Lama Zopa Rinpoche: Lo scopo della Meditazione
Vorrei brevemente introdurre la pratica della meditazione. Molte persone nel mondo, in occidente così come in oriente, sono molto interessate a meditare; provano attrazione per questa pratica e manifestano grande interesse. Eppure, delle molte persone che praticano la meditazione, solamente alcune ne comprendono veramente lo scopo.
Ciascuno di noi qui possiede un corpo fisico costituito di ossa, carne, sangue eccetera. Attualmente non siamo in grado di esercitare un completo controllo sul corpo, e di conseguenza incorriamo sempre in problemi. Se ci fosse un uomo così ricco che La sua ricchezza fosse pari a quella del mondo intero, nonostante la sua enorme fortuna, nel caso che la sua mente fosse imprigionata in un corpo incontrollabile, egli vivrebbe in continua sofferenza. Ricchi o poveri, nessuno di noi sfugge a questo problema. Per quanto ci proviamo, non riusciamo mai a trovare una soluzione per le nostre difficoltà. Se risolviamo un problema, un’altro immediatamente si presenta. I conflitti e le sofferenze che il mantenimento del nostro corpo fisico comporta sono sempre gli stessi, dovunque noi siamo. Se siamo saggi abbastanza da penetrare in profondità nel cuore di questo impegno e verificare come stanno effettivamente le cose, vediamo subito l’universalità di questa situazione insoddisfacente. Ci appare chiaro anche che se non avessimo un corpo così privo di controllo, non potremmo assolutamente sperimentare le sofferenze che questo comporta.
Il problema principale dì noi tutti è la sofferenza di non riuscire a soddisfare i nostri numerosi desideri. Questi comprendono le evidenti necessità fisiche di cibo e vestiti, così come cose piacevoli, tipo una buona reputazione, il sentire parole piacevoli e di conforto, e così via. Alcune forme di sofferenza, come ad esempio la fame di una persona poverissima, sono più evidenti di altre, però in un modo o nell’altro tutti noi siamo preda di una appetito incontrollabile per quello che non abbiamo.
Prendiamo l’esempio di qualcuno che abbia avuto la fortuna di nascere in una famiglia ricca: nel corso della sua vita probabilmente non soffrirà mai di necessità materiali. Può permettersi di comprare qualunque cosa desideri ed è libero di viaggiare ovunque gli piaccia, provando i diversi piaceri e gli stimoli di culture differenti. Quando alla fine giunge al punto in cui non rimane più nulla da possedere, nessun posto nuovo da visitare e nessun nuovo piacere da provare, egli soffre ancora per un acuto senso di insoddisfazione. Molti perdono il senno per questo stato mentale inquieto ed insoddisfatto e perché non riescono a sopportare questa sofferenza intensa e pervasiva.
Così anche dove non vi è carenza di agi materiali, ancora sopportiamo la sofferenza. In effetti accade spesso che il possedere ricchezze materiali aumenti l’insoddisfazione, dai momento che diventa ancora più evidente che questi beni non possono in nessun modo modificare o tagliare la radice della sofferenza. La continuità dell’insoddisfazione, confusione, preoccupazione e così via rimane ancora intatta. Se accumulando agi materiali si potesse veramente ridurre ed eliminare la sofferenza, allora, a qualche livello di benessere materiale, questa continuità della sofferenza sarebbe spezzata, e cesserebbe completamente l’insoddisfazione. Ma fino a che la nostra mente è legata inscindibilmente ad un corpo incontrollabile, la sofferenza continua.
Per esempio, per proteggerci i piedi dal terreno accidentato e dalle spine, mettiamo le scarpe; eppure in questo modo non eliminiamo veramente il problema. Spesso proprio le scarpe fanno male: possono schiacciarci le dita, produrre abrasioni e in genere essere scomode. Ma la colpa non è essenzialmente del calzolaio: se in primo luogo i nostri piedi non fossero così lunghi, larghi o sensibili, sarebbe possibile costruire scarpe assolutamente comode. Così se investighiamo in profondità vedremo che la fonte di questa scomodità non è esterna, ma piuttosto sta nella nostra costituzione fisica e mentale.
Questo non è che un esempio della sofferenza che proviamo a causa del nostro corpo fisico. Dal momento della nascita fino a quello della morte, spendiamo una quantità immensa di energia per cercare di proteggere questo nostro corpo dalla sofferenza In effetti, la gran parte delle persone passa tutto il proprio tempo a prendersi cura del corpo in questo modo sterile, destinato alla sconfitta.
Tuttavia lo scopo della meditazione non è prendersi cura del corpo fisico. Non dovremmo pensare di usare la meditazione per questo; dovremmo darle uno scopo più elevato, più nobile. Non ha senso usare la meditazione come un ulteriore metodo con cui portare beneficio al nostro corpo. In questo modo si sciuperebbe una tecnica dotata di reale, profondo valore, nel vano tentativo di ottenere un sollievo che nel migliore dei casi sarebbe temporaneo. In questo caso la meditazione sarebbe come l’aspirina che prendiamo per liberarci dal mal di testa: può darsi che il dolore scompaia, ma questo non vuoi dire che siamo guariti. Dopo un po’ il dolore tornerà perché la cura non agiva sulla causa reale del problema, e quindi produrrà un sollievo necessariamente di breve durata. Dal momento che i piaceri temporanei ed il sollievo al dolore possono essere ottenuti con numerosi mezzi esterni, non c’è alcun bisogno di usare la meditazione o un’altra pratica spirituale per questo scopo. Non dovremmo sprecare la potenza della meditazione per uno scopo così limitato. La meditazione è principalmente una pratica di cura per la mente. Anche se corpo e mente sono intimamente correlati ed interconnessi, sono due tipi di fenomeni completamente diversi. Il corpo è un oggetto che possiamo percepire con la vista, non così la mente. I membri di una particolare famiglia possono avere in comune molti tratti fisici, ma ciascun bambino avrà una sua distinta personalità, atteggiamento mentale, interessi e così via. Per quanto frequentino la stessa scuola, la loro intelligenza e cultura si distinguerà non solo da quella dei fratelli, ma anche da quella dei genitori e dei nonni. Queste differenze nella mente non possono essere adeguatamente spiegate in termini fisici.
Occorre notare che vi sono bambini che hanno memorie precise di vite precedenti. Possono riferire dove sono nati, come sono vissuti e così via, e possono anche riconoscere persone ed oggetti appartenenti a queste vite precedenti. Questi resoconti possono essere verificati, e forniscono prove convincenti a qualunque studioso sia disposto ad affrontare l’argomento senza preconcetti.
In ogni caso, la ragione che sta alla base delle diverse attitudini mentali che si riscontrano fra i membri della stessa famiglia, e dei ricordi di vite precedenti di alcuni bambini, è il fatto che la mente è priva di inizio. Le vite passate esistono davvero. Noi qui non possiamo addentrarci in una sottile analisi di cosa fornisce o non fornisce la continuità fra una vita e la successiva, è importante tenere in mente che proprio come la nostra mente ha proseguito da una vita passata a quella attuale, così passerà dalla vita attuale a quella futura. Le circostanze della nostra vita attuale sono il risultato di azioni, mentali e fisiche, compiute in queste vite precedenti. Analogamente, le nostre azioni attuali determineranno le circostanze delle nostre vite future. Così nelle nostre mani sta la responsabilità di modellare il resto di questa vita e quelle che verranno. E’ estremamente importante rendersi conto di questo se vogliamo trovare mezzi efficaci per eliminare permanentemente la sofferenza sia fisica che mentale.
Ciascuno di noi è nato come essere umano; in quanto tale abbiamo il potenziale per dare un senso ed uno scopo alla nostra vita. Per sfruttarla pienamente, dobbiamo andare al di là di ciò che fanno anche gli animali. Utilizzando in modo corretto questa rinascita umana e acquisendo il controllo della mente, potremo recidere completamente la radice della sofferenza Nello spazio di una o più vite potremo sfuggire dal circolo obbligato di morte e rinascita Attualmente siamo costretti a prendere rinascita dopo rinascita senza alcuna possibilità di scelta o di controllo, soffrendo di tutti i mali di un corpo fisico incontrollato. Ma per mezzo di una corretta applicazione questo ciclo incontrollato potrà essere spezzato; potremo sfuggire permanentemente da ogni sofferenza ed insoddisfazione.
Tuttavia non è sufficiente liberare noi stessi dal circolo di morte e rinascita; questo ancora non è un modo appropriato dì utilizzare ai massimo le nostre capacità di esseri umani. Non siamo i soli a provare sofferenza ed insoddisfazione; tutti gli altri esseri viventi sono nella nostra stessa situazione. E la maggior parte degli esseri non hanno la saggezza, l’occhio di saggezza del Dharma, necessaria a trovare il sentiero corretto che porta alla cessazione delle loro sofferenze. Tutte le creature sulla terra, senza eccezione, passano tutta la vita, giorno e notte, in cerca di una via per sconfiggere la sofferenza e per provare piacere e felicità. Ma dal momento che la loro mente è oscurata dall’ignoranza, la loro ricerca è vana. Invece di condurli allo scopo desiderato, porta ad essi ulteriore dolore e frustrazione. Cercano di allontanare la causa della loro sofferenza, ma invece non fanno che allontanarsi essi stessi sempre più dal nirvana, la vera cessazione del dolore.
Tutti gli esseri senzienti soffrono e aspirano al sollievo, proprio come noi. Se comprenderemo questo, diventerà evidente che lavorare solo per la propria liberazione, la propria esperienza del nirvana, è egoistico. Dovremo invece cercare di liberare anche tutti gli altri. Però, per mostrare agli altri quale sia il sentiero corretto per ottenere una vera cessazione della sofferenza, dovremmo prima noi stessi raggiungere la piena illuminazione. In altri termini, dovremo raggiungere lo stato di Buddha per poter contribuire a liberare gli altri.
Possiamo spiegare in questo modo. Immaginiamo di voler condurre una amica ad un bel parco, perché ne possa godere. Se siamo ciechi non avremo nessuna possibilità di condurvela, per quanto ne abbiamo il desiderio; è necessario che abbiamo buona vista e che conosciamo bene la strada per il parco se vogliamo anche solo pensare di condurvela Nello stesso modo, dobbiamo avere una esperienza completa della piena illuminazione prima di poter distinguere il sentiero migliore attraverso il quale tutti gli esseri,con le loro differenti attitudini mentali e predisposizioni, possano essere condotti alla liberazione dalla sofferenza.
Così, quando parliamo del vero scopo della meditazione, parliamo del raggiungere l’illuminazione, un ottenimento che ci mette in grado di soddisfare non solo i nostri scopi, ma anche quelli degli altri. Questo è l’effettivo motivo e l’unica ragione per praticare la meditazione. Tutti i grandi yogi ed i maestri di meditazione del passato hanno praticato il Dharma avendo in mente esattamente questo obiettivo. Così, quando meditiamo – e negli insegnamenti di Buddha possiamo trovare letteralmente centinaia di meditazioni diverse, a seconda del nostro livello di realizzazione – dovremmo farlo con questa stessa motivazione.
Quindi, le pratiche spirituali sono assai necessarie. Noi non siamo costretti a meditare da qualche agente esterno, da altre persone, o da Dio. Invece, proprio come siamo responsabili della nostra sofferenza, siamo anche gli unici responsabili per la sua cura. Abbiamo noi stessi creato la situazione in cui ci troviamo, e sta a noi creare le circostanze della nostra liberazione. Quindi, dato che la sofferenza permea la nostra vita, dobbiamo fare qualcosa di più della nostra regolare routine quotidiana: questo “qualcosa” è la pratica spirituale, o in altri termini la meditazione. Se non ci volgiamo dentro di noi e non addestriamo la mente, ma al contrario dissipiamo tutta la nostra energia nel sistemare e risistemare gli aspetti esteriori della nostra esistenza, la nostra sofferenza continuerà. La nostra sofferenza non ha un inizio, e, a meno che adottiamo una pratica spirituale efficace, non avrà neppure fine.
In generale è difficile praticare il Dharrna circondati da una grande abbondanza di cose materiali, perché vi sono molte distrazioni che interferiscono con la nostra meditazione. Tuttavia, la radice effettiva di queste distrazioni non sta nell’ambiente; non è nelle macchine industriali, nel cibo, o in cose del genere. E’ dentro la nostra mente. Mi ha piacevolmente sorpreso scoprire, in questa mia prima visita in occidente, che insieme col progresso materiale c’è un concreto interesse nella pratica del Dharma e nei diversi tipi di meditazione. Molti sono sinceramente alla ricerca del significato più elevato della vita umana, e cercano di trascendere le preoccupazioni quotidiane, animali, della loro esistenza. Da questo punto di vista credo che sia molto saggio che si cerchi di combinare un modo di vita spirituale con uno pratico, che fornisca profondo benessere mentale, oltre che materiale. Per queste persone, la vita non sarà certamente una promessa non mantenuta.
Un cibo preparato con molti ingredienti diversi può essere davvero ottimo. Nello stesso modo, chi abbia un lavoro o qualche analoga attività quotidiana e cerchi anche di lavorare per quanto possibile nel perfezionamento di un sentiero spirituale e nel seguire il Dharma, avrà una vita veramente ricca. Combinare questi due approcci alla vita porterà benefici veramente estesi.
C’è una gran differenza fra la mente, il sentire e le esperienze di chi arricchisce la propria vita quotidiana con una comprensione del Dharma e quelle di chi non lo fa. Il primo incontra molta minor confusione e prova molta minore sofferenza nell’affrontare le difficoltà del mondo materiale. Egli possiede una mente controllata e punti di riferimento significativi con l’aiuto dei quali riesce ad affrontare i problemi con abilità. Questo è vero non solo per le esperienze del quotidiano, ma specialmente per le difficoltà affrontate al momento della morte.
Per chi non si è mai impegnato in una pratica spirituale, non ha mai addestrato la propria mente con la disciplina della meditazione, le esperienze che accompagnano la morte possono essere davvero spaventevoli. Per i praticanti di Dharma più avanzati invece la morte è come un piacevole ritorno a casa, quasi come andare in un bel parco per un picnic. E anche per chi non ha conseguito le realizzazioni più elevate offerte dalla meditazione, la morte può essere una esperienza serena invece che orribile. Costui potrà affrontare la morte — e tutti lo dovremo fare prima o poi — con la mente pacifica Non sarà oppresso da paura o preoccupazione per quello che dovrà passare, o per i suoi cari, ì beni o il corpo che si lascia alle spalle. In questa vita abbiamo già sperimentato la nascita e stiamo ora invecchiando. L’unica cosa che ci possiamo aspettare ancora è la morte. Così, se la nostra pratica spirituale ci può aiutare ad affrontare l’inevitabile con mente serena, allora le nostre meditazioni avranno avuto grande utilità, anche se la nostra pratica spirituale può essere indirizzata ad obiettivi assai più elevati.
Per riassumere, quello che è importante non è l’aspetto esterno della nostra meditazione. Non conta molto che le braccia siano piegate in un modo e le gambe incrociate in un’altro. Invece è estremamente importante verificare e capire se la nostra meditazione, qualunque sia, è un vero rimedio per la nostra sofferenza. Davvero elimina le illusioni che ci oscurano la mente? Davvero combatte l’ignoranza, l’odio e l’avidità? Se in effetti riduce queste negatività mentali allora è una meditazione perfetta, davvero pratica e che merita di essere fatta. D’altro canto, se serve solamente a generare o accrescere le nostre negatività, come l’orgoglio, allora non è che un’altra causa di sofferenza. In questo caso, anche se magari affermiamo di stare meditando, di fatto non stiamo seguendo un sentiero spirituale o praticando il Dharma per nulla.
Il Dharma ci guida fuori dalla sofferenza, fuori dai problemi. Se la nostra pratica non ci guida in questa direzione, allora c’è qualcosa che non va e dovremo trovare l’errore. In effetti, la pratica fondamentale di tutti i veri yogi è scoprire quali delle loro azioni portano felicità e quali sofferenza successivamente essi si adoperano ad evitare le prime e a seguire le altre il più possibile. Ecco l’essenza della pratica del Dharma.
Una parola ancora. Tutti noi che stiamo iniziando la nostra pratica del Dharma, cominciando a meditare e ad acquisire controllo della mente, dobbiamo affidarci a fonti di informazione appropriate. Dovremmo leggere libri dalla indiscussa autorità, e quando ci sorgono dubbi, dovremmo consultare maestri che abbiano acquisito padronanza dello studio e della pratica. Questo è estremamente importante. Se ci faremo guidare dai libri scritti senza una comprensione adeguata, c’è il grande pericolo che passiamo la vita seguendo un sentiero non corretto. Ancora più importante è la scelta del maestro corretto, del guru o del lama. Costui o costei dovrà avere realizzazioni corrette e dovrà effettivamente vivere nella pratica del Dharma
La nostra pratica della meditazione, di coltivazione della mente, non dovrà essere passiva. Non potremo spezzare le catene della sofferenza con il solo accettare ciecamente quello che qualcuno, sia pure un grande maestro, ci dice di fare. Dovremo invece usare la nostra intelligenza innata per verificare e vedere se un comportamento che ci viene indicato è efficace. Se avremo buone ragioni per credere che un insegnamento è valido e ci sarà di aiuto, allora dovremo assolutamente seguirlo. Come con le medicine, una volta che ne abbiamo trovata una che ragionevolmente pensiamo ci possa curare, dovremmo prenderla. Altrimenti, se inghiottiamo qualunque cosa ci capita in mano, correremo il grave rischio di peggiorare la nostra malattia invece che curarla.
Questo è il mio consiglio finale per i principianti che hanno interesse allo studio del Dharma ed alla meditazione. La ricerca spirituale può essere davvero significativa. Tuttavia, anche se non potete praticare il Dharma, anche il solo comprenderlo può arricchire la vostra vita e renderla significativa. Penso che sia tutto; molte grazie.
Colophon: ristampato su licenza del Lama Yeshe Wisdom Archive. Edito by Nicholas Ribush.