Ven. Kensur Jampa Tegchok: Originazione dipendente e vacuità.

Ven. Kensur Jampa Tegchok: Quando diciamo che ciascun singolo fenomeno ha la sua propria entità, la sua propria natura, questa è la natura che è stabilita in dipendenza, nominalmente, sulla base dell’essere un sorgere dipendente, e così via.

Ven. Kensur Jampa Tegchok: Quando diciamo che ciascun singolo fenomeno ha la sua propria entità, la sua propria natura, questa è la natura che è stabilita in dipendenza, nominalmente, sulla base dell’essere un sorgere dipendente, e così via.

Ven. Kensur Jampa Tegchok: Originazione dipendente e vacuità.
Quando parliamo di esseri senzienti ordinari immaturi si tratta di coloro che non hanno realizzato la vacuità. Tutto quello che essi percepiscono – ad es. i colori come blu, giallo, verde e così via, le forme, i suoni, i sapori, ecc. – non lo percepiscono nel loro modo reale di dimorare; il loro modo reale è quello di sorgere in modo dipendente dalle cause e dalle condizioni, ma essi sono oscurati dal vederlo. Quando diciamo che non abbiamo abbandonato gli oscuramenti, [significa] che ancora siamo influenzati dai due tipi di oscuramenti. Il modo reale dei fenomeni è l’origine dipendente; questa non è percepita affatto. Piuttosto, i fenomeni sono percepiti come autostabiliti, o intrinsecamente esistenti, anziché come sorgere dipendente. Quell’esistenza intrinseca non è il modo reale; è falsa. Ciò che rende possibile l’apparenza dell’esistenza intrinseca o dell’autostabilirsi è l’ignoranza, cioè l’ignoranza o la confusione che oscurano il modo reale di esistenza.
A seguito di questa struttura di pensiero, qualunque fenomeno che appare – colori, forme, suoni, ecc. – appare come autostabilito e subito dopo c’è la concezione innata dell’esistenza vera. Sulla base dell’apparenza intrinsecamente esistente, che è presa come vera, sorge poi immediatamente la concezione innata dell’esistenza vera. Nel caso di una coscienza dell’occhio che percepisce il blu, sulla base dell’apparenza del blu come autostabilita avviene la concezione dell’esistenza vera. Questa è errata riguardo all’apparenza in quanto l’oggetto non esiste nel modo in cui appare; [questa concezione] non è errata rispetto all’oggetto del modo di percezione ma riguardo all’oggetto apparente. Quell’oggetto appare come intrinsecamente esistente ed essa è errata riguardo a quello. Questo perché ciò che appare non è vero. Se ciò che appare fosse vero, dovrebbe esistere esattamente come appare, ma non è così. Quando parliamo di errore riguardo all’apparenza, significa che l’apparenza non è vera nel modo in cui appare; tuttavia, effettivamente appare come intrinsecamente esistente, quindi, per i Prasangika, è un cognitore valido. A causa della forza dell’ignoranza si ha l’apparenza dell’esistenza intrinseca e [quella concezione] è valida rispetto all’apparenza. È valida perché, per via dell’ignoranza, quello è il tipo di apparenza che si ottiene. Quando parliamo di errore rispetto alla sua apparenza, significa che ciò che appare non esiste in quello stesso modo. È facile confondersi su questo punto, questo passaggio, perché parliamo dell’essere valido riguardo all’apparenza, ma anche di essere sbagliato riguardo all’apparenza. Appare come tale per la forza dell’ignoranza; quell’apparenza c’è e [quella mente] è valida, perché c’è quell’apparenza a causa del potere dell’ignoranza, ma sbaglia riguardo a quell’apparenza, in quanto non esiste nel modo in cui appare. Per esempio, una singola luna che appare come due lune a causa della forza dell’errore: non ci sono due lune, ma quell’apparenza esiste, di modo che quella [coscienza] è valida [rispetto alla sua] apparenza.

Tutti i fenomeni possiedono individualmente la loro propria entità (ngo wo) – l’entità del convenzionale e l’entità dell’ultimo sono postulate sui singoli fenomeni. Essi hanno un’entità, ma non sono stabiliti per via della loro entità. Essi possiedono la loro natura (rang bzhin), ma non sono intrinsecamente esistenti (rang bzhin gyis grub pa); “intrinsecamente” è la connotazione di “natura.” Tutti i fenomeni possiedono la loro natura; si può dire “questa è la sua natura convenzionale,” e “questa è la sua natura ultima.” Queste possono essere postulate per ciascun fenomeno. Questo è perché le due verità sono postulate su ciascun fenomeno; tuttavia, non diciamo che è stabilito per via della sua entità. Noi diciamo che ciascun singolo fenomeno possiede la sua natura, quella che esiste. Quando diciamo che ciascun singolo fenomeno ha la sua propria entità, la sua propria natura, questa è la natura che è stabilita in dipendenza, nominalmente, sulla base dell’essere un sorgere dipendente, e così via.

[………] Domande e Risposte:

Studente: E’ asserito che quando si medita sulla vacuità sorge la paura. Si tratta di un fattore mentale?

Khensur Rinpoche: Probabilmente è un fattore mentale. Per precisare quale fattore mentale sia si dovrebbe esaminare i singoli casi. Nel corso del meditare sulla vacuità, la paura sorge quando c’è la sensazione di “Io non esisto” Secondo voi perché sorge la paura?

Studente: E’ la sensazione di perdere tutto.

Khensur Rinpoche: Accade che state meditando su com’è il sé — il sé è gli aggregati, ecc. — e poiché non avete trovato il corrispondente oggetto che stavate cercando, per questo sorge la paura?

Studente: Inizia dalla meditazione analitica. A un certo punto sembra che non si possa trovare nulla, e si ha una sensazione di malessere, come di nausea.

Khensur Rinpoche: Quando parliamo in termini di emozioni che potrebbero sorgere quando si analizza la vacuità, quando si cerca all’interno degli aggregati come esiste il sé, il sé che è analizzato è quello che appare come autostabilito. Quando si arriva al punto della negazione, quando il sé autostabilito non è trovato affatto, allora la componente del sé nominalmente esistente non arriva immediatamente – non è richiamata. Poiché il sé convenzionalmente esistente non è richiamato ed avete analizzato il punto della negazione del sé auto-stabilito, c’è soltanto l’apparenza di non esistenza.

In seguito, nella post-meditazione, ci si riconcilia con il sé convenzionalmente esistente. Quando state meditando ed arrivate al punto che [il sé] non esiste, non è necessario essere impauriti, perché nella post-meditazione sapete che esiste come meramente designato. Durante l’equilibrio meditativo, con l’analisi, quando arrivate al punto dell’eliminazione, questo prende pure il lato convenzionale, in qualche modo. In quel momento, non si pensa “Il sé esiste convenzionalmente” perché questo determina le apparenze convenzionali. E’ un enorme errore – pensare “ma esiste” al momento di quell’equilibrio meditativo.

Quando arrivate alla negazione finale – che il sé autostabilito è vuoto, che non esiste – quell’esperienza toglie l’apparenza convenzionale. Tuttavia, non è che il sé esistente in modo convenzionale sia stato eliminato sulla base di un cognitore valido; non è eliminato di proposito, ma la meditazione toglie l’apparenza nel contempo. Non è un processo di negazione di quel tipo di esistenza. In tal modo è tolto, ma non è confutato, sicché non si deve temere di aver negato l’esistenza nominale. Infatti, quando si esce dalla meditazione, si vede che c’ è una persona che viene, va, ecc. Questo si riferisce al periodo di post-meditazione, non alla meditazione stessa.

Il primo processo consiste nel cercare l’oggetto della negazione. Prima si deve riconoscere l’oggetto della negazione, quindi lo si ricerca. Si ricerca che cosa sarebbe una persona autostabilita intrinsecamente esistente. Si deve identificare chiaramente che cosa è una persona autostabilita è ricercarla. Questo è il primo dei quattro punti importanti dell’analisi: il riconoscimento dell’oggetto della negazione.

Se qualcosa è autostabilito, la linea finale è il suo essere non relazionato. Questo è quello che occorre cercare. Se c’è qualcosa che è non relazionato, è autostabilito.

Estratti vari da Madhyamika 2010. Tratto dal sito http://www.centronirvana.it/home.htm, http://www.centronirvana.it/articolididharma112.htm che devotamente ringraziamo per la sua compassionevole gentilezza verso tutti gli esseri che soffrono in questa dolorosa esistenza samsarica.