Ven. Ghesce Ciampa Ghiatzo: Commentario a “Le 50 Stanze di devozione al guru” di Ashvagosha. Per poter raggiungere l’illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri ci apprestiamo a seguire gli insegnamenti così come sono stati dati in passato da innumerevoli Lama, seguendo la tradizione
Mi è stato chiesto di dare un commentario delle 50 stanze di devozione al Guru. Vi sono differenti tipi di commentari, di diversa estensione: il commentario che ho scelto per questa occasione è stato scritto da Pang Tuce e mi è stato dato da Kiabje Triciang Rinpoce.
Naturalmente, non riuscirò a completare tutto l’insegnamento, ma spero di poter terminare almeno la trasmissione orale e di darvi un’idea abbastanza generale di questo commentario in modo che in futuro possiate avere insegnamenti più dettagliati che potranno arricchire la mia trasmissione.
Il commentario inizia con il significato etimologico del titolo, che in sanscrito è Guru Panchashika.
Guru sta per Maestro spirituale, dotato di qualità, pancha significa cinquanta, shika significa stanze: le cinquanta stanze (in relazione) al Guru.
La prima parola, https://www.sangye.it/altro/?p=1394 Guru, è formata da due sillabe che in sanscrito hanno due significati diversi. Gu è una contrazione di gun e significa qualità, ru significa pesante o pieno, Guru quindi qualifica una persona come piena di qualità, appesantito dalle qualità. In tibetano viene tradotto con la parola Lama, il cui significato può essere interpretato secondo la spiegazione che abbiamo appena dato.
Il commentario inizia con un omaggio a Buddha Vajradhara e dal momento che tenterò di darvi almeno la trasmissione orale del testo e del commentario inizierò spiegando le prime parole, che sono un omaggio a Guru Vajradhara.
Il motivo dell’omaggio a Guru Vajradhara, o Guru Vajrasattva, è quello di far sapere che il Guru è fonte di ogni qualità poiché egli è visto come essenza di tutti i Buddha, in questo caso di Buddha Vajrasattva, cioè colui che è già qualificato con tutte le varie caratteristiche di un Buddha.
Il paragrafo successivo illustra come il discepolo intelligente e retto debba basarsi su un supporto che fondamentalmente costituisce la sua guida nel cammino dell’oceano tantrico. Per inoltrarsi nel sentiero del tantra occorre basarsi su un tale supporto, che è appunto il Guru.
Segue la traduzione del testo in cui viene spiegato il significato del titolo Guru Panchashika o 50 Stanze di devozione al Guru. Dopo la spiegazione del titolo vi è l’omaggio del traduttore: colui che traduce dal sanscrito al tibetano rende a sua volta omaggio a Buddha Vajrasattva.
Si rende omaggio a Buddha Vajrasattva perché il Lama è visto nell’essenza di Vajrasattva: vajra significa adamantino o di diamante e sattva significa essere, quindi Essere di diamante. In questo caso diamante si riferisce al fatto di non poter venire distrutto, all’essere immutabile, immutabile nel senso di possedere le cinque saggezze supreme, come la saggezza simile allo specchio eccetera. Un essere dotato di questa immutabilità e qualità di saggezza viene definito come Vajrasattva.
Il testo continua con l’omaggio e la prostrazione a Buddha Vajrasattva da parte dell’autore Asvaghosa, che avviene tramite i primi due versi:
“Prostrandomi nel modo corretto ai piedi di loto del mio Guru, che è la causa che mi permette di raggiungere lo stato di un glorioso Vajrasattva, mi accingo a riassumere e spiegare in breve ciò che è stato detto nei numerosi immacolati testi tantrici sulla devozione al Guru. (Pertanto) ascoltate con rispetto.”
Il punto fondamentale, la colonna portante del nostro sviluppo nel sentiero tantrico è la guida spirituale. Il sentiero tantrico si prefigge di ottenere l’obiettivo finale dell’illuminazione. Un elemento fondamentale per ottenere questo stato, lo stato di Buddha Vajradhara, è il fatto di essere condotti in modo perfetto da una guida spirituale idonea. Il modo in cui questa guida spirituale ci illustra il sentiero è attraverso il conferimento di iniziazioni, la spiegazione di commentari estesi e attraverso la trasmissione di istruzioni orali particolari. È quindi estremamente importante avere una guida spirituale per poter ottenere il nostro obiettivo.
La radice di tutti i nostri poteri spirituali temporali e ultimi è il Guru e ci si relaziona con tale idonea guida spirituale attraverso tre sistemi, tre tradizioni, che sono in realtà tre tantra. Fondamentalmente, quindi, il modo corretto di mettersi in relazione con la propria guida spirituale avviene secondo quanto è illustrato in tre tradizioni, che sono in realtà tre tantra. I metodi contenuti in questi tre tantra sono stati estrapolati e spiegati nel testo delle 50 stanze di devozione al Guru. Quindi si esorta il discepolo ad ascoltare questo insegnamento.
Abbiamo due presentazioni, una estesa e una breve. Quella che viene per prima è la spiegazione concisa.
Il secondo verso dice: “Tutti i Buddha del passato, del presente e del futuro che risiedono in ogni terra delle dieci direzioni hanno reso omaggio ai Maestri tantrici dai quali ricevettero le più alte iniziazioni.” (È forse necessario precisare che dovreste agire nello stesso modo?)
Qual è il messaggio che dobbiamo ricavare dal verso? Se tutti i buddha dei tre tempi e delle dieci direzioni si sono prostrati ai Maestri tantrici dai quali hanno ricevuto le iniziazioni più alte per ottenere il loro stato è sottinteso che per ottenere lo stesso obiettivo noi dovremmo fare altrettanto. Quando si parla delle iniziazioni più alte fondamentalmente si sta parlando delle quattro iniziazioni del vaso, segreta, della saggezza e della parola che insieme costituiscono la trasmissione più elevata che il Maestro possa concederci. E queste iniziazioni ci vengono donate proprio da quei Maestri verso i quali dobbiamo prostrarci.
La ragione essenziale per cui dobbiamo mostrare rispetto nei confronti dei Maestri tantrici è perché il conferimento delle quattro iniziazioni rende la nostra mente idonea a progredire.
Più specificamente, la nostra mente diviene un sentiero adatto al miglioramento spirituale grazie alla pratica dello stadio di generazione e di completamento del tantra. È cioè possibile praticare i due stadi grazie al potenziamento che riceviamo durante le quattro iniziazioni. Quando si parla di coloro che si prostrano ai rispettivi Guru o Acharya non ci si sta riferendo a un solo buddha ma a tutti i buddha delle dieci direzioni e dei tre tempi. Tutti coloro che hanno raggiunto questo stadio finale sono passati per un simile sentiero.
Il terzo verso dice: “Tre volte al giorno dimostrerete con grandissima fede il rispetto che provate nei confronti del Guru che vi insegna (il sentiero tantrico) giungendo le mani, offrendo un mandala e dei fiori e prostrandovi con il capo a toccare i suoi piedi”.
Quando parliamo di offerta del mandala ci riferiamo all’offerta simbolica di tutto l’universo e di tutti i nostri possedimenti che si svolge come supremo atto di generosità per una, due, tre volte al giorno, e tutte le volte che sono opportune. Questo mandala viene offerto al nostro oggetto di devozione che è il Guru.
Il quarto verso dice: “Voi che avete voti di ordinazione e il cui Guru è un laico o più giovane, per evitare il disprezzo mondano (in pubblico) prostratevi di fronte a oggetti come testi sacri di sua appartenenza. Ma nella mente (prostratevi dinanzi al vostro Guru)”.
Questo verso si riferisce a una condizione particolare in cui la nostra guida spirituale è o un laico, nel caso in cui noi siamo monaci o monache, oppure è più giovane di noi. In entrambi i casi, poiché fare altrimenti potrebbe impressionare negativamente le persone che ci sono intorno, ci si prostra davanti a oggetti inequivocabilmente più nobili di noi, come i testi sacri, mentre in realtà dentro di noi ci prostriamo al nostro Guru. Si tratta cioè di un palliativo per evitare che la gente comune possa interpretare in modo erroneo le nostre azioni di devozione.
Questo abile metodo era già conosciuto secoli addietro, quando Nalanda, in India, era una grande università monastica. A quel tempo un grande Lama, Chandragomin, fu invitato a dare insegnamenti e poiché non era considerato corretto che i monaci si prostrassero a un laico egli, che lo era, si fece precedere da una statua di Maitreya per evitare che sorgessero critiche o proteste.
Un tempo, verso l’anno 1100, quando Drom Tompa era ancora vivo, in Tibet, nella regione di Penpo, (DromTompa era un grande Lama che si manifestava come un povero mendicante), durante un viaggio per raggiungere un monastero egli si accompagnò a una persona ricca che non aveva idea di chi fosse il suo compagno di viaggio. Il ricco si tolse le scarpe e disse a Drom Tompa di portargliele. Egli quindi le prese e se le mise sulle spalle ma giunti nei pressi del monastero, dove sapevano che Drom Tompa stava per arrivare, cominciarono a udire i preparativi per l’accoglienza, sentirono suonare le trombe eccetera. Il ricco chiese con noncuranza al suo accompagnatore che cosa stesse succedendo e Drom Tompa umilmente rispose: “Credo che stiano preparando qualcosa per me”. Il ricco a quel punto scappò via in gran fretta dimenticando perfino di riprendersi le scarpe. Drom Tompa, che era un laico, era una manifestazione di Avalokitesvara e si mostrava come una persona molto semplice e molto povera.
Sebbene il Guru possa essere una persona laica, o sia più giovane di noi, nei suoi confronti dobbiamo comportarci nel modo più appropriato e corretto possibile, facendo comunque attenzione alle apparenze in modo da evitare incomprensioni nelle persone che ci circondano.
Nel caso in cui il Guru sia più giovane, occorre adottare lo stesso comportamento che un discepolo ha verso il proprio Maestro, come viene descritto nel quinto verso: “Servire (il Guru) e dimostrargli il vostro rispetto significa obbedire a ciò che dice, alzarvi quando fa il suo ingresso e cedergli il vostro posto. Queste cose devono essere fatte anche da coloro che hanno ricevuto l’ordinazione (il cui Guru è un laico o è più giovane). Ma (in pubblico) evitate di prostrarvi e di compiere atti contrari alle usanze (come lavargli i piedi)”.
Vedete che il quinto verso esprime la necessità di svolgere azioni come alzarsi e cedere il proprio posto eccetera, ma apre una parentesi verso quelle attività che vanno contro il costume e le usanze del luogo come lavare i piedi al Guru nel caso che sia un laico o sia più giovane.
Il sesto verso dice: “Affinché gli impegni presi sia dal Guru sia dal discepolo vengano rispettati occorre un reciproco esame preliminare (per determinare se ciascuno di loro) possa affrontare una relazione Guru-discepolo”.
Quello che si vuole sottolineare è che qualsiasi sia la natura della relazione con il nostro Maestro, identificato come Maestro di sutra o come Maestro di tantra, nel momento in cui lo si riconosce come tale è necessario intraprendere un rapporto corretto. La non correttezza di tale relazione fa insorgere dei gravi errori che possono produrre il degenerarsi degli impegni sia da parte del Maestro che del discepolo. Questa degenerazione fa accumulare molto karma negativo. È quindi importante che, come viene detto nella Grande esposizione del sentiero verso l’illuminazione, una volta determinata la relazione discepolo-Maestro (di sutra o di tantra) è importante che essa venga mantenuta in modo esatto.
Perciò è necessario procedere a una reciproca analisi prima di considerare una persona come idonea a essere nostro Maestro o discepolo. Il Maestro deve controllare se la persona che gli sta davanti abbia i requisiti per diventare un suo discepolo, cosa che stabilisce soprattutto sulla base del suo comportamento. D’altro lato il discepolo, prima di decidere che una persona diventi il proprio insegnante, deve osservarne attentamente sia il comportamento che la pratica. Per essere completamente sicuri di aver preso la decisione giusta bisogna analizzare e controllare accuratamente e per un certo periodo di tempo: nei testi si indicano quattro mesi, un anno o anche più.
Quali sono le qualità che il discepolo deve accertare nella persona che diventerà suo Maestro? Sono il fatto di non avere difetti mentali, cioè non essere una persona irascibile, afflitta da grande attaccamento e passionalità, da grande odio o grande orgoglio, non deve cioè essere dominato dai difetti mentali. Questo è il criterio più evidente per giudicare il futuro Maestro e ciò implica che se quella persona possiede tali difetti non è idonea a essere nostro maestro.
Una volta esaminato come non dovrebbe essere l’insegnante, si forniscono una serie di indicazioni a parte per illustrare come invece dovrebbe essere
A questo proposito seguono il settimo e l’ottavo verso, in cui si fa menzione in modo molto conciso delle varie qualificazioni di un Guru idoneo, che sono state estrapolate da diversi sutra e in particolare dal testo di Maitreya Mahayanasutralamkara (L’Ornamento per i sutra del Grande Veicolo):
“Un discepolo di buon senso non dovrebbe accettare come Guru una persona senza compassione o soggetta alla collera, immorale o arrogante, possessiva, indisciplinata o che si inorgoglisce della sua conoscenza.”
“Un Guru dovrebbe essere stabile (nelle sue azioni), educato nel linguaggio, saggio, paziente e onesto. Non dovrebbe nascondere le proprie manchevolezze né fingere di possedere qualità che non ha. Dovrebbe essere esperto nei tantra e nei loro rituali (per guarire o eliminare gli ostacoli). Inoltre, dovrebbe possedere un’amorevole compassione e la completa conoscenza delle scritture.”
Sebbene nell’ottavo verso, che cita direttamente le parole di questo sutra, il contenuto sia da interpretare, si parla fondamentalmente di dieci qualità che un Guru idoneo dovrebbero possedere. Tre qualità sono basilari e dovrebbero essere immediatamente palesi: un Guru dovrebbe essere disciplinato, pacificato ed estremamente pacificato. Queste tre qualità sono da ritenersi il risultato derivante dalla profonda conoscenza e dalla pratica dei tre addestramenti superiori. L’addestramento superiore della moralità è quello che fa sì che il Guru sia disciplinato ed è in qualche modo il risultato della sua grande familiarità con l’addestramento nella disciplina. La pacificazione è una serenità mentale determinata dalla grande familiarità con l’addestramento superiore nella stabilizzazione meditativa. L’essere estremamente pacificato è in relazione all’avere abbandonato le attitudini negative e gli ostacoli che ne sono il frutto attraverso l’addestramento superiore nella saggezza.
Oltre a queste tre fondamentali qualità, deve inoltre averne altre, come il possedere più conoscenza del discepolo, essere dotato di grande sforzo gioioso nella virtù, di grande entusiasmo ed essere una miniera di grande conoscenza scritturale.
Il Guru deve avere anche una grande pazienza, deve essere dotato di una mente che non si scoraggia e non esaurisce la sua energia; deve essere instancabile, cioè essere una persona che per il beneficio del proprio discepolo, e al solo vederlo, riesce a superare le difficoltà e la stanchezza fisica e mentale che può magari star sperimentando in quel momento. Deve essere una persona la cui energia e attitudine a insegnare sia instancabile e dotato di grande compassione; deve avere una esatta conoscenza e comprensione della vacuità.
Come vedete, nella seconda riga dell’ottavo verso si esplicita il fatto che il Guru non dovrebbe nascondere le proprie manchevolezze o esagerare le proprie qualità o fingere di avere qualità che non possiede. Questo è un aspetto importante: il Maestro non deve nascondere eventuali difetti con il proposito di mantenere una buona reputazione né fingere di avere qualità che non possiede o esagerare le qualità che possiede ma deve essere una persona molto retta e coerente con i suoi limiti.
Oltre a quelle possedute dal Maestro dei sutra, un Maestro dei tantra deve avere ulteriori qualità, come ad esempio essere esperto nel conferire i vari rituali del tantra e quindi essere in grado di compiere i diversi tipi di azioni necessarie alla sua pratica, conoscere le varie sostanze connesse ai rituali, ad esempio avere una vasta conoscenza della medicina e di come comporre e somministrare medicamenti. Bisogna cioè che egli conosca i diversi tipi di elementi da raccogliere e mescolare secondo un determinato equilibrio.
Ad esempio, nei vasi relativi alle varie iniziazioni delle quattro classi del tantra vi sono diversi tipi di sostanze, e cioè abbiamo sostanze per il Krya, Charya, Yoga e Mahanuttara Yoga Tantra. Il Maestro deve sapere come utilizzare queste sostanze in relazione ai diversi tipi di rituali. Il motivo per cui dovrebbe conoscerle esattamente e sapere come farne delle medicine è perché il loro impiego corretto è uno dei fattori che determina il veloce ottenimento delle realizzazioni. Quindi, allo scopo di indurre velocemente le realizzazioni nel continuum del proprio discepolo, il Maestro deve conoscere queste cose. Queste sono alcune che un Guru del tantra dovrebbe possedere.
Come abbiamo detto in precedenza, il Guru deve avere una profonda conoscenza scritturale ed essere mosso da una grande attitudine compassionevole. La compassione è estremamente importante perché è il fattore che spinge ad agire per il beneficio altrui. Se il Maestro non è dotato della grande compassione non porrà sforzo per eliminare la sofferenza dei propri discepoli e per condurli allo stato di felicità più completo. Non si impegnerà per raggiungere questi obiettivi. È quindi fondamentale che il Guru sia dotato di una simile attitudine altruista.
L’importanza della grande compassione come fonte di tutte le eccellenti qualità del sentiero è sottolineata anche da Chandrakirti nel Madyamikavatara https://www.sangye.it/altro/?p=3259 quando all’inizio del testo egli elogia la grande compassione come fonte di tutte le qualità supreme del sentiero.
La grande compassione è identificata come la radice di tutte le eccellenti qualità proprio per la sua caratteristica di essere la base di ogni progresso futuro. La porta che delimita il grande veicolo è la mente dell’illuminazione, la bodhicitta, che trova il suo fattore di generazione principale nella grande compassione. La grande compassione è così importante che viene definita fondamentale nei tre momenti: all’inizio, a metà e alla fine.
All’inizio, nella fase in cui si genera la mente dell’illuminazione, o bodhicitta, è fondamentale perché trova il suo costituente principale in una attitudine altruista che agisce per il beneficio altrui e questa attitudine non è niente altro che la grande compassione, quella disposizione mentale che ha come obiettivo prioritario il dedicarsi totalmente al bene degli altri esseri.
È fondamentale a metà perché, una volta generata, la mente di bodhicitta deve in qualche modo esprimersi in attività che vengono sostenute dalla costante presenza di questa attitudine altruista, o grande compassione.
È fondamentale alla fine perché, una volta raggiunto l’obiettivo della mente dell’illuminazione, cioè lo stato dell’illuminazione stesso, il fattore che determina il girare la ruota del Dharma è il desiderio di beneficiare gli esseri e quindi lo stato di buddha è determinato dalla presenza della grande compassione.
Finora abbiamo menzionato quasi esclusivamente le qualità di un Guru dei sutra. Nel nono verso vengono introdotte in modo conciso alcune qualità del Guru dei tantra: “Il Guru dovrebbe essere perfettamente esperto nei dieci campi, abile nel disegno dei mandala, totalmente capace di spiegare i tantra e di tenere sotto controllo la sua pura e suprema fede e i suoi sensi”.
Oltre alle qualità condivise con il Maestro dei sutra, il Maestro del tantra deve avere dieci specifiche qualità interne e dieci esterne.
La prima delle qualità esterne è l’essere abile nel disegno, nella costruzione e nella visualizzazione dei mandala, le dimore delle divinità.
La seconda è l’abilità di mantenere differenti stati di stabilizzazione meditativa e consiste nel riuscire a restare stabilmente concentrati su tali mandala creati con la mente.
La terza è l’essere abile nei mudra che accompagnano i rituali. Quando si parla di mudra si parla della gestualità fisica ma anche di altri mudra che non sono esterni e che comunque devono essere sotto il completo controllo del Guru.
La quarta qualità esterna è l’essere abile nel compiere danze rituali. Non si tratta di balli ma della gestualità completa che il corpo deve assumere per produrre differenti risultati a seconda dei tipi di rituali. Sono movimenti fisici simili a danze che hanno un proposito rituale.
La quinta qualità è relativa alla conoscenza delle diverse posizioni di meditazione. Ciò significa che a seconda delle varie occasioni meditative vi sono diversi tipi di posizione. Per esempio, rispetto alle puje del fuoco si assumono varie posizioni ad esse collegate come nella puja di pacificazione che deve essere compiuta nella posizione del loto eccetera e ciascuno di questi rituali ha differenti tipi di posizioni karmicamente equivalenti con l’attività che il Maestro compie e che deve conoscere.
La sesta è l’essere abile nei vari tipi di recitazione di mantra relativi ai diversi tipi di tantra. Vi sono mantra che comportano speciali tipi di modulazione, intonazione e modi di recitare in relazione alle attività che si devono compiere: pacifiche, irate, interne, esterne, vajra. Ad esempio, la recitazione più conosciuta è quella del mantra eseguito in modo che la persona che lo recita ne riconosca il significato e le parti mentre la persona che gli sta di fianco non è in grado di sentire e comprendere quello che l’altro pronuncia. Quindi c’è un particolare modo di impostare la recitazione che impedisce alle persone vicine di individuare cosa si stia recitando.
In generale, la recitazione del mantra deve essere libera da cinque errori e impurità: non deve essere troppo accelerata, troppo lenta, troppo alta, troppo bassa, e deve essere sillabata in modo chiaro. La recitazione irata è quella praticata nei monasteri tantrici. Per esempio, nel collegio tantrico del Ghiume si recita il mantra irato impostando la voce in modo da generare un particolare effetto.
La settima qualità è l’offerta delle puje del fuoco. In questo caso il Guru deve conoscere perfettamente i differenti tipi di rituali del fuoco. In genere ve ne sono quattro: di pacificazione, di incremento, di potere, di ira. Ognuno implica una diversa base o mandala di offerta e ha diverse forme, misure e incisioni. Il Maestro deve conoscere perfettamente come eseguire tutti questi diversi rituali e sapere anche quali sono le dodici sostanze che vengono generalmente utilizzate in essi.
Conoscere queste dodici sostanze implica non solo conoscere quali esse siano ma anche i risultati che ne conseguono. Ognuna di esse, infatti, ha un attributo peculiare che le permette di far maturare un determinato risultato. Alcune possono allontanare ostacoli, altre incrementano i meriti e la saggezza di colui che la offre eccetera. Ad esempio, gli yan shin, i bastoncini di una determinata misura, hanno la funzione di incrementare o far maturare la mente dell’illuminazione. Queste sono considerate sostanze principali. Altre, come la senape, servono a eliminare le interferenze e gli ostacoli. Il burro ha la proprietà di eliminare gli ostacoli che si frappongono fra noi e lo stato di illuminazione e di liberazione. Generalmente, per poter ottenere lo stato della perfetta illuminazione bisogna superare vari tipi di ostacoli e il burro rappresenta sia il fattore che elimina questi ostacoli sia il fattore coadiuvante che incrementa le diverse condizioni cooperanti per ottenere tale obiettivo. I semi di sesamo neri servono a eliminare il karma negativo e le oscurazioni che si sono accumulate nel passato. Vi è una puja specifica eseguita allo scopo di eliminare il karma negativo e le ostruzioni, la puja a Dorje Khadro, che consiste sostanzialmente nel gettare dei semi di sesamo nero, che simboleggiano le attività negative compiute in passato, ammonticchiati sulla mano in forma di scorpione. I semi così raggruppati vengono offerti poco alla volta, in modo da eliminare le attività negative e le oscurazioni accumulate in passato. Il Guru deve quindi essere esperto in queste varie attività e conoscere le loro funzioni.
Come ottava qualità c’è l’essere capaci di fare offerte: ciò implica una conoscenza molto estesa poiché vi sono differenti tipi di offerta in relazione a diversi contesti e situazioni. Per esempio, le torme sono di varie misure, forme e composizioni, tutte in relazione alle diverse divinità e attività per cui vengono offerte. Questi dolci rituali, composti di svariate sostanze e di diversi colori, vengono offerti anche in modo diverso uno dall’altro, sempre in relazione al tipo di divinità e di attività. Il Guru deve saper fare tutto ciò e anche le offerte esterne, cioè quelle offerte che sono oggetti delle coscienze sensoriali, come ad esempio argham, padyam eccetera e il cui fine è quello di stimolare le coscienze sensoriali. Deve conoscere le offerte interiori, in cui egli genera le sostanze chiamate ‘cinque carni e cinque nettari’ e deve inoltre essere esperto nel creare e presentare le offerte segrete e le offerte della talità o vacuità.
Il Guru deve quindi saper generare e donare tutti questi quattro tipi di offerte.
Come nona qualità deve essere in grado di condurre un cerimoniale o un rituale e ciò implica la conoscenza di diversi aspetti come: pacificare le dispute, incrementare la vita, la conoscenza e la ricchezza, saper indurre il potere di controllo sugli altri, eliminare in modo irato i vari tipi di interferenze.
Come decima qualità deve essere in grado di invocare e riunire le divinità.
Queste sono le dieci qualità esterne che un Maestro (Acharya) del tantra dovrebbe possedere e che un discepolo deve conoscere per potersi affidare a una valida guida.
In questo testo non sono invece descritte le qualità del discepolo.
Ne Le quattrocento stanze della via di mezzo il discepolo deve possedere tre tipi di qualità fondamentali: deve essere una persona retta, onesta nelle azioni di corpo, parola e mente; deve possedere una intelligenza discriminante; deve sforzarsi nel realizzare ciò che gli viene insegnato.
Nel Pramanavartika queste tre qualità vengono spiegate ulteriormente con l’aggiunta di una quarta. Il modo di spiegare le quattro qualificazioni del possibile discepolo avviene prima menzionando ciò di cui un discepolo deve essere privo e poi menzionando le qualità opposte di cui deve essere dotato.
Come deve essere un non-discepolo? Egli deve avere grande attaccamento per gli oggetti mondani; deve avere una mente non saggia, che non sa cosa è giusto e cosa è sbagliato; non deve porre sforzo nel sentiero virtuoso; deve avere difetti come gelosia e irascibilità. Tale persona, quindi, non è qualificata per essere un discepolo.
Perciò, un discepolo non deve avere attaccamento; deve saper discriminare tra giusto e sbagliato; deve porre sforzo nel sentiero virtuoso; deve essere libero da intensi difetti mentali, come gelosia e ira. Colui che possiede queste prerogative è definito come essere un discepolo appropriato.
Secondo L’ornamento per le chiare realizzazioni il discepolo deve invece avere tre caratteristiche: deve servire e rendere omaggio ai Buddha e Bodhisattva; deve accumulare le radici di virtù; deve seguire fedelmente il proprio Maestro spirituale. E il verso dice: “questo è il modo corretto”.
Abbiamo visto quali sono le qualificazioni di un valido Maestro dei sutra e dei tantra e quali sono le qualificazioni di un discepolo corretto. È detto che in questa epoca degenerata è molto difficile trovare un Maestro completamente qualificato ma viene altresì affermato che è sufficiente trovare un Maestro più capace di noi.
Il Maestro deve essere una persona più abile del discepolo perché sarebbe inutile avere come guida una persona con capacità pari o inferiori alle nostre, poiché non potremmo accrescere le nostre qualità e quindi non potremmo progredire. Dipendere da un Maestro con qualità inferiori farebbe diminuire le nostre qualità, e dipendere da un Maestro con pari qualità non ci farebbe crescere. Quindi, per crescere e incrementare le nostre qualità occorre seguire un nobile essere, un Maestro che abbia maggiori qualità.
Il Buddha si manifesta per guidare il discepolo se questi ha una fede sufficientemente forte. Di fatto, è importante avere una grande fiducia. Questo non vuol dire avere una fede cieca poiché la fede veramente importante è quella che si basa su delle valide ragioni e queste ragioni, sostegno della fede, consistono in una attenta valutazione del Maestro prima di accettarlo come tale. È perciò necessario valutare attentamente una persona per vedere se corrisponde ai criteri che fanno di lei un insegnante adatto, e una volta valutati tali requisiti questi costituiranno le ragioni valide che supportano la fede e che fungono poi da base per la nostra relazione.
La fede basata su ragioni è un fattore molto importante perché la forza delle benedizioni che riceviamo è direttamente proporzionale all’accuratezza e alla potenza della nostra fiducia. In un sutra si pone molta enfasi sull’aspetto della fede perché essa è indicata come fonte delle grandi virtù bianche, delle grandi qualità virtuose. In questo sutra è infatti detto che la fede è la fonte di tutti i fenomeni, o dharma, bianchi e i dharma bianchi possono crescere solo sulla base della fede così come i germogli possono crescere solo sulla base dell’esistenza di semi posti nella terra. In un altro sutra si dice che la fede genera le qualità, come la madre genera i suoi figli. La fede è raffigurata come madre, generatrice di tutte le qualità.
Quindi, è talmente importante avere fede nel proprio Maestro che il Guru, in particolare nel sentiero del tantra, dovrebbe essere considerato come inseparabile dalla divinità.
Dovremmo ora generare una motivazione corretta e adeguata all’insegnamento del Grande veicolo. Così come Maitreya afferma in un testo, la generazione della mente è la porta di entrata del grande veicolo e questo implica che dovremmo sviluppare la motivazione che desidera ottenere la illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Sulla base di questa motivazione ci apprestiamo ad ascoltare gli insegnamenti del grande veicolo. La mente di bodhicitta ha le proprie radici nella compassione e nell’amore, che sono i due pilastri sulla base dei quali si genera, o dipende, la mente dell’illuminazione.
La pratica per sviluppare l’attitudine corretta dovrebbe consistere in un mutamento radicale del nostro atteggiamento che implica uno spostamento dell’attenzione dalla nostra persona verso gli altri. Dovremmo cioè cambiare quell’abituale atteggiamento che considera la nostra persona come la cosa più importante, che concentra ogni attività e attenzione su di essa, e spostare invece l’attenzione sugli altri. Da tempo senza inizio fino a ora il responsabile dei nostri disagi è stata appunto questa univoca attenzione su noi stessi, questa mente egoista, una mente che ha accuratamente evitato di generare un vero atteggiamento altruista. Se vogliamo avere dei buoni risultati dobbiamo invertire questi due poli e prendere come principale oggetto della nostra cura gli altri, cercando di ridurre la spasmodica attitudine centrata su noi stessi.
Riprendiamo il testo da dove lo abbiamo lasciato ieri. Il decimo verso dice: “Se, dopo essere divenuti discepoli di tale (Guru) protettore, doveste giudicarlo indegno dal profondo del cuore, maturerete una incessante sofferenza proprio come se aveste disprezzato tutti i Buddha”.
Questo verso indica il pericolo di cambiare la nostra attitudine verso il Guru, verso quella persona che abbiamo già stabilito essere il nostro Maestro. Una volta deciso che una persona è adatta a guidarci nel sentiero dobbiamo sviluppare una relazione corretta. Se così non è e se ad esempio la relazione viene incrinata da una critica molto severa nei confronti del proprio Maestro e quindi in qualche modo degeneriamo il rispetto che gli dobbiamo, allora incorriamo in un grave errore che ostacolerà il nostro progresso nel sentiero.
L’undicesimo verso afferma: “Se siete così folli da disprezzare il vostro Guru, contrarrete malattie contagiose o causate da spiriti maligni. Morirete (di morte orribile) a causa di demoni, calamità o veleno”.
Sostanzialmente, dal momento che uno dei voti radice del tantra è ‘non disprezzare il proprio Guru’, il fatto di degenerare questo impegno mancando di rispetto alla propria guida spirituale è causa di una grande accumulazione di karma negativo. Questo è ciò che viene enfatizzato nel verso in questione.
Nel momento in cui abbiamo un Guru che ci introduce nel sentiero del tantra tramite il conferimento della iniziazione, i commentari e le istruzioni orali allora stabiliamo una particolare relazione suggellata con dei voti, che sono appunto i voti tantrici. Uno dei voti radice è precisamente il ‘non disprezzare il proprio Guru’ e la loro degenerazione apre le porte all’accumulazione di molto karma negativo, la cui conseguenza sono risultati come la morte prematura, il rinascere nei reami inferiori, le malattie, le morti causate da spiriti o veleno eccetera.
Non c’è molto da aggiungere, in questo verso sono semplicemente elencati alcuni degli effetti sperimentabili nel caso che si incorra in questo errore.
Il dodicesimo verso dice: “Sarete uccisi da sovrani (malvagi) o dal fuoco, da serpenti velenosi, acqua, streghe o briganti, da spiriti malefici o esseri selvaggi e rinascerete in un inferno”.
Anche questo è chiaro, quando si dice ‘sarete uccisi da sovrani malvagi’ significa essere giustiziati secondo le leggi locali, ‘uccisi dal fuoco’ si riferisce alla morte per cataclismi generati dallo squilibrio dei quattro elementi, oppure ‘si viene uccisi da animali, oppure dall’intervento di spiriti cannibali femminili, oppure da banditi o da altri tipi di spiriti’. Si può essere uccisi anche a seguito di rapine, dai banditi, eccetera. Vi sono cioè una serie di effetti causati dalla degenerazione della relazione con il proprio Guru. Il consiglio è quindi di stare attenti.
Il tredicesimo verso è anch’esso abbastanza evidente: “Non turbate mai la mente del vostro Guru. Se sarete così sciocchi da fare ciò, sicuramente finirete a bollire in un inferno”.
Come interpretare ‘non turbate la mente del Guru’? Ci si riferisce fondamentalmente al fatto di renderlo infelice: dovremmo evitare di causare infelicità nella mente del nostro Guru, di dispiacerlo in qualsiasi modo, altrimenti sperimenteremo questi risultati indesiderati.
Le cause che possono rendere infelice il Guru sono molte. Alcune, le più evidenti, sono il non praticare come si dovrebbe, quindi il non mettere in atto i consigli che si ricevono e per certi versi allontanarsi da quella che è una condotta virtuosa o, ancora più esplicitamente, danneggiare gli altri esseri senzienti. Quando ci si impegna in queste due attività negative si causa l’infelicità del proprio Guru.
Non si pretende che le persone possano seguire in modo perfetto ciò che il Guru consiglia, perché siamo esseri ordinari e la nostra ordinarietà è dettata dal fatto di trovarci sotto l’influenza dei difetti mentali. Quindi l’avere difetti mentali molto forti provoca la nostra impossibilità ad aderire in modo perfetto ai consigli del Guru. Questo è qualcosa di scontato. Si dovrebbe però cercare di fare il possibile per essere coerenti con i consigli del Maestro. Fondamentalmente, quindi, si parla di un netto divergere dai consigli del proprio Maestro, di un volontario allontanamento dal cammino che il Maestro ci ha tracciato. Questo è quello che si intende qui.
Il Guru, così come il discepolo, hanno rispettivamente dei voti, tra i quali quello di essere coerenti, e in questa coerenza vi deve essere il beneficio altrui. L’allontanarsi da questa condotta provoca la degenerazione di questi voti, sia da parte del Maestro che del discepolo e ciò naturalmente produce molti risultati negativi.
Nella relazione Guru-discepolo i vantaggi sono molti ma i rischi sono altrettanto grandi, sia da parte dello studente che del Maestro. È quindi necessario e importante mantenere il più correttamente possibile questa relazione proprio perché i rischi sono da entrambi i lati, sia da parte del Maestro che del discepolo.
Se si degenera la nostra relazione, uno dei risultati è quello di rinascere in uno degli inferni e c’è un inferno particolare che aspetta coloro che degenerano uno dei voti tantrici principali, come quello di disprezzare il proprio Guru.
È ciò che viene descritto nel quattordicesimo verso: “Per quanti inferni spaventosi possano essere stati insegnati, come gli inferni Avici o l’inferno della Continua Sofferenza, è chiaramente spiegato che coloro che disprezzano il proprio Guru dovranno rimanervi (per un periodo molto lungo)”.
Tra i reami infernali troviamo la sezione degli inferni caldi, che sono otto, e uno di questi è l’inferno della Sofferenza interminabile qui menzionato.
Il reame infernale è un reame da cui si esce difficilmente, vi si rimane per molto tempo, proiettati dalla causa che lo ha determinato, e se ne esce con difficoltà. Apriamo una parentesi: poiché siamo esseri ordinari abbastanza miserevoli, la rinascita nei reami infernali è quasi assicurata. È pressoché inevitabile andare negli inferni, sia che rompiamo o meno i voti tantrici. Ci sono però dei vantaggi a finire negli inferni avendo ricevuto i voti tantrici, perché una cosa è andare negli inferni non avendo ricevuto alcuna iniziazione e voto tantrico e un’altra è rinascere negli inferni avendo però ottenuto i voti del tantra. Vi è un vantaggio che è stato menzionato anche da Kiabje Song Rinpoce in uno dei suoi discorsi in cui diceva che di per sé gli esseri senzienti molto difficilmente evitano il fatto di finire negli inferni e che quindi, fra le due cose, è molto meglio arrivarci avendo ricevuto un’iniziazione tantrica perché si rimarrà negli inferni per un tempo inferiore e poi si sarà proiettati in reami superiori, come quello umano, in cui si avrà una base perfetta, la preziosa rinascita umana, caratterizzata dalle sue libertà e ricchezze che serviranno per un progressivo miglioramento. Quindi, di fatto c’è un vantaggio nel ricevere l’iniziazione e i voti del tantra anche se si incorre nella loro inevitabile rottura.
Normalmente, il sentiero del tantra e i voti ad esso connessi sono rappresentati come una specie di tunnel, di canale molto stretto in cui si muove un serpente che siamo noi. Quando il tubo è molto stretto il serpente può andare solo su o giù, non può cambiare e non può trovare una porta intermedia, per cui deve per forza arrivare all’uscita opposta. Una volta ricevuti i voti del tantra succede la stessa cosa: se si rispettano e se quindi la nostra attitudine tende verso l’alto, inevitabilmente rinasceremo nei reami superiori. Se invece il nostro comportamento non è coerente, allora non c’è modo di potersi fermare a metà ma si precipita fino in fondo. Quindi ci sono solo due modi, o si va su o si va giù. Ecco perché, una volta ottenuta l’iniziazione, il consiglio è di non comportarsi in modo negativo.
Il quindicesimo verso dice: “Perciò, addestratevi con tutto il cuore a non disprezzare mai il vostro Maestro tantrico, il quale non fa sfoggio della sua grande saggezza né delle sue virtù”.
Il messaggio è quello di evitare di generare un intenso disprezzo verso il Guru. Il disprezzo equivale a vedere errori nel proprio Maestro. Si dice che un altro dei risultati del disprezzare il proprio Guru è quello di avere in sogno degli incubi e dei responsi immediati.
Una volta stabilita questa relazione con un Maestro qualificato dobbiamo cercare di non generare una mente critica che costantemente vede dei difetti ma, come dice Sua Santità il Dalai Lama, la cosa migliore da fare è rimanere in uno stato di equanimità, cioè mantenere una mente non troppo tesa da un lato né dall’altro. Dovremmo rimanere in equilibrio mentale.
Credo proprio che Sua Santità volesse riferirsi al fatto che è esattamente come quando noi tendiamo a identificare le persone che ci circondano in tre differenti modi – coloro che ci beneficiano e verso cui abbiamo attaccamento, sono amici; le persone che ci danneggiano e verso cui abbiamo un’attitudine di avversione sono nemici; altre persone che non sono particolarmente né di beneficio né di danno le consideriamo in un modo equanime in cui non c’è una relazione che tende verso uno dei due poli – e che volesse proprio enfatizzare l’ultimo tipo di attitudine, cioè avere verso il Guru uno stato mentale di equanimità libero dai due poli.
Il sedicesimo verso verte sulla necessità di fare offerte e mostrare rispetto al Guru: “(Se per mancanza di consapevolezza siete stati irriverenti) verso il vostro Guru, presentategli rispettosamente un’offerta e chiedete il suo perdono. In questo modo in futuro non vi accadrà alcuna disgrazia o altro tipo di calamità”.
Quello che si dovrebbe fare è di agire con devozione verso il proprio Guru cosa che, così come viene descritto nel Lam-rim, si esprime attraverso il comportamento. Abbiamo due modi di esprimerci: uno mentale e uno fisico. L’espressione fisica non è altro che il nostro comportamento e ciò che viene presentato nel sedicesimo verso è un aspetto di questo comportamento.
Il diciassettesimo verso dice: “È stato insegnato che al Guru (visualizzato della stessa entità della vostra divinità di meditazione) a cui avete dato la vostra parola d’onore dovreste sacrificare volentieri la moglie, i figli e la vostra stessa vita, anche se queste non sono cose (facili) da abbandonare. Occorre ricordare quanto sia effimera la vostra ricchezza?”.
In questo caso si intendono i possedimenti che normalmente vengono ritenuti così intimi e personali da pensare impossibile poterli donare o condividere con altri. Sono invece proprio questi beni gli oggetti di offerta da donare al Guru. Qualsiasi possedimento si abbia, persino la vita stessa, dovrebbe essere ritenuto come un oggetto appropriato da offrire al Guru. Per comprendere quanto questi oggetti siano effettivamente appropriati dovreste osservare le vite passate del Buddha che, con l’intento di raggiungere lo stato della completa illuminazione, ha fatto della generosità uno dei suoi scopi principali. Egli ha operato grandi atti di generosità e ha più volte offerto il proprio corpo, sia per il raggiungimento dello stato di buddha che per promuovere e mantenere l’insegnamento del dharma nel mondo. In diverse occasioni delle sue vite ha offerto le mogli, i figli, i vari possedimenti, la vita stessa, in modo totale e per l’ottenimento dell’ultimo scopo, cioè lo stato di buddha per il beneficio di tutti.
Un tempo Lama Yeshe, quando era ancora in vita, raccontò la storia di due famiglie in cui la moglie del componente di una famiglia andava con il marito dell’altra. Non era una storia inventata ma un fatto reale per cui gli era stato richiesto un parere. E Lama Yeshe consigliò alla persona che stava sperimentando quella particolare situazione di non fare nulla, di andare semplicemente dall’altra famiglia, fare tre prostrazioni a sua moglie e all’altro uomo e poi offrirgli sua moglie.
Quella persona prese alla lettera il consiglio, si munì di kata e si recò nella casa in cui c’era l’altro uomo con sua moglie, entrò, fece tre prostrazioni, gli offrì la kata e poi gli offrì anche la moglie.
“È vero, credo che sia corretto” dice Ghesce-La. “Questo è un tipo di comportamento che potete trovare spesso nelle storie delle vite di Buddha”.
L’ultima riga del verso sta a significare che se la moglie, i figli, la propria vita, sono adeguati oggetti di offerta per il proprio Maestro, figuriamoci le altre cose, come i gioielli, il denaro e gli altri possedimenti che sono di valore inferiore. È sottinteso che siano adatti a essere offerti.
Il diciottesimo verso dice: “(Tale pratica di offerta) può addirittura aiutare un discepolo zelante a ottenere la buddhità in questa vita, che altrimenti sarebbe difficile raggiungere perfino in innumerevoli milioni di eoni”.
Il verso mostra quanto sia importante e preziosa l’attività del Maestro perché egli è in grado di abbreviare il tempo che colui che segue il sentiero del sutra avrebbe bisogno per ottenere lo stato dell’illuminazione. In tale sentiero il tempo minimo per ottenere lo stato di Buddha sono alcuni incalcolabili eoni.
Se il discepolo è coscienzioso e mette in pratica, in modo assiduo e corretto, ciò che gli viene insegnato, attraverso il sentiero del tantra questo periodo può invece essere considerevolmente diminuito, tanto da riuscire ad ottenere l’illuminazione anche in una sola vita. E questa possibilità ci è data sulla base della gentilezza del Maestro che dà insegnamenti del tantra.
Nell’ambito del tantra, un discepolo zelante e fornito di una buona accumulazione di meriti può addirittura abbreviare il tempo richiesto per ottenere l’illuminazione da una vita a un periodo di tre anni, tre mesi e tre giorni. È possibile ottenere l’illuminazione in un così breve periodo di tempo e chi ci riesce è anche in grado di migrare nella Terra Pura delle dakini senza abbandonare il proprio corpo. Vi sono molte storie che narrano di grandi praticanti altamente realizzati che, dopo la pratica, potevano vedere direttamente Vajrayoghini che li portava nella sua Terra Pura.
Questo è successo e vi racconto una storia che lo illustra: in Tibet vi era un grande praticante tantrico, Drugpa Kunle. Una volta, mentre era in viaggio in una determinata regione, giunse in una casa dove abitava una persona anziana, il nonno, e due giovani, marito e moglie. Quando arrivò alla casa, il nonno gli chiese di insegnargli il dharma. Drugpa Kunle gli diede il ‘suo’ dharma: prima gli enunciò le qualità della vagina e poi gli disse di recitare il mantra ‘prendo rifugio nella vagina’. Il vecchio cominciò a recitare ininterrottamente e a voce alta questo mantra finché la giovane donna si irritò e lo rinchiuse nel capanno degli attrezzi. Gli portava da mangiare tutti i giorni ma lo teneva chiuso nel capanno dove continuava a fare il suo ritiro. Accadde che il vecchio cominciò a capire che la vagina indicava la saggezza e il pene il metodo e che quindi, recitando questo mantra, egli prendeva rifugio nel metodo e nella saggezza. La saggezza era la chiara luce dell’esempio e il metodo era il corpo illusorio. Sebbene continuasse a recitare sempre la stessa cosa aveva però raffinato la sua comprensione e meditava su questi due aspetti. Quando una mattina la ragazza gli portò come al solito da mangiare il vecchio non c’era più, era sparito. La ragazza indagò in giro ma nessuno lo aveva visto e così pensò che fosse ammattito del tutto e se ne fosse andato. Finché non trovò una persona che invece le disse: “Ah sì, stamattina presto ho visto tuo padre che volava su un arcobaleno e se ne è andato nei reami celesti”. Questa sembra essere una storia vera e io ve la racconto semplicemente per farvi capire che anche un vecchio incapace e balordo, sulla base di questi insegnamenti, può trasformare la propria coscienza e ottenere questo tipo di risultati. Se ci sforziamo possiamo quindi ottenere il risultato definitivo.
Il diciannovesimo verso dice: “Proteggete sempre i vostri impegni. Presentate continuamente offerte agli Esseri illuminati. Fate ogni giorno anche offerte al vostro Guru, poiché egli è simile a tutti i Buddha”.
Qui si parla di fare offerte al Guru e, in questo, modo proteggere gli impegni. Vi sono diversi tipi di impegni da rispettare: di offerta, segreti, della parola, eccetera e ciascuno di essi è associato a delle specifiche attività. In questo verso si esorta ad assolvere l’impegno relativo alle offerte facendo, appunto, offerte al proprio Guru diverse volte al giorno. Un altro impegno è quello di generarsi nell’aspetto della divinità e compiere ciò che viene chiamato lo “yoga della divinità”.
Durante l’iniziazione del Maestro vajra, e precisamente durante l’iniziazione del vaso, riceviamo tre impegni: del vajra, che è l’impegno della mente; della campana, che è l’impegno della parola, e del mudra, che equivale all’impegno del corpo. Un altro impegno, quello della segretezza, consiste nel non mostrare le sostanze segrete, come ad esempio il vajra e la campana, ad altri.
L’impegno del vajra consiste nel portare alla mente il significato espresso dal vajra come simbolo esterno. Il significato definitivo del vajra è la saggezza suprema che realizza il suo oggetto, la vacuità, e quindi l’impegno del vajra consiste nel ricordare che il vajra rappresenta la saggezza suprema il cui oggetto direttamente realizzabile è la vacuità dei fenomeni. Poiché il vajra simbolizza la saggezza ecco che il vajra è un impegno della mente.
La campana è un impegno della parola e anche in questo caso si dovrebbe comprendere qual è il significato definitivo della campana, cioè la vacuità. Così come la parola rende chiari i significati attraverso l’espressione verbale, costituita dalla parola, la funzione della campana, il suono della campana, è quello di rendere noto il significato ultimo dei fenomeni, che è la vacuità, attraverso la comprensione dell’interdipendenza. Cioè, attraverso la comprensione di come si viene a formare il suono si induce la comprensione di come sia la natura interdipendente di tutti i fenomeni.
In generale, si dice che l’impegno del corpo è quello del mudra. Il mudra può essere interpretato come la gestualità fisica, che viene chiamato il mudra dell’abbraccio in cui il braccio destro e quello sinistro si incrociano al cuore formando un abbraccio. Questo può essere interpretato come essere l’impegno fisico del mudra.
Quindi, quando si parla di rispettare i propri impegni, si parla anche di rispettare questo tipo di impegni.
Le varie offerte esterne, interne, segrete o di talità, sono il mezzo per produrre velocemente grandi meriti che costituiscono il modo per poter ottenere velocemente il risultato. Quando si parla ad esempio di offerta della talità si intende riflettere sulla natura ultima dei fenomeni e questa è l’entità stessa dell’offerta che viene fatta.
Per quanto riguarda le offerte esterne, esse sono in accordo alla tradizione indiana del passato. Argham, padyam, pube, dupe, aloke, ghende, niude, sciapta sono gli otto oggetti di offerta in accordo al rituale della tradizione indiana. Argham vuol dire acqua da bere: e questa è ciò che veniva offerto come prima sostanza, sotto forma di tè o altra bevanda rinfrescante, all’ospite. Padyam è l’acqua per il pediluvio, altra tradizione indiana in cui si rinfrescavano all’ospite i piedi accaldati dal lungo viaggio. Seguiva l’offerta della ghirlanda di fiori e del profumo, come quello prodotto da un incenso e poi le offerte di luci e dell’aspersione di acqua profumata e alla fine vi era l’offerta di cibo, cioè di niude. Come ultima offerta, congiuntamente a tutte le altre, gli ospiti venivano deliziati con musica, balli e danze. Le offerte che vengono presentate durante la pratica dello yoga della divinità sono in accordo a questa tradizione.
Per quanto riguarda l’offerta interiore si intende quell’offerta creata sulla base delle cinque carni e dei cinque nettari. Normalmente queste cinque carni e cinque nettari sono parti del corpo degli esseri senzienti che vengono offerte mescolando insieme questi vari ingredienti e facendone delle pillole da usare per la generazione delle offerte interiori. L’offerta interiore consiste quindi in queste cinque carni e cinque nettari e il suo principale scopo è quello di trasformare e potenziare i cinque aggregati psicofisici simbolizzati da queste cinque sostanze.
Abbiamo poi le offerte segrete e della talità. Le offerte segrete sono le offerte compiute durante le iniziazioni quando, nella visualizzazione, si genera una consorte che viene offerta al Maestro. Quando parliamo dell’offerta di talità ci riferiamo all’offerta della realtà ultima che viene realizzata dalla saggezza suprema.
Qual è lo scopo e la natura di tale offerta? La sua natura è la grande estasi e lo scopo è di far generare nella mente dell’oggetto di offerta, che può essere sia il Maestro sia la Divinità, un’estasi ancora più grande. Qualunque sia l’oggetto, il fine è quello di produrre estasi, attraverso le sostanze che vengono offerte, nella mente di tale oggetto.
Nel diciannovesimo verso è detto di presentare continuamente offerte agli esseri illuminati e, così come a tal fine si offrono varie sostanze ai Buddha, allo stesso modo si deve fare nei confronti del Guru perché entrambi sono della stessa natura. Il fine di fare offerte al Guru è quello di accumulare meriti per il raggiungimento del proprio traguardo. Di fatto, proprio per questa identità tra Guru e Buddha, fare offerte al Guru equivale a fare offerte a tutti i buddha.
Il ventesimo verso dice: “Coloro che desiderano (raggiungere) l’inesauribile (stato del Corpo di saggezza di Buddha) dovrebbero offrire al proprio Guru tutto ciò che essi stessi ritengono piacevole, dagli oggetti più insignificanti a quelli più preziosi”.
Qui si allude al fatto che la qualità dell’offerta è direttamente proporzionale all’accumulazione di meriti. Il proposito è di raggiungere lo ‘stato inesauribile’ quale, ad esempio il corpo, di saggezza di un buddha. A tal fine, dovremmo offrire ciò che riteniamo esserci di più prezioso. Viene definito ‘stato inesauribile’ perché il corpo di verità, o dharmakaya, è un corpo che permane fino a che esiste lo spazio.
Per quanto riguarda la qualità delle offerte, dovremmo cercare di donare ciò che riteniamo esserci di maggior valore, di migliore qualità. Per esempio, se offriamo del burro, dovremmo donare il miglior burro che ci sia e lo stesso vale per gli altri tipi di offerta, come la farina, i fiori eccetera, perché la qualità dell’offerta è in relazione al risultato che si vuole ottenere.
Il ventunesimo verso dice: “Donare (al Guru) equivale a presentare continue offerte a tutti i Buddha. Grande merito è accumulato da tale offerta. Da una tale accumulazione di meriti viene il supremo ottenimento (della Buddhità).”
Il messaggio è evidente: offrire al Guru equivale a fare offerte a tutti i buddha. La nostra offerta deve essere anche qualcosa che si protrae nel tempo: deve essere assidua e costante, avvenire ogni giorno e non solo ogni tanto.
Fare offerte in ogni istante della nostra giornata sarebbe un metodo per accumulare grandissimi meriti. Ricordate che la finalità è di accumulare una grande e vasta quantità di meriti. Se questo è il grande merito che viene accumulato, il suo risultato è il supremo ottenimento della buddhità, che è l’ottenimento dei tre corpi, l’unificazione dei corpi di buddha nel grande sigillo. Naturalmente, se attraverso questa pratica abbiamo la possibilità di avere gli ottenimenti supremi, quali ad esempio lo stato di unificazione, è chiaro che otterremo anche tutti gli altri tipi di ottenimenti, come quelli comuni. Nei cinque stadi di completamento del tantra di Guyasamaja, che vengono chiamati ‘i cinque stadi’, è detto: “Nel caso che abbandoniate tutti i rimanenti tipi di offerte, fate offerte al Guru”. Ciò significa che facendo offerte al proprio Guru ci si avvicina rapidamente allo stato di onniscienza. È fondamentale quindi fare offerte al proprio Guru. Di fatto, il Guru e il Buddha non dovrebbero mai essere considerati separabili ma dovrebbero essere visti come inscindibili.
Il ventiduesimo verso dice: “Perciò, un discepolo dotato di qualità come la compassione, la generosità, l’auto-controllo morale e la pazienza non dovrebbe mai considerare in modo distinto il Guru e Buddha Vajradhara”.
Il contenuto è chiaro: un discepolo dotato di qualità come la compassione, la generosità, la disciplina, l’etica, la pazienza, e anche delle altre due perfezioni, cioè un discepolo il cui continuum sia unito a una buona pratica delle sei perfezioni non dovrebbe vedere come entità distinte il proprio Guru e il Buddha, ma dovrebbe continuamente considerarli della stessa natura di Buddha Vajradhara. Quando si afferma che il discepolo deve possedere anche la qualità della compassione, si intende che per essere irreprensibile deve aver sviluppato in sé un intenso desiderio di separare gli esseri dalla sofferenza, dare loro la felicità e i mezzi per il raggiungimento dei loro scopi. Deve quindi possedere una mente di pieno altruismo il cui obiettivo è quello di liberare gli esseri dai loro disagi e dotarli di tutte le felicità desiderate.
Per quanto riguarda la generosità il verso si riferisce ai tre tipi di generosità: la generosità materiale, del proteggere la vita e del donare il Dharma. Queste sono le generosità che ‘adornano’ il discepolo idoneo. Per quanto riguarda la disciplina e l’etica, si intende la salvaguardia dei propri comportamenti in relazione all’abbandono delle attività negative, in particolare si intende quel tipo di etica il cui obiettivo è astenersi dalle dieci azioni negative. Per pazienza si intende quella tolleranza in grado di rimanere indisturbata di fronte ai mali e ai disagi creati da altre persone, una mente tollerante ed equilibrata nonostante i danni che provengono da altri.
Una persona che abbia integrato tali qualità nel proprio continuum mentale dovrebbe percepire il proprio Guru come inscindibile, inseparabile da Buddha Vajradhara.
Il ventitreesimo verso dice: “Se non dovreste mai neanche calpestare l’ombra (del vostro Guru) poiché ciò provocherebbe le stesse spaventose conseguenze derivanti dalla distruzione di uno stupa, è forse necessario aggiungere che non bisogna mai mettere i piedi sulle sue calzature o sedersi (sul suo posto o cavalcare) sulla sua cavalcatura?”.
Come vedete, il risultato di camminare sull’ombra del Guru equivale a quello di distruggere uno stupa. Sapete che distruggere uno stupa equivale ad accumulare un’enorme quantità di karma negativo e questo caso è molto simile: l’accumulazione di karma negativo è equivalente al calpestare l’ombra del proprio Guru. Lo stesso avviene se si calpestano le sue calzature, ci si siede al suo posto, si usa la sua sella: queste sono tutte azioni che comportano una grande accumulazione di karma negativo. È quindi consigliabile fare molta attenzione, e in ogni caso il punto fondamentale è che bisogna avere una particolare considerazione e uno speciale rispetto per il proprio Guru perché, in questo modo, si sarà in grado di accumulare moltissimo karma positivo.
Ovviamente questo comportamento è finalizzato alla nostra accumulazione di meriti perché al Maestro non succede nulla se passiamo sopra la sua ombra.
Il ventiquattresimo verso dice: “(Un discepolo) molto assennato dovrebbe obbedire alle parole del suo Guru con gioia ed entusiasmo. Se non avete la conoscenza o la capacità (di compiere ciò che vi dice), spiegate con parole gentili perché non siete in grado di soddisfarlo”.
Per semplificare questa affermazione, possiamo dire semplicemente che quando il Guru dà consigli coerenti con ciò che conosciamo e siamo in grado di portare a termine, allora lo si ringrazia e si porta a termine nel miglior modo possibile le sue istruzioni. Se il suo consiglio è al di là delle nostre capacità lo si ringrazia ugualmente e gli si comunica la nostra impossibilità a metterlo in pratica. Perché ho voluto qualificare il consiglio come idoneo o coerente? Idoneo e coerente è in relazione alla vostra conoscenza e comprensione del Dharma. Il consiglio del Guru deve essere cioè idoneo e coerente con quelle che sono le istruzioni e gli insegnamenti dei canestri di sutra e tantra. Se il consiglio è coerente, ci si può giustificare nel caso non si sia in grado di portare a compimento tale consiglio.
Se invece, secondo noi, il consiglio non è coerente con la nostra conoscenza del Dharma e i canestri di sutra e tantra allora basta rispondere semplicemente che non lo si fa. Un esempio di consiglio che non è coerente con la nostra conoscenza del Dharma si ha nel caso che il nostro Maestro ci consigliasse di uccidere qualcuno o di rubare qualcosa. In una simile circostanza possiamo rifiutarci di seguire il suo suggerimento. Ghesce-là dice: “Presumo che sia corretto dire: ‘Io non lo faccio’”. Nel caso che accada ciò, non si dovrà sperimentare alcun tipo di risultato negativo perché è stato il Lama a dire qualcosa di scorretto. Se invece il consiglio è perfettamente valido e in accordo alla nostra conoscenza del Dharma, ma va al di là delle nostre possibilità, allora ci scusiamo per non avere la capacità di portare a termine il suo consiglio. Se per esempio il Guru vi dice: “Da domani entrate in ritiro per tre anni, tre mesi e tre giorni”, ciò è corretto, ma potrebbe essere difficile accettare il fatto di entrare da un giorno all’altro in quel tipo di ritiro. Magari è possibile avere il desiderio di farlo ma non essere ancora pronti perché dobbiamo finire di sbrigare delle faccende. Allora si risponde: “Sono d’accordo ma devo prima fare alcune cose, devo prepararmi, fare delle pratiche preliminari. Quando sarò pronto allora entrerò in ritiro”. Ci si scusa con rispetto rispondendo: “Io non sono in grado di entrare in ritiro domani. Mi dispiace molto”.
Il punto importante è trovare un equilibrio, una base comune tra quello che è il rispetto e l’educazione e quelle che sono le nostre incapacità che ci costringono a non poter seguire un consiglio, cosa che dobbiamo fare nell’ambito del rispetto e della devozione.
In sostanza il testo vuole dire che se non siamo capaci di obbedire a un consiglio coerente con la nostra comprensione del Dharma possiamo rifiutarci, ma stando attenti a mantenere fede e rispetto per il Maestro. Ci possiamo comportare analogamente nel caso che, per il nostro livello di conoscenza, il consiglio ci appaia al di fuori del Dharma. E anche in questo caso dobbiamo rifiutarci con le dovute maniere.
Nel canestro del Vinaya c’è una frase che dice: “È permesso rifiutare ciò che non è Dharma”, ossia: quando in un certo contesto il consiglio esula da ciò che è Dharma, è permesso rigettarlo.
L’importante è continuare a essere devoti e a mantenere rispetto attraverso il corpo, la parola e la mente anche se non siamo in grado di eseguire ciò che ci è impossibile fare.
Il venticinquesimo verso dice: “È dal Guru che provengono le realizzazioni più elevate, le rinascite superiori e le gioie più alte. Perciò sforzatevi con tutto il cuore per non trasgredire mai i suoi consigli”.
In generale, è importante seguire i consigli del proprio Guru ed essere coerenti con ciò che ci dice di fare perché così otterremo i risultati più elevati, raggiungeremo le rinascite superiori e le gioie più alte, come ad esempio la liberazione e l’illuminazione. Questi sono tutti risultati che derivano dal fare ciò che il nostro Maestro ci illustra come sentiero, perciò è importante, nei limiti delle nostre capacità, compiacere il Guru ricordando e mettendo in pratica i suoi consigli.
Non c’è molto da spiegare su questo punto: basta che leggiate il testo per capire di cosa si tratta.
Nel Vinaya è detto che la relazione Guru-discepolo deve assomigliare alla relazione di reciproco rispetto che ci dovrebbe essere tra padre e figlio: dovremmo riconoscere il Maestro come un padre ed egli dovrebbe riconoscerci come un figlio, instaurando così una relazione di mutuo affetto e considerazione. Ci dovrebbe essere questo tipo di relazione.
Ciò implica che, dal momento che la relazione deve essere di mutuo rispetto, anche il Guru deve seguire i consigli dello studente.
Se il discepolo si ammala, è il Guru a doversi prendere cura di lui, a preparargli da mangiare e aiutarlo affinché possa guarire, assistendolo in vari modi. Questo è ciò che il Maestro Ghesce Yesce Tobden fece molte volte. Anni fa egli aveva un attendente di nome Nawang che si ammalò di tubercolosi e che egli curò e assistette fino al punto di ammalarsi egli stesso di tubercolosi. Così, entrambi andarono all’ospedale e quando ne uscirono Ghesce Tobden si recò a meditare sulle montagne mentre Nawang lasciò l’ordinazione e venne a tradurre in Italia. Questo è successo tanto tempo fa, adesso Nawang è un famoso flautista che vive negli Stati Uniti.
Vi ho detto ciò per farvi capire come deve comportarsi un Maestro in accordo al Vinaya e Ghesce Yesce Tobden è stato un modello di comportamento corretto.
Il ventiseiesimo verso dice: “Prendetevi cura delle cose che appartengono al Guru come della vostra stessa vita. Trattate anche la sua amata (famiglia) con lo stesso rispetto che testimoniate a lui. (Abbiate lo stesso affettuoso riguardo per) coloro che gli sono vicini, come se fossero i vostri più cari parenti. Sinceramente pensate così in ogni momento”.
In sostanza qui si vuol dire che, così come dobbiamo rispettare il nostro Guru, dobbiamo estendere la nostra attenzione anche verso tutto ciò che lo circonda, come i suoi possedimenti, la sua famiglia e tutti coloro che gli sono vicini. Dobbiamo dargli la nostra più profonda attenzione. Sostanzialmente, dovremmo avere una grande considerazione per la persona del Maestro e per tutto ciò che lo circonda.
Nel ventisettesimo verso si specifica meglio cosa dobbiamo fare: “Non sedetevi mai sullo (stesso) letto o seggio (del vostro Guru) né camminategli davanti. (Durante gli insegnamenti non) acconciatevi i capelli in crocchia (né indossate cappelli, scarpe o armi). Non sedetevi (mai prima di lui o se gli capita di sedersi per terra. Non) posate le mani sui fianchi con atteggiamento orgoglioso e non torcetele (dinanzi a lui)”.
Essenzialmente, in presenza del Guru dovremmo comportarci in modo consapevole ed evitare il minimo atteggiamento di mancanza di rispetto. Per esempio, un modo di mostrare rispetto è il seguente: è detto che quando il Guru sta camminando insieme a voi non dovreste stargli davanti, a meno che non siate in luoghi pericolosi, nel cui caso è bene che lo precediate per anticipare eventuali pericoli.
Un altro atteggiamento poco rispettoso nei confronti del Guru è quello di pettinarsi, indossare un cappello o presentarsi con una vistosa acconciatura. In sua presenza non è opportuno avere alcun tipo di arma od oggetto contundente e quando ci si siede lo si fa dopo di lui. Non è appropriato sedersi prima né stare in piedi davanti a lui con le mani sui fianchi.
Il ventottesimo verso dice: “Non sedetevi e non abbassatevi quando il vostro Guru è in piedi (né sdraiatevi quando è seduto). Siate sempre pronti ad alzarvi e a servirlo in modo abile ed eccellente”.
La prima riga del verso spiega che se il Maestro è in piedi non è appropriato rimanere coricati o seduti. In caso di necessità, si deve essere pronti ad agire con rispetto nei suoi confronti e comunque tutto quello che si fa deve essere eseguito nel modo più accurato e perfetto possibile. Se ad esempio vediamo il nostro Maestro impegnato in qualche attività dobbiamo immediatamente mostrarci disponibili ad aiutarlo.
Il ventinovesimo verso dice: “In presenza del Guru non fate mai cose come sputare (tossire o starnutire senza coprirvi la testa). Non stendete (mai) le gambe quando siete seduti, non camminate avanti e indietro (senza ragione davanti a lui e non fategli mai delle) obiezioni”.
Qui si consiglia di avere una grande attenzione nei riguardi del proprio Guru e quindi coprirsi ad esempio il volto nel caso si debba tossire o starnutire, cosa che magari avrete visto fare dai monaci o nei monasteri in segno di rispetto.
Non stendete mai le gambe quando siete seduti. In generale allungare le gambe equivale un po’ al distendersi cosa che in presenza del proprio Maestro non è un segno di rispetto, a meno che a farlo non siano persone malate o che hanno particolari problemi legati alla postura e quindi non riescono a stare sedute in modo corretto. In tal caso queste persone hanno diritto a sedersi nel modo a loro più consono.
Non camminare avanti e indietro significa che è sconsigliabile fare azioni senza senso e in modo agitato.
Per quanto riguarda il non fare obiezioni non ci si riferisce alle osservazioni sui contenuti del Dharma con propositi costruttivi, che lo stesso Guru consiglia di fare, ma ci si riferisce piuttosto alle obiezioni più distruttive che educative. Obiezioni, argomentazioni, dibattiti, dubbi, domande sui contenuti dell’insegnamento, sul Dharma, sono ovviamente permessi e benvenuti perché si basano sulla corretta motivazione di incrementare la propria saggezza e di allontanare le visioni errate.
Il trentesimo verso dice: “Non strofinatevi e neppure massaggiatevi le membra. Non cantate, danzate o suonate strumenti musicali (con scopi diversi da quelli religiosi). E non chiacchierate inutilmente o parlate troppo (o a voce troppo alta) quando (il Guru) può udirvi”.
Con ‘scopi diversi da quelli religiosi’, si intendono gli scopi che esulano da quelli rituali in cui, ad esempio durante le cerimonie come lo tsog eccetera, si fa uso di particolari strumenti musicali. In generale, le persone ordinate possono suonare gli strumenti e danzare solo in simili circostanze, mentre è loro vietato farlo in altre, e questo è un comportamento che prescinde dalla devozione al Guru. In questo contesto il verso esprime un ulteriore significato cioè quello di non compiere azioni inutili davanti al proprio Maestro.
Per quanto riguarda il chiacchierare futilmente o parlare troppo a voce alta, ci si riferisce al fatto di parlare al Maestro di argomenti diversi dal Dharma, come ad esempio parlare di fatti che possono generare attaccamento oppure odio, raccontare storie o altro che non sono soggetti adatti a un colloquio con il Guru. Gli argomenti di discussione in un colloquio con il Maestro dovrebbero essere relativi agli insegnamenti dei sutra e dei tantra, ad aspetti poco chiari e, in sostanza, tutto ciò che è in relazione al Dharma scritturale o alla propria esperienza è un contenuto appropriato per un colloquio con il Maestro.
Il trentunesimo verso dice: “(Quando il Guru entra nella stanza) alzatevi dal vostro posto e fategli un leggero inchino con il capo. In sua presenza sedete con rispetto. Di notte, o su un fiume o su sentieri pericolosi potete (col suo permesso) camminare davanti a lui”.
Questo è un aspetto che ho spiegato in precedenza. Inoltre, qui si parla di un rispettoso alzarci e sederci quando il Guru entra nel luogo in cui siamo. Vi sono alcune condizioni che necessitano l’intervento del discepolo il quale, ottenuto il permesso, può camminare davanti al Maestro per proteggerlo da eventuali pericoli: ciò può avvenire di notte, oppure se si cammina sul bordo di un fiume, di un sentiero pericoloso, eccetera.
Tutto ciò è molto semplice da comprendere e non necessita di molti commenti.
Il trentaduesimo verso dice: “In presenza del Guru (un discepolo) assennato non dovrà sedere in modo scomposto né appoggiarsi (casualmente) contro pilastri o altri appoggi. Non scrocchiate le nocche, (non giocherellate con le dita né pulitevi le unghie)”.
Che cosa si intende con ‘non stare scomposti e non servirsi di appoggi’? Significa che non ci si dovrebbe contorcere come se si facessero degli esercizi fisici ma si dovrebbe mantenere sempre un certo contegno. E, inoltre, in presenza del Guru è sconveniente appoggiarsi in modo scomposto a colonne o muri, o addirittura dormire appoggiati a un qualche tipo di sostegno ed è sconsigliato scrocchiare le dita, anche se alcuni amano fare ciò. Potete scrocchiare le dita ma non in sua presenza.
Il trentatreesimo verso dice: “Quando lavate i piedi o il corpo (del vostro Guru), lo asciugate, lo massaggiate o lo (radete), fate precedere tali azioni da (tre) prostrazioni e fate lo stesso dopo aver terminato. Solo allora potete prendervi cura (di voi stessi) come meglio credete”.
Quando il discepolo serve il proprio Maestro con azioni come lavargli i piedi, asciugarlo, massaggiargli le gambe, radergli il capo eccetera in segno di rispetto dovrebbe precedere e concludere tali attività con tre prostrazioni. Questo è il modo di mostrare devozione attraverso le attività fisiche.
Il verso trentaquattresimo dice: “Se dovete rivolgervi (al vostro Guru) per nome, aggiungete sempre alla fine il titolo ‘Vostra presenza’. Allo scopo di indurre negli altri rispetto per il Guru potete usare anche ulteriori titoli onorifici”.
In sostanza, non si dovrebbe nominare il Guru per nome, ma bisognerebbe rivolgersi a lui con un termine rispettoso e accompagnare il suo nome con un appellativo che generi riguardo e devozione e che in tibetano potrebbe essere Ghen-la o Ghesce-la.
In italiano, quando chiamate o nominate qualcuno con particolare riguardo non usate solamente il termine ‘Andrea’ ma aggiungete un titolo, come per esempio ‘Signor Andrea’. Questi attributi possono variare: si può usare il termine Venerabile o Jetsun, che in tibetano significa santo, nobile e comunque possiamo ricorrere alla terminologia che riteniamo di maggior rispetto.
Sarebbe meglio usare verso il proprio Maestro appellativi onorifici e comunque non si dovrebbe ricorrere a nomignoli o soprannomi. I nomignoli li potete usare per voi, ma non in relazione al vostro Maestro.
Il verso trentacinquesimo dice: “Se dovete chiedere un consiglio al Guru, (prima di tutto dichiarate il motivo della vostra visita). Con le mani giunte al cuore ascoltate ciò che vi dice senza (lasciar) vagabondare (la mente). Poi, (quando ha finito di parlare) dovreste rispondere: ‘Farò esattamente ciò che mi hai detto’”.
Allo scopo di diminuire il proprio orgoglio bisognerebbe porsi in una situazione di rispetto, di devozione verso il Maestro e mostrarsi aperti a ricevere i consigli e gli ordini che egli ci dà. Un un modo di esprimere a parole la propria disponibilità potrebbe essere: “Mi dica qual è il prossimo compito che potrei fare” e quindi aspettare le sue indicazioni.
Quando il Lama ci illustra i suoi consigli non dovremmo lasciar divagare la mente ma mantenerla attenta e concentrata e questo atteggiamento dovrebbe riflettersi anche nel nostro comportamento fisico, ad esempio unendo le mani e ascoltando attentamente quanto ci viene detto.
Il trentaseiesimo verso dice: “Dopo aver fatto (ciò che il Guru vi ha detto), riferitegli (quello che è accaduto) in termini gentili ed educati. Se dovete sbadigliare o tossire (schiarirvi la gola o ridere in sua presenza) copritevi la bocca con la mano”.
In sostanza, una volta che, in base alle nostre capacità, abbiamo seguito quello che il Guru ci ha consigliato di fare, dovremmo parlargli della nostra esperienza e spiegargli cosa è successo usando parole gentili ed educate. Inoltre, quando egli ci parla non è opportuno ridergli in faccia o sbadigliare per cui se dovete ridere trattenetevi e se dovete sbadigliare mettetevi la mano davanti alla bocca. Questi sono tutti aspetti o errori da evitare se si vuole avere un comportamento corretto.
Il verso trentasettesimo dice: “Se desiderate ricevere un determinato insegnamento, fatene richiesta per tre volte a mani giunte e inginocchiandovi a terra sul ginocchio destro. Poi, quando vi parla, sedetevi umilmente e con rispetto, indossando le vesti appropriate, che devono essere ordinate (e pulite, senza ornamenti, gioielli e cosmetici)”.
Significa che anche in questa occasione si dovrebbe mostrare rispetto, quindi, quando si richiede un determinato insegnamento, si deve farlo in modo decoroso e i vari punti elencati nel verso si riferiscono a ciò. Sia quando si richiede un insegnamento sia quando lo si riceve dovremmo indossare un vestito appropriato e in simili occasioni è importante avere un comportamento corretto e virtuoso. In particolare, qui si parla del momento in cui si richiede un determinato insegnamento. Gli insegnamenti vengono normalmente dati sulla base di una specifica richiesta, altrimenti il Lama non ha motivi per farlo poiché in genere non dà insegnamenti di sua iniziativa. Quindi, al momento della richiesta si deve avere il tipo di atteggiamento esposto nel verso.
Il verso trentottesimo dice: “Qualunque cosa facciate per servire (il Guru) o per dimostrargli il vostro rispetto, non dovrebbe essere eseguita con mente arrogante. Al contrario, dovreste essere come una giovane sposa, timida, umile e sottomessa”.
Quello che si intende in questo caso è di non avere un atteggiamento arrogante nei confronti del Maestro, ma anzi occorre avere una mente umile e servizievole, una mente e un comportamento che è coerente con tale attitudine. Si deve avere un atteggiamento che dimostri il controllo della mente sui sensi, ossia, in presenza del Maestro, la mente e il corpo devono essere controllati ed è soprattutto necessario che i nostri comportamenti di corpo, parola e mente non scadano nella non virtù.
L’esempio della giovane sposa serve a mostrare come dovrebbe essere la nostra mente nei confronti del Maestro, cioè non dovremmo avere una mente arrogante ma attenta, controllata, rispettosa, una mente che sia umile e servizievole.
Il verso trentanovesimo dice: “In presenza (del Guru) che vi insegna (il sentiero), smettete di agire in modo vanitoso e frivolo. Se vi capita di vantarvi con altri di ciò che avete fatto (per il vostro Guru), esaminate (la vostra coscienza) e abbandonate questo modo di agire”.
Essenzialmente, davanti al Guru dovremmo avere un comportamento controllato e i nostri sensi e facoltà dovrebbero essere soggiogati. In sua presenza non dovremmo manifestare arroganza e vanità, ma cercare di trattenerci dal professare le nostre azioni positive e mantenere un comportamento umile. In altre parole potremmo dire: ‘Non guardare gli errori degli altri, guarda i tuoi’ perché non c’è nessun vantaggio nel fare altrimenti.
Avendo come obiettivo quello di eliminare i propri difetti è meglio essere attenti ai propri errori piuttosto che essere attenti agli errori altrui.
Il verso quarantesimo dice: “Se vi viene chiesto di compiere una consacrazione, (l’iniziazione in) un mandala, una cerimonia di offerta del fuoco o di riunire i discepoli e far loro un discorso, non dovreste fare ciò se il vostro Maestro risiede nella stessa zona, a meno che prima non riceviate il suo permesso”.
Questo significa che se il Guru, in quel momento, si trova nello stesso luogo o zona in cui ci troviamo noi e ci venisse richiesto di dare un insegnamento o di compiere attività come conferire un’iniziazione o eseguire una puja del fuoco dovremmo prima chiedere a lui l’autorizzazione. Quando si parla di ‘consacrazione’ (rab.ne) ci si riferisce a tutte quelle attività che implicano una invocazione di esseri di saggezza e il loro assorbimento in un supporto che può essere una immagine, un luogo, eccetera.
Per iniziazione in un mandala ci si riferisce agli eventi in cui delle persone sono introdotte in un mandala – la dimora di una divinità – e in cui gli vengono conferiti i semi dei quattro corpi. Questo è un evento che viene definito ‘iniziazione in un mandala’.
La puja del fuoco, che abbiamo già spiegato in precedenza, è quel rituale che viene eseguito con una base su cui si accende un fuoco e può essere di quattro tipi: di pacificazione, di incremento, di potere e di ira.
Se si vuole fare un discorso o dare degli insegnamenti quando il proprio Guru è nelle vicinanze, allora gli si deve prima chiedere il permesso.
In relazione a ciò, poiché non è opportuno né dare insegnamenti né che altre persone si prostrino a noi quando nelle vicinanze c’è il nostro Maestro o il nostro Abate, vi è un rituale che i monaci eseguono ogni 15 giorni, chiamato ‘la confessione individuale’ (sojong), durante il quale si radunano sia i monaci novizi sia i monaci completamente ordinati (bhikku) e in cui i novizi devono eseguire un rituale di confessione nei confronti dei monaci completamente ordinati. Prima della confessione il monaco novizio si alza e fa tre prostrazioni al monaco completamente ordinato che, successivamente, si prostra e si confessa all’Abate, sostegno principale del cerimoniale. Questa funzione viene svolta in tal modo proprio perché non è opportuno né dare insegnamenti né che altre persone si prostrino a noi quando nelle vicinanze c’è il nostro Maestro o il nostro Abate.
Il verso quarantunesimo dice: “Dovreste donare al vostro Guru qualsiasi offerta riceviate dal compiere rituali quali (la consacrazione conosciuta come) l’Apertura degli occhi. Egli ne prenderà una parte simbolica e potrete usare il resto come meglio riterrete”.
Qui si parla di riti, come l’apertura degli occhi che è un cerimoniale simbolico in cui viene aspersa una medicina per l’apertura degli occhi. Alcuni di questi rituali sono di solito eseguiti su richiesta e in genere l’offerta viene fatta a colui che esegue il cerimoniale. In questo caso le offerte ricevute dovrebbero essere donate al proprio Guru che ne accetterà simbolicamente una parte.
Questo comportamento è un modo di rendere partecipe il Maestro di quello che avete eseguito. È quindi semplicemente un modo di far sapere al vostro Guru quanto avete ricevuto il quale, da parte sua, vi darà la sua approvazione.
Il verso quarantaduesimo dice: “In presenza del Guru un discepolo non dovrebbe comportarsi (come un Guru) verso i discepoli; ed essi non dovrebbero trattarlo come il loro Guru. Perciò, (se vi trovate davanti al Guru) impedite (ai vostri discepoli) di manifestarvi il loro rispetto, ad esempio alzandosi (quando entrate), o prostrandosi”.
Il significato è semplice: quando si hanno dei discepoli e si è in presenza del proprio Maestro si dovrebbe evitare che i discepoli si comportino come tali nei nostri confronti. Quindi dovremmo evitare di manifestarci come Maestri quando è presente il nostro Guru. In sostanza, in presenza del proprio Maestro non si dovrebbe porre attenzione a procedure come quelle in cui i discepoli si alzano eccetera, ma anzi dovremmo evitare le manifestazioni di devozione e informare i nostri discepoli che in quel momento non è il caso che essi ci manifestino tali attenzioni.
Il quarantatreesimo verso dice: “Sia che porgiate un’offerta al Guru o che egli vi dia un dono, se siete dei discepoli assennati (porgerete e) prenderete ciò che vi offre con entrambi le mani e con la testa leggermente chinata”.
Il consiglio è chiaro. Anche quando diamo o riceviamo qualcosa dal nostro Maestro ciò non deve essere fatto con leggerezza ma anzi con cura e rispetto. Qui sono illustrati i modi di manifestare questo rispetto. Dovremmo anche cercare di non interagire in modo esagerato con il nostro Maestro. Se ad esempio egli rifiuta una nostra offerta dovremmo accettare la sua decisione e non insistere. Naturalmente dipende molto dal nostro atteggiamento: se il nostro atteggiamento è di insistenza irragionevole allora è da evitare, ma se invece il fatto di insistere avviene in modo rispettoso e fa parte dell’atteggiamento formale di quel momento, allora va bene.
Il quarantaquattresimo verso dice: “Siate diligenti in ogni vostra azione, (vigili e) attenti a non dimenticare mai (le vostre promesse). Se i suoi discepoli vostri compagni trasgrediscono (la giusta) condotta, correggeteli in modo amichevole”.
Questo significa che è necessario avere una grande consapevolezza nei confronti del Maestro e che, se ci impegniamo, dobbiamo rispettare l’impegno preso Quando siamo nella stessa cerchia di discepoli e vediamo che un nostro compagno sta incorrendo in un errore dovremmo correggerlo in modo amichevole e, quindi, tra i discepoli dello stesso Maestro dovrebbe esserci una sorta di sostegno reciproco nell’avere un comportamento corretto.
Dovremmo considerare il nostro Maestro come il genitore e i discepoli come i fratelli poiché, di fatto, siamo fratelli e sorelle di vajra e quindi dovremmo riconoscerci reciprocamente in questo modo, avendo come padre lo stesso Maestro e comportarci coerentemente, senza un’attitudine di disarmonia, l’uno con l’altro. Se capiamo che una persona, il nostro compagno, sta incorrendo in un errore dovremmo riprenderlo in modo amichevole, facendogli notare che se continua con quel comportamento ci saranno dei problemi.
Il quarantacinquesimo verso dice: “Se, a causa di una malattia, siete fisicamente (impossibilitati) a inchinarvi al vostro Guru e siete costretti a fare ciò che normalmente è proibito, anche senza il suo esplicito permesso, non sperimenterete conseguenze spiacevoli se la vostra mente sarà virtuosa”.
Questo significa che vi sono dei comportamenti che in una situazione normale sono causa di una degenerazione della nostra relazione con il Guru, mentre nel caso in cui soffriamo di una malattia quei comportamenti sono giustificati dal fatto che siamo malati. Restare seduti quando ci si dovrebbe alzare, il non sedere in modo corretto, il non prostrarci e così via, se tutte queste cose sono causate da una malattia, una debolezza fisica, allora non si incorre in conseguenze negative, ma, addirittura, dovrebbe essere il Maestro, come abbiamo detto prima, ad aiutare il discepolo: dovrebbe soccorrerlo in tutto ciò che gli è possibile per rendergli più sopportabile la situazione, dovrebbe cioè fare di tutto perché il suo discepolo possa guarire al più presto, indipendentemente dall’atteggiamento del discepolo.
Il quarantaseiesimo verso dice: “Non occorre dire molto altro. Fate tutto ciò che compiace il Guru ed evitate di fare cose che gli dispiacerebbero. Siate accurati in entrambe le cose”.
Ciò riassume in breve il perché dovremmo evitare tutti i comportamenti che sappiamo poter disturbare la mente del nostro Maestro e, invece, dovremmo incrementare tutte quelle attività fisiche e verbali che rendono felice la mente del Maestro.
Sostanzialmente, i comportamenti delle tre porte, corpo, parola e mente, che sono in contraddizione con l’esposizione dei tre canestri del Dharma sono anche in contraddizione con i desideri del Guru. Tutto ciò che è contrario ai tre canestri è anche contrario ai desideri del Guru. Vi è una citazione in cui si dice di aderire al Vinaya, di impegnarsi nel Sutra e integrare la realtà ultima. Queste tre affermazioni sono da intendersi come la nostra applicazione nei tre addestramenti superiori. Dovremmo avere una mente che è controllata perché è impegnata nell’addestramento superiore della moralità; dovremmo essere pacificati per il fatto di addestrarci nella stabilizzazione meditativa; e dovremmo avere una mente che discerne per il fatto che ci stiamo applicando nell’addestramento superiore della saggezza. Le attività conformi a questi tre addestramenti superiori sono anche in sintonia a una corretta relazione con il Guru.
Il quarantasettesimo verso dice: “Le più alte realizzazioni provengono dal (fare ciò) che (compiace) il vostro Guru”. Tale è la parola di (Buddha) Vajradhara stesso. Sapendo ciò, cercate di soddisfare pienamente i desideri del Guru con ogni azione (di corpo, parola e mente)”.
Le realizzazioni, il poter avanzare nel sentiero, il criterio che determina se possiamo o meno ottenere degli scopi è il fatto di compiacere o meno il nostro Maestro. Questo è ciò che ha proclamato Buddha. Sapendo che le realizzazioni provengono dal compiacere il Maestro dovremmo cercare di seguire al massimo delle nostre capacità i suoi consigli con corpo, parola e mente. In molti tantra viene spiegato che il Guru è la fonte di ogni realizzazione e comprendendo ciò dovremmo comportarci di conseguenza.
Il quarantottesimo verso dice: “Dopo che un discepolo ha preso rifugio nella Triplice Gemma e sviluppato un pura motivazione illuminata, egli dovrebbe ricevere (questo testo) e tenerlo molto a cuore (per abbandonare l’attitudine egoistica e arrogante e) seguire le orme del suo Guru (lungo la Via graduale del risveglio)”.
Come vedete, questa istruzione dovrebbe essere impartita a colui che è un discepolo retto, nel senso che ha preso rifugio nei Tre Gioielli e ha generato la mente dell’illuminazione, in modo che possa abbandonare i vari errori.
Qui ci si riferisce a un discepolo che abbia preso rifugio nei Tre Gioielli e abbia generato i due tipi di mente dell’illuminazione: di aspirazione e di impegno. E, sulla base di queste due menti, che sia entrato nel sentiero del tantra dopo aver ricevuto le quattro iniziazioni da un Maestro qualificato. Quel discepolo è colui che deve imparare queste istruzioni.
Perché c’è bisogno di avere tali istruzioni, anche in forma materiale, cioè tramite un testo? Perché esattamente come una persona anziana per rimanere in piedi deve sorreggersi a un bastone da passeggio, così noi che abbiamo dei problemi di deambulazione spirituale abbiamo bisogno di un sostegno e tale sostegno sono le istruzioni presenti in questo testo. Sarebbe importante ricordare costantemente queste istruzioni in modo da avere sempre presente come ci dobbiamo comportare. Le parole di questo testo ci servono da sostegno, così come il bastone aiuta il cammino dell’anziano.
Il verso quarantanovesimo dice: “(Studiando l’addestramento preliminare della devozione al Guru e la Via graduale, comune ai sutra e ai tantra), diverrete un recipiente (adatto) a mantenere il puro Dharma. Potrete allora ricevere gli insegnamenti del tantra (e dopo aver avuto le iniziazioni appropriate), recitate a voce alta i quattordici voti radice https://www.sangye.it/altro/?p=6256 e abbiatene sinceramente cura”.
Siamo al termine del testo e questo verso vuole riassumere l’argomento trattato sostenendo che il discepolo che si inoltra nel sentiero del tantra – e che ha ricevuto le quattro iniziazioni e i 14 voti radice del tantra – deve mantenere un comportamento corretto. Dopo essere entrati nel sentiero tantrico è importante mantenere i voti in modo puro ed è perciò necessario, come viene enfatizzato nel verso, memorizzare bene i 14 voti radice al fine di poterli avere sempre presenti nella nostra mente e non infrangerli. È solamente attraverso la completa conoscenza dei 14 voti che siamo sicuri di non trasgredirli ed è perciò importante conoscerli e, una volta conosciuti, fare il possibile per mantenerli puri.
Naturalmente, ci sono metodi come le auto-iniziazioni in cui questi 14 voti radice possono essere rinnovati, cioè in cui si ha la possibilità di purificare e ristabilire questi impegni nel caso che essi vengano infranti, sia casualmente che non.
Il verso cinquantesimo dice: “Poiché nel comporre questo testo non ho commesso l’errore (di mescolarvi una mia interpretazione personale), possa esso essere d’infinito beneficio per tutti i discepoli che seguono il loro Guru. Per il merito illimitato che ho in questo modo accumulato, possano tutti gli esseri senzienti conseguire rapidamente lo stato di Buddha”.
A differenza del testo radice, il testo col commentario continua citando l’autore Asvagosha (che viene menzionato con il suo nome sanscrito). Asvagosha compone questo testo perché possa essere di aiuto per tutti coloro che si sono incamminati verso lo stato di buddha seguendo correttamente il proprio Guru.
Ho ricevuto il commentario esteso di questo testo da Kiabje Triciang Rinpoce ma non ho potuto darvi tutto il testo perché ci sarebbe voluto molto più tempo. Ho ricevuto anche un commentario breve e i versi radice da Kiabje Song Rinpoce quando venne in Italia all’Istituto Lama Tzong Khapa, molti anni fa. A quell’epoca il traduttore era Luca Corona che non conosceva ancora bene il tibetano. Kiabje Song Rinpoce nominò una sostanza che potenzia i mantra, che è un particolare legno indiano di cui sono composti dei semi granulosi con cui vengono fatte anche le male, e Luca invece di capire ‘rudaksa’, capì ‘ra-sha’ che vuol dire ‘carne di capra’.
La storia è relativa a un tempo in cui in Tibet una persona chiese a un Lama un insegnamento in forma di mantra. Quell’uomo aveva un viso cosparso di brufoli e il Lama, che aveva fretta, gli disse osservandolo: “Il tuo naso e il tuo viso sono come il seme rudaksa”. Si trattava semplicemente di un apprezzamento, ma quell’uomo lo comprese come fosse un mantra e cominciò a recitarlo.
Accadde che per il potere della fede quest’uomo acquisì dei poteri e cominciò a guarire le persone e divenne famoso per le sue capacità di guarigione. Un giorno il Lama, che gli aveva detto: “Il tuo naso e il tuo viso sono come il seme rudaksa”, si ammalò alla trachea, e nessun medico, per quanto famoso, riusciva a guarirlo. Uno dei suoi discepoli gli consigliò di andare da quel tale tantrika che guariva le persone. Il Lama lo fece chiamare al suo cospetto e quando lo vide lo riconobbe e comprese che aveva acquisito potere attraverso quella stoltezza. Il tantrika si mise al lavoro recitando il suo ‘mantra’ tanto che il Lama scoppiò a ridere come un pazzo e con quella risata riuscì in qualche modo a guarire dalla malattia che aveva in gola.
Questa è una storia vera che Song Rinpoce raccontò per spiegare l’importanza della fede, per cui se si ha fede e la dovuta concentrazione si possono ottenere le realizzazioni anche senza un mantra corretto.
Ora darò la trasmissione orale delle 50 stanze con la preghiera e la speranza che possiate leggere, studiare e ricevere ulteriori commentari per ampliare le vostre conoscenze.
Questo conclude la trasmissione orale delle 50 stanze di devozione al Guru. Il significato vi sarà sempre più chiaro man mano che contemplerete e leggerete per conto vostro il testo.
Insegnamento dato dal Ven. Ghesce Ciampa Ghiatso presso il Centro Ewam di Firenze il 26-27 novembre 1999
(Tratto dal sito https://nalandaedizioni.it/2021/06/22/commentario-a-le-cinquanta-stanze-di-devozione-al-guru-prima-parte/?mc_cid=0b57c9395b&mc_eid=13bdd293c8, https://nalandaedizioni.it/2021/07/15/commentario-a-le-cinquanta-stanze-di-devozione-al-guru-seconda-parte/?mc_cid=4c61034874&mc_eid=13bdd293c8 che devotamente ringraziamo per la sua compassionevole gentilezza verso tutti gli esseri che soffrono in questa dolorosa esistenza samsarica.)