I CINQUE DHYANI BUDDHA
Gli stati o aspetti o modalità attraverso cui si attua e si svolge la buddhità, cioè i modi d’essere della condizione di un Buddha (le sue qualità di mente, parola e corpo) – che con termine sanscrito vengono detti “kaya” – sono principalmente tre:
–il Dharmakaya (corpo di Dharma o di verità), la mente non ostacolata di un Buddha qual essa è nella sua essenza ;
–il Sambhogakaya (corpo di fruizione o di godimento), l’aspetto di un Buddha che si manifesta agli aryabodhisattva (cioè a quegli esseri spiritualmente avanzati, che hanno l’esperienza diretta ed intuitiva della “vacuità di esistenza intrinseca”);
–il Nirmanakaya (corpo di emanazione), l’aspetto di un Buddha visibile agli esseri ordinari, la buddhità com’è vista dalle persone comuni.
Per quanto riguarda in particolare il Dharmakaya, che è senza forma né attributi, esso può essere considerato: –in senso impersonale o da un punto di vista oggettivo: è la dimensione dell’assoluto e dell’infinito, è la realtà assoluta o Vacuità, l’indefinito colmo di infinite potenzialità, la fertile ed incondizionata totalità e potenzialità da cui tutte le cose emergono, l’immutabile presupposto e ragione di ciò che muta e diviene, l’assoluto anteriore ad ogni processo dicotomico ;
–in senso personale o da un punto di vista soggettivo: è l’adibuddha (Vajrasattva, Vajradhara o Samantabhadra, a seconda delle diverse Scuole), che simboleggia l’essenza mentale di tutti i Buddha, ossia la loro immutabile coscienza assoluta che – libera da ogni difetto – rimane assorbita nella meditazione sulla diretta percezione della Vacuità e contemporaneamente conosce ogni tipo di fenomeni.
Dunque, dal punto di vista della Vacuità, la realtà ultima ed universale di tutte le cose è una sola, è l’Uno, poiché essa si identifica con la natura (o principio spirituale) della buddhità : il Dharmakaya. Ma nel suo aspetto non-vuoto, l’universo è plurale : le forze cosmiche e la mente dell’individuo appaiono differenziate come un raggio di luce che passa attraverso un prisma. L’Uno si differenzia nel tutto attraverso fasci elementari di forze: ossia l’infinita varietà dell’universo procede – per successive individuazioni – da forze primordiali o potenzialità elementari, che sono la matrice di tutto ciò che è e sarà. Tali energie fondamentali e onnipresenti, sia quelle fisiche che operano nell’universo sia quelle strettamente connesse con la
nostra mente individuale, vengono simbolizzate da 5 Buddha Sambhogakaya, che sono i 5 Dhyanibuddha o Tathagata o Jina o in tibetano De-bzin-giegs-pa o rGyal-ba: Vairocana, Aksobhya, Ratnasambhava, Amitabha e Amoghasiddhi.
Quando viene raffigurato iconograficamente, ognuno di essi è caratterizzato da un certo colore, da un particolare gesto delle mani (mudra), da determinati animali che
ne sostengono il trono, da uno specifico simbolo o emblema:
a. VAIROCANA:
• colore : bianco ;
• mudra : dharmacakrapravartana, cioè il gesto di mettere in movimento la ruota del Dharma, cioè l’insegnamento della dottrina. Le mani sono all’altezza del cuore e le dita in posizione di predicazione (mano destra col palmo rivolto all’esterno; quella sinistra rivolta all’interno, col pollice che tocca l’indice).
Vairocana raffigura quindi il promotore ed ispiratore spirituale (l’opposto di chi è ottuso, indolente e depresso);
• animale: leone, simbolo dell’agire senza esitazione. Gli 8 leoni che sorreggono il trono su cui è seduta una divinità, rappresentano gli 8 poteri della mente di Buddha (l’impavidità e la vittoria su tutti i poteri biasimevoli) e quindi la supremazia buddhica ;
• simbolo : il dharmachakra, la ruota del Dharma a 8 raggi (emblema del Nobile Ottuplice Sentiero) ;
b. AKSOBHYA :
• colore : blu ;
• mudra : bhumisparsa, cioè il gesto di toccare la terra con la punta delle dita della mano destra. Poiché la terra è simbolo dell’immutabile, del solido e del concreto, il mudra rappresenta la natura stabile ed incrollabile di Aksobhya;
• animale : elefante (simbolo di costanza e solidità) ;
• simbolo : il vajra (rdo-rje) o scettro adamantino, emblema della capacità di passare attraverso i vari klesha e dell’acutezza e precisione intellettuale, dotata di un costante senso di apertura e prospettiva ;
c. RATNASAMBHAVA:
• colore : giallo ;
• mudra: dana o vara(da), cioè il gesto di donare con la mano destra che, appoggiata sul corrispondente ginocchio, tocca la terra col palmo rovesciato all’esterno. Questa posizione del palmo indica una comunicazione con gli altri, nel senso che Ratnasambhava è estroverso e rivolto verso gli esseri, dei quali condivide gioie e dolori e ai quali si dona nell’amore e nella compassione ;
• animale : cavallo, che rappresenta la rapidità dell’azione;
• simbolo : la gemma o gioiello splendente che esaudisce tutti i desideri (cintamani o ratna), appaga spontaneamente ogni bisogno ed è la fonte di tutte le ricchezze. Questa pietra preziosa è simbolo della mente che sa scoprire la Vacuità, percepire l’infinito nel finito e trasformare il samsara nel nirvana;
d. AMITABHA:
• colore : rosso ;
• mudra: dhyana, cioè il gesto della meditazione, nel quale ambedue le mani riposano in grembo, la destra sopra la sinistra, con i palmi aperti. Questa posizione dei palmi aperti verso l’alto indica la ricettività verso le qualità e le forze esterne dell’universo;
• animale: il pavone, simbolo della trasformazione in positiva di qualsiasi situazione negativa. Infatti, nella tradizione buddhista, questo animale si nutre di erbe velenose e i suoi splendidi colori si formano col veleno ingerito ;
• simbolo: il fiore di loto (padma) completamente sbocciato, simbolo della meditazione creativa e dell’accettazione di ogni situazione. Esso cresce dal fango verso l’abbagliante luce del sole e quando sboccia, i suoi petali sono incontaminati e puri;
e. AMOGHASIDDHI:
• colore: verde ;
• mudra: abhaya, ossia il gesto del coraggio o della rassicurazione o fiducia: Amoghasiddhi concede benedizioni a tutti gli esseri con la mano destra dal palmo aperto verso l’esterno, alzata all’altezza delle spalle ;
• animale: san-san, una specie di garuda che suona due cembali mentre trasporta Amoghasiddhi: il san-san è una creatura di forma umana (maschile o femminile) nella parte superiore, con piedi ed ali da uccello; il garuda ha invece testa, zampe ed ali d’aquila, corpo da uccello e braccia umane; ed è nemico acerrimo dei serpenti (che simboleggiano le emozioni velenose e che vengono divorati da esso);
• simbolo: il doppio vajra (visva-vajra), simbolo del magico potere spirituale (siddhi) di un Buddha, ossia dell’abilità di compiere ogni azione perfettamente e con la volontà libera da ogni tendenza egoistica.
Ogni Dhyanibuddha inoltre è caratterizzato da una sillaba-seme (búja): infatti, nel processo meditativo la figura della divinità viene visualizzata grazie alle vibrazioni di una sillaba che sorge dalla Vacuità. Queste sillabe sono
OM per Vairocana,
HUM per Aksobhya,
SVA (pronunciato SO in tibetano) o TRAM per Ratnasambhava,
HA per Amitaha,
HA o HRIH per Amoghasiddhi.
E’ poi importante precisare che a livello sambhogakaya ogni Dhyanibuddha non esiste da solo, ma è connesso ed associato ad altre divinità, che gli corrispondono sotto altri aspetti dell’Illuminazione. Ogni Dhyanibuddha è così capo di una “famiglia”, cioè di un gruppo costituito da tutti i Buddha e da tutte le divinità che in senso figurato si dice che derivano e promanano da lui sotto forma di emanazioni: la dea (Prajña) che ne costituisce la controparte femminile, i rispettivi Bodhisattva maschili e femminili, il corrispondente Manusibuddha (‘Buddha umano’), la Dakini relativa.
I nomi delle 5 Famiglie di Buddha sono i seguenti:
1) Vajra (diamante): simboleggia l’indistruttibilità ed incrollabilità della mente dell’Illuminazione simile alla Vacuità. Ne è rappresentante Aksobhya;
2) Ratna (gioiello): simboleggia il dono dei Tre Gioielli coi quali il Buddha dona la propria persona, la propria dottrina (Dharma) e la propria comunità (Sangha). Ne è rappresentante Ratnasambhava;
3) Padma (Loto): simboleggia lo sviluppo della meditazione. Ne è esponente Amitabha;
4) Karma (attività operante): simboleggia la realizzazione del sapere mediante la compassione e l’amore per il prossimo. Ne è rappresentante Amoghasiddhi;
5) Buddha (o Tathagata): simboleggia la presenza potenziale delle 4 qualità precedenti, cioè la loro sintesi. Ne è a capo Vairochana.
Le suddette divinità simboleggiano tutti gli immaginabili aspetti frammentari dell’unica realtà universale: e sono quindi mezzi o espedienti opportuni – nella fase creativa della meditazione – per guidare gli esseri senzienti dal particolare all’universale, dai molti all’Uno. Infatti, i Cinque Buddha Celestiali o Trascendenti (e le rispettive Famiglie) personificano le varie manifestazioni dell’energia che sperimentiamo come emozioni, qualità, ambiente, modo di vita, azioni ed eventi (che sono tutti effetti dell’energia). Ogni aspetto del mondo fenomenico, ogni cosa, tutti gli esseri, i luoghi, i paesaggi, i grandi elementi costitutivi dell’universo (mahabhuta), gli skandha (aggregati psico-fisici), i sapori, le funzioni fisiologiche, i 5 tipi di difetti mentali (klesha), le direzioni dello spazio, le stagioni, le parti del giorno, i vari tipi di offerte simboliche, i suoni, le lettere dell’alfabeto, ecc. possiedono una caratteristica (qualità) predominante che li collega, li associa e li coordina misticamente a ciascuno dei 5 Dhyanibuddha, che ne sono l’espressione: ne deriva che tutti questi fattori sono elevati al livello di valori universali e di simboli cosmici e spirituali. Attraverso questa coordinazione di tutti gli aspetti dell’universo nasce la coscienza di una dimensione superiore.
I COLORI.
I colori fondamentali sono il bianco, il blu, il giallo, il rosso e il verde. Essi sono così strettamente collegati alle direzioni spaziali che perdono tutte le proprietà materiali e non rappresentano la natura qual è vista dall’occhio, ma le visioni di una realtà superiore e la conoscenza che ne deriva : sono quindi simboli che indicano il carattere, le qualità ed il luogo che ogni figura dell’iconografia del Mahayana occupa nel sistema spirituale e cosmico di cui fa parte.
LE DIREZIONI.
Le principali direzioni dello spazio infinito sono il centro, l’est, il sud, l’ovest e il nord. I 5 Tathagata sono disposti a croce, cioè 4 sono raggruppati intorno a un quinto. Questa disposizione quinaria dei Tathagata segna i 4 punti cardinali rotanti attorno a un quinto punto o centro che li condiziona, così svolgendo intorno a sé la successione spazio/temporale: essi quindi rappresentano l’emanazione o espansione da un punto extraspaziale, lo zenit onnipresente ed onnipervadente in cui tutto si svolge e diviene e che tutto condiziona (è il processo dall’uno ai molti). Il quinto punto è il punto estremo capace di una rappresentazione visibile; fuori, al disopra, è il sesto punto, l’Adibuddha, l’Uno. Questa struttura è detta «mandala».
Ma il mandala non è un diagramma solo dal punto di vista fisico e cosmico: nel mandala vi è una corrispondenza fisica cosmica con la struttura spirituale della personalità dell’uomo, cioè il mandala è il punto d’incontro tra macrocosmo e microcosmo, ossia rende comprensibile il fenomeno macrocosmico secondo le (e in base alle) immagini della struttura spirituale e viceversa. Infatti, in senso psicologico, ciascuno di noi è un centro di potenzialità incondizionata, un campo di
energie (mandala), che è in relazione con gli altri e col mondo che ci circonda. Ogni essere è parte del nostro mandala e noi siamo parte di quello degli altri: attorno a noi gravitano altre persone che – anche se non le conosciamo – rivestono un ruolo nella nostra vita. Mandala è la nostra esperienza, sensazione o consapevolezza di trovarci a vivere nel mondo, cioè di trovarci in relazione ai vari aspetti del mondo: elementi, stagioni, momenti della giornata, punti cardinali, colori, ecc. Questi mandala o campi d’energia dell’esistenza fenomenica sono di 5 tipi e sono le condizioni, le circostanze, le situazioni, le personalità, le tendenze e le forze interagenti che costituiscono le nostre relazioni con gli altri.
GLI SKANDHA.
Poiché tutto ciò che esiste è manifestazione della buddhità, ogni cosa o fenomeno esistente nel mondo viene associato e collegato ad una delle 5 Famiglie. Anche la personalità umana, nelle sue 5 componenti psico-fisiche (skandha), è collegata alle 5 Famiglie. Infatti, l’individuo non è altro che una combinazione di 5 gruppi di funzioni interconnesse:
1. rupa-skandha: gruppo della forma o corporeità (comprendente il corpo, gli oggetti sensoriali, l’idea della materia): nello skandha fisico della forma rientra sia il nostro corpo grossolano che quello sottile (composto di chakra, nadi, ecc.) ;
2. vedana-skandha: gruppo delle sensazioni (di piacere e dolore fisico, di gioia e dolore mentale, di indifferenza ed equanimità);
3. samjña-skandha: gruppo delle percezioni (comprende la facoltà della discriminazione riflessiva [o discorsiva] e quella intuitiva);
4. samskara-skandha: gruppo delle strutture mentali (forze o tendenze formative della volontà, che sono il principio attivo della coscienza, il carattere dell’individuo, cioè le conseguenze karmiche causate dalla volizione cosciente) ;
5. vijñana-skandha: gruppo della coscienza (che comprende, combina e coordina tutte le precedenti funzioni).
Ora, ciascun Dhyanibuddha simboleggia – a livello microcosmico – uno dei 5 skandha o costituenti psicofisici coi quali percepiamo tutte le contingenze che ci collegano al mondo esteriore: i 5 Tathagata sono cioè il modello grafico dei 5 skandha, per cui Essi sono degli esseri la cui azione si manifesta nell’uomo attraverso questi skandha. Data l’identificazione fra i 5 skandha e la natura dei Dhyanibuddha, ne deriva che ciascuno di questi ultimi è una frazione dell’intera personalità umana.
I KLESHA.
Ogni skandha può essere fonte di errore o di salvezza. Per la persona comune, nella vita ordinaria e samsarica, i 5 skandha sono affetti dai klesha o forze (qualità) negative che operano dentro l’uomo: ignoranza, orgoglio, odio, invidia ed attaccamento. In altre parole, in ogni uomo i 5 skandha sono attualmente presenti in forma oscurata, difettosa e distorta e producono tutte le creazioni mentali che costituiscono i concetti sia di ciò che è astratto e psichico sia di quanto è fisico e concreto nell’universo. Infatti ogni skandha – a livello samsarico e dualistico – ha una propria qualità negativa (klesha), ossia i 5 skandha sono la base dei 5 klesha. Ma tutto ciò è mera apparenza, perché la Mente in se stessa (cioè la vera natura o essenza della nostra mente) – essendo in realtà priva di sostanza individuale, cioè essendo vuota – non può essere affetta dal dualismo, per cui i 5 klesha vengono tramutati e sublimati nelle 5 jñana (saggezze trascendentali o saggezze dei buddha). La mente nella sua essenza, cioè in se stessa, è intrinsecamente vuota o buddhica (è di natura nirvanica); ogni cosa-che-esiste procede da essa ed è quindi creata dalla mente, e pertanto è altrettanto vuota. Siamo invece noi che percepiamo ciò-che-esiste come non-vuoto ed imperfetto (di natura samsarica), ma
ciò non è dovuto alla ‘natura buddhica’, bensì all’azione di avidya (ignoranza). Non è la ‘natura buddhica’ che crea l’illusione (dalla quale deriva l’aspetto samsarico), perché l’universo vuoto è una creazione buddhica; ma sono le nostre menti che creano il non-vuoto, perché utilizziamo un’energia che – benché creata dal vuoto – è oscurata da avidya e quindi impiegata impropriamente.
In tal modo, i 5 skandha diventano la base delle 5 saggezze o – meglio – dei 5 tipi della saggezza pura che comporta l’Illuminazione: saggezza dell’infinita potenzialità, saggezza simile a specchio, saggezza dell’uguaglianza, saggezza discriminante, saggezza che tutto realizza.
L’obiettivo ultimo della via tantrica è quello di purificare i 5 skandha, liberandoli dalle forze negative dei 5 klesha: il che avviene trasformando i klesha nei positivi aspetti delle corrispondenti saggezze. Infatti, l’Illuminazione può stabilirsi in noi soltanto attraverso una completa trasformazione della nostra personalità, ossia attraverso una purificazione degli skandha (arsayaparavrtti) in uno stato di universalità, smaterializzando la dura crosta del nostro io individuale. Con un’intensa pratica di meditazione sulla reale natura dei Dhyanibuddha, possiamo ottenere le loro saggezze, che rimpiazzano i klesa. In tal caso, i klesha e gli skandha (che ne sono affetti) non sono più delle tendenze all’autolimitazione ed all’attaccamento egocentrico, ma al contrario sono proprio i fattori che rendono possibile la realizzazione della libertà e dell’Illuminazione, cioè sono strumenti di liberazione. Pertanto, ogni stato negativo della mente ha le proprietà di un aspetto del nostro stato illuminato (cioè naturalmente libero, aperto e privo di condizionamenti), anche
se ora non ce ne rendiamo conto.
Ora, ritornando al simbolismo delle 5 Famiglie di Buddha, si comprende come – a livello psicologico – ciascuna di esse indica un tipo fondamentale ed onnipresente dell’energia della nostra mente, ossia simboleggia una nostra caratteristica fondamentale e la sua potenzialità – che può essere negativa (klesha) o che può divenire positiva, trascendentale, illuminata (jñana) : ne consegue che di ogni Famiglia vi può essere sia una versione (o aspetto) confusa e samsarica sia una versione positiva ed illuminata. La prima è quella del nostro normale e samsarico modo di percepire e maneggiare il mondo; la seconda è l’aspetto sotto cui i klesha si
manifestano nel Sambhogakaya: qui essi non sono più un fastidio, ma forniscono un’enorme capacità per entrare in rapporto con l’universo.
Ogni Famiglia di Buddha ha questi due aspetti contrapposti: è saggezza originaria o primordiale (jñana) ed illusione od emozione (klesha). Abbiamo così la Famiglia dell’odio, quella dell’orgoglio, dell’attaccamento, dell’invidia, dell’ignoranza. Si tratta di 5 tipi di energie che costituiscono un quadro psicologico di noi stessi. Non sono considerate energie cattive o (cercando d’essere qualcosa d’altro) da abbandonare, bensì dobbiamo entrare in rapporto con esse e viverle propriamente: sono l’unico potenziale che abbiamo e che dobbiamo cercare di trasformare nelle 5 saggezze corrispondenti.
LE SAGGEZZE.
Dunque, principio fondamentale è che le emozioni (odio, orgoglio, ecc.) contengono sia purezza che impurità :
a) inizialmente, le emozioni arrivano spontaneamente: l’emozione pura, l’originario lampo dell’esperienza istantanea, può essere chiamata “saggezza” (jñana). In questo primissimo momento dell’esperienza noi proviamo le emozioni propriamente e fino in fondo, senza distorsioni o preconcetti : il primo impulso è considerato purezza, la vera esperienza diretta ed intuitiva della realtà nel suo senso più totale.
La pura consapevolezza è una percezione o comprensione (immediata, acuta, totale, viva ed autentica) che esiste in un primissimo momento, prima che sorgano gli schemi mentali che elaboriamo per giudicare e discriminare la nostra particolare
versione della realtà, ossia la concettualizzazione soggettiva (“io vedo, io tocco, io sento”). Si è liberi da tutti i preconcetti e da ogni attesa, “si è e basta”, si vive nel presente senza preoccuparsi dei ricordi del passato o delle speranze del futuro. Nello stato di pura consapevolezza – senza giudizi, concetti o interpretazioni restrittivi – tutto è bellezza ed assume intrinsecamente senso e valore : ogni atto del corpo e della mente diventa una manifestazione ed un’espressione dell’energia universale, che è di per se stessa bella e lieta.
La condizione naturale della mente è questa saggezza (consapevolezza) originaria e primordiale della natura della realtà, ossia dell’inseparabilità di apparenza e vacuità (i due livelli di verità). Tale consapevolezza ha 5 aspetti o funzioni, noti come “i 5 tipi di consapevolezza (saggezza) originaria o primordiale”;
b) poi – a livello samsarico, grossolano ed ordinario (cioè quando non si è consapevoli di questi 5 aspetti e li soffochiamo attaccandoci all’esistenza quotidiana) – interpretiamo quelle spontanee emozioni a nostro vantaggio, le contaminiamo con l’egotismo, cerchiamo di controllarle, cioè cominciamo ad inorgoglirci delle nostre emozioni ed a mascherare quella vera, spontanea e diretta esperienza della realtà con ogni genere di interpretazioni nel tentativo di possedere quelle emozioni. In altre parole: quando abbiamo il primo contatto con un oggetto attraverso i sensi, abbiamo di esso una “sensazione” iniziale o intuitiva, ma di solito poi lo giudichiamo subito, lo cataloghiamo e nascondiamo ciò che esso è con ciò che vogliamo che sia. Questo è il nostro normale schema di concettualizzazione;
c) in questo modo le emozioni diventano confuse ed impure, diventano ordinaria passione, aggressività ed ignoranza, e ne siamo turbati. Così, i 5 skandha sono affetti dai 5 klesha che, per ogni Famiglia, sono :
1. Famiglia Vajra : odio
2. Famiglia Ratna : orgoglio
3. Famiglia Padma : attaccamento
4. Famiglia Karma : invidia/gelosia
5. Famiglia Buddha : ignoranza.
Tali nevrotiche coperture dell’esperienza diretta non distruggono però quell’originaria purezza – che è la natura vajra (inerentemente e fondamentalmente pura ed incontaminabile). Anzi, questi klesha dovrebbero invece essere utilizzati come carburante o come fertilizzante per scoprire la natura della mente: infatti, nel momento in cui li lasciamo bruciare da se stessi rimanendo semplicemente consapevoli di essi (senza agire o reagire), sorgerà all’interno un reale stato di chiarezza e conoscenza. Come il ghiaccio si dissolve nella sua natura (l’acqua), così i klesha si possono disgelare nella corrispondente ‘saggezza originaria’. Pertanto :
1.) se non reagiamo all’odio, possiamo trasformarlo nella “saggezza simile allo specchio”, perché comprendiamo con precisione e lucidità, senza distorsioni, la vera natura della realtà: vedendo il carattere illusorio e vuoto di tutte le cose fenomeniche, non le crediamo più oggetti reali e come tali degne di avversione.
Sperimentiamo così la nostra avversione come una chiarezza mentale che rivela come è solo una nostra emozione ad introdurre una separazione rigida ed antagonista dove in realtà non ce ne sono.
E lo skandha della forma, invece di essere limitato al corpo fisico, comprende la totalità dell’universo e riconosce tutte le cose secondo la loro natura come fattori della Vacuità. Questa saggezza è personificata da Aksobhya: egli rappresenta lo skandha della forma di tutti i Buddha ;
2.) l’orgoglio può trasformarsi nell’intuizione che la natura del Buddha e quella di tutti gli esseri e di ogni cosa è identica, cioè nella saggezza dell’uguaglianza: vedendo che tutte le cose – nella loro vera natura (che è la Vacuità) – sono essenzialmente uguali (cioè, riconoscendo la grande unità della vita), non ci poniamo più su un piedistallo che crea un dislivello tra noi e gli altri, sopravvalutandoci come migliori e superiori.
E il nostro skandha della sensazione, invece di essere connesso con l’ego ed interessato soltanto al proprio benessere, diventa onnicomprensiva solidarietà con
tutti gli esseri viventi, cosicché l’amore viene liberato dalla possessività e la compassione dalla compiacenza. Questa saggezza è personificata da Ratnasambhava: egli rappresenta lo skandha della sensazione di tutti i Buddha;
3.) l’attaccamento può divenire la saggezza discriminante, cioè la capacità di distinguere analiticamente le singole caratteristiche di tutte le cose, senza però perder di vista le loro più ampie correlazioni generali ed universali, ossia non isolatamente ma nella loro giusta prospettiva. Ogni differenziazione viene vista su uno sfondo di unità e in rapporto con tutte le concrete situazioni della vita: sia il soggetto (l’uomo) che l’oggetto perdono la loro realtà indipendente e – vedendo la natura individuale delle cose come Vacuità – non selezioniamo più alcuni oggetti classificandoli come maggiormente desiderabili di altri, oppure non teniamo più per noi ciò che possediamo senza condividerlo con le altre persone. Sperimentiamo così il nostro attaccamento (o “amore” accentrato su un bisogno, in cerca di gratificazione) come una chiarezza mentale che considera qualsiasi cosa o persona reciprocamente necessarie le une alle altre, e non l’una a servizio (o possesso) esclusivo dell’altra.
E lo skandha della percezione non riguarda più discriminazioni intellettuali o concettuali, ma si trasforma nella spontaneità della visione interiore e del discernimento spirituale nella pratica della meditazione. Questa saggezza è personificata da Amitabha: egli rappresenta lo skandha della percezione di tutti i Buddha ;
4.) la gelosia può tramutarsi nella saggezza dell’agire perfetto ed efficiente, cioè nella capacità di riconoscere in modo spontaneo e disinteressato tutte le maniere possibili di affrontare le situazioni ed automaticamente d’imboccare la direzione giusta, cosicchè l’azione realizza il suo scopo al momento esatto e fino in fondo: si
tratta della consapevolezza di raggiungere o realizzare ciò che deve essere fatto o
che vale da un punto di vista esistenziale. E ciò avviene quando non proviamo più
sospetto od intolleranza per ciò che hanno ottenuto gli altri e quando non vediamo
più ogni situazione come un qualcosa con cui si deve competere per non essere tagliati fuori.
E lo skandha della volizione – che normalmente ha alla sua base motivi egocentrici ed è creatore del karma – si trasforma in altruismo, in attività non più motivata dai kleæa e quindi libera dal karma, in azione non condizionata dall’ego, ma fluida e spontanea, non individualizzata e disinteressata. Questa saggezza è personificata da Amoghasiddhi: egli rappresenta lo skandha della volizione di tutti i Buddha ;
5.) l’ignoranza che deliberatamente ignora si trasforma nella saggezza del Dharmadhõtu (cioè, dell’assolutezza che tutto pervade o della natura vuota di tutte le cose) quando smettiamo d’interpretare la realtà mediante i nostri concetti e di crearci giudizi di percezione, i quali ci impongono delle limitazioni dettate da interessi pratici. Allora, la ristretta coscienza individuale, circoscritta all’io, diventa uno stato di totale e completa apertura della mente, che può accogliere ogni cosa nella sua onnipervadente spaziosità : è la conoscenza della Vacuità o suprema realtà, che è priva (come lo spazio) di ogni carattere ed attributo. Così la nostra ottusità non è più una reazione che si focalizza in modo selettivo ed unilaterale su un solo aspetto della realtà e ignora volutamente tutto il resto, ma viene sperimentata come un’intelligenza penetrante, vivace ed onnicomprensiva, che comporta un’abilità a reagire alle situazioni.
E lo skandha della coscienza non è più quello che normalmente è: una facoltà limitata e meramente coordinatrice della mente umana ordinaria (attraverso la quale siamo consapevoli degli oggetti passati e presenti, del tempo e delle possibilità future, e di noi stessi in quanto individui in una corrente di eventi e di condizioni mutevoli). Invece, in un Buddha quel principio si trasforma nelle consapevolezza di una superiore dimensione di realtà, la legge (Dharma) che governa tutti i fenomeni della vita in tutto l’universo. Questa saggezza è personificata da Vairocana : egli rappresenta lo skandha della coscienza di tutti i Buddha.
Dunque, la forza negativa non va soppressa, ma riconosciuta in una visione comprensiva che la trasformi nella corrispondente qualità positiva associata con la conoscenza. Infatti, nel tantrismo il nostro corpo, la mente ed il “mondo oggettivo” sono tutte manifestazioni della divina buddhità : samsara è nirvana, ogni uomo e donna sono un dio e una dea, il nostro ambiente è una dimora divina di infinita bellezza, gli stessi klesha sono espressioni di 5 Buddha (i quali ne rappresentano le
rispettive sublimazioni). Quando vedremo che la natura dei vari klesha è la stessa delle 5 saggezze originarie o jñana (cioè, una volta che la mente sarà purificata con
la coltivazione dello sviluppo mentale), vedremo noi stessi come dèi : ciò significa vedere la coincidenza di spiritualità e materialità, di trascendenza ed immanenza, di
essenza ed apparenza.
LA NATURA DI BUDDHA.
Gradatamente, con la pratica del Dharma, i nostri fattori mentali negativi vengono rimossi : quando sono totalmente eliminati, la nostra mente diventa illuminata. Con la buddhità, la mente diventa perfetta ed onnisciente. La buddhità pertanto è conoscenza di saggezza e – propriamente – quel particolare tipo o livello di coscienza di chi è andato aldilà del dualismo ed ha raggiunto uno stato pieno di gioia che dura per sempre.
Ogni creatura che viva in un mondo qualsiasi, dovrà alla fine raggiungere la vera libertà spirituale dello stato nirvanico. Quando l’uomo, schiavo del fascio ipnotico delle apparenze (maya), sogna sogni che crede reali e fino a che non si sveglia dall’illusione dell’io e del mondo, non arriva a comprendere che il nirvana (che non è un luogo, bensì una condizione mentale, uno stato di coscienza) è qui e adesso e
dovunque, inerente in tutte le cose.
Se in effetti la natura profonda dei Buddha si identifica con la realtà ultima ed universale, tutti gli esseri – partecipando di quest’ultima – possiedono in se stessi il germe del loro futuro stato di Buddha (Tathõgatagarbha = germe di Tathõgata), cioè della loro liberazione ; e pertanto tutti gli esseri – guidati dall’immensa compassione dei bodhisattva e dall’infinita saggezza espressa negli insegnamenti dei Buddha – sono destinati alla salvezza. La potenzialità di divenire Buddha risiede in ogni essere vivente e perciò i risvegliati sono milioni. Questa attitudine costituzionale, insita nell’individuo come fosse un seme, va coltivata con preghiere e meditazioni appropriate. La relazione che intercorre tra lo stato normale di coscienza e quello più elevato, sublimato, è paragonabile al rapporto che intercorre tra un comune pezzo di carbone ed il diamante : non si può immaginare un maggior contrasto, e tuttavia entrambi sono fatti della stessa sostanza chimica, cioè il carbonio. Ciò indica simbolicamente l’unità fondamentale di tutte le sostanze e la facoltà di trasformazione insita in esse.
La ‘natura di Buddha’, che è nostra fin dal tempo dei tempi, è simile al sole che emerge dalle nuvole che l’offuscavano, oppure ad uno specchio appannato che – se strofinato – riacquista l’originaria purezza e lucentezza. Analogamente, dobbiamo abbandonare ogni pensiero discorsivo ed ogni discriminazione, praticare le paramita e gli altri metodi del Sentiero ed in tal modo otterremo la Medesimezza.
In altri termini, la buddhità è la realizzazione (cioè la comprensione e la consapevolezza) della Mente-in-sé : questa comprensione ha una forza immanente di crescere, perché la mente è come la prima fase della luna che – pur essendo luna – non è capace di illuminare completamente come la luna piena, ma ha la potenzialità di diventare tale.
Dunque, ogni essere ha sempre avuto ed ha in sé la capacità potenziale per divenire un Buddha. Innumerevoli furono quelli che realizzarono tale condizione nel
passato ed altri ancora la raggiungeranno nel futuro. Il loro numero e quello dei bodhisattva è pertanto infinito, come infinito è il numero degli esseri in una pluralità
di mondi nello spazio infinito.
Quando un individuo raggiunge la buddhità, simultaneamente realizza i 5 Dhyanibuddha dentro di sé: lo stato di Buddha e i 5 Dhyanibuddha sono inseparabili. Ottenendo la buddhità, i nostri 5 skandha si trasformano purificandosi completamente e diventano (e sono chiamati) i 5 Dhyanibuddha. Ogni Dhyanibuddha rappresenta quindi l’avvenuta sublimazione di ciascuno skandha: i Dhyanibuddha sono la purezza dei 5 skandha ottenuta al momento dell’Illuminazione. Gli skandha diventano in effetti i 5 Dhyanibuddha, non è che siano soltanto simboleggiati da questi ultimi. Qualsiasi Buddha ha i suoi skandha che sono i 5 Dhyanibuddha ; ciò non significa però che una persona – raggiungendo l’Illuminazione – diventi 5 Buddha, perché i Dhyanibuddha sono i 5 aspetti di un Buddha. I Dhyanibuddha non sono dei Buddha che quando otteniamo l’Illuminazione – vengano a noi da chissà dove; perché in realtà è il mio skandha della forma che diventa (e quindi è) esso stesso un Dhyanibuddha, quello della sensazione che diventa esso stesso un Dhyõnibuddha, ecc. Raggiungendo l’Illuminazione, diveniamo un completo mandala dei 5 Dhyanibuddha, dove non siamo più separati gli uni dagli altri, ma entriamo in comunione con tutti i Buddha e con gli altri: diventiamo molti pur essendo uno. Infatti all’interno della natura fondamentale di un Buddha (cioè, all’interno della sua pura coscienza) vi sono 5 diverse specificazioni, ossia 5 forme specifiche di conoscenza: la saggezza simile allo specchio, ecc. La realtà è indifferenziata ed omogenea, ma diviene oggetto di esperienza (cioè, si manifesta e si specifica) attraverso questi fondamentali tipi di conoscenza.
Quando le energie che nel samsara ci appaiono come veleni o contaminazioni (klesha), vengono riconosciute – alla luce della realtà – nella loro vera essenza e natura, i 5 skandha dello stato mentale confuso e non-illuminato vengono trasmutati nelle corrispondenti forme (o aspetti) trascendenti e purificate, e diventano antidoti e fattori d’illuminazione. I 5 skandha hanno infatti l’attitudine e la potenzialità di trasformarsi in positività. L’energia è la forza motrice dell’emozione e del pensiero nello stato confuso (samsarico), e della compassione e della saggezza nello stato illuminato (o stato di risveglio della mente). I 5 Tathagata pertanto simboleggiano, esprimono e personificano le 5 qualità fondamentali e trascendenti dell’energia della “natura di Buddha”, cioè le 5 saggezze della coscienza completamente risvegliata (ossia, del Dharmakaya) : o, meglio, i 5 aspetti principali della saggezza pura ed assoluta del Dharmakõya (o principio spirituale soggiacente alla buddhità).
Si può pertanto dire che – fra tutti i miliardi di Buddha – i 5 Tathõgata sono quelli che hanno un’inerenza diretta con l’uomo: quando la mente di quest’ultimo raggiunge l’Illuminazione,
a] i 5 skandha (aspetto soggettivo) vengono visti come della natura dei 5 Tathagata (yab). I 5 skandha si rivelano ed appaiono nella forma dei 5 Tathõgata: questi rappresentano la trasformazione della nostra esperienza impura (il nostro ordinario modo d’essere) in un modo d’essere purificato o liberato ; meglio : i 5 Tathõgata sono i 5 skandha nella loro natura buddhica, originariamente pura;
b] i 5 elementi (aspetto oggettivo) vengono visti come della natura delle 5 Consorti o Partner (yum), di cui prendono la forma. Esse pertanto non sono altro che i 5 elementi nella loro purezza originaria; o – che è lo stesso – la condizione pura dei 5 elementi si manifesta come le 5 Yum. Così i 5 Dhyanibuddha sono le trasformazioni di colui che sperimenta (polo soggettivo), le loro 5 Consorti sono le trasformazioni di ciò che viene sperimentato (polo oggettivo). I 5 Buddha rappresentano la chiarezza della nostra mente; le 5 Consorti rappresentano la vacuità della mente, la non esistenza reale di tutte queste cose. Chiarezza e vacuità sono intimamente collegate (yab-yum), non c’è una senza l’altra.
c] i 5 klesha (aspetto emotivo) vengono visti come della natura delle 5 saggezze trascendenti.
Skandha, elementi e klesha sono i fattori da purificare (cioè da trasformare spiritualmente). Dhyanibuddha, Consorti e saggezze trascendenti sono il risultato di
quella trasformazione.
A corollario di tale risultato, si ottengono poi :
– la rivitalizzazione dei rlun e la guarigione delle malattie;
– le capacità (che sono l’esatto opposto dei klesha) ;
– gli aspetti di Buddha (sacri: corpo, parola, mente, qualità ed azione) ;
– i poteri, consistenti nelle seguenti attività a beneficio degli esseri senzienti:
1. la “pacificazione”: è il purificare, il placare uno squilibrio psicologico (l’ira, l’aggressività, ecc.) o una malattia fisica, è l’appianare le situazioni difficili;
2. l’ “arricchimento”: è l’accrescimento (o incremento, sviluppo od espansione) della ricchezza, dell’intelligenza, del merito, della salute fisica, della durata della vita e altri vantaggi samsarici di grande valore. I suoi effetti sono la prosperità e un senso di sicurezza, ottimismo, forza e fiducia;
3. la “stabilità”: è la funzione di rendere fissa, durevole o permanente una situazione;
4. il “controllo”: è la funzione che arresta l’emotività e il raziocinio inutili ; è l’essere attraentemente maestosi e potenti in modo da avere autorità e influenza su ogni tipo di essere e controllo delle situazioni ; è l’azione dell’affascinare e del conquistare, del soggiogare;
5. l’ “azione irata o feroce”, cioè la “distruzione” : è la funzione aggressiva che elimina il concetto di realtà oggettiva, distrugge le nostre rigide convenzioni, sradica il nostro orgoglio e persino annienta il nostro io uccidendolo – dimodochè il nostro ordinario modo d’essere ne venga radicalmente mutato.
E’ la dispersione energica delle perturbazioni samsariche, la sottomissione violenta delle forze negative, l’annientamento della confusione e degli ostacoli (anche al Dharma).
Graficamente, tutte le relazioni coi Dhyanibuddha che sono state esposte nelle pagine precedenti possono essere schematizzate nel diagramma riportato qui di seguito; con l’avvertenza peraltro che le voci enunciate in tale prospetto possono avere anche una diversa sistemazione a seconda delle varie Scuole: ad es. per i Kagyupa i ruoli di Aksobhya e di Vairochana sono invertiti (cioè Aksobhya è il puro principio della coscienza ed a Vairochana corrisponde la forma-corporeità o rupa), mentre per i rÑigmapa ed i Vijñõnavadin, Vairocana è l’esponente dell’indifferenziato principio della coscienza. Le suddette variazioni si riscontrano anche nella stessa Scuola e dipendono dai diversi risultati che si vogliono conseguire con le differenti meditazioni.
|
VAIROCANA |
AKÙOBHYA |
RATNASAMBHAVA |
AMITABHA |
AMOGHASIDDHI |
1. colore |
bianco |
blu |
giallo |
Rosso |
Verde |
2. sillaba-seme |
OM |
HUM |
SVA o TRAM |
HA |
HRIH |
3. mudra |
dharmachakrapravartana |
bhumisparsa |
dõna (o varada) |
dhyana |
abhaya |
4. simbolo |
ruota del Dharma |
Vajra |
gioiello |
loto |
doppio vajra o spada |
5. veicolo |
leone |
elefante |
cavallo |
pavone |
san-san |
6. saggezza |
del Dharmadhatu |
simile a specchio |
dell’uguaglianza |
Discriminante |
dell’agire perfetto |
7. potere |
pacificazione |
stabilità |
accrescimento |
controllo |
distruzione |
8. capacità |
intelligenza |
compassione |
umiltà |
soddisfazione |
Rallegramento |
9. aspetto sacro |
corpo |
mente |
qualità (meriti) |
Parola, voce |
azione |
10. Consorte |
Akashadhatisvari |
Lochana |
Mamakú |
Pandara (vasini) |
Arya o Samaya) tara |
11. Bodhisattva |
Samantabhadra |
Vajrapani |
Ratnapani |
Padmapani |
Visvapani |
12.Manusibuddha |
Krakucchanda |
Kanakamuni |
Kasyapa |
Sakyamuni |
Maitreya |
13. Famiglia |
Buddha (o Tathagata) |
Vajra |
Ratna |
Padma |
Karma |
14. Terra Pura |
Akaniskha |
Abhirati |
Ratna |
Sukhavati |
Karmaparipurana |
15. klesha |
ignoranza/ottusità |
odio/avversione |
orgoglio/superbia |
attaccamento/bramosia |
invidia/gelosia |
16. skandha |
coscienza |
forma |
sensazione |
discriminazione |
strutture mentali |
17. regno samsarico |
animali |
esseri infernali |
preta |
Uomini |
asura |
18. elemento |
spazio |
acqua |
terra |
fuoco |
aria |
19. chakra |
capo |
cuore |
ombelico |
gola |
perineo |
20. direzione |
centro/zenit |
est |
sud |
ovest |
nord |
21. stagione |
continuità |
inverno |
autunno |
primavera |
estate |
22. periodo del giorno |
eterno presente |
alba |
metà mattino |
tramonto |
crepuscolo |
Fonte http://www.samtencholing.eu/wp-content/uploads/2009/02/41-i-5-dhyanibuddha.pdf che si ringrazia.