Giuseppe Baroetto: Yantra yoga, lo yoga tantrico
Il termine « yoga » è oggi entrato nella lingua comune e, per chi ne sa di più, è quasi sempre sinonimo di Hatha Yoga e del sistema di Patanjali. Su questo Yoga esistono parecchie pubblicazioni e molti sono quelli che lo praticano, chi in una forma chi in un’altra, non riuscendo, spesso, a comprenderne l’ideale di fondo.
Esso sembra aver séguito anche nei centri buddhisti, persino in quelli che si rifanno alle scuole tibetane. La stranezza è che queste scuole si presentano come le dirette continuatrici della tradizione dei Siddha, famosi per le loro realizzazioni yogiche, e quindi dovrebbero possedere un proprio sistema di Yoga anche fisico: se questo sistema esistesse e venisse insegnato, non si ricorrerebbe più ad un metodo, l’Hatha Yoga, la cui finalità è estranea all’orizzonte ideologico del tantrismo buddhista.
Nello Hathapradipika (1), un testo fondamentale dello Hatha Yoga, la meta della pratica, il samadhi, viene fatta consistere nel dissolvimento dell’energia vitale e nella cessazione dell’attività mentale, uno stato nel quale lo yogin è privo di concetti e sensazioni.
Vediamo qui riproposta la dottrina degli Yoga-sutra di Patanjali (2): « Yoga è la cessazione delle funzioni mentali ». La motivazione che è alla base di questa nota definizione dello Yoga potrebbe essere così sintetizzata: qualunque stato di coscienza è il frutto di una confusione fondamentale per la quale si crede attivo lo Spirito (Purusa) che è, invece, pura coscienza, immota ed autoluminosa (3); per dissolvere tale ignoranza si deve isolare lo Spirito della Natura (Prakrti), che, incosciente, possiede la potenzialità dell’azione (4).
Si può così comprendere il senso di una via che, fondamentalmente, insegna la rimozione degli impulsi derivati dal corpo, dal respiro, dai sensi e dalla mente attraverso un graduale processo di neutralizzazione di quei piani dell’esistenza. Definirei, quindi, lo yoga di Patanjali come un metodo di realizzazione che persegue la completa cessazione di ogni funzione psico-fisica in una condizione di scissione del puro soggetto dall’oggetto.
Se questo ideale può presentare delle analogie con alcune correnti del Buddhismo Hinayana, è certamente molto distante dalla prospettiva propria dello Yoga che caratterizza il Buddhismo tantrico o Vajrayana.
A fondamento del metodo degli Anuttara Yoga Tantra vi è il riconoscimento della sostanziale unità (sahaja) della condizione relativa e di quella assoluta; l’originalità del contributo tantrico, rispetto all’insegnamento dei Sutra buddhisti, risiede nell’implicazione « pratica » di questa dottrina.
Mentre nei Sutra si guarda all’Assoluto = Vacuità come ad un obiettivo da realizzare tramite l’emancipazione dalla condizione relativa (vedi l’ideale del Vinaya e delle Paramita), nei Tantra si parte dalla consapevolezza della Vacuità di tutti i fenomeni per integrare in essa il relativo; così attraverso un processo di trasformazione; ogni aspetto dell’esistenza viene ricondotto alla sua origine trascendente e, a questo fine, tutto diventa un mezzo per la realizzazione della condizione assoluta: il relativo non deve più essere abbandonato in quanto non è: né sostanzialmente diverso dall’Assoluto (Yoga-sutra), né un ostacolo alla sua realizzazione (Sutra buddhisti). Di conseguenza, per il praticante degli Anuttara Tantra ogni esperienza viene ad assumere lo stesso identico sapore nel superamento completo di ogni forma di dualità. Si potrebbe quindi definire lo Yoga Vajrayana un metodo di realizzazione che ha come meta la totale pienezza nella non dualità.
Nonostante queste differenti prospettive e vie, è interessante notare come nello Hathapradipika si ritrovino termini chiave della spiritualità dell’integrazione Vajrayana come Sahaja e Samarasa, collegati a metodi (il Laya Yoga) che sono pure impiegati nel processo di perfezionamento della pratica degli Anuttara Yoga Tantra. Dal momento che quelle pratiche ed i termini ad esse connessi hanno senso in un discorso di integrazione, è possibile che stiano a testimoniare l’incontro di due spiritualità: quella della « cessazione », fissata negli Yoga-sutra di Patanjali, e quella della « integrazione », diffusa dai Siddha ed impostasi con il tantrismo. È stato notato che l’Hatha Yoga ed il Vajrayana condividono alcuni dei loro Padri; è quindi possibile che questi Siddha, maestri dell’integrazione, non curanti delle divisioni ideologiche che contrapoonevano i maestri delle varie scuole, abbiano introdotto il loro insegnamento anche in ambienti, come quello sottinteso dallo Hatha Yoga, estranei a quel genere di spiritualità (di qui, forse, l’interpretazione successiva di Ha-Tha come Sole-Luna, poli dell’integrazione e non delscissione).
Esiste, allora, nel Vajrayana uno Yoga fisico che non sia lo Hatha?
Certamente.
Però, dal momento che è consuetudine che i metodi tantrici vengano trasmessi per via iniziatica, esso rientra in quella sfera esoterica alla quale non vi è libero accesso.
Il metodo si chiama Yantra Yoga ed è oggi diffuso esclusivamente all’interno della tradizione tibetana come l’unica forma di Yoga fisico accettato.
Non ha nulla a che vedere con lo Yantra Yoga, puramente immaginario, di cui parla Evans-Wentz (5). È un sistema strutturato in una maniera completamente diversa dallo Hatha Yoga. Innanzi tutto, anche qui, conviene comprendere il principio e, a tal fine, può essere utile notare come i Maestri tibetani abbiano reso il termine « yoga » con rnal-byor, che evoca bene la spiritualità Vajrayana; è derivato dal sostantivo Rnal-ma che indica lo stato naturale, inalterato, intoccato, e dal verbo Byor-Ba, che significa « possedere»: Yoga è, per i Maestri del Vajrayana, un metodo per la realizzazione del proprio stato naturale, nel quale il corpo, la voce e la mente sono totalmente presenti (e non neutralizzati o bloccati nelle loro funzioni) come qualificazioni della condizione assoluta. Ci troviamo nel cuore della dottrina tantrica: dovendo percepire tutta l’esistenza come energia della Vacuità, poiché la natura dell’energia è il movimento, è proprio attraverso il movimento del corpo, del respiro e della mente che si può realizzare l’unità di fondo dello stato naturale; yantra non è altro che un movimento fisico come mezzo per l’integrazione del corpo, della voceenergia e della mente nella condizione assoluta. Lo Yantra Yoga consiste, essenzialmente, in una serie di movimenti del corpo associati a determinati atti respiratori. I movimenti hanno la funzione di indirizzare la respirazione in modo che essa possa, a sua volta, equilibrare la funzione dell’energia. Dato lo stretto rapporto di dipendenza che intercorre tra la funzione dell’energia e quella della mente, la coordinazione della prima genera l’equilibrio della seconda; così lo stato naturale sorge spontaneamente, gli ostacoli si dissolvono e le virtù si accrescono. È su questa base che il praticante del Vajrayana può seguire con sicurezza il processo di perfezionamento verso la totale reintegrazione di ogni fenomeno nel puro e perfetto spazio dell’Assoluto.
Questa, in sintesi, è la funzione dello Yantra Yoga.
Con il prossimo numero ritornerò sull’argomento presentando l’insegnamento di Yantra Yoga che il grande Maestro tibetano Vairocana ricevette da Padmasambhava e sul quale non è impresso il sigillo della segretezza.
(1) SWATMARAMA: Hathapradipika, La chiara lanterna dello Hatha Yoga, Edizioni Savitry, Torino, 1978.
(2) PATANJALI: Gli aforismi sullo Yoga (Yogasutra), Boringhieri, Torino, 1962, Cfr. I.K. T AIMNI: La scienza dello Yoga, commento agli Y ogasutra di Pataniali alla luce del pensiero moderno, Ubaldini Editore, Roma 1970.
(3) PATANJALI, op. cit., II, 17-24.
(4) Op. cit., II, 25-26.
(5) M.Y. EVANS-WENTZ: Lo Yoga tibetano e le Dottrine segrete, ovvero i Sette Libri di Saggezza del grande Sentiero, Ubaldini Editore, Roma, 1973, pagg. 39 sgg. (Anche pagg. 213-215, dove l’Autore presenta, senza riconoscerlo come tale, un testo di Yantra Yoga; evidentemente gli sfuggiva anche la corrispondenza linguistica Yantra/ Phrul-Khor).
https://maitreya.it/wp-content/uploads/2020/02/Paramita-14.pdf Anno IV – Trimestrale (aprile-giugno 1985)