Thich Nhat Hanh: Il cuore dell’insegnamento del Buddha. La trasformazione della sofferenza in pace, gioia e liberazione.
Il Sangha è composto dalla quadruplice comunità: monaci, monache, laici e laiche, e anche dagli altri elementi che ci sostengono nella pratica: il cuscino da meditazione, il sentiero nel quale pratichiamo la meditazione camminata, gli alberi, il cielo, i fiori.
Nel mio Paese si dice che una tigre che lasci la sua montagna per scendere nella pianura, verrà catturata dagli uomini e uccisa. Quando un praticante abbandona il Sangha, potrebbe abbandonare anche la pratica e “morire” in quanto praticante. È essenziale praticare insieme a un Sangha: anche se apprezziamo profondamente la pratica, potrebbe essere difficile continuare senza il sostegno degli amici.
Vale decisamente la pena di investire energie in un Sangha. Se semini in un terreno arido, a germogliare saranno ben pochi semi; ma se selezioni una terra fertile e vi investi i tuoi meravigliosi semi, il raccolto sarà abbondante e redditizio. Costruire un Sangha, sostenerlo, frequentarlo, riceverne l’aiuto e la guida è una vera pratica. Noi abbiamo gli occhi individuali e gli occhi del Sangha: quando un Sangha illumina della propria luce i nostri punti di vista personali, vediamo con più chiarezza. Nel Sangha non cadiamo nei soliti schemi di comportamento negativi. Non ti allontanare dal tuo Sangha, anzi prendi rifugio in lui, e avrai il sostegno e la saggezza di cui hai bisogno.
Quando i membri di un Sangha vivono in armonia, il loro Sangha è sacro. Non pensare che il titolo di Santità sia riservato al Papa o al Dalai Lama; la santità è anche in te e nel tuo Sangha. Dove una comunità medita, respira, cammina e mangia insieme in consapevolezza, là c’è santità. Quando formate un Sangha che ha in sé felicità, gioia e pace, vedete gli elementi della santità nel Sangha.
Il re Prasenajit, buon amico e discepolo del Buddha, gli disse: «Guardare il tuo Sangha mi fa credere nel Buddha e nel Dharma». Guardava i monaci e le monache, calmi, pieni di pace e di gioia, liberi, che camminavano, si fermavano in piedi e sedevano in consapevolezza, e in loro vedeva il Buddha e il Dharma.
Il Dharma e il Sangha sono porte attraverso le quali entriamo nel cuore del Buddha.
Un giorno il Buddha andò con Ananda in un monastero, nel Kośala. Tutti i monaci erano fuori per la questua tranne uno, malato di dissenteria: giaceva esausto, gli abiti e il letto sporchi di escrementi. Quando il Buddha lo vide, gli chiese: «Dove sono andati gli altri monaci? Perché non c’è nessuno che si occupi di te?» Il monaco malato rispose: «Signore, tutti i miei confratelli sono fuori per il giro di questua. All’inizio si prendevano cura di me, ma visto che non miglioravo ho detto loro che avrei fatto da solo». Il Buddha e Ananda gli fecero un bagno, pulirono la sua stanza, lavarono i suoi abiti e gli fecero indossare un abito pulito. Quando i monaci tornarono, il Buddha disse loro:
«Amici, se non ci occupiamo l’uno dell’altro, chi si occuperà di noi? Se vi occupate gli uni degli altri, vi occupate del Tathāgata».
Esistono gioielli autentici e gioielli falsi; se qualcuno vi dà insegnamenti che contraddicono i Tre Sigilli – impermanenza, non sé e nirvana – sappiate che quello non è Dharma autentico. Se una comunità ha presenza mentale, pace, gioia e libertà, quella è un vero Sangha. Un Sangha che non pratichi la presenza mentale e che non sia libero, pieno di pace e di gioia, non può essere detto un vero Sangha. Anche il Buddha può essere vero o falso. Nel Sutra del Diamante il Buddha afferma: «Se mi cercate nelle forme e nei suoni, non troverete mai il Tathāgata».
(Neri Pozza 2017, traduzione italiana di Diana Petech. Tratto dal sito https://monasterobuddhista.it/thich-nhat-hanh-nel-cuore-del-mondo/?fbclid=IwAR2WHf_ayGslJNIB0SpWSTuHqgSRcTWWXMDWjFcyLQvV-UPdL5aOJ3LLHmo che devotamente ringraziamo per la sua compassionevole gentilezza verso tutti gli esseri che soffrono in questa dolorosa esistenza samsarica.)