Affrontare le esperienze difficili che sorgono in meditazione e in ritiro
Alexander Berzin, Luglio 2002. Traduzione in italiano a cura di Benedetta Lanza.
Introduzione
Il Buddha ha insegnato nei termini delle quattro nobili verità: problemi, loro cause, lo stato della loro completa eliminazione, i sentieri della mente che conducono a questa eliminazione. Pertanto, per affrontare esperienze difficili che si presentano durante la meditazione ed in ritiro e per eliminarle, dobbiamo conoscere le cause dei problemi.
Atteggiamento mentale, meditazione e comportamento
Una pratica buddhista equilibrata investe tre aspetti:
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un atteggiamento mentale, visione o stato mentale costruttivo (lta-ba),
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meditazione su di esso ( sgom), che vuol dire familiarizzarsi a questo stato mentale,
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integrazione dell’atteggiamento mentale nel nostro comportamento quotidiano ( spy-od-pa).
Se uno di questi viene meno, la nostra pratica avrà solo minimi risultati benefici. Probabilmente dovremo affrontare difficoltà e frustrazione, non solo nella meditazione ma anche nella vita.
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Se proviamo a meditare senza avere un atteggiamento costruttivo come stato mentale che desideriamo sviluppare tramite la meditazione, otterremo poco.
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Sapere cos’è uno stato mentale costruttivo ma non meditare su di esso, determina pochi cambiamenti in noi.
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Meditare su uno stato mentale costruttivo senza metterlo in pratica nella nostra vita quotidiana, trasforma la nostra meditazione in un hobby ed ha scarso effetto.
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Cercare di avere uno stato mentale costruttivo nella vita senza meditare su di esso è estremamente difficile.
Ascolto, riflessione e meditazione
Per meditare dobbiamo conoscere cos’è uno stato mentale, un atteggiamento o una visione costruttiva. Per questo, abbiamo bisogno del potere dell’ascolto (thos) di una spiegazione corretta in modo che, con questa informazione, possiamo farci un’idea precisa delle parole (sgra -spyi) su:
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lo stato di mente e cuore che desideriamo sviluppare – ciò su cui esso si concentra (dmigs-pa) e comeincontra cognitivamente questo oggetto (‘dzin-stangs) – come la compassione che si rivolge alla sofferenza degli altri e alle sue cause, con il desiderio che essi possano essere liberi da entrambe,
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la funzione dello stato della mente – l’emozione o atteggiamento distruttivo o disturbante che lo contrasta e come agisce per contrastarlo,
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i benefici dello sviluppare tale stato della mente,
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gli svantaggi del non svilupparlo,
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ciò da cui dipende lo stato della mente – ciò che dobbiamo sviluppare in precedenza che servirà da base allo sviluppo dello stato,
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le istruzioni per svilupparlo,
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in quale modo i metodi per sviluppare lo stato agiscono per produrlo.
Quindi, abbiamo bisogno del potere della ponderazione (bsam, pensare, contemplare, riflettere) in modo che:
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Comprendiamo i punti di cui sopra.
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Otteniamo un’idea precisa di ciò che effettivamente significano le parole che descrivono lo stato ( don-spyi) e ciò che comportano esattamente le istruzioni.
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Ci convinciamo che lo stato ed i metodi per ottenerlo sono conformi alla logica ed all’esperienza, e corrispondono agli insegnamenti del Buddha.
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Ci convinciamo dei benefici dell’ottenere lo stato e degli svantaggi del non svilupparlo, e quindi abbiamo un forte desiderio ed aspirazione ( ‘dun-pa) a conseguirlo.
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Questo desiderio e intenzione è ciò che nel Buddhismo s’intende per motivazione ( kun-slong). L’intenzione può essere non solo di ottenere questo stato quale nostro obiettivo o scopo, ma anche, una volta che l’abbiamo ottenuto, a usarlo per aiutare tutti gli altri esseri. La motivazione o l’obiettivo ha bisogno di essere accompagnato e supportato da un’emozione o atteggiamento costruttivi, come la compassione.
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Ci convinciamo che possiamo conseguire lo stato, basandoci sulla comprensione realistica del modo non lineare in cui crescono le buone qualità – il progresso ha alti e bassi.
Basandoci correttamente sui poteri dell’ascolto e della riflessione, possiamo quindi impegnarci nella meditazione per ottenere e familiarizzarci con lo stato mentale costruttivo. Per fare ciò, abbiamo bisogno di un maestro spirituale che ci guidi, che verifichi i nostri progressi e che corregga qualsiasi errore nella nostra pratica.
Meditazione quotidiana
Per fare qualunque progresso nella meditazione è essenziale la pratica quotidiana. Come accade quando prendiamo un voto, se promettiamo di impegnarci tutti i giorni in una pratica, eliminiamo la difficoltà o indecisione che quotidianamente può sorgere sul se meditare o meno. La buona abitudine di meditare deve diventare radicata come l’abitudine di lavarsi i denti.
In aggiunta ai consueti metodi buddhisti per superare pigrizia e frustrazione e per sviluppare auto disciplina etica, pazienza e perseveranza gioiosa, i seguenti passi sono utili per ridurre al minimo le difficoltà nell’instaurare una pratica meditativa quotidiana.
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Meditate o al mattino presto appena svegli o la sera tardi prima di andare a dormire. Questo ridurrà al minimo la distrazione per le occupazioni della giornata e per il rumore della strada e della casa. La sera, però, non aspettate fino a quando siete così stanchi che diventa una lotta stare svegli.
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Non meditate a stomaco pieno per evitare la sensazione di pesantezza o fiacchezza.
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Spazzate il pavimento e pulite la stanza di meditazione, per aiutare la mente ad essere più composta.
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Fate offerte, almeno delle ciotole d’acqua, e fate prostrazioni prima di sedervi a meditare, per mostrare rispetto.
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Accertatevi che la postura di meditazione sia comoda, in modo da rendere minimo il dolore fisico.
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Fate in modo che la pratica quotidiana minima sia breve in modo da essere gestibile anche quando siete molto occupati, malati o se state viaggiando.
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Strutturate il periodo meditativo con 1) preliminari – come il calmarsi focalizzandosi sul respiro, riaffermare la motivazione e svolgere la pratica in sette rami – 2) la meditazione principale e 3) la dedica. Se la forza positiva della meditazione non è dedicata all’ottenimento dell’illuminazione per il beneficio degli altri, servirà semplicemente a beneficiare la nostra esistenza samsarica.
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Non tentate una meditazione troppo avanzata senza essere ben preparati e pronti – non solo nei termini di avere il potere dell’ascolto e della riflessione e di aver meditato sugli stadi che portano ad esso, ma anche nei termini dell’avere sufficiente maturità e stabilità emotiva.
Ritiri tantrici
Nel Buddhismo tibetano tradizionale, “ritiro” è generalmente riferito all’effettuare un ritiro funzionale di una specifica forma di Buddha (yidam, divinità). Il completare tale ritiro, insieme alla conclusiva puja del fuoco (sbyin-sreg), rende la nostra mente idonea ad essere usata per la forma di Buddha e la sua pratica. Rende la nostra mente idonea all’autoiniziazione (bdag-‘jug), a rinnovare i nostri voti tantrici ed idonea ad impegnarsi in pratiche più avanzate della forma di Buddha.
Durante un ritiro funzionale, si recita la sadhana per visualizzarci come forma di Buddha e si ripete il relativo mantra centinaia di migliaia di volte. Ciò può essere fatto nel contesto di quattro, tre, due o una sessione al giorno.
Il numero di mantra che si recitano durante la prima sessione dell’intero ritiro, stabilisce il numero minimo che dobbiamo recitare ogni giorno. Perciò, durante questa sessione iniziale, è consigliato di recitare il mantra solo poche volte, per esempio solo tre volte, così se ci ammaliamo saremo comunque in grado di recitare almeno questo numero. E’ importante non interrompere mai la continuità del ritiro saltando un giorno di pratica. Avendo soltanto tre ripetizioni del mantra come pratica richiesta, si riducono al minimo le difficoltà se ci si ammala.
I ritiri funzionali non s’intendono come un periodo per studiare e familiarizzarci con una pratica tantrica – per averne un “assaggio” o “esperienza.” I praticanti si impegnano in essi solo dopo avere già studiato ed averle praticate, in modo da avere già una profonda familiarità e non più domande o dubbi.
Molti praticanti si prendono dei periodi di stacco dalla loro vita per effettuare una o più delle speciali pratiche preliminari del tantra – le centomila ripetizioni, tipicamente delle prostrazioni, il mantra in cento sillabe di Vajrasattva, le offerte del mandala ed il guru yoga. Queste pratiche intensive non sono formalmente chiamate “ritiro.”
I ritiri nel moderno uso occidentale del termine
I buddhisti occidentali contemporanei spesso utilizzano il termine ritiro per qualsiasi corso residenziale di meditazione, anche solo di un fine settimana, e per qualunque periodo di tempo in cui si interrompa la propria vita quotidiana indaffarata e che venga trascorso in solitudine meditando su qualsiasi argomento. Questo può includere tempo trascorso su temi di riflessione come quelli del lam rim (il sentiero graduale per l’illuminazione), per ottenere una comprensione di base su di essi.
Alcuni occidentali chiamano “ritiro” anche il tempo trascorso in solitudine studiando o familiarizzandosi con una particolare pratica. L’obiettivo è quello di avere un “assaggio” o “ un’esperienza” che possano ispirarli per la pratica futura.
Questi tipi di ritiro possono portare a rivalità con altri praticanti e a delusione se non si ottiene alcuna esperienza. Se avere un’esperienza è lo scopo di un ritiro, è importante intraprenderlo senza alcuna speranza o aspettativa di ottenere alcun risultato.
Ritiri solitari contro ritiri di gruppo
Tradizionalmente i buddhisti tibetani fanno ritiri solitari. Così, devono contare su sé stessi per la disciplina. Se fanno ritiri con altri – principalmente per mettere insieme risorse economiche – generalmente ogni persona medita da sola; e quando il ritiro prevede ripetizioni di mantra, ognuno lo fa al proprio ritmo.
Molti occidentali preferiscono ritiri di gruppo nei quali tutti i partecipanti meditano insieme. Il principale vantaggio è che questo metodo di pratica assicura la disciplina che sarebbe difficile mantenere da soli. Lo svantaggio è che possono portare a dipendenza, rivalità, distrazione e fastidio.
Il mantenere un rigoroso silenzio durante il ritiro può ridurre al minimo alcuni di questi pericoli. Sessioni periodiche di discussione possono fornire l’opportunità di condividere esperienze. Incontri periodici obbligatori con il maestro spirituale che guida il ritiro forniscono una supervisione che può aiutare i partecipanti ad evitare errori e risolvere dubbi.
Lung (disordini sottili dell’energia)
Che sia in un ritiro o nella nostra meditazione quotidiana, è importante non strafare. Il chiedere troppo a noi stessi porta ansia e frustrazione, comunemente chiamate in tibetano disordine del lung (rlung, energia-vento sottile). Il lung può anche manifestarsi a causa di preparazione insufficiente al ritiro o alla pratica meditativa, e per la confusione e frustrazione causate dalla mancanza di chiarezza circa ciò che si sta facendo o perché.
Il lung può manifestarsi con battito accelerato, dolore intorno al cuore e schiena ed una generale sensazione di nervosismo, inquietudine e irritabilità. Può causare visioni, campanelli nelle orecchie, esperienze di sentirsi “fuori dal corpo” e/o insonnia.
Gli squilibri del lung non sono facili da calmare. Sapere quando va fatta una pausa e riposarsi è utile, così come lo è guardare un ampio panorama, ridere, l’affetto amichevole, ed il tenersi caldi. Se necessario si può fare un sonnellino durante il giorno, solo venti minuti sono sufficienti per rinfrescarsi ed abbastanza brevi da evitare la sensazione di pesantezza e fiacchezza di quando si dorme troppo a lungo durante il giorno. Evitate di sentire freddo, di trovarvi esposti a scrosci o vento o sotto un ventilatore, ascoltare musica a volume alto, soprattutto musica con una forte base e percussioni. Anche macchinari rumorosi e gli schermi di televisione e computer che emettono molte radiazioni possono peggiorare il lung.
Anche la dieta influenza il lung. Alimenti che peggiorano un disturbo del lung sono:
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caffè, tè nero, tè verde, cioccolata e qualsiasi cosa contenga caffeina,
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lenticchie,
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pollo,
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maiale.
Alimenti che calmano un disturbo del lung sono:
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prodotti caseari grassi
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latte caldo
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agnello
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prodotti a base di grano come il pane
Sconvolgimenti emotivi durante il ritiro
Durante i ritiri, ricordi profondi ed emozioni represse vengono spesso a galla. Questo avviene soprattutto quando si riflette sugli insegnamenti e si fa meditazione analitica, particolarmente in riferimento alla propria esperienza di vita. Lo spazio tranquillo del ritiro e la meditazione abbassano le nostre difese interiori e, di conseguenza, queste affiorano naturalmente. Nei termini della psicologia occidentale il processo della meditazione ci aiuta ad avere accesso all’inconscio.
Se questi ricordi ed emozioni affiorano ed il farne esperienza porta molto turbamento, è utile recitare un mantra come om mani padme hum, con un sentimento di compassione, e non reprimerli. Il mantra e la compassione forniscono un saldo contenitore per l’esperienza. Soprattutto quando non si è impegnati in un ritiro funzionale o in un ritiro per sviluppare la concentrazione, il lavorare su questo materiale emotivo applicando i metodi del Dharma può essere di grande beneficio.
(TRATTO DAL SITO: http://www.berzinarchives.com/web/it/archives/sutra/level1_getting_started/approaching_study_meditation/dealing_difficulties_meditation.html che devotamente ringraziamo per la sua compassionevole gentilezza verso tutti gli esseri che soffrono in questa dolorosa esistenza samsarica.)