3 – I tre addestramenti e l’ottuplice sentiero nella vita quotidiana. Terza sessione: retta consapevolezza, concentrazione, visione, ed intenzione.
Alexander Berzin, Kiev, Ucraina, Giugno 2013.
Revisione
Stiamo continuando la nostra discussione a proposito dei tre addestramenti, nel contesto di come possono aiutarci nella nostra vita quotidiana. Ciò comporta mettere in pratica il cosiddetto ottuplice sentiero.
I tre addestramenti sono:
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nell’auto-disciplina etica,
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nella concentrazione,
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e nella consapevolezza discriminante.
Utilizziamo, o cerchiamo di implementare, la retta parola, la retta azione o comportamento, e il retto modo di guadagnarci da vivere al fine di sviluppare l’auto-disciplina etica. Ed ora abbiamo iniziato la nostra discussione sull’addestramento nella concentrazione, e i tre fattori che sono coinvolti qui sono: il retto sforzo, la retta cosciente consapevolezza, e la retta concentrazione.
Abbiamo visto che il retto sforzo significa impegnarsi a:
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Cercare di evitare modi disturbanti di pensare, e modi distruttivi di pensare.
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Cercare di liberarci da cattive abitudini, dai nostri difetti in termini di diverse qualità che abbiamo, qualsiasi esse siano: pigrizia, egoismo, ecc.
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Sviluppare buone qualità, come una maggior pazienza ed una maggior gentilezza, qualsiasi siano le qualità in cui abbiamo un deficit e che abbiamo bisogno di sviluppare, oppure, se già le possediamo, svilupparle maggiormente.
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Cercare di liberarci degli ostacoli alla concentrazione.
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Cercare di liberarsi dagli ostacoli alla concentrazione: questo può essere di portata molto vasta.
Abbiamo analizzato i cinque tipi di ostacoli alla concentrazione che sono menzionati nei testi, vi sono tuttavia molte misure che possiamo prendere, che vanno oltre a questi. Sto pensando ad esempio a quando stiamo lavorando, possiamo spegnere i nostri telefoni cellulari, oppure decidere che ogni giorno guarderemo i messaggi o le email, questo genere di cose, in determinati momenti della giornata, e non averli completamente aperti, in modo da essere in grado di concentrarci e focalizzarci su qualsiasi cosa dobbiamo fare. Come un dottore o un professore hanno i propri orari d’ufficio: non puoi andar lì in ogni momento. Ci sono certi orari in cui essi sono disponibili. Quindi, in modo simile, possiamo fare lo stesso con noi stessi. Come per il dottore, se c’è qualche emergenza allora naturalmente lo si può contattare. Ma a parte questo, stabiliamo certi orari o certi momenti che abbiamo intenzione di dedicare alle nostre interazioni sui social network, o qualsiasi cosa sia, e li manteniamo fermamente. Questo ci aiuterà a sviluppare la nostra concentrazione.
È molto interessante se guardiamo allo sviluppo sociale. Un tempo gli ostacoli principali alla concentrazione avevano a che fare con i nostri stati mentali: vagheggio mentale, sogni ad occhi aperti, questo genere di cose. Ma ora c’è molto di più. Vi sono molti più ostacoli provenienti dall’esterno, da tutto questo messaggiare telefonicamente, e Facebook, e Twitter, e le email, tutta questa sorta di cose. Abbiamo davvero bisogno quindi di sforzarci molto per non essere sopraffatti da tutto questo. Per farlo, è necessario riconoscere gli aspetti dannosi di questi mezzi di comunicazione, ed uno dei più dannosi è che la nostra soglia di attenzione diventa sempre, sempre più bassa. Con Twitter vi è solo un certo numero limitato di caratteri, lo scorrere continuo di questi messaggi su Facebook, e via dicendo; tutto è molto veloce, per cui non ci si addentra realmente in nulla; tutto cambia continuamente. Quindi questo crea un’abitudine terribile, dannosa alla concentrazione perché non presta attenzione a nulla; si deve cambiare in continuazione. E’ qualcosa perciò di cui stare attenti.
Retta cosciente consapevolezza
Va bene. Ora, la prossima caratteristica, il prossimo aspetto dell’ottuplice sentiero ad essere coinvolto nella concentrazione, è la retta cosciente consapevolezza:
La cosciente consapevolezza (dran-pa) è praticamente una colla mentale. Quando ci si sta concentrando, ci si sta mantenendo fissi su di un oggetto. Questo ci impedisce di lasciarlo andare.
È accompagnata dalla vigilanza (shes-bzhin). La vigilanza serve a monitorare se la vostra attenzione vaga, o se diventate offuscati o sonnolenti.
E quindi si usa l’attenzione (yid-la byed-pa): il modo in cui considerate l’oggetto, il modo in cui guardate l’oggetto.
E ciò che è coinvolto qui, è il modo in cui prestiamo attenzione al nostro corpo, alle nostre sensazioni, alla nostra mente, ai nostri diversi fattori mentali: in altre parole, in che modo li giudichiamo o li consideriamo? E quindi la cosciente consapevolezza mantiene questo. Perciò, quello che vogliamo evitare, è mantenere e non lasciare andare maniere scorrette di considerare il nostro corpo e le sensazioni e via dicendo. Quando non lasciamo andare, questo ci rende distratti e incapaci di concentrarci.
E’ un po’ astratto non è così? Dunque dobbiamo spiegarlo.
Riguardo il nostro corpo
Il nostro corpo. Quando parliamo del corpo, stiamo parlando, in generale, del nostro corpo, o delle varie sensazioni fisiche, o dei vari aspetti del nostro corpo. E una scorretta considerazione di questo, è quella secondo cui il corpo è piacevole per natura, o è pulito e bello per natura. Passiamo tutto il tempo – e siamo molto, molto distratti – a preoccuparci di come sembriamo, ad esempio, spendendo un’ora per i nostri capelli, e il trucco, e il modo in cui ci vestiamo, e così via. E’ una distrazione tremenda. Ora, naturalmente dobbiamo tenerci puliti e presentabili, ma quando si passa ad un estremo e si pensa che il modo in cui il corpo appare sia fonte di piacere, e che debba sempre essere magnifico, sempre a cercare di attrarre gli altri con il proprio aspetto fisico, non si è concentrati su nulla di più significativo, non è vero?
E, se guardiamo al corpo: se si è seduti, ci si sente scomodi, e allora ci si deve muovere. Si sta distesi, e questa posizione non è comoda, quella non è comoda. Ci sono problemi, non è così? Ci ammaliamo. Invecchiamo. Ora, naturalmente è necessario prendersi cura del proprio corpo ed assicurarsi di essere in buona salute, fare esercizio, e via dicendo, ma essere concentrati eccessivamente su questo – pensare che questa sia la fonte di piacere duratura – è un problema.
Quindi la cosciente consapevolezza scorretta di cui ci vogliamo liberare, questa cosciente consapevolezza sbagliata, è quella per la quale manteniamo, e non lasciamo andare, l’idea che la maniera in cui appaiono i nostri capelli sia la cosa più importante, che si sia coordinati con i colori dei propri vestiti, e che tutto sia in ordine, e così via; che questo sia così importante e che sia la fonte di quanto ci porterà felicità. Smettere di aggrapparci a questo. E la cosciente consapevolezza corretta è quella per cui pensiamo: “Non è fonte di felicità. E’ soltanto un problema, e sprecherà il mio tempo e mi impedirà di concentrarmi su qualcosa di più significativo.”
Oppure: “Devo sempre essere pulito. Devo sempre lavarmi le mani.” Beh, anche se toccate qualcosa di sporco, allora? Potete lavarvi le mani. Non essere dunque così fanatici della pulizia e timorosi di toccare qualcosa di sporco. Non vado oltre in questa questione, ma vi sono molte cose che certamente non vorremmo avere nelle nostre mani (usate la vostra immaginazione). Tuttavia, anche se vi capita di averle sulle vostre mani, allora? Potete lavarle. Nulla di cui preoccuparsi: “Oooh!”
Riguardo le nostre sensazioni
Quindi il prossimo riguarda le sensazioni. E qui si sta parlando delle sensazioni di infelicità o felicità. E questo ha a che fare, fondamentalmente, con la fonte della sofferenza, la fonte dei problemi. Vedete, quando si è infelici, il termine che viene usato qui è quello di una sete (sct. trishna), è come se si fosse davvero assetati, “devo liberarmi di questa infelicità.” E, se si possiede un po’ di felicità, è come se si fosse veramente assetati e si avesse un sorso d’acqua: ci si sente un po’ felici, ma si è assetati, e se ne deve avere di più. Questa è fondamentalmente la fonte dei problemi.
Quando consideriamo quest’infelicità come la cosa più orribile del mondo, e pensiamo di dover liberarci di essa a tutti i costi, questo crea un problema con la concentrazione. In che modo? Siamo seduti, e sentiamo: “sono un po’ scomodo,” o “non sono di buon umore,” o “sono infelice.” Beh, come stavo spiegando l’ultima volta, nulla di speciale. Quindi? Continuate semplicemente con il vostro lavoro o qualsiasi cosa stiate facendo. “Ho mal di testa,” oppure “non sono di un umore molto buono,” o qualsiasi cosa. Allora? Non aggrappatevi a questo come se fosse la cosa più orribile, e quindi ve ne preoccupate: “come faccio a liberarmi di questo? E’ così terribile.” E vi lamentate con voi stessi nella vostra mente, e con chiunque altro vi stia accanto. Questo crea un serio ostacolo al fatto di concentrarvi su qualsiasi cosa stiate facendo, quando state parlando con qualcuno, tanto più quando state lavorando.
Oppure, se ci sentiamo bene, siamo di buonumore, e così via, non distraiamoci aggrappandoci al pensiero “oh, è così fantastico. Voglio che sia di più. Non voglio che se ne vada.” Questo può succedere quando si sta meditando e ci si sente bene: si viene distratti dal pensare a come sia magnifico. O, nuovamente, quando si sta con qualcuno e ci si sente molto bene, oppure se si sta mangiando qualcosa e si sta godendo di questo. Con la cosciente consapevolezza sbagliata ci si aggrappa al pensiero “è così fantastico,” e se ne fa una cosa così grande, e si viene distratti da ciò. Godetene per quello che è, e non fatene qualcosa di speciale. Non è nulla di che.
Riguardo la nostra mente
Quindi il prossimo è il modo in cui consideriamo la nostra mente. Se ci aggrappiamo e non lasciamo andare l’idea che la nostra mente sia per sua natura piena rabbia, od egoismo, oppure stupidità, o pigrizia, e ci aggrappiamo al fatto che qualcosa sia intrinsecamente sbagliato nella nostra mente, ed imperfetto, nuovamente non siamo in grado di concentrarci. Stiamo sempre a pensare in termini di noi stessi, e “oh, non sono bravo abbastanza, ” “non sono questo, non sono quello,” “non riesco a capire.” Non ci provi nemmeno. Se ci aggrappiamo all’idea che “sono confuso e non capisco,” beh, è senza speranza non è così? Mentre – retta cosciente consapevolezza – se si mantiene il fatto che: “beh, temporaneamente potrei essere confuso, temporaneamente potrei non essere in grado di capire qualcosa, ma ciò non significa che questa sia la natura della mia mente, che io sia stupido, e via dicendo.” Usate la concentrazione per cercare di lavorarci su.
Riguardo i nostri fattori mentali
E quindi il quarto concerne i nostri fattori mentali, come intelligenza, gentilezza, pazienza, e così via. Non lasciare andare, attraverso la colla mentale, l’idea per la quale “questo è il modo in cui sono, e tutti devono accettarlo” e “non c’è nulla che io possa fare per cambiarlo o coltivarlo:” questa è la cosciente consapevolezza sbagliata. Invece, la cosciente consapevolezza corretta è vedere che tutti questi fattori possono essere sviluppati, che non sono congelati ad un certo livello, e che quindi possono essere usati per coltivare, in questo contesto, la concentrazione.
Prendere il controllo di noi stessi
Se analizziamo noi stessi, è davvero molto strano il modo in cui affrontiamo il fatto di trovarci di cattivo umore, oppure il fatto di essere depressi. Abbiamo una cosciente consapevolezza sbagliata. Cosa significa questo? Ci aggrappiamo a ciò, non lasciamo andare, e quindi siamo bloccati in questo cattivo umore o in questa depressione, non è vero? O colpa. Anche la colpa è una cosciente consapevolezza sbagliata. Abbiamo commesso un errore. Abbiamo fatto qualcosa che era sbagliato. Beh, va bene. Tutti commettono errori. Siamo umani. Ma con la cosciente consapevolezza sbagliata, ci aggrappiamo a questo fatto, e non lasciamo andare. “Sono così cattivo. Quello che ho fatto è stato così brutto,” e poi mantieni questo pensiero, e non lo lasci andare. Picchi te stesso per come sei cattivo. Devi lasciare andare. La cosciente consapevolezza corretta è quindi notare che: “gli umori possono cambiare. Derivano da cause e condizioni, e cambieranno per mezzo di cause e condizioni. Niente rimane per sempre.”
Uno dei suggerimenti che troviamo all’interno degli insegnamenti buddhisti, e che è molto, molto utile, è quello di prendere il controllo di se stessi: suona un po’ dualistico, ma, in ogni caso, fatelo. E’ come il modo in cui ci alziamo la mattina: siete stesi a letto. Non vorreste veramente alzarvi. E’ molto confortevole, e vi sentite un po’ annebbiati. Beh, semplicemente, prendete il controllo di voi stessi e vi alzate. Questo è il modo in cui vi alzate, no? Abbiamo la capacità di farlo, non ci alzeremmo mai la mattina altrimenti, quindi la stessa cosa vale per quando siamo di cattivo umore, oppure ci sentiamo giù. Prendete il controllo di voi stessi e “Allora!” Non lasciatevi andare, continuate quello che dovete fare.
Altri aspetti della cosciente consapevolezza
La cosciente consapevolezza è molto, molto importante in un contesto più generale. Ci impedisce di dimenticarci di qualcosa. Perciò, c’è qualcosa che dobbiamo fare, vogliamo avere la cosciente consapevolezza corretta che ci aiuti a concentrarci e quindi a farla; altrimenti ce ne dimentichiamo. Potresti ricordarti – la cosciente consapevolezza ha a che vedere con il ricordare – che c’è il tuo programma televisivo preferito stasera. Ti stai aggrappando perciò a qualcosa che non è veramente così importante, e ti dimentichi che hai bisogno di comprare degli alimentari per nutrire la famiglia. Pensi: “oh, ho dimenticato di andare al negozio. Ho dimenticato di prendere questo. Ho dimenticato anche che dovevo prendere il latte.” Non stai tenendo a mente perciò cose che è necessario che tu tenga a mente, tuttavia stai tenendo a mente cose che sono completamente futili. “Voglio arrivare a casa così posso vedere la partita di football.”
Ed inoltre, se stiamo seguendo qualche sorta di allenamento, vi è la cosciente consapevolezza corretta per tenerlo a mente. Voglio dire, potrebbe trattarsi di qualsiasi tipo di allenamento. Come, ad esempio, se stiamo facendo esercizio fisico: manteniamo il fatto di fare esercizio ogni giorno. Oppure, se stiamo seguendo una dieta, ci ricordiamo che siamo a dieta e non prendiamo quel pezzo di torta quando ci viene offerto. Cosciente consapevolezza corretta.
Quello che è molto utile, sono le immagini di animali (vengono usate molto nell’addestramento buddhista). Quindi, stiamo lavorando, o meditando, o stiamo facendo qualcosa di costruttivo, aiutando qualcuno, e qualcuno dice: “oh, c’è una torta.” E diventiamo come dei cuccioli di cane e saltiamo su e giù, “ooh! ooh! Torta!” In questo modo, siamo tutti eccitati. Se pensate dunque in termini di: “mi sto comportando come questo cucciolo di cane che è così eccitato di ricevere un osso o ricevere una sorpresa?” Allora vedete come questo sia ridicolo.
Cosciente consapevolezza: tenere a mente quanto si sta facendo, e non essere distratti da tutte queste cose. Ha a che fare con il modo in cui consideriamo il nostro corpo e le nostre sensazioni (felicità, infelicità), ecc. E’ un tema piuttosto vasto.
Domande e risposte sulla cosciente consapevolezza
Va bene, qualche domanda a questo proposito?
Partecipante: Trovo sia molto più facile mantenere la cosciente consapevolezza mentre si è con qualche altra persona piuttosto che quando ci si sta relazionando con qualcuno di vicino, con i propri familiari ad esempio, ed è forse molto difficile essere consapevole della propria etica. Magari ha qualche consiglio su cosa fare se si sa che ci si relazionerà con qualcuno che rende la propria cosciente consapevolezza più debole.
Alex: Il suggerimento generale in situazioni come queste, è quello di stabilire inizialmente un’intenzione molto forte. Per cui, quando incontri i tuoi familiari, o passi del tempo con loro, [generi] questa forte intenzione per la quale “cercherò di mantenere la calma. Cercherò di ricordarmi che sono stati molto gentili con me. Mi sono vicini. Il modo in cui li tratto inciderà sui loro sentimenti,” questo tipo di pensieri. Iniziare con questa forte intenzione è molto importante.
E, per iniziare, ricordiamo a noi stessi che sono esseri umani. In altre parole, non identifichiamoli con i ruoli di madre, padre, sorella, fratello, qualsiasi sia il familiare che si sta andando a visitare o che sta venendo a farci visita. Perché, se li consideriamo solamente con un certo ruolo (madre, padre, ecc.), e rimaniamo aggrappati – questa cosciente consapevolezza – a questo, allora tendiamo a reagire con tutte le nostre proiezioni di cosa sia una madre, un padre, e tutte le storie che abbiamo avuto: molte aspettative e delusioni. Cerchiamo solamente di relazionarci con loro in questo modo: un essere umano con un altro essere umano. E se loro non sono consapevoli di questo, ed iniziano a trattarci come se avessimo ancora dodici anni, non cadiamo nello schema di agire allora come un dodicenne. In che modo? Ricordando che sono esseri umani, e non giocando con loro (bisogna essere in due per ballare).
Mia sorella era venuta a farmi visita per una settimana giusto prima che venissi qui, mia sorella maggiore. Andava a letto molto presto la sera, dicendomi come fosse mia madre: “Beh, vai a dormire adesso,” questo genere di cose. Ora, se reagissi come un dodicenne e dicessi: “no, è troppo presto. Non voglio andare a dormire. Voglio stare su. Perché mi stai dicendo di andare a letto?” Allora sarebbe soltanto giocare allo stesso gioco, non è così? Non aiuterebbe affatto. E ne rimarrei solamente infastidito. Perciò, quello di cui ci si deve ricordare in questo caso, è che questa persona mi sta dando questo consiglio perché si preoccupa per me. Non sta facendo questo perché vuole farmi arrabbiare. Pensa che sia un bene per me. Si cerca dunque di avere una visione molto più realistica di come stia agendo, piuttosto che proiettare su tua sorella il fatto che è una madre e noi siamo ragazzini di dodici od otto anni.
Pertanto, l’intenzione, prima che arrivino, di cercare di restare consapevoli di ciò, e poi, quando sono con noi, il riaffermare la nostra motivazione (facciamo questo prima, ma anche per tutto il tempo che stiamo con loro). Motivazione significa:
L’obbiettivo. Quale obbiettivo vogliamo avere? Potrebbe essere una bella interazione con queste persone. Si preoccupano per me, io mi preoccupo per loro. Abbiamo una lunga storia assieme, quindi il nostro obbiettivo è stare bene insieme.
E quindi l’emozione che va con ciò. E l’emozione è interessarsi a queste persone in quanto esseri umani.
Un’altra maniera utile di vedere la cosa, piuttosto che pensare: “è un calvario orribile. Devo affrontare i miei parenti,” è vederla come una sfida ed un’opportunità per crescere: come si stesse giocando un gioco al computer: “questa è una sfida. Posso farcela?” In questo modo diventa divertente. E’ una sfida. “Posso affrontare una cena con i miei genitori senza perdere la calma?”
E quindi i genitori iniziano a tormentarti, come i genitori fanno spesso: “perché non ti sposi? Perché non trovi un lavoro migliore? Perché non hai ancora figli?” Questo genere di cose. (La prima cosa che ha detto mia sorella quando mi ha visto è stata: “hai bisogno di tagliarti i capelli.”) Riconoscete quindi che vi stanno chiedendo queste cose perché si interessano, e dite: “beh, grazie per essere molto interessati.”
Riconoscete il contesto da cui provengono. Le circostanze da cui provengono, per la maggior parte di loro, sono tali che tutti i loro amici gli stanno chiedendo: “beh cosa sta facendo vostro figlio? cosa sta facendo vostra figlia?” E devono interagire socialmente con i loro amici. Quindi c’è questo dietro al loro interessamento. Non vi stanno chiedendo per cattiveria: “perché ancora non ti sposi?” Devono affrontare i loro amici. E sono anche interessati alla vostra felicità. Riconoscete questo. Questo è il primo passo. Diteglielo. “Capisco che avete questa pressione, e i vostri amici, e via dicendo, capisco che siete interessati a me. Lo apprezzo.” Calmi. E spiegate: “beh, non è così facile,” o qualcosa del genere, ma rimanete calmi. Tuttavia penso che soltanto il riconoscimento di come abbiano difficoltà a causa di questo, sia molto d’aiuto per loro. Dimostra che li apprezzate e che avete interesse per loro. Questa diventa una relazione molto più umana, da essere umano ad essere umano, una relazione tra pari, piuttosto che quella tra un dodicenne e un genitore.
Questa cosciente consapevolezza: a cosa ci aggrappiamo e cosa non lasciamo andare? Spesso ciò a cui ci aggrappiamo non è affatto produttivo. Spesso sono storie vecchie del tipo: “hai fatto questo dieci anni fa,” e ci aggrappiamo a questo, e non diamo a nessuno un’altra possibilità. E questo impedisce la nostra concentrazione sul modo in cui le persone sono ora, non è vero? Ci aggrappiamo a preconcetti – la cosciente consapevolezza, la colla – ci aggrappiamo ad un preconcetto per il quale “ciò sarà orribile. I miei genitori stanno venendo qui,” oppure: “devo andare a cena con i miei genitori, e sarà orribile.” Con un preconcetto, abbiamo già deciso che sarà terribile, questo quindi già ci rende molto tesi, non è così? Perciò, lasciamo andare questa cosciente consapevolezza sbagliata. E quello che metteremo in pratica – cosciente consapevolezza corretta – sarà: “qui c’è un’opportunità per vedere come sono. E risponderò in base a come la situazione si rivela, senza preconcetti.”
Qualcos’altro a proposito della cosciente consapevolezza? E’ un argomento molto importante, davvero.
Partecipante: Menzionavi questo tipo sbagliato di cosciente consapevolezza per la quale, ad esempio, possiamo essere consapevoli rispetto al calcio in TV, ma non rispetto al fatto di andare a prendere alimenti e fare cose basilari. Tuttavia, quando leggiamo delle vite di grandi maestri del passato, possiamo vedere esempi di persone simili – esseri addestrati molto profondamente ed altamente realizzati – quasi incapaci di fare tutto, eccetto praticare. Non erano in grado di compiere tutte queste cose basilari. Dove troviamo dunque questo sottile equilibrio?
Alex: Beh, ho vissuto in India per ventinove anni assieme a grandi maestri tibetani. Passavo con loro una grande quantità di tempo. E, ovviamente vi sono differenze individuali, ma ho trovato, con i maestri davvero altamente realizzati, che sono perfettamente capaci di trattare anche con le cose pratiche. Tutto dipende dalla personalità di ciascuna persona. Non si può dire che la pratica in sé renda incapaci di affrontare la vita concreta. In generale, alcune persone non sono molto pratiche, e altre lo sono. Per cui sì, ho incontrato alcuni grandi maestri i quali non erano molto pratici, ma la maggior parte di coloro con i quali ho avuto personalmente un’interazione, era molto radicata a terra, molto radicata a terra.
Ghesce Wangyal fu un grande ghesce mongolo calmucco, il primo con cui sono stato in America. Aveva un numero di studenti che vivevano con lui, nel New Jersey, ed egli non soltanto insegnava loro il Dharma buddhista, ma gli insegnava anche come cucire, come produrre i propri vestiti, come cucinare, come costruire una casa. Era incredibilmente pratico. Oppure Serkong Rinpoche, il mio principale maestro, era molto conosciuto e famoso per essere in grado di capire ed affrontare problemi molto complessi, diciamo in un villaggio, o in una famiglia, o cose di questo tipo; per cui la gente andava spesso da lui per consigli pratici. Lo stesso Dalai Lama è molto pratico in termini del suo programma, della maniera in cui affrontare le cose, e così via.
Pertanto, certamente potrai leggere resoconti di maestri che stavano solamente nelle grotte, a meditare tutto il tempo, a vedere continuamente figure di daka, dakini e divinità, cose di questo tipo. Molto poco pratici, in un certo senso. Ma non direi che la maggioranza sia così, affatto.
Partecipante: Quando parliamo di fermare alcune intenzioni distruttive, potremmo pensare di sopprimere i nostri sentimenti e diventare nevrotici su questo, sul fatto di sopprimere i nostri sentimenti. Come affrontiamo dunque questa cosa in modo più equilibrato?
Alex: L’approccio non è quello di cercare di sopprimere e tenersi dentro la rabbia, ad esempio, quando sorge. Quello che stiamo cercando di fare è liberarci dalle cause delle rabbia, in modo che questa non ci sia. E’ abbastanza diverso quindi.
Ora, è vero che il primo livello di addestramento, la prima pratica, è l’autocontrollo. L’auto-disciplina etica riguarda questo, l’autocontrollo. Quindi, ad esempio, potrei essere arrabbiato e voler urlarti contro. Vi do un buon esempio. Avete un bimbo piccolo, di due anni, e gli chiedete di portarvi un bicchiere d’acqua. Ve lo porta, e lo rovescia, e voi vi arrabbiate: “grr, hai rovesciato l’acqua sul tappeto (o sul computer, o qualsiasi cosa sia, sulle vostre carte).” Vi arrabbiate dunque, e avete voglia di urlare contro al bambino, o di picchiarlo addirittura. Ora quindi vi sono due vie diverse. Beh, la prima cosa da fare è esercitare l’autocontrollo, e non colpire il bimbo o urlargli contro. Poi, sulla base di questo autocontrollo, potete:
sopprimere e tenere questa rabbia dentro di voi, ed essere molto, molto infastiditi e, di solito, molto poco piacevoli con il bambino.
Oppure analizzare e pensare: “beh, in realtà è stata la mia pigrizia a determinare ciò, perché non mi sono alzato a prendermi da solo il bicchiere d’acqua. E cosa mi aspetto quando chiedo ad un bimbo di due anni di portarmi un bicchiere d’acqua? Il bambino di due anni rovescia le cose. Inciampa. Non è attento. E se urlo contro mio figlio, o lo picchio, lui piangerà – sarà tutta una grande sceneggiata – e sarà anche peggio.”
Perciò, diversamente dal sopprimere e tenere la rabbia dentro, possiamo dissolvere questa rabbia perché vediamo che veramente non vi è alcuna ragione per essere arrabbiati. E quindi possiamo con calma dire al bambino: “per favore, sii più attento. Guarda cosa è successo,” e via dicendo, senza farla diventare una terribile sceneggiata (il bimbo piangerà e così via).
Nient’altro?
Partecipante: Vi è qualche consiglio pratico sul modo in cui allenare questa cosciente consapevolezza? E’ molto difficile mantenere la cosciente consapevolezza su queste cose utili, e la perdiamo costantemente. Vi sono quindi addestramenti pratici per questo?
Alex: L’allenamento pratico per mantenere la cosciente consapevolezza è, come ho detto:
l’intenzione. Quindi la forte intenzione di cercare di ricordare.
Familiarità. Familiarità significa come se steste prendendo nota, oppure leggeste queste cose sul mio sito web, e le leggeste più e più volte. Come si impara qualsiasi cosa a scuola? Sette per sei: come lo ricordate? Lo ripetete più e più volte, fino a quando non lo ricordate. E’ lo stesso processo. Oppure imparare una lingua. E’ lo stesso processo. E’ soltanto attraverso la ripetizione, la familiarità, e, in termini di avere a che fare con il nostro comportamento, quest’intenzione.
Quindi usate la vigilanza – il sistema d’allarme – per monitorare quando avete perso la vostra cosciente consapevolezza e riprendere l’attenzione, avere nuovamente quella presa mentale.
Tutto questo si basa su quello che chiamo atteggiamento premuroso (bag-yod). Ci si interessa del modo in cui si agisce e degli effetti del proprio comportamento sugli altri e su se stessi. Se non ci si preoccupa: “non mi interessa. Non mi interessa nulla di cosa faccio o di come io agisco,” non si avrà intenzione di mantenere la cosciente consapevolezza; non si avrà alcuna disciplina. E perché ci si preoccupa? Perché siamo essere umani. Mia madre e mio padre sono esseri umani. Vogliono essere felici. Non vogliono essere infelici. La maniera in cui parlo con loro, la maniera in cui li tratto, inciderà sui loro sentimenti, proprio come il modo in cui loro agiscono verso di me e mi trattano, incide sui miei di sentimenti. M’interesso di loro. Si può quindi mantenere la propria cosciente consapevolezza, e la vigilanza per monitorare se si perde tale cosciente consapevolezza.
Questo è dunque il fondamento di base dell’addestramento alla sensibilità che ho sviluppato – il quale si trova sul mio sito web – un intero programma per aiutarci a superare il fatto di essere insensibili rispetto al modo in cui le altre persone si sentono, rispetto agli effetti dei nostri comportamenti sugli altri, oppure di essere troppo sensibili, di preoccuparci eccessivamente. Se davvero ci preoccupiamo in un modo equilibrato – non troppo, non troppo poco – degli effetti del nostro comportamento sugli altri e su noi stessi, e di cosa stia realmente accadendo agli altri e cosa stia accadendo a noi stessi, allora manterremmo la cosciente consapevolezza. Abbiamo una ragione per farlo.
Dobbiamo veramente esaminare noi stessi. Qual è la nostra motivazione? E se la motivazione è: “voglio essere una brava ragazza (o un bravo ragazzo) così mamma e papà mi ameranno,” ciò è molto infantile, non è così? Amo l’immagine che usò uno dei miei maestri: “voglio soltanto essere un bravo ragazzo (o una brava ragazza), e mi prenderò una pacca sulla testa e scodinzolerò,” sapete, come un cane. E’ questo che volete? Questo è stupido. E’ necessario che ci sia una vera ragione per essere consapevoli, per avere disciplina, e via dicendo, e credo che quest’atteggiamento premuroso ne sia la base. Questo è il modo in cui è spiegato da Shantideva, un grande maestro buddhista indiano che visse nell’ottavo secolo.
Retta concentrazione
Va bene, andiamo avanti. Il terzo aspetto dell’ottuplice sentiero che applichiamo qui in termini di concentrazione, è chiamato retta concentrazione (la concentrazione stessa quindi). Si tratta dell’effettivo posizionamento mentale su di un oggetto. Quello che dobbiamo essere in grado di fare perciò, è avere una reale presa su qualunque sia la cosa su cui ci vogliamo concentrare. Una volta che abbiamo la presa, la cosciente consapevolezza la tiene lì, in modo che non la perdiamo. Ma la concentrazione sta tutta sul fatto iniziale di ottenere la presa sull’oggetto.
Quando abbiamo una mancanza rispetto a questo – ad esempio, se stiamo parlando a qualcuno – non poniamo neanche la nostra attenzione. Usiamo l’attenzione al fine di ottenere quella concentrazione, quel posizionamento mentale. E quindi, potrebbe essere che non c’importa. Che non siamo interessati a quello che hanno da dire, e perciò non li ascoltiamo neppure; non ci concentriamo su quanto stanno dicendo. Oppure siamo troppo impegnati.
O quello che sta capitando molto molto spesso al giorno d’oggi, molto più che in passato, è che si ha un’attenzione divisa, non si è quindi pienamente concentrati su nulla. Se guardate le notizie alla televisione – non so se l’avete qui (magari ce l’avete) – avete la persona al centro dello schermo televisivo, o del vostro computer, che racconta le notizie, ma poi, appena sotto, vi sono delle scritte che scorrono con notizie differenti, e poi ancora all’angolo avete la vostra pagina Facebook o qualcos’altro su, e non prestate attenzione o piena concentrazione su nessuna di queste cose. Pertanto, anche se potremmo dire di essere in grado di fare più cose allo stesso tempo, nessuno è in grado – a meno di non essere un Buddha – di mettere il 100% della propria concentrazione su tutte le cose che sta facendo.
Il nostro posizionamento mentale è sul nostro telefono cellulare mentre qualcuno sta cercando di parlarci. E’ un posizionamento mentale sbagliato perché le persone ci stanno chiedendo qualcosa e noi neanche prestiamo attenzione. Siamo dunque distratti, siamo troppo occupati, “oh, sono troppo occupato,” perciò non prestiamo neanche attenzione e non ci concentriamo, non abbiamo posizionamento mentale, su quello che qualcun altro sta facendo o dicendo, oppure quando vuole qualche sorta di interazione o risposta da parte nostra.
Ed inoltre, un’altra cosa che sta accadendo sempre di più in questi tempi, è che, anche se abbiamo un posizionamento mentale su qualcosa, ci è molto difficile mantenerlo. Siamo abituati alle cose che cambiano così velocemente, e guardiamo una cosa dopo l’altra, dopo l’altra, così ci annoiamo, e ci è difficile mantenere la nostra attenzione per un periodo protratto di tempo. Perciò questo tipo di concentrazione, soltanto per alcuni momenti su questo, alcuni istanti su quello, e altri su quello, è un ostacolo. E’ una concentrazione sbagliata. Se vogliamo essere in grado di concentrarci in modo appropriato, dobbiamo essere capaci di concentrarci per il tempo che è necessario, non annoiandoci e spostarci su altro perché non siamo più interessati.
Vedete, il problema è che vogliamo essere intrattenuti. Questo significa tornare alla cosciente consapevolezza sbagliata per la quale pensiamo che il piacere temporaneo che otteniamo dall’essere intrattenuti ci soddisferà, ma abbiamo sempre più, sempre più, sete. Perché dovremmo essere intrattenuti? I sociologi hanno scoperto che maggiori sono le possibilità delle cose da poter fare, o da poter guardare – ed internet ci offre una quantità illimitata di possibilità – più ci si annoia, e più si è tesi nel cercare di trovare qualcosa che sia divertente. E guardate qualcosa, e pensate: “beh ma, forse qualcos’altro è più interessante,” e quindi andate avanti e non rimanete focalizzati e concentrati su nulla. Pertanto, sebbene sia difficile da fare, è molto molto d’aiuto cercare di semplificare la propria vita – non avere così tante cose allo stesso tempo – e, sviluppando sempre di più la concentrazione, sarete in grado d’incrementare la portata di ciò di cui vi potete prender cura e che potete affrontare.
Se si ha concentrazione, ed è una buona concentrazione, ci si può concentrare su questo, e poi ci si può concentrare su quello, e poi concentrare su quell’altro; ma soltanto uno alla volta, senza essere distratti. Pensate all’esempio di un dottore. Un dottore visita un paziente dopo l’altro. Egli dev’essere concentrato su quel paziente nel periodo di tempo in cui è con quel particolare paziente, e non pensare al prossimo e a quello che c’era giusto prima. Perciò, sebbene un dottore possa vedere molti, molti pazienti durante il giorno, egli è pienamente concentrato su di una cosa alla volta. Questo è molto meglio per la concentrazione.
Questo è molto impegnativo, devo dire. Perché so che nel mio caso ho a che fare con una tale incredibile quantità di compiti diversi, con la gestione del sito web e di tutte le differenti lingue e via dicendo, è difficile stare focalizzati su di una cosa; arrivano così tante altre cose allo stesso tempo. Quindi, questa è la grande sfida, stare concentrati su di una cosa e non essere distratti dal pensiero di dover fare qualcos’altro, rimanendo tuttavia consapevoli e non dimenticandoci che vi sono anche queste altre cose che debbono essere fatte. E chiunque lavori in un’attività complessa ha a che fare con ciò.
Va bene. Proseguiamo in modo che riusciamo a far rientrare tutto nel tempo previsto. Soltanto una considerazione conclusiva, sullo sviluppo della retta concentrazione: negli insegnamenti buddhisti troviamo che ci sono stadi definiti per sviluppare una sempre miglior concentrazione, ed io credo che questo potrebbe essere considerato parte della scienza buddhista: come si ottiene una sempre maggior concentrazione?
Addestramento nella consapevolezza discriminante
Ora, consapevolezza discriminante per distinguere tra ciò che è corretto e ciò che è scorretto, ciò che è d’aiuto, e ciò che è dannoso. Per questo, abbiamo gli ultimi due aspetti dell’ottuplice sentiero:
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Retta visione (yan-dag-pa’i lta-ba).
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E retta intenzione, o pensiero motivante (yan-dag-pa’i rtog-pa).
La retta visione ha a che fare con quello che crediamo essere vero sulla base del distinguere correttamente tra ciò che è corretto e ciò che è scorretto, ciò che è d’aiuto e ciò che è dannoso. Il retto pensiero motivante, o intenzione, è lo stato mentale costruttivo a cui questo conduce.
Visione sbagliata
Quindi, retta visione. Potremmo avere sia una consapevolezza discriminante corretta, che scorretta (stiamo parlando del fatto di essere in grado di distinguere ciò che è d’aiuto da ciò che è dannoso):
Potremmo distinguere correttamente, e credere che ciò sia vero.
Oppure potremmo distinguere in modo scorretto e credere che ciò sia vero.
Perciò, il tipo sbagliato di visione è quando facciamo una scorretta distinzione e ci crediamo, e il tipo giusto di visione è quando facciamo la corretta distinzione e crediamo che questa sia vera.
Visione sbagliata vorrebbe dire, ad esempio, asserire e credere che le proprie azioni non abbiano una dimensione etica nel loro essere alcune distruttive o alcune costruttive, e credere che non portino risultati in termini di ciò che si prova. Questo è caratteristico della mentalità che molte persone hanno, la mentalità del “qualsiasi cosa non importa.” “Non importa. Nulla importa. Se faccio questo o non lo faccio, non importa.” E’ una considerazione scorretta, [pensare] che non importi. Ha importanza se fumi o se non fumi. “Beh, non importa.” Se fumi, questo avrà conseguenze negative sulla tua salute. Se non fumi, le preverrà, si spera.
O credere che non vi sia modo di migliorare se stessi e superare i propri difetti, e quindi perché preoccuparsi? Questo significa fare una distinzione sbagliata, pensare che non si possa fare nulla per cambiare la propria situazione. Giusto? C’è sempre qualcosa che si può fare. Le cose non sono statiche, fissate nel cemento.
Oppure credere che non abbia senso cercare di essere gentili con gli altri o di aiutare gli altri, che perciò dovremmo cercare solamente di approfittare di ciascuno ed ottenere il maggior profitto possibile, e la distinzione sbagliata per la quale questo porterebbe felicità. Non porta felicità. Porta conflitto, gelosia, preoccupazione rispetto al fatto che altre persone possano rubare le nostre cose, e così via.
Vi sono talmente tanti tipi diversi di discriminazione sbagliata. Può avere a che fare con la sofferenza e le sue cause, ad esempio. Ad esempio, nostro figlio sta andando male a scuola o a lavoro, oppure non vuole vederci: qualcosa sta andando storto con nostro figlio, che sia un bambino piccolo oppure un figlio adulto. Discriminazione sbagliata sarebbe pensare che “è tutto per colpa mia. E’ colpa mia in quanto genitore.” Questa è discriminazione sbagliata rispetto alla causalità. Le cose non sorgono o accadono per una causa soltanto. Le cose accadono per una combinazione di moltissime cause e condizioni, non solamente una. Potremmo aver contribuito, ma non siamo la sola causa del problema. E a volte non siamo neppure la causa, è totalmente sbagliato. Sto pensando all’esempio di una persona piuttosto disturbata: è stata ad una partita di calcio e quando la sua squadra ha perso, questa persona ha pensato che l’unica ragione per cui la sua squadra ha perso è che sia andata alla partita, portando iella: “è colpa mia che la squadra ha perso.” Questo è ridicolo. E’ una discriminazione scorretta rispetto alla causalità.
Retta visione
Quindi una consapevolezza discriminante corretta è molto, molto importante, e per questo è necessario imparare quella che è la realtà, come la realtà del nesso di causalità, come molte cause e condizioni incidano su quanto accade. Come per il tempo: molte cose incidono su di esso; non una cosa o due soltanto. Quindi non facendosi l’idea sbagliata che “sono come Dio, e devo soltanto fare una cosa per cambiare tutto con mio figlio o per cambiare tutto con la mia situazione lavorativa.” Non è così che funzionano le cose.
Quindi questa è la retta consapevolezza discriminante. Richiede buonsenso ed intelligenza. E ovviamente è necessario rimanere concentrati sulla propria corretta discriminazione. E per essere in grado di far ciò, è necessaria la disciplina. Queste cose dunque vanno insieme.
Retta intenzione
L’ultimo aspetto è un giusto pensiero motivante, che si riferisce ad una retta intenzione. Quindi, avendo fatto una corretta discriminazione tra cosa sia d’aiuto e cosa sia dannoso, cosa sia la realtà e cosa non lo sia, questo incide sul modo in cui agiamo e parliamo, e sui nostri atteggiamenti rispetto alle cose. Ciò viene spiegato in termini di pensiero motivante sbagliato (o sbagliata intenzione), e pensiero motivante giusto. Vediamo dunque di cosa si tratta.
Desiderio sensuale
Un pensiero motivante sbagliato sarebbe associato al desiderio sensuale; un desiderio bramoso ed un attaccamento per gli oggetti dei sensi, che si tratti del vedere belle cose, musica, buon cibo, bei vestiti, questo tipo di cose, come proprio pensiero motivante, in quanto si è fatta una scorretta discriminazione sul fatto che queste siano le cose più importanti. Mentre se si è fatta una discriminazione corretta, si avrà equanimità. Equanimità, in questo caso, significa una mente equilibrata, libera dall’attaccamento verso gli oggetti dei sensi.
Va bene, un esempio. Discriminazione scorretta sarebbe pensare che: “è davvero, davvero importante cosa avremo per cena stasera, e dove mangeremo. Se scegliamo il posto giusto e se scelgo la cosa giusta dal menu, questo veramente mi porterà felicità.” E si è preoccupati di ciò, per cui non si è neanche in grado di concentrarsi, perché si sta pensando “dove mangeremo stasera?” Mentre, se si è fatta la corretta discriminazione: “davvero non è così importante. Vi sono molte altre cose nella vita che sono molto più importanti di cosa abbiamo per cena o di cosa facciano alla televisione stasera;” si ha perciò una mente equilibrata. “Non importa. Non è così importante. Troveremo qualche posto e mangeremo.” Si ha questa equanimità, un equilibrio.
Cattiveria
Il secondo pensiero motivante sbagliato, o intenzione, è la cattiveria: il desiderio di ferire qualcuno, di fargli del male. Come quando qualcuno commette un’errore: vostro figlio rovescia l’acqua o il tè sul vostro computer, e voi dite: “cattivo bambino. Sei cattivo.” Questa è dunque una discriminazione sbagliata, quella di pensare in termini di buono e cattivo: “Sei cattivo, e devi essere punito.”
Abbiamo fatto la discriminazione sbagliata secondo cui il bimbo di due anni agirebbe responsabilmente tanto quanto un adulto, che è assurdo. Si tratta chiaramente di una discriminazione sbagliata. Il bambino di due anni starà seduto tranquillo durante tutta la durata del viaggio in treno, e si comporterà come un adulto? Questo è assurdo. Ma se si fa questa discriminazione scorretta, si è davvero arrabbiati, e si potrebbe voler picchiare il bambino se questo sta correndo per il corridoio e facendo un sacco di rumore. Se facciamo invece la discriminazione corretta, sviluppiamo benevolenza. Si tratta del desiderio di aiutare gli altri, di portar loro felicità. Quindi, ci si prepara. Se si sta per fare un lungo viaggio in treno con il proprio bambino, si portano delle cose per intrattenerlo: un libro da colorare, o qualcosa. E tale benevolenza comprende, o include: forza, perdono, ed amore (il desiderio che gli altri siano felici). Se fanno un errore, e se fanno rumore, non tenete il broncio. Perdonate, e avete la forza di mantenere questo stato mentale gentile.
Crudeltà
Ed il terzo, il terzo tipo di pensiero motivante sbagliato, è una mente piena di crudeltà. E vi sono diversi aspetti qui:
teppismo, essere un teppista: è una crudele mancanza di compassione, con la quale desideriamo che gli altri soffrano e siano infelici. Consideriamo i tifosi di quest’altra squadra di calcio come persone orribili, e possiamo comportarci come teppisti ed entrare in lotta con loro e ferirli perché amano quest’altra squadra. Voglio dire, che discriminazione stupida.
La seconda variante di questo è l’odio per se stessi. E’ una crudele mancanza di amore per se stessi, con la quale non vogliamo essere felici, per cui sabotiamo la nostra felicità e ci facciamo del male. Discriminiamo in modo scorretto pensando: “non sono buono. Sono una cattiva persona. Non merito di essere felice,” e, in un senso, puniamo noi stessi intrattenendo relazioni insane, avendo abitudini insane. Le persone che mangiano in eccesso e diventano obese, solitamente sono piene di odio per se stesse. Hanno quest’atteggiamento molto negativo nei confronti di se stesse. E sebbene potrebbero desiderare di trovare un partner, sabotano questo fatto mangiando sempre di più, in modo tale che diventano sempre meno attraenti, e non trovano mai un partner quando arrivano a pesare duecento o trecento chili.
E quindi l’ultima è provare piaceri perversi. E’ il gioire crudelmente nel vedere o nel sentire della sofferenza altrui. Si discrimina pensando: “questo politico è una cattiva persona. E’ una persona terribile,” e quando perde le elezioni, si gioisce: “Ah, fantastico. Ha perso.” Oppure ancora, succede qualcosa di brutto a qualcuno che non ci piace, e: “ah, se lo meritano.” Stiamo quindi ancora discriminando in maniera scorretta, pensando che certe persone siano cattive, meritino di essere punite e di avere le cose che vanno male, e che altre persone, noi stessi in particolare, dovrebbero avere tutto che va bene.
Il giusto pensiero motivante quindi, basato su di una discriminazione corretta, sarebbe un atteggiamento non violento, non crudele. Non si tratta solamente di una mancanza di collera, ma dell’imperturbabilità. Non ci si scompone. E’ lo stato mentale con il quale non si desidera recare danno ad altre persone che stanno soffrendo, irritarle o infastidirle. Si fa una discriminazione corretta: “in quanto essere umano, egli vuole essere felice, non vuole essere infelice. Ha lo stesso diritto che ho io di essere felice e di non essere infelice.” Sulla base quindi di questa discriminazione corretta, non vogliamo recargli alcun danno. Non siamo felici quando le cose gli vanno male. Non vogliamo irritarlo e infastidirlo. E vi è inoltre compassione, il desiderio che gli altri siano liberi dalla loro sofferenza e le sue cause, perché vediamo che tutti stanno soffrendo, nessuno vuole soffrire, e che nessuno merita di soffrire. Quando le persone commettono errori, è perché sono confuse – si sbagliano – non perché sono cattive. Quindi, la retta discriminazione e il retto pensiero motivante, l’intenzione che deriva da questo, ci conducono naturalmente alla retta parola, alla retta azione, alla retta attività.
Unire gli otto fattori assieme
Quindi queste cose s’uniscono insieme, questi otto fattori o l’ottuplice sentiero:
La retta visione e pensiero motivante forniscono il giusto fondamento per la pratica, e quindi pratichiamo la retta parola, la retta azione, il retto sostentamento. Discriminiamo cosa sia corretto in termini di quale sia l’effetto del nostro comportamento e la situazione degli altri, e così via. La nostra intenzione è quella di aiutarli, di non danneggiarli: abbiamo perciò la disciplina di non parlare o agire verso di loro, o cercare di trattare commercialmente con loro, in una maniera che sarà distruttiva o dannosa. Ciò ha senso. [Questi fattori] s’uniscono insieme.
E su questa migliore base, cercheremo d’impegnarci a migliorare noi stessi, a sviluppare maggiori qualità positive, e a non essere distratti da strane idee a proposito del nostro corpo, delle nostre sensazioni e cose del genere. E quindi usiamo la concentrazione per rimanere focalizzati su qualcosa che è di beneficio, o sul lavorare per lo sviluppo di migliori qualità, usiamo questa concentrazione con una corretta consapevolezza discriminante, e l’intenzione che ne deriva.
E’ perciò tutto interconnesso.
Traduttore: Scusa. Dopo qualità benefiche, mi sono perso.
Alex: Quando si è focalizzati e concentrati sul proprio sforzo di sviluppare migliori qualità, si può naturalmente applicare ciò alla consapevolezza discriminante corretta. Si vede in maniera più profonda cosa è di beneficio, cosa è dannoso, e diventa ancora più forte quindi la propria intenzione di metterlo in pratica.
Dunque, sebbene questi tre addestramenti e l’ottuplice sentiero possano essere presentati come una sequenza – e possono essere presentati in numerose sequenze differenti – lo scopo ultimo è quello di essere in grado di metterli in pratica assieme come un sistema integrato.
Domande e risposte
Abbiamo ancora qualche minuto per le domande finali.
Partecipante: Menzionavi il fatto che una visione sbagliata è quella di pensare di non essere in grado di cambiare qualcosa.
Alex: Incapaci di cambiare noi stessi.
Partecipante: Il Buddha disse che tutto è interdipendente. Vi sono un sacco di cose differenti, che sono interdipendenti, e noi non siamo in grado di comprendere tutto questo sistema. Ed è impossibile che uno stato appaia senza una connessione con uno stato precedente. Possiamo dunque concludere che il nostro stato attuale sia dipendente dal nostro stato passato, dal nostro stato precedente, e che sia anche una causa per il nostro stato futuro. Sorge quindi una domanda: vi è posto, in tutto questo meccanismo, per il libero arbitrio? E può il Buddhismo sostenere una qualche maniera di affrontare il fatto di uscire da tale meccanismo?
Alex: Beh, vi sono molti, molti aspetti qui coinvolti. Se pensate al libero arbitrio, il libero arbitrio implica che si possa fare qualsiasi cosa, senza che vi sia alcuna causa. Questo è impossibile. Tutto sorge da cause e condizioni, questo è vero, ma non significa non potersi impegnare (la cosiddetta forza di volontà) a fare, effettivamente, qualcosa.
Se ci sforziamo, ovviamente è per una causa. Voglio dire, vi sono cause e vi sono condizioni per questo, ma non si dovrebbe cadere in questo estremo. Vi sono due estremi:
si può fare assolutamente qualsiasi cosa, senza che vi sia alcuna causa;
oppure non vi è nulla che si possa fare, in quanto tutto è già determinato in anticipo.
Non è così. Dobbiamo vedere la cosa in termini di impegnarsi nelle cose, e prendere decisioni, ecc., non è come se qui vi fosse un io separato da tutte le scelte, e lì vi fossero tutte le scelte, come in un menu, ed io possa decidere cosa fare.
Questo maniera dualistica di vedere le cose è falsa. Voglio dire, non è il modo in cui le cose esistono. Uno semplicemente fa le cose – si fanno, semplicemente – con sforzo. E vi può essere l’ispirazione da parte di maestri spirituali, dagli insegnamenti, dai Buddha, ecc., che ci aiuta. E se veniamo aiutati, e siamo ispirati, anche questo è dovuto a cause.
Il problema dunque, in questa questione, è il pensare a queste due categorie di libero arbitrio e determinismo. Si tratta di una discriminazione falsa. E’ basata sul fatto di pensare ad un me realmente esistente che può scegliere cose liberamente da un menu, o che è invece bloccato in una posizione che è statica e non può cambiare mai. Questa maniera di cercare di analizzare in base a queste due categorie è falsa, perché nessuna di queste due categorie esiste.
Tuttavia la tua è una domanda molto profonda, e non qualcosa a cui si può rispondere in maniera molto semplice, o per cui si può ricevere una semplice risposta, e: “oh, sì, sì. Ho capito.” E’ qualcosa che davvero richiede una riflessione ed una comprensione molto profonda della causalità, la cosiddetta vacuità di causa ed effetto: il modo in cui causa ed effetto effettivamente funzionano. E la chiave per questo è di non guardare alla causalità in modo dualistico, come se vi fosse un me separato dall’intero processo, il quale può scegliere oppure è costretto a fare qualcosa da qualcos’altro. Come se fossi soltanto una pedina, un pezzo degli scacchi, e sono manipolato da fattori deterministici che sono esterni a me. Questo, nuovamente, è molto dualistico, e questo è il problema qui, il dualismo.
Nient’altro? Ultima domanda.
Partecipante: Dicevi che si dev’essere compassionevoli non soltanto nei confronti degli altri, ma anche nei confronti di se stessi, anche in termini di dieta adeguata, giusta quantità di sonno e giusta quantità di esercizio fisico. Leggiamo però di questi praticanti altamente realizzati, che stavano seduti in ritiro, avevano il corpo rigido mentre sedevano per lunghe ore, e non mangiavano in modo adeguato, e non dormivano a sufficienza. Dov’è dunque la connessione tra queste due cose? Alcuni studenti cercano di fare le stesse cose che facevano questi [praticanti].
Alex: Beh, questo è un errore molto molto grande. E’ come se una volpe stesse provando a saltare dove salta un leone. Pensare di essere allo stesso livello di Milarepa o di uno qualsiasi di questi grandi maestri è una totale arroganza, no? Noi non siamo a quel livello. Cercare quindi di imitare ciò che fanno, ora danneggerebbe soltanto noi stessi. Se vogliamo raggiungere lo stato che hanno raggiunto, beh, realisticamente, passo dopo passo ci alleniamo per arrivare a quel livello.
Quando si raggiunge un livello molto sviluppato di concentrazione, si ottiene ciò che è noto come uno stato fisico e mentale idoneo e flessibile. Non si è rigidi. Il proprio corpo non è rigido. E tali praticanti hanno il controllo delle energie, e via dicendo, del proprio corpo, non hanno perciò necessità di dormire. Non è dannoso per loro dormire molto poco. E sono in grado di mangiare molto molto poco, ricevendo una quantità incredibile di energia. Non stanno quindi soffrendo e trascurando se stessi. Come parte dell’ottenimento di questi stati molto elevati, posseggono tali abilità. Ma noi non siamo a questo livello.
E quanto questi grandi maestri mostrano agli altri, è spesso uno spettacolo, in modo che le persone riescano a relazionarsi con loro più facilmente. Userò un esempio del mio maestro. Serkong Rinpoche, quello anziano, era piuttosto anziano e molto sovrappeso, come molti di loro. Stetti con lui per nove anni, quasi ogni giorno, e c’era bisogno di aiutarlo quando si alzava, e così via. Ma una volta partecipai a questo tipo di rituale in cui i monaci si riuniscono tutti assieme a leggere le scritture, ed ognuno legge una parte diversa a voce alta (e queste scritture sono scritte su pagine di fogli volanti, non rilegate assieme). Dunque, Sua Santità il Dalai Lama era seduto qui, Serkong Rinpoche vicino a lui, ed io ero seduto dietro. E Sua Santità stava leggendo, mentre soffiò il vento, ed una pagina che stava leggendo cadde sul pavimento. A quel punto, Serkong Rinpoche, che io dovevo sempre aiutare ad alzarsi, saltò su come fosse un ventenne, saltò e prese la pagina e la diede in mano al Dalai Lama. Pertanto era certamente soltanto una sceneggiata quella che egli aveva bisogno di aiuto per alzarsi. Era ovviamente capace di alzarsi da solo.
Egli dormiva sempre in una stanza da solo. Ma una volta, mentre stavo viaggiando con lui, le sistemazioni erano tali che non vi era una stanza separata per l’attendente tibetano che era con lui, e che dovette perciò dividere la stanza con Rinpoche. Rinpoche andava a dormire giusto prima che lo facessero tutti gli altri, e poi, quando tutti stavano dormendo, si alzava – l’attendente lo vide alzarsi – e faceva meditazione, e praticava esercizi tratti dai sei yoga di Naropa (che non ci si può immaginare che un uomo anziano e sovrappeso possa fare). E quindi la mattina, giusto prima che tutti si alzassero, si stendeva a letto fingendo di aver dormito tutta la notte.
Si hanno quindi questa sorta di cose. Danno agli altri l’impressione di essere persone normali, ma nascondono tutte le loro qualità. Questo è il modo di essere dei grandi lama, o almeno di alcuni di loro. Molto ispirante dunque. E noi stessi possiamo svilupparci fino a questo stadio, attraverso i tre addestramenti e l’ottuplice sentiero. Questa è la partenza. Può essere fatta ad un livello per cui ci aiuti solamente a migliorare questa vita. Oppure può essere fatta ad un livello più profondo, per aiutarci ad ottenere vite future migliori, la liberazione dal ricorrere incontrollabile delle rinascite e della sofferenza, e l’illuminazione, la capacità di essere del miglior aiuto possibile a tutti. Quindi questo ci porta alla fine del nostro corso. Grazie mille, e mi auguro che questo sia di beneficio.
TRATTO DAL SITO: http://www.berzinarchives.com/web/it/archives/approaching_buddhism/introduction/3_trainings_8-fold_path_in_daily_life/session_3.html che devotamente ringraziamo per la sua compassionevole gentilezza verso tutti gli esseri che soffrono in questa dolorosa esistenza samsarica.)