Gheshe Jampel Senghe, Gheshe Rabten: Lo yoga del sogno

Gheshe Jampel Senghe: “Anche la posizione del corpo è importante per avere un sonno equilibrato e quindi un sogno consapevole, chiaro e completo”.

Gheshe Jampel Senghe: Lo yoga del sogno

È questo il primo di tre articoli su «Sogno, morte e Bardo», una pratica del Buddhismo tantrico, che presentiamo come è stata insegnata dal Gheshe Jampel Senghe, utilizzando anche l’opuscolo «Livelli di coscienza» di Gheshe Rabten Rimpoche, edito da «Ghe Pel Ling – Maitri». Il prossimo articolo sarà dedicato alla meditazione sulla morte e il terzo all’esperienza del Bardo. Questi insegnamenti si basano su testi dei maestri indiani Vasubandu, Nagarjuna e Naropa, nella rielaborazione di Lama Tzong Khapa. Una traduzione italiana del testo attribuito a Naropa sui Sei Yoga (di cui il terzo è lo Yoga del sogno) si trova nel volume Lo Yoga tibetano, curato da Evans-Wentz ed edito da Ubaldini, Roma 1973.

Lo « Yoga del sogno » è una pratica buddhista che i Lama tibetani usano proporre con particolare enfasi per due motivi: è facilmente praticabile anche da principianti e non richiede, almeno nel suo aspetto essoterico, preventive iniziazioni. Questa pratica permette di trasformare il tempo dedicato al sonno in una vera e propria meditazione, che si realizza mentre si sta dormendo. « Adoperare la coscienza del sogno – dice Gheshe Rabten – significa che noi sviluppiamo uno stato mentale di gran lunga più potente di quello attuale… Ciò lascia un’impronta incisiva e profonda nella mente, perché il sogno è uno stato di coscienza molto sottile e concentrato. Avendo completamente sviluppato l’abilità di essere consci nel sogno, possiamo usare questa abilità per meditare sulla vacuità».

Lo Yoga del sogno è anche considerato uno dei più efficaci addestramenti per mantenere coscienza e consapevolezza nello stato intermedio tra morte e rinascita che i tibetani chiamano Bardo. Infatti, nella concezione tantrica, il processo di prendere sonno, sognare e risvegliarsi è considerato molto simile al processo di morte, bardo e rinascita. Con una pratica adeguata (che peraltro richiede temp;i lunghi anche a livello tantrico e addirittura lunghissimi a livello ordinario), si possono trasformare sonno, sogno e veglia in esperienze preparatorie all’esperienza di morte, bardo e rinascita. Per insegnare queste pratiche, Gheshe Jampel Senghe usava riferirsi ai 9 punti dei maestri tibetani Marpa e Milarepa. «Abbiamo in noi stessi l’energia per realizzare i tre “corpi di Buddha” (Trikaya): il Dharmakaya o “corpo di Verità”, il Sambhogakaya o “corpo di Beatitudine”, emanazione del Dharmakaya a livello dei Bodhisattva ed infine il Nirmanakaya o “corpo della manifestazione”, emanazione del Dharmakaya nell’esistenza fenomenica del Samsara.

Abbiamo in noi questa energia anche se non ne siamo coscienti, come il seme ha in sé l’energia del futuro fiore, con i suoi colori, il suo profumo, ecc., anche se non si vede. E come il seme per trasformarsi in fiore ha bisogno di terra fertile, di acqua e di luce solare, così noi, per realizzare i tre “corpi di Buddha” (Trikaya) abbiamo bisogno in generale di percorrere l’Ottuplice Sentiero e in particolare di praticare la meditazione sino ai suoi stadi più alti. I nove punti di Marpa e Milarepa consistono nel “mescolare” le tre esperienze ordinarie di sonno-sogno-risveglio con le tre esperienze future di morte-bardo-rinascita per realizzare i tre stati di coscienza di Dharmakaya-Sambhogakaya-Nirmanakaya.

In particolare, l’esperienza del sogno va “mescolata” con la esperienza futura del Bardo per realizzare il “corpo di Beatitudine” (Sambhogakaya). Gli insegnamenti fondamentali per queste pratiche appartengono al Tantra, ma c’è un loro riflesso anche nei Sutra e quindi se ne può parlare anche con i non-iniziati, senza peraltro far loro praticare i Sei Yoga di Naropa, che sono riservati agli iniziati». Lo yoga del sogno si realizza essenzialmente con l’essere consapevoli di sognare nel momento stesso in cui si sta sognando. «Non è facile riconoscere il sogno – avvertiva Gheshe Jampel Senghe – di solito, quando sogniamo qualcosa che ci dà felicità, proviamo subito piacere, mentre quando sogniamo qualcosa di pauroso, proviamo subito paura. Non riusciamo, cioè, a controllare il nostro sogno e a mantenerci sereni di fronte a qualsiasi oggetto di sogno.

Con questa pratica, invece, dobbiamo allenarci a poterci dire, mentre stiamo sognando: “Ah, questo è il tempo del sogno, io sto ora sognando e se sogno qualcosa di pauroso, non ne avrò paura, perché so che si tratta di un sogno”.

È questo che si intende quando si dice: riconoscere il sogno. E una volta allenati a riconoscere il sogno, allo stesso modo, quando ci troveremo nel Bardo, riconosceremo l’illusorietà delle relative apparizioni e conserveremo coscienza e consapevolezza anche in quella situazione ».

Lo scopo da rnggiungere è dunque quello di « riconoscere il sogno » e per realizzare questo scopo l’insegnamento tradizionale suggerisce di coltivare nello stato di veglia, cioè durante fa giornata, questi due pensieri:

1) la ferma determinazione di rimanere consapevoli durante il sogno che si farà nella notte che sta per venire;

2) la convinzione che anche le esperienze fatte durante lo stato di veglia sono, in senso ultimo, esperienze di sogno.

« Nel corso della giomata – insegnava Gheshe Jampel Senghe – dobbiamo ripeterci spesso: stanotte riconoscerò il mio sogno.

Insistere ripetutamente in questa determinazione è di grande efficacia; abbiamo fatto tutti l’esperienza che se durante la giornata pensiamo intensamente e ripetutamente ad una cosa, la notte successiva è probabile che sia sognata proprio quella cosa. Il pensiero insistente accresce una particolare energia mentale e ne facilita la maturazione del frutto.

È su questa base, tra l’altro, che gli yoghi particolarmente allenati riescono addirittura a scegliere durante il giorno i sogni che desiderano fare nel corso della notte, ma queste realizzazioni richiedono anni e anni di esercizio e lunghi periodi di ritiro ».

Il secondo pensiero da coltivare durante la giornata per «riconoscere il sogno » nelle successive ore di sonno è quello di attribuire sostanza di sogno alle nostre esperienze diurne. (Accanto agli insegnamenti dei Lama, suggeriamo in proposito il bellissimo dramma dello spagnolo Calderon de la Barca, « La vita è sogno », n.d.r.) . « Abituatevi – diceva Gheshe Jampel Senghe – ad attribuire natura di sogno a tutto quello che vedete ed ascoltate. Chi si esercita da tempo nella meditazione buddhista, sa che tutte le nostre visiorni diurne hanno, a livello di verità ultima, natura di sogno, come ha insegnato il grande filosofo indiano Asanga, fondatore della scuola Yogachara.

Altri invece, meno addestrati nelle meditazioni, potrebbero obiettare che non si tratta d isogni, perché non si è addormentati; in realtà, solo dopo l’illuminazione saremo veramente risvegliati, le esperienre precedenti sono tutte avvolte nel buio dell’ignoranza ». «È importante – aggiunge Gheshe Rabten – familiarizzarsi nella vita quotidiana con la sensazione che tutto è sogno. Benché in realtà questo non sia vero, nondimeno dovremmo cercare di mantenere questa sensazione. Si tratta di un metodo per realizzare il nostro scopo (che è quello di riconoscere il sogno durante il sonno) e dobbiamo limitarci a considerarlo soltanto in questo senso e non come una descrizione della realtà. Poiché molti dei nostri sogni provengono da impronte accumulate durante la giornata, con il pensare “questo è un sogno, questo è un sogno” ancora e ancora, per ·tutto il giorno, arriveremo a sognare delle nostre attività quotidiane pensando allo stesso modo: “questo è un sogno, questo è un sogno”. Se sviluppiamo questo atteggiamento, allora, durante lo stato di sogno vero e proprio, potremo essere consapevoli degli oggetti del sogno. Ma – osserva Gheshe Rabten con molto buon senso – questa sensazione va sviluppata mentre si sta tranquillamente seduti nella nostra camera o comunque in un posto tranquillo. Se dovessimo praticarla mentre stiamo guidando un’automobile e pensassimo che la nostrn auto e quella che sta davanti sono oggetti di sogno, accadrebbe un incidente ».

Dopo avere coltivato questi due pensieri nel corso de1la giornata, al momento di coricarsi si pratica la meditazione per equilibrare il sonno; questa meditazione serve ad aumentare la chiarezza e la completezza del sogno e quindi ne facilita ila consapevolezza. Non sempre il sonno è accompagnato da sogni; i sogni, secondo il Tantra, si generano in dipendenza dello stato di sonno. « Se il sonno è troppo profondo – insegna Gheshe Rabten – non sorgerà alcun ‘Sogno e se il sonno è troppo leggero, saremo disturbati molto facilmente. Quindi il sonno dovrebbe essere molto bilanciato ».

Per ottenere questo tipo di sonno equilibrato, né troppo profondo, né troppo leggero, vengono in aiuto alcune tecniche meditative, tra cui il praticante potrà scegliere la più adatta alla sua particolare condizione. In circostanze normali, cioè quando si ha un sonno regolare e in giusto equilibrio, si visualizza la sillaba « A » rossa all’interno del « canale centrale » (sushumma), all’altezza della gola, appoggiata verticalmente a un loto rosso con 16 petali. Più forte sarà la luminosità della sillaba « A » e più facile sarà riconoscere il sogno. Ma una luminosità eccessiva potrebbe recare disturbo al sonno, perché può produrre agitazione nervosa; si tratta allora di visualizzare la sillaba « A » con una luminosità rossa meno intensa. Il praticante che invece, al risveglio, non ricorda bene cosa ha sognato, troverà giovamento – secondo i maestri tantrici – se al posto della «A » all’altezza della gola visualizza una pallina bianca con luce splendente all’altezza della fronte.

Sempre all’interno della sushumma (canale centrale). « La pallina bianca – ha spiegato Gheshe Jampel Senghe – aiuta a chiarire il sogno, lasciando un ricordo molto limpido, che al risveglio non si dimentica. Questa visualizzazione aiuta i praticanti dal sonno pesante a dormire con un sonno più leggero e quindi con sogni più chiari e completi. Se però, nonostante questa visualizzazione, non si ottenessero buoni risultati, allora bisogna visualizzare la pallina bianca con maggiore luminosità e radianza ».

Una tecnica diversa potrà invece essere utile ai praticanti che hanno il sonno leggero e disturbato da continue interruzioni. Costoro hanno bisogno di equilibrare il sonno nel senso di renderlo meno leggero e più continuo; è loro consigliato di visualizzare la pallina non più all’altezza della fronte, ma all’altezza del cuore, sempre all’interno del canale centrale e di colore blu scuro invece che bianco.

Ma, se il sonno rimane ancora leggero, si dovrà visualizzare la stessa pallina all’estremità inferiore della sushumma, al di sotto dell’ombelico, quasi all’altezza del sesso, ma sempre all’interno del canale centrale e di colore nero anziché bianco o blu.

Anche la posizione del corpo è importante per avere un sonno equilibrato e quindi un sogno consapevole, chiaro e completo. Gheshe Jampel Senghe consigliava di evitare la posizione supina e di coricarsi appoggiati sul fianco destro, con le gambe leggermente piegate, la mano destra sotto la guancia destra e i muscoli rilassati: è la posizione in cui tradizionalmente viene raffigurato il Buddha al momento del Parinirvana.

L’efficacia di questa, come di qualsiasi altra meditazione, accresce molto se prima di essa vengono eseguite le cosiddette « pratiche preliminari ».

Per lo Yoga del sogno la più importante di queste pratiche è la purificazione delle Nadi (canali interni), che il lettore troverà descritta su Paramita 6, pag. 5; seguono le visualizzazioni di Buddha o Bodhisattva, da immaginare sulla nostra testa, radianti di luce bianca, che viene assorbita dal nostro corpo purificato e alle quali, come simboli delle nostre più alte e nascoste potenzialità, ci rivolgiamo per accrescere la nostra energia e la nostra determinazione.

Queste pratiche saranno precedute dalla « presa di Rifugio ». Gheshe Jampel Senghe includeva l’insegnamento su questo yoga avvertendo che è difficile ottenere risultati importanti in breve tempo, ma non pertanto c’è da scoraggiarsi. « La pratica che abbiamo qui descritta ha carattere essoterico e quindi ha un processo di realizzazione molto lento, di cui bisogna saper apprezzare il graduale sviluppo ed a cui bisogna assicurare continuità di esercizio. Gli obiettivi sono raggiunti molto più rapidamente con le tecniche dell’Anuttara Yoga Tantra, che però possono essere insegnate solo oralmente a praticanti maturi e adeguatamente iniziati, perché si basano sulla utilizzazione e la trasformazione delle arie interne, delle energie sottili. Questo tantra parte dalla meditazione sugli 8 ‘Segni del processo della morte, passa per l’assorbimento dell’energia dei 5 elementi che viene concentrata nel chakra del plesso isolare con lo yoga del Tummo e si conclude con la trasferenza del corpo sottile e della sua mente.

La pratica essoterica può essere paragonata ad un viaggio in bicicletta, quella tantrica ad un viaggio in aereo: ma si possono coprire lunghe distanze con la bicicletta, si fa anche il giro d’Italia. Le due pratiche hanno quindi la stessa validità, cambia soltanto il mezzo di trasporto».

Per quanto riguarda gli oggetti del sogno, Gheshe Rabten insegna: «Per valutare se un sogno è di buon auspicio oppure no, non dobbiamo riferirci all’oggetto del sogno. Un sincero praticante può avere sogni davvero orribili, durante i quali incontra molta sofferenza, ma questo non sarà necessariamente un brutto segno, poiché può darsi che, avendo egli tentato di purificare certe azioni negative compiute nel passato, venga espresso in sogno il frutto di quelle azioni in un modo assai più leggero di quanto sarebbe accaduto nella realtà. Similmente, benché possiamo sognare cose molto piacevoli, per esempio incontrare il nostro guru o certe divinità, ciò non è necessariamente di buon auspicio. Benché possa trattarsi di una vera benedizione risultante dalla propria pratica, può anche trattarsi di qualche forza negativa che sta penetrando ingannevolmente in noi sotto una bella apparenza. Il modo per distinguere se un sogno è o no di buon auspicio consiste nell’esaminare la nostra mente al momento del risveglio: se siamo agitati ed a disagio, ciò significa che i sogni non erano buoni; invece uno stato di calma e di gioia indica un buon sogno».

Abbiamo detto che esiste un parallelismo tra l’esperienza del sogno e l’esperienza del Bardo; e pertanto i maestri insegnano che, come il Bardo, anche il sogno è preceduto da 8 segni, che sono nell’ordine: chiara luce, spazio nero, spazio rosso, spazio bianco, fiamma di candela, lucciole, fumo e miraggio. Ne parleremo diffusamente nel prossimo articolo, dedicato alla meditazione sulla morte, che è basata su questi 8 segni, ma in ordine inverso, come si ritrovano anche nella fase che precede il sonno.

C’è però da tener conto che nel sonno e nel sogno questi segni si succedono con molta rapidità (come in caso di morte violenta) e quindi la mente ordinaria non li percepisce; ma, con il progredire della pratica, si comincia a percepirli, all’inizio in modo confuso e poi sempre più distintamente.

Qualche lettore a questo punto potrebbe pensare che lo Yoga del sogno non lo interessa, perché è una pratica legata al Tantrismo, alle credenze nel Bardo, nel corpo sottile e comunque è una pratica buddhista. Sarebbero tutte conclusioni sbagliate: non è necessario abbracciare il Buddhismo e meno che mai il Tantrismo per praticare questo Yoga e trarne giovamento. È un’esperienza che può essere vissuta anche su un piano esclusivamente psico-somatico e che può migliorare la qualità della nostra mente, aumentandone le capacità di attenzione, memoria, consapevolezza, concentrazione ed inoltre l’attitudine alla calma, alla serenità, alla benevolenza e alla equanimità. «Le coscienze del sonno – afferma Gheshe Rabten -, se vengono usate correttamente, sono più potenti delle coscienze ordinarie; mentre si dorme, tutte le altre coscienze sensoriali grossolane sono assorbite, il che produce una concentrazione più profonda e di qui una mente più potente ».

(a cura di V. Piga) https://maitreya.it/wp-content/uploads/2020/02/Paramita-15.pdf