Come evitare di mischiare l’ego con la pratica del Dharma
Alexander Berzin, Berlino, Germania, Ottobre 2004. Traduzione italiana a cura di Ida Buraczewska.
La differenza tra un ego sano e un ego insano
Il Buddismo parla della differenza tra l’ “io” convenzionale e il falso “io.” L’ “io” convenzionale è l’ “io” che è imputabile sul continuum dei momenti di esperienza in costante cambiamento di ogni individuo. In altre parole, i momenti della nostra esperienza individuale scorrono l’uno dopo l’altro in accordo alle leggi di causa ed effetto comportamentali (karma). Basandoci sul continuum di questi momenti, possiamo designare “io.” Questo “io” convenzionale esiste ed è tramite esso che possiamo dire: “Sto seduto; sto mangiando; sto meditando.” Tuttavia, l’ “io” convenzionale è solo qualcosa che può essere imputato sul nostro continuum mentale: non si può trovare nulla dal lato dell’ “io” convenzionale che, per suo potere, fa sì che “io” esista come “io.” Un “io” che esiste veramente, in cui si possa trovare qualcosa da parte sua che stabilisca la sua esistenza, è impossibile. Un tale “io” veramente esistente e trovabile non esiste affatto; questo è il falso “io,” ovvero l’ “io” da confutare.
D’altra parte, l’occidente parla di un ego sano e di un ego insano. Un ego sano è la sensazione di un “io” basata sull’ “io” convenzionale, mentre un ego insano è la sensazione di un “io” basata sull’ “io” falso. Un ego insano può essere esagerato, tronfio oppure depresso. Un ego esagerato si basa sulla convinzione dell’esistenza di un “io” trovabile e realmente esistente, mentre un ego depresso si basa sulla convinzione che neppure l’ ”io” convenzionale esista, oppure su una sensazione molto debole dell’ “io” convenzionale.
Per una sana pratica del Dharma, abbiamo bisogno di un ego sano, in modo da prenderci la responsabilità di quello che ci accade nella vita. Prendendo questa responsabilità, potremmo dare una direzione sicura alla nostra vita (prendere rifugio) con lo scopo della liberazione e/o illuminazione e seguire una pratica per raggiungere questi obiettivi, basati sulla fiducia nella nostra natura di Buddha e sulle leggi karmiche di causa ed effetto. Tuttavia, fino a quando non saremo degli arhat liberati, ci aggrapperemo all’esistenza di un “io” veramente trovabile ed esistente. Per questo motivo, la nostra pratica di Dharma sarà inevitabilmente mischiata con un ego insano. Se siamo consci dei modi in cui ciò accade, possiamo cercare di minimizzare il danno, meditando e applicando dei metodi provvisori. Il metodo definitivo, tuttavia, è la comprensione della vacuità dell’ “io.”
Problemi derivanti da un ego esagerato dovuti all’identificazione con un “io” veramente esistente
Alcune persone si interessano al Dharma per ragioni karmiche che causano in loro curiosità ed interesse per esso, una volta che l’interesse viene innescato da determinate circostanze. Ma alcuni si rivolgono al Dharma per ragioni instabili, basate su un ego esagerato. Questa sindrome ha tre forme comuni. Pensando a noi stessi come ad un “io” veramente esistente e trovabile, possiamo rivolgerci al Dharma:
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per essere accettati da un certo gruppo di amici, perché il Buddismo è di moda e varie stelle del cinema e della musica rock ne sono seguaci;
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per trovare una cura miracolosa a dei seri problemi fisici o emotivi, per i quali altre soluzioni non hanno funzionato; oppure
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per soddisfare il nostro interesse verso l’esotico.
Generalmente, per evitare i pericoli che possono derivare dal coinvolgimento nel Dharma per qualsiasi di queste ragioni, dobbiamo esaminare e correggere la nostra motivazione. Tuttavia, per superare i comuni “trucchi dell’ego” abbiamo a disposizione molte soluzioni provvisorie specifiche, che sono associate ad ognuna di queste tre forme di ego esagerato.
Voler fare parte della “gente giusta”
Avendo una sensazione di “io” esagerata, possiamo sentirci tronfi, pieni d’orgoglio, fieri di fare parte della “gente giusta.” Per superare quest’ostacolo, abbiamo bisogno di gioire del fatto che abbiamo trovato il Dharma, piuttosto che essere arroganti per questo motivo. Possiamo meditare sulla compassione per coloro che sono ancora persi. Inoltre, rispetto a coloro che sono molto più avanzati sul sentiero, dobbiamo renderci conto di essere ancora dei bimbi del Dharma. Perciò non c’è una base per sentirsi arroganti.
Voler trovare una cura miracolosa
La disperazione per trovare una cura miracolosa alle nostre sofferenze porta spesso ad una sensazione esagerata d’importanza personale. Possiamo diventare talmente preoccupati per noi stessi e per i nostri problemi, che cerchiamo di dominare il tempo dell’insegnante o della classe con domande continue. Vogliamo costantemente essere al centro dell’attenzione. Per superare quest’o stacolo, dobbiamo pensare all’uguaglianza fra noi e gli altri. Nessuno vuole soffrire e ognuno vuole essere curato.
Avendo una sensazione di “io” esagerata, possiamo anche pensare di essere come Milarepa: dei praticanti talmente maturi che pensiamo di raggiungere l’illuminazione in pochi anni. Di conseguenza richiediamo attenzioni speciali dai nostri insegnanti. Per rimediare a questa montatura dell’ego, dobbiamo leggere le biografie dei grandi maestri del Buddismo e imparare quello che sono realmente i veri meditatori.
Inoltre, essendo preoccupati per noi stessi, possiamo essere talmente disperati da poter fare qualsiasi cosa il maestro ci dica di fare. Abbiamo un approccio del tipo: “Tu dimmi le parole magiche da pronunciare o la pratica magica da compiere e io la farò.” Con una mentalità di questo genere possiamo fare 100.000 prostrazioni o ripetizioni del mantra di Vajrasattva, ma se come risultato non accade nessun miracolo, allora cadiamo in una depressione profonda. Per superare quest’ostacolo, dobbiamo pensare al gran numero di cause necessarie al raggiungimento d’un risultato.
Possiamo anche correre a ogni iniziazione tantrica che viene data, perché essendo eccessivamente preoccupati di un “io” che sembra esistere veramente, non vogliamo perdere niente. Possiamo correre freneticamente in questo modo, anche perché vogliamo essere accettati dal gruppo, oppure perché siamo affascinati dall’esotico. Ma a prescindere da quali di queste ragioni instabili si tratti, dobbiamo ricordarci che un potenziamento tantrico nel sistema di una deità, s’intende solo per coloro che desiderano effettivamente praticare quella specifica forma di Buddha e hanno tempo per farlo. Dobbiamo essere realistici riguardo al tempo che abbiamo a disposizione per la pratica quotidiana. Lo stesso consiglio vale per coloro che corrono da ogni insegnante e poi diventano confusi, oppure corrono a prendere voti senza considerare se riusciranno a mantenerli o meno.
Il fascino dell’esotico
Essendo affascinati dall’esotico, possiamo accumulare talmente tanti strumenti di Dharma, thangka e così via, da poter poi allestire nella nostra casa una stanza da meditazione simile ad uno scenario di Hollywood o Disneyland. Poi ci diamo ad uno spettacolo quotidiano, facendo puja con il vajra, il campanello, il tamburo, lampade al burro e incenso. Per superare questa forma di montatura dell’ego, dobbiamo ricordare che l’essenza e lo scopo della pratica del Dharma sono quelli di trasformare la mente e non di darsi a degli spettacoli esotici.
Problemi derivanti da un ego depresso
Possiamo anche dedicarci al Dharma a causa di un ego depresso, perché non abbiamo una sensazione stabile dell’ “io” convenzionale. Avendo un debole senso dell’ “io,” possiamo essere attratti da un leader carismatico d’un culto buddista, il quale ci promette che:
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il lignaggio che insegnano e il suo fondatore sono i migliori e ogni altra forma di spiritualità non è buona;
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loro sono i migliori insegnanti e tutti gli altri non sono buoni;
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diventeremo forti se abbandoniamo il nostro debole ed errato modo di pensare ed obbediamo totalmente a loro e alla loro interpretazione del Dharma, che è infallibile; e
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se seguiamo un forte protettore spirituale, questo essere sovrannaturale schiaccerà tutti i nemici della loro setta, dato che tutte le altre tradizioni e gli altri insegnanti sono nemici.
Questi insegnanti richiedono lealtà assoluta e usano l’elemento di paura dell’inferno, nel quale cadremo se gli disobbediamo. Gli studenti attirati da questo hanno di solito un ego debole, non credono in se stessi e vengono attratti da promesse di ottenere forza dal numero di persone e di ottenere forza dall’insegnante, dagli insegnamenti, dal lignaggio, dal suo fondatore e dal protettore. Gli studenti assumono l’identità di tutto il gruppo.
Questa sindrome porta al fanatismo religioso, basato sulla paura, sul desiderio di essere buoni e non cattivi, sul desiderio di piacere e di essere accettati e amati dall’insegnante e dal gruppo e sul senso di colpa se non pratichiamo perfettamente. Tutto ciò è basato sull’assenza o su un debole senso dell’ “io” individuale convenzionale, e sull’aggrapparsi fortemente ad un falso “ego di gruppo.” In un certo senso possiamo chiamare questa sindrome “fascismo spirituale.” Tutto ciò può avere luogo indipendentemente dal fatto che l’insegnante sia o no un ciarlatano, o che siamo coinvolti in un culto di Dharma o meno.
Vari sintomi sono tipici di questa sindrome. Per esempio siamo rigidi e inflessibili nella nostra pratica. O facciamo troppo a lungo la nostra pratica quotidiana, che così diventa un peso, senza gioia. Dobbiamo ricordare che uno dei supporti per una perseveranza gioiosa è il sapere quando rilassarsi e fare una pausa, senza sentirsi in colpa facendola. Se ci sforziamo troppo, otteniamo solo ciò che i tibetani chiamano “lung” (energia frustrata nel nostro corpo) e ciò è controproducente. Un altro sintomo è che non siamo tolleranti verso altri modi e differenti stili di pratica. Per contrastare tutto ciò, dobbiamo riconoscere che il Buddha, utilizzando metodi abili, insegnava molti stili differenti per soddisfare le esigenze di persone diverse. Se li respingiamo e li critichiamo, stiamo abbandonando il Dharma.
Forme più lievi di mischiare l’ego con il Dharma
Possiamo non essere così gravemente disturbati come descritto nelle sindromi menzionate sopra, ma molti di noi possono mischiare l’ego con il Dharma più lievemente. Per esempio, potremmo desiderare di “accumulare merito,” come se provassimo a vincere un concorso, nel quale si compete con altri che praticano il Dharma. O possiamo darci da fare per “accumulare merito” per “comprare” una via verso la liberazione e l’illuminazione, o per risparmiare per l’inverno, come uno scoiattolo che raccoglie noccioline, per proteggere noi stessi.
D’altra parte, potremmo evitare di coinvolgerci troppo nel Dharma, per paura di dover rinunciare ad alcune delle nostre abitudini tipiche, sia che esse siano sane o insane. Così possiamo aver paura di prendere dei voti o delle iniziazioni. Per questo motivo, dobbiamo sviluppare consapevolezza discriminante per distinguere fra i nostri interessi ed attività, quali siano sani e utili e quali insani e dannosi.
Possiamo anche avere dei blocchi riguardo all’approccio intellettuale, emotivo o devozionale al Dharma. Questo accade quando c’identifichiamo esclusivamente con uno o più di questi approcci o crediamo di non poterne avere uno o più d’uno. Per superare questo problema, dobbiamo riconoscere i vantaggi di ognuno di essi e sforzarci di coltivare una pratica del Dharma più bilanciata possibile.
Altri problemi possono presentarsi perché non diamo al Dharma una priorità abbastanza alta nella nostra vita. Per questo motivo non pratichiamo quotidianamente o non prendiamo sul serio la nostra pratica quotidiana e i nostri impegni. Rinunciamo alla pratica quando non ne abbiamo voglia e non andiamo a lezione se non ci va di andarci, o allo stesso tempo c’è una festa di compleanno, un buon film o un concerto. Ciò può essere causato dal fatto che per praticare o andare a lezione ci sembra di dover rinunciare a una parte essenziale di “noi stessi.” Per questo dobbiamo distinguere fra quello che è importante nella vita e quello che non lo è; dobbiamo distinguere quando non possiamo veramente meditare o andare a lezione, da quando cerchiamo solo delle scuse a causa della nostra pigrizia e del nostro attaccamento.
Se applichiamo questi vari metodi, potremmo evitare alcuni dei problemi causati dal mischiare l’ego con la pratica del Dharma.
Fonte, che gentilmente si ringrazia: http://www.BerzinArchives.com /web/it/archives/sutra/level1_getting_started/approaching_study_meditation/avoid_mixing_ego_with_dharma_practice/avoiding_mixing_with_dharma_practic.html