamo?
Come ho già detto, considerare gli insegnamenti alla stregua di formule magiche è veramente un malinteso. Voglio dire, magico significa che le cose accadono quasi senza ragione e questo, il fatto che le cose avvengano senza una causa, certamente non è accettato dalla logica buddhista. Qui non c’è alcuna magia. Riaffermare la nostra direzione ogni mattina, ovvero la direzione sicura e il rifugio, vuol dire stabilire una forte determinazione riguardo a ciò che voglio fare della mia giornata. L’importanza di questo è spiegata in molti testi. Quindi ha certamente un valore.
Domanda: Quindi si tratta di questo?
Alex: Sì, si tratta di questo.
E mi mette al sicuro da questo e quest’altro pericolo. Se ottengo la liberazione, la terza e quarta nobile verità, allora sarò libero dal samsara, e pertanto non proverò più alcuna sofferenza. Possiamo quindi intenderla così.
Ora devo dire che ho una grande difficoltà ad accettare questi numeri alla lettera. E devo dire che non do loro molta importanza. Vuol dire che sto scegliendo ciò che preferisco degli insegnamenti? Non so. Più che altro vedo la cosa in questi termini: svolgere questa pratica è molto potente. Recitare questa cosa, come viene detto in alcuni dei sutra Mahayana, persino recitare il nome di questo bodhisattva fa accumulare innumerevoli meriti per così tanti eoni, e così via. Quindi va bene recitarli, ma non riesco a immaginare che… Anche se dà l’impressione che la sola recitazione sia sufficiente, mi chiedo davvero se ciò possa essere preso proprio alla lettera. Credo che sia necessaria una qualche comprensione di ciò che ha fatto questo bodhisattva per diventare un bodhisattva. Anche i loro nomi hanno un significato. Quindi la semplice recitazione di questi nomi in sanscrito o tibetano senza sapere ciò che vogliono dire, è un problema. Per quanto riguarda i numeri, come dicevo, non do loro molta importanza. Non importa se si tratta di trentacinque mila o quarantacinque mila eoni. Non sto dicendo che è una cosa stupida, in quanto vorrebbe dire che sto sminuendo gli insegnamenti; questa non sarebbe certamente una cosa positiva da fare. Ma non vedo il numero di eoni che verranno purificati come parte essenziale degli insegnamenti.
Quindi, nuovamente, ciò che dobbiamo fare è applicare quello che troviamo nel Mahayana, la divisione tra insegnamenti interpretabili e definitivi. Interpretabile vuol dire letteralmente insegnamenti che ci condurranno ad una comprensione più profonda, e definitivo è dove ci condurranno. Quindi il definitivo riguarda la vacuità, la più profonda comprensione della vacuità e tutto il resto è ciò che ci porta qui. Quindi quando viene affermato che questo ci fa accumulare trentacinque mila eoni di forza positiva e quest’altro quarantacinque mila, penso che ciò voglia solo incoraggiarci ad accumulare la forza positiva che ci condurrà ad una più profonda comprensione. Quindi io l’interpreto a questo livello. E non ci penso in termini di magia.
Hai sollevato una questione molto importante. Molti lama sottolineano l’importanza della lettura di alcuni sutra, della loro recitazione, il che naturalmente è una cosa molto positiva da fare. Il Sutra della Luce Dorata e così via. E in esso troviamo dei passaggi che non sono così facili da capire.
Partecipante: Gira la ruota e questo potrebbe guarirti dal cancro.
Alex: Beh, affermare, “gira la ruota della preghiera e questo ti guarirà dal cancro,” mi sembra un po’ ingenuo. Un pochino ingenuo.
Partecipante: Sembra una magia. Sia che si tratti di una ruota di preghiera o di…
Alex: Beh, non è tanto la magia. Voglio dire, conoscete questa battuta? “Vorrei vincere la lotteria. Vorrei vincere la lotteria…” Preghiamo Buddha o Dio. E Dio o Buddha o chiunque sia, appaiono e dicono, “devi comprare un biglietto della lotteria!”
Quindi dobbiamo sviluppare le cause. Se sviluppiamo le cause in termini di forza positiva e così via, allora la ruota di preghiera potrebbe aiutarci a sviluppare un atteggiamento più positivo e ottimistico, il quale aiuta a rafforzare il nostro sistema immunitario, e così via. Ma di per sé, certamente non può curare il cancro. Questo è ingenuo.
Partecipante: A volte sembra proprio così.
Alex: Sembra così, ma credo sia un malinteso prendere tutto totalmente alla lettera, anche se alcune persone lo fanno. Ma gli insegnamenti hanno un significato più profondo. “Non contate sul maestro, ma contate sulle sue parole. Non contate solo sulle parole, ma sul loro significato. Non contate solo sul loro significato, ma sul loro significato definitivo, ciò a cui conducono.” Quindi ci sono questi quattro affidamenti.
Altre domande?
Domanda sul ricordare ai Buddha di aiutarci
Partecipante: Quando si recita una preghiera, a volte c’è una frase o due che dice, “per favore Buddha, proteggimi. Ricordati dei voti che hai preso e proteggici e fai qualcosa di buono per noi.” Ogni volta penso che dev’esserci un errore o che forse questa cosa non è espressa bene nella nostra lingua. Perché ritengo offensivo ricordare ad un Buddha i suoi voti. Lui conosce i suoi voti. Quindi non capisco perché dobbiamo sempre sollecitare i Buddha in questo modo.
Alex: Quindi tu affermi che in alcune preghiere i Buddha vengono sollecitati in questo modo: “ricordatevi dei vostri voti e proteggeteci.” Personalmente non ricordo testi in cui questo viene diretto ai Buddha. In genere ci si rivolge ai cosiddetti protettori legati dal giuramento. Si tratta in generale di vari spiriti che sono stati domati da Guru Rinpoche o da qualcun altro e ai quali è stato fatto giurare di proteggere gli insegnamenti e i praticanti.
Partecipante: Lo si trova anche nel Buddha della Medicina e nella sadhana.
Alex: Va bene. Quindi è nella sadhana del Buddha della Medicina, che non mi è familiare, che al Buddha vengono ricordati i suoi voti di aiutare gli altri nella malattia. E la tua domanda è: perché mai dobbiamo ricordare questo ai Buddha? Non c’è bisogno di farlo. Ed ugualmente: perché dovremmo chiedere ai Buddha di fare qualunque cosa? Loro la faranno comunque.
Quindi il punto è rendere noi stessi più ricettivi e, in un certo senso, ricordare a noi stessi che loro hanno questi voti e che hanno fatto questi giuramenti, in modo da assumere un atteggiamento un po’ più positivo, il quale rafforzerà il nostro sistema immunitario. Anche se i testi non spiegano tradizionalmente la questione in questi termini, è questo il modo in cui queste cose funzionano.
Partecipante: Potrebbe trattarsi anche in questo caso di una questione riguardante la traduzione?
Alex: Una questione di traduzione? Non lo so. Dovrei vedere il testo.
Domanda sulla condotta sessuale scorretta
Domanda: C’è un voto relativo alla condotta sessuale scorretta. La condotta sessuale scorretta è sempre stata un grande mistero per me. Di cosa si tratta veramente? Cos’è che i voti includono o escludono?
Alex: Questa è una domanda molto difficile, una domanda molto importante per quanto riguarda il comportamento sessuale inappropriato o condotta sessuale scorretta. Che cosa include effettivamente? E perché? Se guardiamo come la spiegazione del voto si è evoluta, o se guardiamo alla spiegazione del comportamento sessuale inappropriato nell’ambito delle cosiddette dieci azioni “non virtuose,” troviamo che nel corso della storia più e più cose sono state precisate. Iniziando dalla letteratura pali, per poi passare all’India, sempre più cose sono state specificate, e poi i tibetani sono subentrati. Ma queste cose non si sono accumulate insieme; alcuni commentari in India aggiungono alcuni aspetti, alcuni ne aggiungono altri; poi vengono i tibetani ed estraggono varie parti da tutto ciò e le mettono insieme in presentazioni e testi differenti.
Così la questione si fa difficile, no? Perché uno potrebbe… Voglio dire, ho avuto molte discussioni con Ghesce tibetani su questo tema. E uno potrebbe dire: ma queste cose sono state aggiunte quindi non erano lì originariamente, no? Al principio si parlava soltanto di fare sesso con un partner inappropriato, con qualcuno che si trova sotto il controllo di qualcun altro o sotto la tutela di qualcun altro, che sia questi il marito o un genitore, o chiunque altro. E si parla solo di uomini eterosessuali. Per quanto riguarda le donne, non si parla mai nei termini di una praticante femminile. Quindi ovviamente era necessario ampliare questi aspetti.
La conseguenza è che se vi sono cose che sono state aggiunte, non sarebbe possibile aggiungerne ancora e rimuoverne altre? C’è una specificità culturale? Ciò che questi Ghesce dicevano fondamentalmente è che anche se qualcosa non era specificato, ciò non vuol dire che non fosse presente nelle intenzioni. Solo più tardi il significato venne precisato. Come facevano a conoscere questo significato? Questa è ancora un’altra domanda. Presumibilmente si tratta di esseri realizzati, i quali conoscono ciò che produce sofferenza. Tutta la questione gira intorno al ridurre la sofferenza che si causa a se stessi quando si è sotto l’influenza del desiderio bramoso, delle emozioni disturbanti e così via.
Un Ghesce, Ghesce Wangchen, lo spiegò molto, molto bene. E’ il tutore di Ling Rinpoche, la reincarnazione del tutore di Sua Santità. Egli spiegò che questi voti sul comportamento sessuale inappropriato ci servono per stabilire un limite. E, come dicevo nella mia lezione, ciò a cui aspiriamo è la liberazione dalla biologia. In definitiva dobbiamo superare ogni tipo di sessualità. Ciò non vuol dire che dobbiamo diventare subito monaci e monache. Ma quando saremo arhat o Buddha, certamente non praticheremo il sesso e non avremo questo tipo di corpo con gli ormoni che ci spingono a fare sesso. Quindi questo è fondamentalmente parte del pacchetto del diventare un essere liberato o illuminato, che ci piaccia o meno.
Ora la domanda è: stiamo stabilendo dei limiti al nostro comportamento sessuale con l’intenzione eventualmente di superare la pulsione sessuale? Ciò che fanno questi voti è stabilire dei limiti. Quindi, se nell’ambito di una determinata tradizione i limiti sono stabiliti in un certo modo, come specificato in un testo, beh, allora i limiti sono quelli. Come dicevo, se non riuscite a mantenere quei limiti, va bene; nessuno vi forzerà in questo senso. Quindi andrete a stabilire un confine differente. Ma il punto è stabilire un confine: va bene, eviterò di lasciarmi andare a qualunque esperienza sessuale, qualunque pulsione sessuale che mi venga in mente, come un cane, ma eserciterò un certo auto-controllo. Non agire in maniera cieca sotto l’influenza degli ormoni e della lussuria. Ecco qual è il senso del voto, superare [queste pulsioni], a qualunque costo. Il sesso implica comunque un aspetto lussurioso e di attaccamento, a prescindere da cosa diciamo, a prescindere da quanto amore sia presente. Così, è questo che i voti intendono.
Ora, cosa viene effettivamente specificato nei voti? Dovremmo leggere il testo vero e proprio. Il testo del vostro lignaggio. Questo è ciò che viene specificato. Ora, siccome non è esplicitato il fatto che è inappropriato fare sesso con gli animali, questo vuol dire che va bene fare sesso con gli animali? Con una pecora? No, il fatto che non venga detto, non vuol dire che vada bene. Quindi bisogna andare un po’ più a fondo con l’analisi. Non si parla mai dell’infedeltà verso il proprio partner, si parla solo di fare sesso con il partner di qualcun altro: questo vuol dire che va bene?
Questo tema dell’etica sessuale si fa molto, molto complicato e molto difficile. Viene affermato che la prostituzione va bene se si paga la prostituta, anche se si è sposati. Questo non va bene secondo la nostra etica occidentale. Quindi possiamo fare un’aggiunta sostenendo che ciò sia inappropriato? Perché, da un punto di vista occidentale, sarebbe una cosa certamente inappropriata. Penso di sì. Credo che ci sia bisogno di comprendere lo spirito generale di un voto. Quindi c’è un aspetto culturale, come nell’esempio della prostituzione? E’ molto difficile rispondere a questa domanda. Molto difficile.
Credo che se uno prende un voto, deve leggere ciò che è specificato nel testo. Sono in grado di mantenerlo integralmente? Se non lo si è, come dicevo, è meglio prendere una di quelle promesse di categoria intermedia che ne evitano alcuni aspetti. Questo va bene, vuol dire comportarsi onestamente, non da ipocriti. Credo che la causa del problema sia nell’ipocrisia: prendo il voto ma lo manterrò solo in parte. Perché poi, senza dubbio, sorgeranno sensi di colpa e alla fine ci si sentirà un ipocrita. Fondamentalmente ci si costruisce la propria versione del voto. Quindi, se vi state costruendo la vostra versione del voto, non chiamatelo un voto, nel senso di limite. Credo che per quanto riguarda la condotta sessuale sia molto importante avere determinati confini, seguendo l’idea che non voglio comportarmi come un cane. Non voglio più essere sotto il controllo di tutto questo perché l’unico risultato è perpetuare il karma, la rinascita ecc., e la sofferenza.
E’ difficile. E’ uno sul quale spesso, noi occidentali, contrattiamo. Come nei mercati orientali, nei mercati indiani, per ottenere un buon prezzo, per fare un affare.
Partecipante: In un certo senso fare sesso vuol dire essere colpevoli. Perché si sta facendo qualcosa che non porta all’illuminazione…
Alex: Giusto. Beh, come dicevo, sentirsi in colpa, pensare che il sesso sia sporco, questo non è il sentiero per l’illuminazione. Potrebbe capitare di pensare così. Ma ciò nasce dal fraintendimento dell’etica, come dicevo all’inizio. Pensare che queste sono leggi alle quali bisogna obbedire e che se non si obbedisce si è cattivi; pensare che il sesso, in sé, sia sporco… Voglio dire, non è l’atto sessuale in sé il problema. Il problema è lo stato mentale. E lo stato mentale è influenzato dal desiderio bramoso e dall’attaccamento, a prescindere da quanto amore ci possa essere. Spesso è una scusa, una giustificazione.
Do sempre questo consiglio: se fate sesso, fate solo sesso. Non ingigantite la cosa e non fatevi prendere troppo dalla lussuria e dall’esagerazione. “Sono un essere samsarico. Ho queste funzioni corporali, questo è ciò che accade, ma aspiro a qualcosa di meglio.” Non è qualcosa di cattivo.
Questo ci porta al tema della rinuncia, della determinazione a liberarsi: lo scopo intermedio. E questo scopo intermedio del lam-rim è molto difficile. Nello scopo iniziale si aspira ad ottenere una preziosa rinascita umana. Ma poi, nello scopo intermedio, persino quella preziosa rinascita umana appare in tutti i suoi svantaggi. Anche se ho una preziosa rinascita umana, ci sarà il periodo in cui sarò un bambino, che è abbastanza inutile; e tutto il periodo in cui sarò vecchio e demente, il quale è pure piuttosto inutile. C’è la malattia. C’è la frustrazione. Sono sotto l’influenza degli ormoni. Tutti questi vari svantaggi, tutta questa spazzatura, questo bagaglio che la rinascita umana porta con sé. Vogliamo superare tutto ciò e raggiungere l’illuminazione ma, comunque, abbiamo bisogno del veicolo della preziosa rinascita umana per poterlo fare.
Quindi il punto sta nel non dare [al sesso] eccessiva importanza e non considerarlo in modo improprio: considerare ciò che fondamentalmente è sporcizia come invece qualcosa di bello e di meraviglioso, ecc. Non venerare il corpo. Preso atto che ho un corpo di questo tipo, devo mangiare, devo dormire, devo lavarmi, e poi ci sono anche certe funzioni sessuali. E se non mi trovo ad un livello nel quale sento di impegnarmi a diventare una monaca o un monaco casto, allora, va bene, farò sesso. Non è qualcosa di cattivo. Non devo sentirmi in colpa per questo. Lo userò come terreno sul quale stabilire dei limiti. Con il mio comportamento sessuale stabilisco dei limiti… Proprio come posso stabilire dei limiti con la quantità di cibo che mangio, senza comportarmi come un maiale ingozzandomi fino a diventare obeso, allo stesso modo posso stabilire dei limiti anche al mio comportamento sessuale trattenendomi da certe cose. Perché si tratta solo di desiderio. In questo modo, non sentirete sensi di colpa per via del sesso.
E’ una questione molto delicata per noi occidentali, soprattutto perché proveniamo da una tradizione che da una parte considera il sesso come sporco e dall’altra lo considera la cosa migliore del mondo; si raggiunge l’illuminazione con un orgasmo perfetto. Quando si ha a che fare con questo tema del sesso, si entra in un terreno molto delicato. Comunque, come dicevo, se fate sesso, non fatene una questione. Non esagerate. Non fatene una cosa importante. E’ quello che è. Niente di più, va bene?
Terminiamo con una dedica. Auguriamoci che qualunque comprensione, qualunque forza positiva sia sorta, possa essa divenire sempre più profonda e agire da causa per ottenere l’illuminazione per il beneficio di tutti.
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